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Autore: Hydrogen96    30/01/2015    0 recensioni
Buongiorno viandante! Siediti comodo perché sto per raccontare gli orrori di Angmar che non sono mai stati narrati. La suddivisione in capitoli, in cui sono espressi alternativamente i punti di vista di Thranduil e del piccolo Legolas, è data dal fatto che la storia è nata da una role (quindi metà dei crediti vanno alla mia compagna che ha abilmente interpretato il piccolo elfo).
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Angmar Nightmare


 

Legolas' POV



Dense nuvole color della notte oscuravano quel dì la tetra fortezza di Angmar, teatro dell'imminente scontro tra Elfi ed Orchi. Mai il sole osò fare capolino tra di esse, tanto era grande la crudeltà che per sempre sarebbe stata associata al ricordo di cotale scontro. 
Interamente ricoperti di metallo, impugnando lunghi bastoni di ferro fu come Legolas vide per l'ultima volta i propri genitori prima di rimanere solo, circondato da un taciturno drappello d'uomini, in una grande tenda color dell'estate. Sarebbero tornati. Insieme, così come erano partiti, mamma e papà sarebbero tornati da lui. Questa fu l'unica promessa -nonché il solo pensiero- che in quelle lunghe ore d'assedio scaldò il cuore del piccolo Legolas. 
Come poteva un bambino comprendere che là fuori, ad ogni secondo che trascorreva, i propri genitori rischiavano di morire? Come poteva un infante capire per quali nobili motivi un simile spreco di vite era tollerato? La guerra era indispensabile alla sopravvivenza di un popolo, il solo strumento -forse il più immediato- per dimostrare la potenza -o la follia- di un sovrano. Con parole povere, spoglie dell'antico orgoglio di regnante, Thranduil spiegò al figlioletto per quale motivo si fossero spinti tanto lontano dalla quieta foresta e dai vivaci ruscelli che la attraversavano. Eppure, sebbene il monologo del padre potesse sembrare per certi versi incoraggiante, Legolas non comprese, né osò domandarlo, perché molti degli uomini che quel mattino vide non sarebbero più tornati. 
Freddo era lo sguardo del sovrano, teso e preoccupato come raramente gli era dato vederlo. La stessa genitrice, calda e materna, aveva tentato di risollevare lo spirito del consorte poco prima di partire, insieme, per quel loro ultimo viaggio. 
Fu con quell'immagine nella mente, dei due genitori stretti l'uno all'altra, che Legolas alzò i propri occhi color del cielo verso l'entrata della tenda quand'essa improvvisamente si spalancò. 
Grugniti, sbuffi, ruggiti accompagnarono la marcia di quelle strane belve che al posto del suo papà erano giunte nel loro rifugio. Grosse anelle di metallo portavano lungo il perimetro di quelle che un tempo dovevano essere state delle orecchie e una fila di denti gialli, storti e sbilenchi, si aprivano in quel volto totalmente nero così come il resto del corpo. Del loro tanfo prestò s'impregnò l'intero accampamento tanto che Legolas -impressionato da una tale visione- si costrinse a fuggire. Oltre la tenda, superando le postazioni elfiche oramai prese d'assedio dal nemico, il piccolo elfo corse per miglia e miglia senza mai trovare il coraggio di arrestarsi. Doveva trovare il suo papà, soltanto lui lo avrebbe salvato da un simile orrore.
«Nana! Ada!» [Mamma! Papà!] gridava a pieni polmoni, scavalcando e pestando distese di cadaveri d'Elfi ed Orchi ammassati a terra in modo convulso. Nulla. Di Thranduil alcuna traccia egli trovò nel raggio di miglia e miglia. Era solo, completamente solo dopo la sua fuga dall'accampamento in cui aveva promesso di restare. Forse era là ch'erano tornati i due regnanti per salvare il loro bambino, combattendo fianco a fianco. O forse, essi non erano che una singola massa di corpi informi, magari una di quelle che Legolas aveva pestato in preda al panico. 
Esausto infine si fermò, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. In petto i polmoni ardevano, così come i muscoli lungo tutte le gambe. Per quanto aveva corso? Dove lo aveva condotto la paura? In quale luogo si era perduto? Con le lacrime agli occhi, esasperato, egli si lasciò cadere a terra, non troppo lontano da un altro Elfo del cui sangue la terra tutt'intorto era inzuppata.
«Ada! Ada!» [Papà! Papà!] chiamò ancora, sempre più piano, affievolendosi ad ogni nuovo grido. Non sarebbe mai più tornato a casa, presto l'oscurità lo avrebbe avvolto e con essa, la morte avrebbe posto fine alle sue sofferenze.
Ma Legolas non poteva ancora sapere che mai, durante una battaglia, v'era il tempo per disperare. Perché, anche se sconfitto, il nemico sempre continuava a rappresentare una minaccia. Questo egli imparò quel dì quando, tra un singhiozzo e l'altro, udì un grugnito spezzare il silenzio di quell'infinita landa punteggiata di cadaveri. Pietrificato dalla paura, Legolas non trovò la forza di fuggire fino a quando una mano, tetra come gli sguardi vuoti di quei corpi senza vita, non si posò sulla sua spalla.
Fu allora che scappò, sfuggendo alla nera lama portatrice di morte.
«Ada! Ada! Ada!» [Papà! Papà! Papà!] riprese a gridare, questa volta più forte a causa della minaccia che non pareva intenzionata ad arrendersi. 
Un denso fumo grigio spezzò la continuità dell'orizzonte qualche miglio a Nord. Forse gli Elfi stavano tenendo un banchetto per festeggiare la vittoria! O forse era il nemico a brindare sopra i cadaveri dei suoi genitori.. 
Con le lacrime agli occhi che, per lo sforzo, gli impedivano di vedere nitidamente dinanzi a sé, Legolas corse per diversi minuti verso quell'unico punto che nel silenzio della radura pareva possedere vita. E fu là che notò una figura, alta e argentata, avvolta in un panno un tempo color porpora. Possibile che fosse il suo papà? Possibile che finalmente lo avesse trovato?!
Avvertendo il fiato dell'Orco avvicinarsi improvvisamente alle proprie spalle, Legolas scattò nuovamente verso la salvezza ma le sue giovani gambe, non abituate ad un simile sforzo, crollarono sfinite. 
Rovinosamente egli cadde a terra, sbucciandosi entrambe le ginocchia e gran parte del volto. Fu la sua fortuna giacché l'Orco, invaghito dell'odore d'un sangue tanto giovane e fresco, subito si chinò verso le rocce di cui si erano macchiate, permettendo a Legolas di gattonare verso le gambe del genitore che pareva averlo riconosciuto.
«Ada, aiutami..» lo implorò, strisciando oltre la fiera figura ricoperta d'argento del Re degli Elfi.

   
 
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