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Autore: Alexiel Mihawk    30/01/2015    3 recensioni
«In nome di Dio, Kazama, cosa stai facendo?»
Hwoarang, che era entrato nella stanza oramai da qualche minuto, lo guardava con gli occhi spalancati e una smorfia disgustata sul volto; probabilmente domandandosi che fine avesse fatto la già poca sanità mentale dell’amico.
«Non vedi?» chiese Jin come se fosse ovvio cosa stesse facendo, insomma, che domande erano?!
E in realtà no, non vedeva. Gli sembrava solo che sulla faccia del giovane Kazama ci fosse stampata una smorfia a metà tra la sofferenza e l’angoscia. Forse stava male, pensò il coreano, e questo avrebbe spiegato i deliri senza senso che uscivano dalla sua bocca.
«Vuoi un Imodium? Anzi, ti vedo un po' costipato, aspetta che ti cerco un lassativo» disse Hwoarang, dirigendosi verso l’armadio nel quale sapeva essere contenuti i medicinali.
«Di che materiale la vuoi la bara?»

In cui Jin si esercita con le frasi ad effetto, Hwoarang prova ad aiutarlo e Xiao riprende ogni cosa.
Vaghi accenni XiaoJin, vaghissimi.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hwoarang, Jin Kazama, Ling Xiaoyu
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note a caso:
1611 parole.
In cui spero di non essere andata OOC e di avere strappato almeno un sorriso. Ambientata quando ancora Xiao e Jin vivevano assieme.
Inutile dire che è per Mana che mi ha trascinato nel fandom ed è colpa sua se ora scrivo di Tekken (e anche un po’ di Vale)

L'headcanon di Jin rompicoglioni che spacca le palle a Xiao, sopratutto con la menata del raffreddore e il suo lamentarsi per ogni singola cosa ogni volta che escono mi è stato attaccato da Mana (SHAMEONYOU)
(e sì, “Ricottina” l’ho preso a Gemma perché era stupendo)

 
 
 
Jin Kazama e il famoso caso della foto ricatto.
 
 
 
«Così non va» borbottò Jin osservando con fare perplesso il suo riflesso nello specchio.
Eppure sapeva di esserci vicino, mancava giusto qualcosa, quel tocco di seduzione che ancora lo separava dalla vera essenza del latin lover. Forse era colpa delle sopracciglia, gli davano quell’aria troppo da duro, da “vorrei spaccarti la faccia anche se ti ho appena chiamato ricottina”, ma sistemarle era fuori discussione, altrimenti la sua aria minacciosa ne avrebbe risentito troppo e non poteva certo permettersi una cosa simile. Poi come avrebbe fatto durante il torneo? Come avrebbe intimidito i suoi avversari durante le risse? Non poteva certo presentarsi con un paio di sopracciglia perfettamente fatte, come se fosse appena uscito dall’estetista, cosa avrebbero detto di lui? Salve sono Jin Kazama e vi distruggerò con le pinzette della morte? Meglio evitare. Meglio trovare l’ingrediente segreto per la conquista senza modificare niente nel suo aspetto fisico.
Decise di provarci di nuovo e, sistemandosi a gambe divaricate di fronte allo specchio, cercò di sfoggiare il migliore dei suoi sorrisi.
«Come va oggi, ricottina?» chiese al suo riflesso, e il sé stesso nello specchio gli lanciò un’occhiata così seducente (o almeno secondo i parametri del giovane Kazama) che per un attimo considerò seriamente l’opzione di limonarsi da solo.
La scartò quasi subito, però, aveva già provato a limonare uno specchio (per fare pratica, si era ripetuto) e il risultato era stato disastroso: troppo freddo e dal sapore troppo simile al vetril. Meglio lasciar perdere.
«Ehi, sono nuovi quei ferma capelli, topolina?» si domandò nuovamente.
«Ti ha mai detto nessuno quanto sei sexy?» continuò ancora.
E probabilmente sarebbe andato ancora avanti se un leggero colpo di tosse non lo avesse interrotto.
«In nome di Dio, Kazama, cosa stai facendo?»
Hwoarang, che era entrato nella stanza oramai da qualche minuto, lo guardava con gli occhi spalancati e una smorfia disgustata sul volto; probabilmente domandandosi che fine avesse fatto la già poca sanità mentale dell’amico.
«Non vedi?» chiese Jin come se fosse ovvio cosa stesse facendo, insomma, che domande erano?!
E in realtà no, non vedeva. Gli sembrava solo che sulla faccia del giovane Kazama ci fosse stampata una smorfia a metà tra la sofferenza e l’angoscia. Forse stava male, pensò il coreano, e questo avrebbe spiegato i deliri senza senso che uscivano dalla sua bocca.
«Vuoi un Imodium? Anzi, ti vedo un po' costipato, aspetta che ti cerco un lassativo» disse Hwoarang, dirigendosi verso l’armadio nel quale sapeva essere contenuti i medicinali.
«Di che materiale la vuoi la bara?»
«Ok, allora non stai male, ma si può sapere che minchia stavi facendo?» domandò, troppo incuriosito per offendersi «E chi diavolo è che chiamavi “ricottina”?»
Jin arrossì vistosamente, assumendo una tonalità di bordeaux che non dovrebbe essere possibile raggiungere per un giapponese dalla carnagione pallida come la sua.
«Se lo dici a qualcuno ti ammazzo».
«E questo l’ho capito, ma non è una novità, me lo dici sempre» borbottò Hwoarang, che oramai le minacce di morte le collezionava.
«Mi stavo esercitando».
«Per cosa, la fiera dell’idiozia?»
«No, non vorrei mai rubarti il primo premio, per quella basti tu. Mi stavo allenando a dire cose carine, sai, frasi a effetto. Per quando vedrò Xiao e–»
«E hai intenzione di chiamarla “ricottina”?» domandò l’amico trattenendo a stento una risata «Oh, ti prego, fallo. Così potrò vederla mentre ti prende a pugni, di nuovo».
«Hai forse idee migliori, faccetta di cazzo?»
Il coreano si illuminò, come se gli avesse appena domandato se sapeva come si guidasse una moto.
«Che domanda idiota. Vieni ti insegno io come si conquista una signora».
 
Quando Xiaoyu tornò a casa, dopo un pomeriggio di allenamenti estenuanti e di noiosissime ripetizioni di matematica, cercò di fare il più piano possibile. Sapeva che Jin a quell’ora era solito allenarsi e non voleva disturbarlo, dopo tutto aveva diritto ai suoi spazi e ai suoi momenti di tranquillità anche lui. Certo non si aspettava, entrata nel salotto, di trovarlo a cazzeggiare con Hwoarang, ignorando bellamente la tabella di esercizi preparata da suo nonno.
«I tuoi capelli sono più luminosi di fili di seta!» stava dicendo Jin in quel momento, e la giovane cinese di domandò a chi esattamente si stesse rivolgendo. A meno che improvvisamente non si fosse riscoperto omosessuale, e questo avrebbe spiegato l’insana ossessione che lui e il coreano nutrivano l’uno per l’altro.
«I tuoi occhi mi ricordano orizzonti lontani!» celiò subito dopo Hwoarang, prendendo la mano dell’amico e portandosela al petto.
Xiao estrasse il cellulare dalla tasca, non aveva la più pallida di cosa stessero facendo, ma li avrebbe filmati comunque. Certe occasioni capitano una sola volta nella vita e sprecarle è come gettare rifiutare un buffet gratis.
«Ma è proprio necessario che le prenda la mano?» stava domandando Jin.
«Certo, poi la guardi negli occhi, la fissi per qualche secondo e le dici “Ogni minuto passato con te è balsamo per la mia anima”» concluse Hwoarang appoggiando una mano sulla guancia dell’amico.
«E ogni minuto di questa scena è balsamo per i miei occhi» aggiunse Xiaoyu facendo l’ennesima foto, questa volta con il flash, rivelando infine la sua presenza.
Jin e Hwoarang si congelarono sul posto, realizzando per la prima volta come dovesse apparire la situazione vista dall’esterno. Si scambiarono un’occhiata veloce, prima di girarsi contemporaneamente verso di lei e urlare, nello stesso istante: «Possiamo spiegare tutto».
«Oh non sia mai, non volevo mica interrompervi, solo documentare per i posteri l’evoluzione della vostra relazione. Continuate pure. Fate come se io non ci fossi» ridacchiò la ragazza salutandoli con la mano e allontanandosi verso la cucina.
Jin si girò verso l’amico, veloce come un fulmine, e lo prese la collottola, iniziando a scuoterlo senza ritegno.
«Brutto bastardo di un coreano! L’hai fatto apposta!»
«Apposta cosa?! Ma se ha fotografato anche me!»
«Non importa, in ogni caso è tutta colpa tua!»
«Cosa stai dicendo, imbecille! Sei stato tu a cominciare, ti ricordo… Ricottina!»
«Non per ripetermi, stronzo, ma di che materiale la vuoi la bara?»
 
«No».
«Xiao, ti pago» borbottò Jin sull’orlo della disperazione.
«La mia risposta è sempre no, Kazama» rispose la ragazza affondando il cucchiaino nella vaschetta di gelato.
«Per favore?» tentò l’altro con scarso successo.
«Mi fa piacere vedere che hai un’anima, ma comunque no».
Erano oramai trascorsi venti minuti da quando Hwoarang, rassegnato e depresso, era uscito dalla villa e si era mestamente diretto a casa sua, minuti durante i quali Jin aveva vanamente tentato di convincere la piccola cinese a cancellare tutto il materiale ripreso quella sera con il suo cellulare.
«Ti compro tutto il gelato che vuoi per i prossimi tre mesi. E farò io le pulizie del bagno al tuo posto».
La ragazza sembrò soppesare l’offerta, ma nel vedere la faccia disperata del ragazzo, capì che poteva tirarla ancora per le lunghe, quindi scosse la testa.
«Ok, gelato e pulizie del cesso per tre mesi, più la pulizia del dojo. E ti giuro che ti accompagnerò a vedere quella piaga di festival estivo delle lanterne».
«Davvero?» domandò Xiao improvvisamente interessata, perché sì, insomma, a Jin queste cose non erano mai piaciute e ogni volta che ce lo trascinava a forza, passava l’intera serata a lamentarsi. Eh, ma le lanterne sono troppe, fa troppo caldo, fa troppo freddo, il vento soffia nella direzione sbagliata, sai quanto inquina questa roba, sono troppo gialle, sono troppo bianche, sono troppo colorate, c’è troppa gente, non c’è abbastanza gente. Ogni singola volta.
«E prometti che non inizierai a lamentarti di ogni cosa come tuo solito?»
«Promesso. Dai, Xiao, come puoi dubitare della mia parola!»
«E mi comprerai tutto quello che voglio se mi viene fame?» domandò la ragazza.
«Tutto».
«Anche le mele caramellate?»
Jin soppresse una smorfia, che schifo! Maledetti dolci del cazzo, appiccicosi e puzzolenti, ma se lei voleva cariarsi i denti non sarebbe certo stato lui a impedirglielo; a dire la verità normalmente lo avrebbe fatto, ma era disposto a qualsiasi cosa pur di farle cancellare dal telefono il video e le foto che aveva scattato.
«Anche le mele caramellate» borbottò a mezza voce.
Xiao si fece improvvisamente silenziosa, perché ehi! quello sì che era uno scambio conveniente, se avesse saputo che bastava ricattare Jin per renderlo così docile avrebbe pagato Hwoarang molto tempo prima perché lo spingesse verso situazioni incredibilmente imbarazzanti.
«E giurami che appena inizieranno a volare i pollini non mi scasserai i coglioni come tutti gli anni».
«Io non scasso i coglioni! Io soffro! Soffro davvero, non è mica qualcosa su cui scherzare! Un povero ragazzo le cui vie aeree si bloccano, che non riesce più a respirare e soffoca –»
«Kazama… Sei una piaga per l’umanità. Giuralo».
«Tsk. Giuro».
Xiaoyu scese dalla sedia con un saltino e gli sorrise, tendendogli la mano.
«Ok, affare fatto».
Jin sentì un brivido gelido percorrergli la schiena, una sensazione molto simile a quella che provava ogni volta che qualcuno voleva fregarlo, ma quella era Xiao e sì, insomma, gli aveva appena dato la sua parola quindi doveva per forza essere una sensazione sbagliata. Probabilmente era solo dovuta all’imbarazzo per essere stato beccato in una situazione così ambigua assieme a quell’imbecille patentato di Hwoarang.
«Guarda siccome sono magnanima ti concedo di cancellarli tu stesso» esclamò la ragazza porgendogli gentilmente il cellulare.
Kazama sospirò, sollevato, mentre le sue dita armeggiavano con il telefono eliminando qualsiasi prova incriminante.
«Xiao, grazie».
La giovane sventolò la mano, sparendo oltre la porta con una vaschetta di gelato sotto braccio, come raggiunse camera sua prese il cellulare e iniziò a comporre velocemente un messaggio.
 
Da: Xiaoyu
A: Miharu
Testo: Hai ricevuto gli allegati che ti ho inviato? Mandameli sulla mail, poi fanne tre copie e stampali su carta lucida impermeabile. Voglio regalarli a Jin per il suo compleanno.




   
 
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