Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: _lunatica_    30/01/2015    0 recensioni
Narra di un viaggio, se così si lo si può chiamare, all'inferno.
Il protagonista non ha un'identità, non ha un nome e non ha un volto. Ha solo pensieri. Paure. E una voce.
Spero vi piaccia.
Genere: Generale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Aveva sentito così tanto parlare dell’inferno che certo non l’immaginava così. Così  cupo, tetro, angoscioso che non si potrebbe descrivere a parole poiché non esistono parole abbastanza oscure da poterlo rappresentare.

Non riusciva  a capire perché fosse lì, in un lungo corridoio con porte laterali dai colori più tetri. Non poteva essere morto. Era giovane, troppo per morire, e aveva appena iniziato ad espandere i suoi domini in tutto il mondo; doveva trattarsi per forza di un sogno, come quello di Dante. Per questo non era spaventato, o, per lo meno, non o era eccessivamente.

Iniziò così a camminare lentamente lungo quel corridoio. Ad ogni passo la fine  del corridoio appariva sempre più distante, sempre più lontana- iniziò a correre, il terrore iniziava ad attanagliargli le viscere e, si sa, la paura rende ciechi e sprovveduti.

Correva, fuggiva da qualcosa, da qualcuno.

Poi, una porta gli comparve improvvisamente davanti. Una porta viola. Oscura. La aprì velocemente e si chiuse dentro, nella speranza di essere al sicuro. Ma un urlo gli morì in gola.

Forse, se avesse aspettato qualche secondo in più prima d’entrare non l’avrebbe fatto. Se avesse letto le parole che pochi secondi prima di chiudersela alle spalle avevano iniziato a bruciare come fuoco vivo sul legno della porta, forse sarebbe uscito.
Ma non aveva letto quel tacito avviso, quelle parole che con tanto ardore gli consigliavano di accedere ad un’altra porta, una porta differente, e così si ritrovò in un luogo dove la paura e il terrore regnavano e tutto funzionava al contrario, anzi seguiva leggi proprie.

Si girò di scatto, alla ricerca della parta per poter uscire, ma questa era sparita.

Restò girato, dando le spalle a tutto quello che per pochi istanti aveva visto.
Una selva, una selva umana. Uomini incastrati fino alle ginocchia nel terreno, con volti bianchi e occhi spenti. Le bocche aperte in un urlo inespresso, soffocato nella loro gole, e le braccia ondeggiavano e si prostravano verso di lui.

Non era mai stato un uomo buono, non aveva mai aiutato nessuno, se non se stesso, eppure, ora, sarebbe voluto accorrere a liberarli.
Ma qualcosa, forse il buon senso o la codardia lo spinsero a fuggire da lì, a fuggire lontano. E si ritrovò a correre nuovamente, a fuggire, ma stavolta sapeva da cosa.

Corse finché poté, finché il fiato resse, poi si lasciò scivolare a terra, stremato e terrorizzato.
In quell’istante ringraziò suo padre per averlo cresciuto inculcandogli freddezza d’animo, compiacimento per se stesso e il non aver rimpianti per le scelte fatte.
Ma, mentre era assolto in quel muto ringraziamento si ritrovò ad alzare lo sguardo verso il cielo.
Era notte fonda, il cielo era tetro, non era illuminato da stelle o luna. Non c’era qualcosa che potesse dar conforto alla sua anima terrorizzata.

Guardandosi intorno, notò che si trovava al centro di una radura. Poco distante da lui si trovava un cumulo di macerie. Avvicinandosi, però, notò che non erano pietre ma bensì corpi. Corpi squartati, ridotti in pezzi. Corpi di uomini e donne. E, poco distante, ecco un altro cumulo. E così via, fin dove il suo sguardo poteva arrivare.

Iniziò ad avere paura, paura sul serio si poter morire, di poter essere trucidato, paura che quello non fosse solo un banale sogno.

Poi, pian piano, i corpi iniziarono a muoversi, a ricostruirsi. E lui, da spettatore inconsapevole, assistette ad un massacro di uomini e donne. Ognuno impugnava un’arma e con urla disumane iniziarono a trucidarsi a vicenda.
Alcuni indossavano delle divise militari, altri semplici vestiti.
Qualcuno, nella sua testa, gli disse che erano coloro che si erano marchiati di omicidio, soldati che combatterono una guerra non loro, assassini spietati, suicidi senza ragioni, martiri di una guerra mentale.

E la paura lo travolse. Lui non aveva ucciso, eppure quella stessa voce di prima lo convinse che tutte quelle morti erano colpa sua. Si ritrovò a pensare che anche lui doveva morire in quel modo.

Ma prima di lanciarsi in quella lotta, ritrovò un minimo di lucidità che lo spinse verso il fiume poco distante. Vide una barca e senza pensarci due volte ci salì.
Iniziò a muoversi.
C’era un uomo, o forse una bestia, a traghettare la barca. Gli dava le spalle. Eppure, il portamento fiero lo terrorizzò.
Caronte. Così l’aveva chiamato Dante.
Caronte. Così l’avrebbe chiamato anche lui.
Magari l’avrebbe portato in un posto migliore.

E, mentre il viaggio proseguiva sempre più silenzioso, mentre si allontanavano dalla riva, pensò che, forse, finalmente si sarebbe svegliato.

Ma, appena la barca giunse a riva e lui scese, iniziò ad urlare. E, mentre perdeva i sensi e gli occhi si chiudevano dinanzi alla visione del corridoio da cui era partito, una voce gutturale si espanse ovunque e con vigore pronunciò la condanna dell’uomo che si contorceva per terra in preda ad un sordo dolore.

“Per i tuoi peccati IO ti condanno a vagar per l’Inferno. Morendo di terrore, trucidato, bruciato. Soffrendo. Ritornerai qui ogni volta, la tua identità cambierà, i tuoi ricordi dimenticati.
La tua anima è MIA, ormai. Io ti comanderò, ti guiderò nelle decisioni da prendere e verrai punito per ogni peccato commesso.
La tua dannazione sarà eterna, come eterna era la vita che ti spettava.”
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: _lunatica_