Chapter 13: Results
-
Dai, ci siamo quasi. - disse la
Torchic mentre atterrava con una capriola. Si rimise agilmente in piedi
sulle
zampe, mentre Lloyd si puntellò su una zampa, rialzandosi a
fatica.
La voce di Nellie era incerta e
tremolante, ma la soddisfazione in essa contenuta era percepibile. Se
solo le
gambe di Lloyd non avessero ceduto proprio in quel momento ce l'avrebbe
anche
fatta a liberarsi. Un pokemon normale si sarebbe arrabbiato, ma non
Nellie. Sapeva
quando una persona superava i propri limiti, e se essa lo faceva in
buona fede
lei non glielo faceva pesare. E in fondo il Deino la stava aiutando, e
per
questo lo doveva solo ringraziare.
Erano ormai ore che erano al
lavoro, avevano iniziato subito dopo che Nellie aveva consumato la sua
quantità
di cibo. Quel materiale era molto più duro di quando potesse
sembrare. Forse
nemmeno Lloyd, Nellie aveva realizzato dopo un po', se n'era reso conto
quando
l'aveva assaggiato. Ma per quanto fosse resistente finalmente il chiodo
aveva
cominciato a lacerarlo, e ovviamente gli stavano dando una mano, Nellie
facendo
più leva possibile con le ali e Lloyd morsicandolo con gli
affilati denti.
"Dobbiamo fare in
fretta" pensò la Torchic, guardando Lloyd. Nonostante
cercasse di
nasconderlo con sorrisi e battute, si vedeva che il Deino era provato,
molto
più provato di Nellie. Era anche per questo che volevano
cercare di fare in
fretta, almeno così uno di loro sarebbe stato libero per
aiutare gli altri.
Guardando di nuovo Lloyd si
decise: il Deino non doveva più prenderla in groppa. Erano
caduti troppe volte,
e il suo amico doveva essersi fatto parecchio male. Si intravedevano
già
numerose chiazze violacee sulla sua pelle blu, e la ferita alla zampa
gli aveva
ripreso a sanguinare, lasciando una minuscola traccia di sangue per
terra.
- Lloyd - gli disse - penso che
per ora possa bastare.
Il Deino, che stava cercando di
nascondere il proprio dolore con un sorriso non troppo convinto,
tornò ad
essere serio.
- Perché? Ce l'abbiamo quasi
fatta!
Nellie restò in silenzio per un
attimo.
- Senti, lo so che ormai ci siamo
quasi, ma non mi sembra il caso che tu ti sforzi troppo.
Cioé, guarda come sei
messo, non voglio che peggiori ulteriormente. Mi sentirei in colpa con
me
stessa per averti lasciato danneggiare così.
Il Deino abbassò lo sguardo, demoralizzato.
Vedendolo, Nellie si affrettò a farglisi incontro.
- N-non intendevo dire che fosse
colpa tua. Anzi, è solo merito tuo se siamo a questo punto.
Senza di te non ce
l'avrei mai fatta. Ma questo mica solo adesso, è fin
dall'inizio di questa
faccenda che il tuo supporto mi aiuta tantissimo. Ti prego, non voglio
che tu
soffra anche per causa mia, sono convinta che tu stia già
male. Voglio solo che
per adesso ti prenda una pausa, cercherò di liberarmi da
sola.
Lloyd alzò lo sguardo, quel suo
sguardo indecifrabile... Quella sua mascella pronunciata, squadrata ma
dai
contorni gradevoli alla vista... Quegli occhi, quei suoi occhi azzurro
color
del mare... Erano sofferenti ma esprimevano anche grande sollievo,
sollievo
misto al ringraziamento.
Le sue labbra si inarcarono in un
sorriso.
- Grazie Nellie, grazie per tutto
quello che fai. mi sei molto utile. Davvero.
La Torchic non poté far altro che
ricambiare il sorriso. Nessuno le aveva mai parlato così,
nemmeno Finley, il
quale dopotutto era un suo carissimo amico. Lloyd invece... la stava
ringraziando. Nessuno l'aveva mai ringraziata. Non in quel modo almeno.
Le sue
guancie arrossirono spontaneamente, ma il cambiamento di colore fu a
malapena
visibile dato il colore delle sue piume.
- Ma...
Quella sillaba per un attimo le
venire un brivido.
- ...oramai siamo arrivati a
questo punto, e non ci possiamo permettere di fermarci. Manca poco e
saremo
liberi. Liberi davvero stavolta. Me lo sento, noi DOBBIAMO continuare.
Altimenti accadrà qualcosa di brutto, me lo sento.
Nellie ebbe un altro brivido. Non
era una che cedeva facilmente, soprattutto con chi conosceva, ma non
sapeva il
perché Lloyd stava avendo uno strano effetto su di lei in
quel momento.
- Lo sento Nellie, lo sento...
- L-lo senti?
- Esatto Nellie, lo sento. Sento
che il nostro momento è vicino. Sento che dobbiamo
continuare. Sento che il
momento in cui torneremo a casa non è lontano... casa mia.
Casa tua. Casa
nostra. Assieme alla famiglia. La mia famiglia. La tua famiglia. La mia
famiglia. E staremo di nuovo assieme.
Nellie arrossì ancora. Lloyd era
così... spontaneo, era questo il primo aggettivo ad esserle
venuto in mente.
"Massì" pensò "Del resto ha ragione. O la va, o
la
spacca.".
- Hmm, va bene - accondiscese,
affrettandosi però ad aggiungere - Ma solo un'altra volta.
Se anche a 'sto giro
va male smettiamo.
Il Deino ci pensò un attimo, poi
annuì. Motivati sicuramente più di prima, Nellie
dalla
"chiacchierata" con Lloyd e questo dalle parole di conforto
dell'amica, si apprestarono a fare un ultimo tentativo per far
sì che il chiodo
staccasse definitivamente il legaccio dal corpo della Torchic.
Lloyd si chinò, permettendo a
Nellie di salirgli di nuovo in groppa. Questa volta, sapendolo sfinito
dagli
sforzi precedenti, cercò di fare più piano stando
bene attenta a dove metteva
le zampe. Anche quando il Deino si rimise in piedi Nellie
evitò di serrare gli
artigli per mantenere l'equilibrio.
- Pronta? - chiese lui.
- Sì.
Il chiodo, essendo posto
abbastanza in alto, sarebbe normalmente stato fuori alla portata di
entrambi i
pokemon, anche se Nellie fosse semplicemente salita sulla schiena di
Lloyd. Si
erano ingegnati per un bel po' su come risolvere la situazione, e alla
fine era
stata Nellie a trovare la soluzione. Lloyd si sarebbe dovuto rivolgere
il didietro
al muro, andando poi ad appoggiare le zampe posteriori più
in alto che poteva,
pur mantenendo un'inclinazione tale da permettere ad un pokemon minuto
di
potervi camminare sopra. E quel pokemon minuto era proprio Nellie.
Portandosi
nel punto più alto raggiunto dal fondoschiena di Lloyd
probabilmente sarebbero
riusciti ad arrivare al chiodo.
Va detto però che tale operazione
era veramente scomoda, sia per chi faceva da ponte che per chi ci
saliva. Per
il primo infatti mantenersi stabile sulle sole zampe anteriori
richiedeva una
forza non indifferente, e contando che Lloyd aveva una ferita ad una
zampa era
proprio un miracolo di Arceus che fossero arrivati a quel punto.
Per quanto riguarda Nellie la
Torchic era costretta a mantenere in continuazione un equilibrio
precario sul
didietro dell'amico, e non era per nulla comodo. Per cercare di non
coinvolgere
nella situazione i due punti deboli del Deino aveva cercato di
appoggiarsi
sulla coda. Sotto le zampe aveva avvertito un robusto legame osseo tra
quel troncone
che sembrava mozzato e il resto del corpo, per cui aveva preferito quel
punto.
Avevano provato quest'operazione
un numero infinito di volte, la maggior parte delle quali avevano
portato ad un
nulla di fatto. Ma era da un po' che tutti i tentativi stavano infine
fruttando
qualche risultato, e fu per questo che in quell'ultima occasione
impiegarono
tutte le forze e tutta la buona volontà residue.
Lloyd si posizionò con le zampe,
mentre Nellie si portò rapidamente alla posizione
prefissata. Volevano veramente
che questa fosse l'ultimo tentativo, per cui si ripromise che se avesse
fallito
ancora non se lo sarebbe perdonato.
Si girò, e provò a spingere le
ali fino al chiodo. Ci mise un po', ma alla fine sentì la
cintura che la
bloccava impattare contro il duro metallo del pezzo di ferro.
Cercò di infilare
la punta dentro lo squarcio che era pian piano riuscita ad aprire nelle
precedenti prove, e cominciò a strofinare malamente le due
superfici l'una
contro l'altra. Nonostante fosse un lavoro tedioso la Torchic aveva
avuto la
dimostrazione che esso avrebbe dato i suoi frutti.
Rimasero in quel modo un bel po',
Nellie che si muoveva ritmicamente avanti e indietro, mentre Lloyd
tremava
leggermente per lo sforzo. Fu proprio quando la Torchic
sentì la cintura cominciare
a cigolare che avvertì un pericoloso sbandamento nel Deino.
Egli doveva aver
raggiunto il limite, dato che si sentiva che si stava mantenendo in
piedi a
fatica.
"Dai, ancora uno
sforzo..."
Il tessuto cominciò a rompersi,
ma fu proprio in quel momento che accadde. Una delle zampe anteriori di
Lloyd
cedette alla fatica, e il Deino ricadde malamente e definitivamente a
terra,
schiacciato dal suo peso.
Nellie restò per un attimo
raggelata dove si trovava, poi il suo istinto ebbe la meglio. Senza
nemmeno rendersene
conto spiccò un gran salto non sapendo bene
perché, ma quel che ne risultò fu
senza dubbio una cosa positiva. Ricadendo infatti il chiodo di
conficcò
esattamente nello squarcio della cintura. Nellie inizialmente non
capì cos'era
successo, ma vedendosi sospesa in aria mosse freneticamente le zampe
per
tornare giù.
Improvvisamente slittò verso il
basso, ci fu un rumore sordo e Nellie precipitò.
Batté dolorosamente in
fondoschiena, mentre qualcosa cadeva dietro di lei. Cercò di
rimettersi in
piedi, portandosi un ala alla parte ferita.
"Ahia, che male" pensò,
massaggiandosi con un ala libera.
"Ala libera.".
Ce l'avevano fatta.
***
"Ah,
che fresco..."
Neville si tolse i calzini e le
scarpe per poi ripiegarsi i pantaloni fino all'altezza del polpaccio.
Dopodiché
immerse entrambe le gambe nelle acque del lago. Stava facendo sera, ma
una
volta che Neville aveva avuto questa bizzarra voglia niente aveva
più potuto
fermarlo. Non aveva mai provato a sentire le acque del lago sulla sua
pelle,
per cui voleva provare. E gli stava piacendo tanto, nonostante fossero
gelate a
causa della stagione prossima a mutare nell'inverno.
Cominciò a muovere gli arti
inferiori ritmicamente avanti e indietro, godendosi l'acqua fredda che
gli
accarezzava la pelle. Era una sensazione strana ma piacevole, lo
divertiva il
solletico provocatogli dai peli smossi dalla corrente. E nel frattempo
pensava.
Un fiume pensieri gli aveva
invaso la testa. Succedeva sempre così ultimamente, ma mai
come in quel
momento. Non sapeva come mai stesse succedendo, forse era la
consapevolezza che
il filo della sua vita si stava rapidamente riducendo. Aveva talmente
tante
cose su cui riflettere che alla fine non approfondì nessuna,
lasciando la sua
mente libera di vagare in lungo e in largo, di sguazzare in quel mare
colorato
di parole informi mentre il suo corpo era immerso in un altro mare,
anche se
più piccolo.
Fu così che si trovò di nuovo a
pensare ai mostri in casa sua. "Ma che cosa mi passava per la testa?"
si chiese "Perché mai mi sono dovuto invischiare in questo
casino?".
Era da un po' che la sua fede nel piano vacillava, complici anche i
danni
causati alla sua amata casa dai mostri che aveva rapito. Nonostante
amasse quel
libro stava cominciando a pensare di essere andato troppo oltre
nell'adorarlo.
Pensiero che fu messo subito a
tacere dal fatto che la sua morte era vicina, troppo vicina. "Oramai
sono
andato troppo oltre, non posso fermarmi adesso. Non avrebbe senso,
perché mai
mi dovrei rimangiare i miei propositi?". Ripensò anche alla
sofferenza che
stava intenzionalmente arrecando a quei poveri pokemon. "Non pokemon,
mostri.".
Sì, mostri, perché quello erano.
Quei mostri avevano sterminato la razza umana, la sua razza. Ma quello
che
alimentava di più il suo odio era il fatto che avessero
ucciso anche la sua
famiglia, almeno quel che ne restava. Ciò era successo tanti
anni prima, ma
sembrava un fatto recente se confrontato con la piatta esistenza di
Neville.
"Fanno bene a soffrire"
concluse alla fine. Qualcuno doveva pagare per tutto il dolore che
l'uomo aveva
dovuto sopportare per anni. Non gli era bastato ammazzare i fautori del
delitto
dei suoi familiari, voleva di più. Voleva portare altra
sofferenza, voleva
vedere altri mostri versare sangue e lacrime, implorandolo di smettere.
Ma ovviamente lui non l'avrebbe
fatto. Avrebbe continuato a tormentare i suoi prigionieri per il tempo
che gli
rimaneva, ma era comunque troppo poco. Ma se il suo piano fosse andato
a buon
fine allora il suo terrore sarebbe durato anche oltre la sua morte.
sino alla fine
dei tempi. Non sarebbe esistito un solo pokemon in grado di convivere
col
terrore che un umano calasse nella notte per prenderlo con
sé, e allora la sua
fama (o infamia in questo caso) avrebbe guadagnato gloria imperitura.
"Devono soffrire, già. Però,
comincia a fare freddino.".
Si rialzò in piedi con un po' di
fatica, sedendosi su una roccia per asciugarsi un attimo i piedi
bagnati. Tolse
un po' di terriccio che vi si era attaccato e li asciugò con
uno straccio che
si era portato dietro. Si rivestì completamente e
infilò le mani nella tasca
del giubbotto.
Inspirò a pieni polmoni per poi
buttare fuori l'aria residua, la quale si condensò in una
nuvoletta. Essendo
rivolto verso il sole il vapore da lui prodotto fece tremolare la luce
arancione del tramonto.
"E' giusto che soffrano.
Mostri.".
Si voltò, diretto verso casa.
"Ora vi farò vedere
io".
Un largo sorriso attraversò la
faccia di Neville. Un sorriso sadico. Cominciò a camminare.
***
Tutti
sul tetto stavano facendo
tutto fuorché fare la guardia. Roland si mangiucchiava
nervosamente le punte
degli artigli, Devlin giocherellava con una pallina di neve e Orrin
rompeva un
piccolo strato di ghiaccio riducendo ogni singolo pezzetto in briciole.
Avery
dal canto suo se ne stava bene in disparte, rannicchiato in un angolo
con le
scapole schiacciate contro il muretto. Aveva rimesso le gambe al corpo,
e si
teneva le ginocchia con le braccia.
Le parole di Sanford l'avevano
sconvolto. Per tutta una vita gli avevano detto che gli umani erano
morti, che
il loro giogo sui pokemon era finito, e invece adesso saltava fuori che
ce
n'era vivo ancora qualcuno. Con questo tutte le sue certezze erano
crollate, e
ora non era più sicuro di nulla. Continuava a pensare la
stessa cosa: "Se
qui fossi rimasto io invece di Lloyd o Finley adesso sarei stato
preso".
Lui dopo Augustine era il secondo designato per rimanere in quella casa
mentre
gli altri erano impegnati con la missione, ed era stata forse la
provvidenza di
Arceus a far sì che sopravvivesse ad entrambe.
Ripensandoci fece per ringraziare
il dio, ma alla fine interruppe quel pensiero di gratitudine. "Dovrei
ringraziare Arceus?" pensò sprezzante "Arceus forse nemmeno
esiste,
se è vero quel che ha detto Sanford.".
Ci hanno creato gli umani. Era
questa la frase che aveva turbato di
più Avery. Sanford, nel mezzo di tutta quella sua
confessione, si era lasciato
sfuggire anche questo. Nessuno sembrava averci fatto caso, ma Avery
invece sì.
Se ciò era vero allora i miti e le leggende su Arceus erano
solo menzogne. Non
esisteva nessun dio dei pokemon, come non esisteva un paradiso.
Probabilmente
non esisteva nulla di ultraterreno.
Gli umani per cosa li avevano
creati? Per comodità? Gli occorrevano nuovi servi dotati di
poteri speciali che
altrimenti non avrebbero trovato da nessuna parte? O l'avevano
semplicemente
fatto per divertimento, magari per testare tutto il loro potere e tutta
la loro
conoscenza? A queste domande non avrebbe mai avuto risposta. A meno che
non
l'avesse chiesto ad un umano stesso, ma avrebbe preferito evitare di
trovarsi
faccia a faccia con quelle creature spaventose.
Alla fine della fiera la faccenda
era riassunta da una sola domanda: qual'era il senso dell'esistenza dei
pokemon? Se era vero che erano stati creati dagli umani allora
inizialmente non
erano stati destinati ad assumere il dominio del mondo, e allora per
cosa erano
stati portati in vita? Perché quella razza dimenticata aveva
deciso di dare
vita ad un popolo multiforme come i pokemon, ben sapendo che grazie ai
loro
poteri essi avrebbero potuto soverchiarli facilmente? Anche questi
quesiti
sarebbero rimasti un mistero.
Quella che il Machop stava
vivendo era una vera e propria crisi di identità. I pensieri
più ricorrenti
erano i classici che senso ha la mia
vita? e cosa ci sarà
dopo?, i
classici filosofeggiamenti che alla fine non approdavano a nulla di
concreto.
Ma questi pensieri erano ben
diversi da quelli classici che almeno una volta nella vita tutti ci
avranno
riflettuto. Queste idee erano spinte dalla disperazione, dalla
consapevolezza
che forse la propria vita non avrebbe mai avuto alcuna
utilità alla fine.
Avery oramai aveva cominciato a
dubitare di tutto, cominciando la discesa in una pericolosa spirale.
Dubitava
delle sue azioni, e di tutto quello che aveva fatto nei suoi sette anni
di vita
vissuta. Dubitava di quello che stava facendo adesso, ovvero niente.
Dubitava
di quello che non stava facendo, ovvero fare la guarda dal tetto.
Dubitava
delle esperienze che aveva vissuto, come l'attacco nel bosco. Dubitava
di
quello che non aveva vissuto, come il rapimento dei suoi parenti.
Dubitava dei
suoi amici. Dubitava di Olston. Dubitava di Sanford. Dubitava della sua
famiglia.
Una lacrima cominciò a scendere
dall'occhio destro di Avery, ma il Machop se la asciugò
rapidamente con il
dorso della mano. Fu un gesto automatico, fatto quasi senza pensare.
Solo dopo
il pokemon si rese conto di quello che aveva fatto. "Perché
mi sono
asciugato la lacrima? Se la vita non ha senso tanto vale piangere.
Anche
restando seri non cambierà nulla".
Eppure non versò una lacrima.
Gli altri rimasero in attesa per
alcuni minuti, trepidanti. Avevano i nervi a fior di pelle, e la
tensione era
talmente spessa che si poteva tagliare con un Tritartigli. Era
comprensibile
date tutte le emozioni vissute negli ultimi giorni, e un altro fatto
traumatico
avrebbe probabilmente dato il colpo di grazia a tutti loro.
Quando, finalmente, la testa di
Roland sporse di nuovo dalla botola, tutti gli si fecero attorno con
gran
nervosismo.
- Che sta succedendo? - gli
chiese Orrin, ansioso come suo solito.
- Scendete giù tutti, presto!
- Perché, che succede?
- Sono tornati! Tohr, John e
tutti gli altri, dicono di aver trovato una pista. Adesso venite,
presto!
Avery e gli altri presero posto,
aspettando che il Gabite parlasse. Come al suo solito Olston aveva
un'espressione impeccabile, non lasciando trasparire alcuna emozione.
Invece i
pokemon dietro di lui erano visibilmente nervosi, Avery lo
intuì dai vari tic
che imperversavano.
Per assicurarsi una maggiore
attenzione di quanta già non ne avesse Olston si
schiarì la voce, poi cominciò
il suo discorso.
- Come potete vedere i nostri compagni
sono tornati, e non a zampe vuote. Dicono di aver trovato una traccia,
ma chi è
più adatto a spiegare la situazione sono loro stessi.
Avanti, qualcuno parli.
Tra tutti nessuno si fece avanti.
Olston inarcò leggermente un sopracciglio a far intendere
che la sua pazienta
si sarebbe esaurita in fretta, e qualcuno spinse in avanti il povero
Mike.
Mike, un timido Heliolisk, sicuramente non era la persona
più adatta per
intavolare un discorso, ma Olston a questo non sembrava importare
più di tanto,
voleva solo che qualcuno spiegasse i fatti.
- Ecco... - cominciò Mike col suo
solito fare tentennante - Alla fin fine non è stato
difficile... - disse,
spostando lo sguardo in basso e prendendo a giocherellare con le dita
delle
zampe - Non ci abbiamo messo molto a trovare la traccia, una volta
usciti di
qui... Era chiara, e sembrava anche abbastanza fresca, era
lì da non più di tre
giorni...
Un'occhiataccia di Olston folgorò
Mike, mentre questi gli ordinava non verbalmente di stringere.
L'Heliolisk
sussultò, e distolse lo sguardo ancor di più.
- Insomma, alla fine... siamo
arrivati al lago Benan Rahm... e... e...
- E cosa? Vai avanti! - urlò
qualcuno dalla folla.
- L-l'abbiamo visto...
- Avete visto chi? - chiese
qualcun'altro.
- Abbiamo visto... abbiamo visto
l'umano.
Note dell'autore
Uff, che fatica, questo capitolo mi ha dato del filo da torcere, ma
alla fine sono soddisfatto del risultato. Per finirlo e restare in pari
con la mia tabella di marcia ho sfruttato il fatto che oggi le scuole
sono chiuse per neve, così ho fatto il week-end lungo e ho
finito il capitolo. Certe soprese inaspettate sono proprio gradite.
Come state? Io alla grande. Come potete vedere la storia sta volgendo
al termine, e vi posso assicurare che i capitoli alla fine sono pochi,
altri due o tre. Non ci sarà epilogo, quindi state bene
attenti. Naturalemte alla fine farò i dovuto ringraziamenti
come per COL.
A presto,
A_e
Ah, cara Eleonora, non mi sono dimenticato di te, passerò dalla tua storia. Prima o poi. E lunga vita a Mattarella, il nuovo presidente supremo.