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Autore: Ashura_exarch    31/01/2015    2 recensioni
Darwin aveva ragione, solo il più forte sopravvive. E, diciamoci la verità, i pokemon sono molto più forti degli umani, è naturale che alla fine li abbiano soverchiati. Non li hanno assoggettati o cose del genere, ma li hanno proprio portati all'estinzione. O quasi. L'ultimo esponente di questa antica razza sa di avere i giorni contati, ma non ha intenzione di finire dimenticato come milioni di altri individui prima di lui.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Chapter 13: Results

- Dai, ci siamo quasi. - disse la Torchic mentre atterrava con una capriola. Si rimise agilmente in piedi sulle zampe, mentre Lloyd si puntellò su una zampa, rialzandosi a fatica.
La voce di Nellie era incerta e tremolante, ma la soddisfazione in essa contenuta era percepibile. Se solo le gambe di Lloyd non avessero ceduto proprio in quel momento ce l'avrebbe anche fatta a liberarsi. Un pokemon normale si sarebbe arrabbiato, ma non Nellie. Sapeva quando una persona superava i propri limiti, e se essa lo faceva in buona fede lei non glielo faceva pesare. E in fondo il Deino la stava aiutando, e per questo lo doveva solo ringraziare.
Erano ormai ore che erano al lavoro, avevano iniziato subito dopo che Nellie aveva consumato la sua quantità di cibo. Quel materiale era molto più duro di quando potesse sembrare. Forse nemmeno Lloyd, Nellie aveva realizzato dopo un po', se n'era reso conto quando l'aveva assaggiato. Ma per quanto fosse resistente finalmente il chiodo aveva cominciato a lacerarlo, e ovviamente gli stavano dando una mano, Nellie facendo più leva possibile con le ali e Lloyd morsicandolo con gli affilati denti.
"Dobbiamo fare in fretta" pensò la Torchic, guardando Lloyd. Nonostante cercasse di nasconderlo con sorrisi e battute, si vedeva che il Deino era provato, molto più provato di Nellie. Era anche per questo che volevano cercare di fare in fretta, almeno così uno di loro sarebbe stato libero per aiutare gli altri.
Guardando di nuovo Lloyd si decise: il Deino non doveva più prenderla in groppa. Erano caduti troppe volte, e il suo amico doveva essersi fatto parecchio male. Si intravedevano già numerose chiazze violacee sulla sua pelle blu, e la ferita alla zampa gli aveva ripreso a sanguinare, lasciando una minuscola traccia di sangue per terra.
- Lloyd - gli disse - penso che per ora possa bastare.
Il Deino, che stava cercando di nascondere il proprio dolore con un sorriso non troppo convinto, tornò ad essere serio.
- Perché? Ce l'abbiamo quasi fatta!
Nellie restò in silenzio per un attimo.
- Senti, lo so che ormai ci siamo quasi, ma non mi sembra il caso che tu ti sforzi troppo. Cioé, guarda come sei messo, non voglio che peggiori ulteriormente. Mi sentirei in colpa con me stessa per averti lasciato danneggiare così.
Il Deino abbassò lo sguardo, demoralizzato. Vedendolo, Nellie si affrettò a farglisi incontro.
- N-non intendevo dire che fosse colpa tua. Anzi, è solo merito tuo se siamo a questo punto. Senza di te non ce l'avrei mai fatta. Ma questo mica solo adesso, è fin dall'inizio di questa faccenda che il tuo supporto mi aiuta tantissimo. Ti prego, non voglio che tu soffra anche per causa mia, sono convinta che tu stia già male. Voglio solo che per adesso ti prenda una pausa, cercherò di liberarmi da sola.
Lloyd alzò lo sguardo, quel suo sguardo indecifrabile... Quella sua mascella pronunciata, squadrata ma dai contorni gradevoli alla vista... Quegli occhi, quei suoi occhi azzurro color del mare... Erano sofferenti ma esprimevano anche grande sollievo, sollievo misto al ringraziamento.
Le sue labbra si inarcarono in un sorriso.
- Grazie Nellie, grazie per tutto quello che fai. mi sei molto utile. Davvero.
La Torchic non poté far altro che ricambiare il sorriso. Nessuno le aveva mai parlato così, nemmeno Finley, il quale dopotutto era un suo carissimo amico. Lloyd invece... la stava ringraziando. Nessuno l'aveva mai ringraziata. Non in quel modo almeno. Le sue guancie arrossirono spontaneamente, ma il cambiamento di colore fu a malapena visibile dato il colore delle sue piume.
- Ma...
Quella sillaba per un attimo le venire un brivido.
- ...oramai siamo arrivati a questo punto, e non ci possiamo permettere di fermarci. Manca poco e saremo liberi. Liberi davvero stavolta. Me lo sento, noi DOBBIAMO continuare. Altimenti accadrà qualcosa di brutto, me lo sento.
Nellie ebbe un altro brivido. Non era una che cedeva facilmente, soprattutto con chi conosceva, ma non sapeva il perché Lloyd stava avendo uno strano effetto su di lei in quel momento.
- Lo sento Nellie, lo sento...
- L-lo senti?
- Esatto Nellie, lo sento. Sento che il nostro momento è vicino. Sento che dobbiamo continuare. Sento che il momento in cui torneremo a casa non è lontano... casa mia. Casa tua. Casa nostra. Assieme alla famiglia. La mia famiglia. La tua famiglia. La mia famiglia. E staremo di nuovo assieme.
Nellie arrossì ancora. Lloyd era così... spontaneo, era questo il primo aggettivo ad esserle venuto in mente. "Massì" pensò "Del resto ha ragione. O la va, o la spacca.".
- Hmm, va bene - accondiscese, affrettandosi però ad aggiungere - Ma solo un'altra volta. Se anche a 'sto giro va male smettiamo.
Il Deino ci pensò un attimo, poi annuì. Motivati sicuramente più di prima, Nellie dalla "chiacchierata" con Lloyd e questo dalle parole di conforto dell'amica, si apprestarono a fare un ultimo tentativo per far sì che il chiodo staccasse definitivamente il legaccio dal corpo della Torchic.
Lloyd si chinò, permettendo a Nellie di salirgli di nuovo in groppa. Questa volta, sapendolo sfinito dagli sforzi precedenti, cercò di fare più piano stando bene attenta a dove metteva le zampe. Anche quando il Deino si rimise in piedi Nellie evitò di serrare gli artigli per mantenere l'equilibrio.
- Pronta? - chiese lui.
- Sì.
Il chiodo, essendo posto abbastanza in alto, sarebbe normalmente stato fuori alla portata di entrambi i pokemon, anche se Nellie fosse semplicemente salita sulla schiena di Lloyd. Si erano ingegnati per un bel po' su come risolvere la situazione, e alla fine era stata Nellie a trovare la soluzione. Lloyd si sarebbe dovuto rivolgere il didietro al muro, andando poi ad appoggiare le zampe posteriori più in alto che poteva, pur mantenendo un'inclinazione tale da permettere ad un pokemon minuto di potervi camminare sopra. E quel pokemon minuto era proprio Nellie. Portandosi nel punto più alto raggiunto dal fondoschiena di Lloyd probabilmente sarebbero riusciti ad arrivare al chiodo.
Va detto però che tale operazione era veramente scomoda, sia per chi faceva da ponte che per chi ci saliva. Per il primo infatti mantenersi stabile sulle sole zampe anteriori richiedeva una forza non indifferente, e contando che Lloyd aveva una ferita ad una zampa era proprio un miracolo di Arceus che fossero arrivati a quel punto.
Per quanto riguarda Nellie la Torchic era costretta a mantenere in continuazione un equilibrio precario sul didietro dell'amico, e non era per nulla comodo. Per cercare di non coinvolgere nella situazione i due punti deboli del Deino aveva cercato di appoggiarsi sulla coda. Sotto le zampe aveva avvertito un robusto legame osseo tra quel troncone che sembrava mozzato e il resto del corpo, per cui aveva preferito quel punto.
Avevano provato quest'operazione un numero infinito di volte, la maggior parte delle quali avevano portato ad un nulla di fatto. Ma era da un po' che tutti i tentativi stavano infine fruttando qualche risultato, e fu per questo che in quell'ultima occasione impiegarono tutte le forze e tutta la buona volontà residue.
Lloyd si posizionò con le zampe, mentre Nellie si portò rapidamente alla posizione prefissata. Volevano veramente che questa fosse l'ultimo tentativo, per cui si ripromise che se avesse fallito ancora non se lo sarebbe perdonato.
Si girò, e provò a spingere le ali fino al chiodo. Ci mise un po', ma alla fine sentì la cintura che la bloccava impattare contro il duro metallo del pezzo di ferro. Cercò di infilare la punta dentro lo squarcio che era pian piano riuscita ad aprire nelle precedenti prove, e cominciò a strofinare malamente le due superfici l'una contro l'altra. Nonostante fosse un lavoro tedioso la Torchic aveva avuto la dimostrazione che esso avrebbe dato i suoi frutti.
Rimasero in quel modo un bel po', Nellie che si muoveva ritmicamente avanti e indietro, mentre Lloyd tremava leggermente per lo sforzo. Fu proprio quando la Torchic sentì la cintura cominciare a cigolare che avvertì un pericoloso sbandamento nel Deino. Egli doveva aver raggiunto il limite, dato che si sentiva che si stava mantenendo in piedi a fatica.
"Dai, ancora uno sforzo..."
Il tessuto cominciò a rompersi, ma fu proprio in quel momento che accadde. Una delle zampe anteriori di Lloyd cedette alla fatica, e il Deino ricadde malamente e definitivamente a terra, schiacciato dal suo peso.
Nellie restò per un attimo raggelata dove si trovava, poi il suo istinto ebbe la meglio. Senza nemmeno rendersene conto spiccò un gran salto non sapendo bene perché, ma quel che ne risultò fu senza dubbio una cosa positiva. Ricadendo infatti il chiodo di conficcò esattamente nello squarcio della cintura. Nellie inizialmente non capì cos'era successo, ma vedendosi sospesa in aria mosse freneticamente le zampe per tornare giù.
Improvvisamente slittò verso il basso, ci fu un rumore sordo e Nellie precipitò. Batté dolorosamente in fondoschiena, mentre qualcosa cadeva dietro di lei. Cercò di rimettersi in piedi, portandosi un ala alla parte ferita.
"Ahia, che male" pensò, massaggiandosi con un ala libera.
"Ala libera.".
Ce l'avevano fatta.

 

***

 

"Ah, che fresco..."
Neville si tolse i calzini e le scarpe per poi ripiegarsi i pantaloni fino all'altezza del polpaccio. Dopodiché immerse entrambe le gambe nelle acque del lago. Stava facendo sera, ma una volta che Neville aveva avuto questa bizzarra voglia niente aveva più potuto fermarlo. Non aveva mai provato a sentire le acque del lago sulla sua pelle, per cui voleva provare. E gli stava piacendo tanto, nonostante fossero gelate a causa della stagione prossima a mutare nell'inverno.
Cominciò a muovere gli arti inferiori ritmicamente avanti e indietro, godendosi l'acqua fredda che gli accarezzava la pelle. Era una sensazione strana ma piacevole, lo divertiva il solletico provocatogli dai peli smossi dalla corrente. E nel frattempo pensava.
Un fiume pensieri gli aveva invaso la testa. Succedeva sempre così ultimamente, ma mai come in quel momento. Non sapeva come mai stesse succedendo, forse era la consapevolezza che il filo della sua vita si stava rapidamente riducendo. Aveva talmente tante cose su cui riflettere che alla fine non approfondì nessuna, lasciando la sua mente libera di vagare in lungo e in largo, di sguazzare in quel mare colorato di parole informi mentre il suo corpo era immerso in un altro mare, anche se più piccolo.
Fu così che si trovò di nuovo a pensare ai mostri in casa sua. "Ma che cosa mi passava per la testa?" si chiese "Perché mai mi sono dovuto invischiare in questo casino?". Era da un po' che la sua fede nel piano vacillava, complici anche i danni causati alla sua amata casa dai mostri che aveva rapito. Nonostante amasse quel libro stava cominciando a pensare di essere andato troppo oltre nell'adorarlo.
Pensiero che fu messo subito a tacere dal fatto che la sua morte era vicina, troppo vicina. "Oramai sono andato troppo oltre, non posso fermarmi adesso. Non avrebbe senso, perché mai mi dovrei rimangiare i miei propositi?". Ripensò anche alla sofferenza che stava intenzionalmente arrecando a quei poveri pokemon. "Non pokemon, mostri.".
Sì, mostri, perché quello erano. Quei mostri avevano sterminato la razza umana, la sua razza. Ma quello che alimentava di più il suo odio era il fatto che avessero ucciso anche la sua famiglia, almeno quel che ne restava. Ciò era successo tanti anni prima, ma sembrava un fatto recente se confrontato con la piatta esistenza di Neville.
"Fanno bene a soffrire" concluse alla fine. Qualcuno doveva pagare per tutto il dolore che l'uomo aveva dovuto sopportare per anni. Non gli era bastato ammazzare i fautori del delitto dei suoi familiari, voleva di più. Voleva portare altra sofferenza, voleva vedere altri mostri versare sangue e lacrime, implorandolo di smettere.
Ma ovviamente lui non l'avrebbe fatto. Avrebbe continuato a tormentare i suoi prigionieri per il tempo che gli rimaneva, ma era comunque troppo poco. Ma se il suo piano fosse andato a buon fine allora il suo terrore sarebbe durato anche oltre la sua morte. sino alla fine dei tempi. Non sarebbe esistito un solo pokemon in grado di convivere col terrore che un umano calasse nella notte per prenderlo con sé, e allora la sua fama (o infamia in questo caso) avrebbe guadagnato gloria imperitura.
"Devono soffrire, già. Però, comincia a fare freddino.".
Si rialzò in piedi con un po' di fatica, sedendosi su una roccia per asciugarsi un attimo i piedi bagnati. Tolse un po' di terriccio che vi si era attaccato e li asciugò con uno straccio che si era portato dietro. Si rivestì completamente e infilò le mani nella tasca del giubbotto.
Inspirò a pieni polmoni per poi buttare fuori l'aria residua, la quale si condensò in una nuvoletta. Essendo rivolto verso il sole il vapore da lui prodotto fece tremolare la luce arancione del tramonto.
"E' giusto che soffrano. Mostri.".
Si voltò, diretto verso casa.
"Ora vi farò vedere io".
Un largo sorriso attraversò la faccia di Neville. Un sorriso sadico. Cominciò a camminare.

 

***

 

Tutti sul tetto stavano facendo tutto fuorché fare la guardia. Roland si mangiucchiava nervosamente le punte degli artigli, Devlin giocherellava con una pallina di neve e Orrin rompeva un piccolo strato di ghiaccio riducendo ogni singolo pezzetto in briciole. Avery dal canto suo se ne stava bene in disparte, rannicchiato in un angolo con le scapole schiacciate contro il muretto. Aveva rimesso le gambe al corpo, e si teneva le ginocchia con le braccia.
Le parole di Sanford l'avevano sconvolto. Per tutta una vita gli avevano detto che gli umani erano morti, che il loro giogo sui pokemon era finito, e invece adesso saltava fuori che ce n'era vivo ancora qualcuno. Con questo tutte le sue certezze erano crollate, e ora non era più sicuro di nulla. Continuava a pensare la stessa cosa: "Se qui fossi rimasto io invece di Lloyd o Finley adesso sarei stato preso". Lui dopo Augustine era il secondo designato per rimanere in quella casa mentre gli altri erano impegnati con la missione, ed era stata forse la provvidenza di Arceus a far sì che sopravvivesse ad entrambe.
Ripensandoci fece per ringraziare il dio, ma alla fine interruppe quel pensiero di gratitudine. "Dovrei ringraziare Arceus?" pensò sprezzante "Arceus forse nemmeno esiste, se è vero quel che ha detto Sanford.".
Ci hanno creato gli umani. Era questa la frase che aveva turbato di più Avery. Sanford, nel mezzo di tutta quella sua confessione, si era lasciato sfuggire anche questo. Nessuno sembrava averci fatto caso, ma Avery invece sì. Se ciò era vero allora i miti e le leggende su Arceus erano solo menzogne. Non esisteva nessun dio dei pokemon, come non esisteva un paradiso. Probabilmente non esisteva nulla di ultraterreno.
Gli umani per cosa li avevano creati? Per comodità? Gli occorrevano nuovi servi dotati di poteri speciali che altrimenti non avrebbero trovato da nessuna parte? O l'avevano semplicemente fatto per divertimento, magari per testare tutto il loro potere e tutta la loro conoscenza? A queste domande non avrebbe mai avuto risposta. A meno che non l'avesse chiesto ad un umano stesso, ma avrebbe preferito evitare di trovarsi faccia a faccia con quelle creature spaventose.
Alla fine della fiera la faccenda era riassunta da una sola domanda: qual'era il senso dell'esistenza dei pokemon? Se era vero che erano stati creati dagli umani allora inizialmente non erano stati destinati ad assumere il dominio del mondo, e allora per cosa erano stati portati in vita? Perché quella razza dimenticata aveva deciso di dare vita ad un popolo multiforme come i pokemon, ben sapendo che grazie ai loro poteri essi avrebbero potuto soverchiarli facilmente? Anche questi quesiti sarebbero rimasti un mistero.
Quella che il Machop stava vivendo era una vera e propria crisi di identità. I pensieri più ricorrenti erano i classici che senso ha la mia vita? e cosa ci sarà dopo?, i classici filosofeggiamenti che alla fine non approdavano a nulla di concreto.
Ma questi pensieri erano ben diversi da quelli classici che almeno una volta nella vita tutti ci avranno riflettuto. Queste idee erano spinte dalla disperazione, dalla consapevolezza che forse la propria vita non avrebbe mai avuto alcuna utilità alla fine.
Avery oramai aveva cominciato a dubitare di tutto, cominciando la discesa in una pericolosa spirale. Dubitava delle sue azioni, e di tutto quello che aveva fatto nei suoi sette anni di vita vissuta. Dubitava di quello che stava facendo adesso, ovvero niente. Dubitava di quello che non stava facendo, ovvero fare la guarda dal tetto. Dubitava delle esperienze che aveva vissuto, come l'attacco nel bosco. Dubitava di quello che non aveva vissuto, come il rapimento dei suoi parenti. Dubitava dei suoi amici. Dubitava di Olston. Dubitava di Sanford. Dubitava della sua famiglia.
Una lacrima cominciò a scendere dall'occhio destro di Avery, ma il Machop se la asciugò rapidamente con il dorso della mano. Fu un gesto automatico, fatto quasi senza pensare. Solo dopo il pokemon si rese conto di quello che aveva fatto. "Perché mi sono asciugato la lacrima? Se la vita non ha senso tanto vale piangere. Anche restando seri non cambierà nulla".
Eppure non versò una lacrima.

Stettero lì per chissà quanto tempo ognuno a farsi i fatti propri quando sentirono un gran trambusto provenire dai piani inferiori. Solo allora si ricordarono del proprio dovere, e alcuni si sporsero dalla balaustra del tetto, guardando se magari stava arrivando qualcuno. Non vedendo nessuno Roland aprì la botola che portava alla soffitta e scese giù, andando a vedere cosa stava succedendo.
Gli altri rimasero in attesa per alcuni minuti, trepidanti. Avevano i nervi a fior di pelle, e la tensione era talmente spessa che si poteva tagliare con un Tritartigli. Era comprensibile date tutte le emozioni vissute negli ultimi giorni, e un altro fatto traumatico avrebbe probabilmente dato il colpo di grazia a tutti loro.
Quando, finalmente, la testa di Roland sporse di nuovo dalla botola, tutti gli si fecero attorno con gran nervosismo.
- Che sta succedendo? - gli chiese Orrin, ansioso come suo solito.
- Scendete giù tutti, presto!
- Perché, che succede?
- Sono tornati! Tohr, John e tutti gli altri, dicono di aver trovato una pista. Adesso venite, presto!

 Tutti i membri della famiglia, trascurando le mansioni affidategli da Olston, si erano ammassati nel soggiorno. A causa delle dimensioni non proprio ridotte di alcuni di loro a malapena ci si entrava, al punto che le poltrone, le sedie e il tavolo erano stati accostati alla parete. Quando Avery entrò la stanza era percorsa da mormorii eccitati e da un vociare confuso. Tutto però si acquietò quando nella stanza entrò Olston, seguito dai pokemon che aveva precedentemente mandato in ricognizione sul monte e che adesso erano ritornati.
Avery e gli altri presero posto, aspettando che il Gabite parlasse. Come al suo solito Olston aveva un'espressione impeccabile, non lasciando trasparire alcuna emozione. Invece i pokemon dietro di lui erano visibilmente nervosi, Avery lo intuì dai vari tic che imperversavano.
Per assicurarsi una maggiore attenzione di quanta già non ne avesse Olston si schiarì la voce, poi cominciò il suo discorso.
- Come potete vedere i nostri compagni sono tornati, e non a zampe vuote. Dicono di aver trovato una traccia, ma chi è più adatto a spiegare la situazione sono loro stessi. Avanti, qualcuno parli.
Tra tutti nessuno si fece avanti. Olston inarcò leggermente un sopracciglio a far intendere che la sua pazienta si sarebbe esaurita in fretta, e qualcuno spinse in avanti il povero Mike. Mike, un timido Heliolisk, sicuramente non era la persona più adatta per intavolare un discorso, ma Olston a questo non sembrava importare più di tanto, voleva solo che qualcuno spiegasse i fatti.
- Ecco... - cominciò Mike col suo solito fare tentennante - Alla fin fine non è stato difficile... - disse, spostando lo sguardo in basso e prendendo a giocherellare con le dita delle zampe - Non ci abbiamo messo molto a trovare la traccia, una volta usciti di qui... Era chiara, e sembrava anche abbastanza fresca, era lì da non più di tre giorni...
Un'occhiataccia di Olston folgorò Mike, mentre questi gli ordinava non verbalmente di stringere. L'Heliolisk sussultò, e distolse lo sguardo ancor di più.
- Insomma, alla fine... siamo arrivati al lago Benan Rahm... e... e...
- E cosa? Vai avanti! - urlò qualcuno dalla folla.
- L-l'abbiamo visto...
- Avete visto chi? - chiese qualcun'altro.
- Abbiamo visto... abbiamo visto l'umano.



Note dell'autore
Uff, che fatica, questo capitolo mi ha dato del filo da torcere, ma alla fine sono soddisfatto del risultato. Per finirlo e restare in pari con la mia tabella di marcia ho sfruttato il fatto che oggi le scuole sono chiuse per neve, così ho fatto il week-end lungo e ho finito il capitolo. Certe soprese inaspettate sono proprio gradite.
Come state? Io alla grande. Come potete vedere la storia sta volgendo al termine, e vi posso assicurare che i capitoli alla fine sono pochi, altri due o tre. Non ci sarà epilogo, quindi state bene attenti. Naturalemte alla fine farò i dovuto ringraziamenti come per COL.
A presto,
A_e

Ah, cara Eleonora, non mi sono dimenticato di te, passerò dalla tua storia. Prima o poi. E lunga vita a Mattarella, il nuovo presidente supremo.

  
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