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Autore: difficileignorarti    31/01/2015    1 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tom era rimasto nell’angolo di quella stanza, seduto per terra, le ginocchia al petto, la faccia nascosta tra esse: era praticamente mattina e lui non aveva la più pallida idea di che  cosa fosse successo, ma sapeva bene che dietro il rapimento di Emmeline, c’era Liam.

Era troppo bello per essere vero. Era troppo bello che loro due si fossero riappacificati, che fossero insieme a lottare per la loro bambina. Era troppo bello che Liam se ne rimanesse con le mani in mano, nonostante sapesse della polizia fuori dal motel e della visita di Gustav.

Non ce l’avrebbe mai fatta da solo, nemmeno con l’appoggio della polizia: Liam e i suoi uomini erano troppo forti e qualcuno si sarebbe fatto male, molto male e tutti avrebbero sofferto.

Si asciugò le lacrime e tirò su col naso, in modo poco elegante e raffinato, come quando era un bambino, quando qualcuno gli faceva male, o quando qualcuno gli rubava la merenda a scuola, o quando suo padre lo picchiava e sua madre non era in casa a proteggerlo.

Voleva tornare indietro nel tempo, voleva cancellare tante cose, tanti episodi, tante conoscenze: voleva essere una persona diversa, voleva essere nato in un’altra città, avrebbe voluto una vita diversa, in generale.

Solo Emmeline non verrebbe eliminata dalla sua vita: no, lei l’avrebbe fermata per strada, nei corridoi a scuola, si sarebbe innamorato di lei centomila volte.

Scoppiò di nuovo in lacrime, ripensando a come, la notte scorsa, gli uomini di Liam gliel’hanno strappata dalle braccia, portandogliela via.

Lui aveva giurato, aveva promesso, di prendersi cura di lei, di proteggerla da tutto e da tutti, e la notte scorsa non ne era stato in grado, come non era stato in grado di proteggere la sua bambina, evitando, magari, la situazione in cui si trovavano adesso.

Si sentiva un fallito, un rifiuto della società, esattamente come lo definiva Liam: e aveva ragione, dannazione, era proprio così che si sentiva.

Quando qualcuno aprì la porta di quella stanza, non ci fece nemmeno caso, non era dell’umore, e se qualcuno fosse andato a prenderlo, lui non ci avrebbe nemmeno fatto caso: magari l’avrebbero portato da Emmeline, magari avrebbe potuto difenderla, magari avrebbe potuto salvarla, in qualche modo.

«Tom?» la voce di Bill arrivò dritta alle sue orecchie, ma il moro rimase immobile, nascosto, lasciando il biondo ai suoi pensieri.

Bill si guardava intorno, trovando molte cose riversate sul pavimento, del sangue che macchiava le lenzuola e Tom rannicchiato in un angolo, nessuna traccia di Emmeline.

Si ritrovò a deglutire quello che doveva essere un masso, prima di avvicinarsi al moro e sedersi al suo fianco.

«Cosa è successo?» mormorò piano.

Tom alzò la testa, senza però guardarlo in faccia.

«Hanno rapito Emmeline, me l’hanno strappata dalle braccia» sussurrò, prima di scoppiare nuovamente a piangere.

Bill si congelò sul posto: non poteva credere alle sue orecchie.

Non avrebbero mai potuto vincere quella guerra da soli, non ce l’avrebbero fatta, Liam Spencer era troppo forte per loro, e con tutti gli uomini che potevano lavorare per lui, loro non avevano possibilità. Erano solo dei moscerini che potevano essere schiacciati in qualsiasi momento, e già aveva cominciato.

«Forse era meglio se non fossi entrato nella vita di Em, gliel’ho solo rovinata» Bill sentì quelle parole uscire dalla bocca di Tom e per poco non gli venne voglia di mettergli le mani intorno al collo e strozzarlo: quella era un’assurdità bella e grossa. «Magari ora potrebbe essere felice, a casa, o al lavoro, con un altro uomo, qualcuno che la ama e che può darle tutto quello che vuole» continuò e Bill gli mise una mano sul braccio, come a volerlo invitare a stare zitto.

«Tu non sai quello che stai dicendo, Tom» borbottò Bill, scuotendo la testa. «Conosco Emmeline da tanto, tantissimo tempo, e non l’ho mai vista felice come quando è con te» spiegò a bassa voce. «Anche se non vi foste conosciuti a scuola, vi sareste incontrati da un’altra parte e sarebbe, comunque, entrata nella tua vita, stravolgendola e cambiandola» aggiunse piano, guardando un punto davanti a sé. «Magari sareste finiti come amanti, o magari qualcos’altro, ma voi due siete destinati accidenti! Lei ti ama per quello che sei, con tutti i problemi che hai avuto e, nonostante Liam, c’è sempre stata e sempre ci sarà» il moro portò lo sguardo su Bill, colpito dalle sue parole. «Ora troviamole e portiamole a casa» concluse, alzandosi dal pavimento e porgendo una mano a Tom.

La accettò di buon grado.


 
***


Emmeline strattonò con forza, per l’ennesima volta, la corda che le legava le mani: per quella che aveva ai piedi, ci aveva rinunciato da un pezzo, non ci riusciva proprio.

Continuava a piangere da quando l’avevano portata in quel posto: era chiusa in una stanza buia, sporca e fredda. Le avevano tappato la bocca con dello scotch grigio.

Quella corda le  stava solcando i polsi, le stava facendo male, la pelle stava bruciando e aveva paura che da un momento all’altro avrebbero cominciato a sanguinare.

La porta della stanza si aprì con un cigolio, spaventandola: sgranò gli occhi nel buio, cercando di capire chi potesse essere, anche se, se lo immaginava. Si raggomitolò in un angolo della stanza, allontanandosi da quella persona.

«Emmeline» la voce di Liam le arrivò alle orecchie, pugnalandola al cuore: l’aveva davvero fatta rapire, l’aveva davvero fatta strappare dalle braccia del suo uomo. Non bastava il fatto che avesse rapito la sua bambina, non bastava il fatto che gliela stesse tenendo lontano e che stesse facendo soffrire un’intera famiglia. «Emmeline?» mormorò ancora, avvicinandosi a lei, accendendo poi la luce: la mora strizzò gli occhi, non abituata alla luce. Liam aveva un vassoio tra le mani e nel suo sguardo lesse tanto dolore e dispiacere.

Si avvicinò a lei, e cautamente le tolse lo scotch dalla bocca, permettendole di prendere altra aria: ne approfittò per accarezzarle una guancia e asciugarle le lacrime.

Emmeline girò il volto, evitando di guardarlo: come si permetteva? Prima la faceva rapire e poi le donava carezze? Chi si credeva di essere?

«Mi dispiace» sussurrò, accarezzandole i capelli.

«Smettila di toccarmi, ti prego» mormorò la mora, tra i singhiozzi e le lacrime che non smettevano di scendere copiose sulle sue guance.

Liam ritrasse immediatamente la mano: gli faceva male vederla così, e lui stava peggiorando la situazione. Non lo guardava in faccia, se ne stava rannicchiata in quell’angolo, a piangere.

«Perché?» chiese piano, continuando a fissare il muro, anche se non vedeva molto, aveva gli occhi pieni di lacrime, e il muro era sporco.

«Dovevo, Emmeline, e mi dispiace, dico davvero» rispose lui, scrutandole il profilo.

«No, l’unica cosa che devi fare è ridarmi mia figlia e lasciarmi andare» sbottò, voltandosi di scatto verso di lui. «Tu hai sempre detto di amarmi, che mi volevi al tuo fianco, e poi mi fai rapire, solo perché vuoi fare del male a Tom» ringhiò, muovendosi appena, bloccandosi non appena sentì la corda farle ancora del male. «Ma ne stai facendo anche a me e molto» abbassò la voce, poi, fissandolo dritto negli occhi. «Sono stanca di dirtelo, sono anni che te lo dico, non ne posso più» lo vide sgranare appena gli occhi, ascoltandola attentamente. «Io volevo solo un po’ di sana tranquillità, vivere la mia vita, vivere la mia relazione, ma tu…» si bloccò, riprendendo a singhiozzare.

Liam rimase zitto, forse per la prima volta nella sua vita, forse per la prima volta con lei, rimase fermo a guardarla piangere, mentre cercava di liberarsi, senza riuscirci.

«È stata la prima cosa che mi è venuta in mente» mormorò piano, sfiorandole un braccio, provocandole un gemito strozzato. «Ti sei tuffata di nuovo tra le sue braccia, avete contattato la polizia» scosse la testa, contrariato. «Quando sei arrivata a San Francisco, ti avevo chiesto di fare tutto quello che volevo, ma poi ho realizzato che io da te non volevo niente, ce l’avevo con Tom ed è con lui che me la prenderò, ma Emmeline, io non ti farei mai del male» sussurrò piano.

La mora si lasciò andare in una risata amara.

«Ah no?» mormorò, alzando le braccia, mostrandogli i segni rossi che si stavano formando sui suoi polsi, poi s’indicò le lacrime. «Questa crociata che stai portando avanti da anni deve finire, Liam, io non ne posso più!» gridò, lasciandosi andare del tutto. «Tanto vale farla finita, uccidici tutti, così sarai finalmente felice! Se Tom non può avermi, allora nemmeno tu dovresti!» urlò di nuovo, sfogandosi, ne aveva bisogno accidenti. «Hai mai pensato a quello che voglio io? Hai mai pensato che, forse, nella mia vita, sono io a dover decidere? Sono io che faccio le mie scelte, e nessuno, ripeto, nessuno può obbligarmi a fare o a scegliere qualcosa che non voglio!» Liam si alzò e fece qualche passo indietro, spegnendo la luce e chiudendo a chiave la porta. «Ecco, bravo, vattene!» gli urlò dietro, prima di riabbassare lo sguardo e appoggiare la testa al muro.

Non vedeva l’ora che tutto quello fosse finito, in un modo o nell’altro, ormai non le importava nemmeno più.

Sapeva solo che sua figlia doveva vivere, doveva crescere ed essere felice.


 
***


Ellen si sentiva presa in giro, così quella mattina aveva deciso di seguire il suo fidanzato. Georg era strano negli ultimi giorni, stava fuori praticamente tutto il giorno, non le parlava, deviava ogni discorso, senza contare che nemmeno Emmeline le rispondeva più: niente messaggi, niente risposte, niente mail, niente.

Georg camminava a testa bassa, velocemente, con le mani nascoste nelle tasche del giubbotto, mentre lei cercava di stargli dietro, senza farsi notare, senza inciampare o senza scivolare sulla neve e sul ghiaccio, doveva praticamente correre, Georg aveva il passo lungo. Non doveva perderlo di vista, altrimenti stava facendo tutto quello per niente.

Camminavano da un sacco di tempo e praticamente si trovavano nella periferia della città e questo le faceva paura: odiava quel posto, le faceva paura, le veniva ansia ogni volta che ci passava, anche se in macchina o in autobus.

Il ragazzo si voltò, guardandosi intorno e per poco non le venne un infarto: se l’avesse vista, si sarebbe trovata nei guai, e anche peggio.

Dopo essersi rivoltato velocemente, Georg si avvicinò a un gruppo di persone, che Ellen riconobbe come Tom, Bill, il migliore amico di Emmeline, e qualche poliziotto.

Aggrottò le sopracciglia, osservandoli meglio, stavano parlando, e più si guardava in giro, più vedeva poliziotti, ma non c’era traccia della sua migliore amica.

Senza pensarci, si avvicinò a loro, attirando l’attenzione del biondo, che sgranò gli occhi alla sua vista, e non appena Georg si voltò verso di lei, sentì che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di grave.

Tom non la guardava nemmeno: se ne stava con lo sguardo basso, gli occhi coperti da un paio di occhiali da sole, i capelli nascosti da una berretta scura, e le mani nascoste nelle tasche dei jeans.

«Che ci fai qui?» mormorò Georg, prendendola delicatamente per un braccio, attirandola verso di lui. «Ellen, non dovresti essere qui» le disse poi, non molto elegantemente, ma lei non ci fece nemmeno caso, troppo occupata a fissare Tom, a cercare di capirlo, sembrava uno zombie.

«Dov’è Emmeline?» gli chiese, cercando di attirare l’attenzione del moro, senza ottenere risultati. «Tom, dove diavolo è la mia migliore amica?» sbottò, facendogli alzare lo sguardo.

I loro sguardi s’incatenarono e, nonostante, gli occhiali da sole, Ellen lesse tante emozioni diverse: paura, ansia, smarrimento.

Tom non le rispose, riabbassò lo sguardo sui suoi piedi, evitando di guardarla: non potevano coinvolgerla in quel casino.

«Signorina, non dovrebbe essere qui, ne rimanga fuori, per favore» le disse Gustav, intromettendosi, ma gli occhi della ragazza continuavano a essere puntati sul moro. «Lo dico per il suo bene, Ellen, torni a casa e ci rimanga» continuò e quella volta la bionda, lo fissò intensamente.

«E certo, signor poliziotto, lasciando il mio fidanzato e il fidanzato della mia migliore amica qui fuori con voi» sbottò, puntandogli un dito contro. «Voglio la verità e la voglio subito!» ringhiò.

Non ne voleva più sapere di sentire bugie e non voleva avere a che fare con persone che le mentissero, in ogni momento: voleva solo la verità.

Bill scosse la testa, dondolandosi sui piedi, mentre Georg bestemmiò mentalmente, chiedendosi perché la sua futura moglie era così insistente e testarda.

«È stata rapita questa notte» sussurrò Tom, cogliendo di sorpresa la ragazza: aveva la voce roca, probabilmente per il troppo pianto. «Da Liam Spencer» specificò. «Ora torna a casa, Ellen, non lasciarti coinvolgere da questa cosa, Emmeline e Arabella potrebbero aver bisogno di te in futuro» continuò serio.

Ellen sgranò occhi e bocca, incredula: Liam aveva fatto cosa?

«Sarai tu a prenderti cura della tua famiglia, Tom» mormorò lei, avvicinandosi a lui. «Non dire cavolate, ve la siete cavata più di una volta e ci riuscirete anche questa volta» aggiunse piano. «Liam non se la caverà» Tom le sorrise tristemente.

«Liam mi vuole morto, e se per liberare la mia famiglia io devo morire, bè, mi sacrificherò più che volentieri» le disse con una scrollata di spalle. «Va a casa, Ellen» le disse di nuovo.

La bionda era sempre più sconvolta: Tom si sarebbe sacrificato davvero, per amore l’avrebbe fatto. Ma non poteva essere l’unica soluzione e sicuramente non si sarebbe chiusa in casa ad aspettare qualche misera notizia, questo mai. Lei si sarebbe messa in gioco, per aiutare la sua migliore amica e la sua famiglia, non le avrebbe voltato le spalle, e non avrebbe permesso a Liam di rovinare quella famiglia.

Si voltò verso Gustav, sistemandosi al fianco del suo fidanzato e vicino a Bill e poi parlò.

«Non me ne andrò a casa e sono sicura che ci sia una soluzione, nessuno di noi deve rimetterci la pelle, lei non può permetterlo!» sbottò, spaventando i quattro ragazzi. «Per cui, faccia tutto il necessario» aggiunse più tranquillamente.


 
***


Ben si svegliò, sbattendo piano gli occhi: Emmeline aveva pianto anche tutta quella notte, si era lamentata, aveva singhiozzato violentemente, e lui aveva cominciato a pentirsi di aver preso parte a quel piano assurdo e malefico.

Lui non era così, lui era un bravo ragazzo, non rapiva le persone, tantomeno i bambini, non collaborava con i criminali, lui amava l’arte, proprio come Emmeline.

Si era lasciato fare il lavaggio del cervello da Liam, nonostante tutto quello che avesse letto su internet, sui giornali, nonostante quello che Emmeline gli avesse raccontato, e quello che Tom gli aveva accennato: lui si era lasciato intortare come uno stupido, e sarebbe finito in prigione, una volta conclusa tutta quella storia.

Probabilmente sarebbe morto prima, se lo sentiva: Liam non lascia testimoni, di nessun genere.

Due mesi prima era iniziato il suo calvario, se così si può definire: era in ospedale solo per vedere la figlia di una sua amica, o ex amica, e sul suo viso aleggiava un sorriso idiota, questo se lo ricordava bene, poi è comparso Liam, dal nulla, al suo fianco. E la prima cosa che gli venne in mente fu “io questo l’ho già visto”. Si pentì di aver accettato di rapire Arabella, esattamente, un paio di minuti dopo averlo fatto: era un mostro, una persona senza cuore. Ma aveva comunque accettato di farlo, forse per i soldi che gli erano stati offerti, o forse per vendetta nei confronti di Tom.

Ma aveva capito troppo tardi che era qualcosa di più grande, non era semplice vendetta, lui l’avrebbe ucciso seriamente, e probabilmente avrebbe eliminato anche Emmeline, sua figlia e la sua famiglia.

Con quei pensieri assurdi, si alzò dal letto controvoglia, per niente pronto per affrontare un’altra giornata in quell’inferno, infilandosi un paio di pantaloni sgualciti e uscì dalla stanza, recandosi nell’enorme salone, dove Liam stava facendo colazione mentre leggeva un giornale locale: era più che indifferente alla sofferenza di Emmeline.

«La senti?» gli chiese, riferendosi alla mora, mentre si versava un po’ di caffè in una tazza.

Liam chiuse il giornale con una lentezza disarmante e si voltò a guardarlo.

«Sì, non sono sordo» sbottò arrogantemente. «Ma di notte dormo come un angioletto, mi metto i tappi, sai» continuò, con un sorrisetto sciocco. «Può piangere e lamentarsi quanto vuole per quel che mi riguarda, almeno fino a quando non ho deciso cosa fare con lei, sua figlia e quell’idiota del suo uomo» sbottò.

Ben scosse la testa, sorseggiando il suo caffè, appoggiandosi al tavolo.

«Lasciale andare, Liam» mormorò piano, attirando, però, l’attenzione del biondo. «Non risolverai niente, loro soffriranno, ucciderai qualcun altro e, probabilmente, ti daranno la pena di morte» alzò le spalle non curante: quella era solo la verità.

«Con questo, cosa vuoi dire?» gli chiese stringendo i pugni e digrignando i denti, ma Ben se ne infischiò altamente, sarebbe morto ugualmente.

«Che mi sto pentendo di tutto questo, Liam!» sbottò, battendo forte la tazza sul tavolo, lasciandola distruggersi. «Il piano iniziale non era questo! Non era quello di ricattare Emmeline, dovevi prendertela con Tom!» gli puntò un dito contro. «E quella poveretta, assieme a sua figlia, sarà traumatizzata a vita!» sputò con odio, aggrottando le sopracciglia, avvicinandosi a Liam, più basso di lui di qualche spanna, che lo sfidava con lo sguardo.

«Non sei tu, qui, a decidere! Tu sei l’ultima ruota del carro, devi stare zitto e obbedire!» rispose a tono, fregandosene di essere sentito: nessuno doveva mettergli i bastoni tra le ruote, nessuno poteva sfidarlo, nessuno poteva dirgli quello che doveva, o non, fare. «Quella puttana mi ha mandato segnali confusi, poi è tornato quell’idiota ed io sono sparito, mi ha illuso, mi ha fregato, me la devo prendere anche con lei» spiegò, dato che, in precedenza aveva omesso quel dettaglio.

«Forse sei tu, ad averli interpretati nel modo sbagliato» puntualizzò Ben, alzando un sopracciglio, sfidandolo. «Fortuna che dicevi di amarla, che era tutto per te, il centro del tuo mondo, che non l’avresti mai sfiorata, nemmeno con un fiore, lei era preziosa. E ora? Cos’è, ora, Liam? Un ostaggio che deve stare lì alla tua mercé?» ridacchiò, scuotendo la testa, stupito, e stupido, ricordando le parole, alcune, che il biondo gli aveva detto quando si erano conosciuti. «E non credo che Emmeline meriti di essere chiamata in quel modo, non è mai venuta a letto con te, così come ha fatto con me…» non riuscì a finire la frase.

Cadde a terra, con una pallottola piantata al centro della fronte. Un Liam furente era di fronte al suo corpo, dominandolo dall’alto, con una pistola ancora fumante tra le mani.

«Tu parlavi troppo» sputò con odio.


 
***


Gustav aprì un paio di cartine sul tavolo presente nel salotto a casa di Ellen e Georg. La ragazza si era impuntata, non voleva lasciar perdere, e i quattro ragazzi si erano dovuti rassegnare. Tom se ne stava in silenzio, a osservare, probabilmente a rimuginare su tutto quello che era successo, mentre Georg, Bill e Gustav pensavano a voce alta, sovrapponendo migliaia d’idee, di pensieri. Ellen, nel frattempo, era stata convinta a preparare qualcosa da mangiare per tutti.

Non poteva fare altro, momentaneamente.

Mentre aspettava che la pasta cuocesse, si prese qualche istante per osservare Tom, seduto, quasi, composto in un angolo del divano, in silenzio, immobile, con lo sguardo fisso davanti a sé, lo sguardo di chi ha perso tutto, o che ha questa sensazione, lo sguardo di una persona piena di dolore, di sofferenza. Ellen aveva paura che gli potesse venire un infarto da un momento all’altro.

Sembrava isolato, come se stesse su un altro pianeta, non molto lontano da loro, ed era così che Tom si sentiva: o voleva sentirsi. Preferiva stare su Plutone, o magari in un altro Universo, piuttosto che vivere l’incubo che lo stava perseguitando. E non stava dormendo. E non ci aveva nemmeno provato, aveva il terrore di vedere il viso di Emmeline e di sentirla chiedergli aiuto. E lui non sapeva come e cosa fare. Si sentiva perso.

Quando il suo cellulare iniziò a vibrare sul tavolo, lui rimase nella stessa posizione, al contrario di Bill, che lo fissava, come a volergli dire di rispondere. All’esasperazione, fu proprio Bill a rispondere, o meglio, a schiacciare il tastino verde del cellulare, mettendo il vivavoce. Sicuramente era Liam.

«Non mi piace per niente il gioco a cui state giocando» e proprio la sua voce li fece trasalire, uno per uno, e fece risvegliare Tom dal suo profondo stato di coma vegetativo.

«Brutto lurido figlio di puttana!» scattò contro il telefono. «Cosa hai fatto a Emmeline?» domandò con rabbia: i pugni chiusi stretti vicino ai fianchi, le nocche bianche, la mascella contratta, le sopracciglia aggrottate, il fiato corto e grosso. Un déjà-vu.

Si sentiva come quando era un ragazzino, prima di conoscere Emmeline, quando faceva a botte con tutti, quando era sempre incazzato, quando l’unica cosa che lo rendeva felice era proprio pestare la gente, minacciarla.

«La tua dolce fidanzatina sta bene, per ora» ridacchiò maleficamente e la rabbia crebbe ulteriormente: la sentiva scorrere. «Stavo giusto pensando a cosa potrei farle» mormorò lentamente. «Ucciderla o lasciarla viva?» chiese, più a se stesso che a Tom, che fissava il telefono come se Liam fosse davvero lì, come se quel piccolo oggetto avesse le sue sembianze: voleva distruggerlo. «Ma per oggi ho già fatto un cadavere, magari domani» sussurrò.

Tom si sentì morire: il cuore si spezzò in mille pezzettini al pensiero che quel mostro avesse ucciso la sua bambina, il suo tutto, proprio come Emmeline.

«Che cosa hai fatto?» chiese il moro con la voce che tremava violentemente.

«Oh, non preoccuparti, non potrei mai fare del male a una così bella bambina» mormorò e Tom si sentì leggermente sollevato, anche se faticava a credergli. «Sto osservando il cadavere di Ben, anche tu lo trovavi troppo chiacchierone, Tom?» Gustav e Bill lo guardarono, e il moro aggrottò le sopracciglia. «Non m’interessa relativamente la tua risposta» aggiunse poco dopo. «E Bill, la checca, è ancora vivo? E scommetto che mi sta ascoltando» anche Bill incenerì il cellulare con lo sguardo.

«Che cosa vuoi, Liam?» sbottò Tom, cercando di attirare nuovamente la sua attenzione.

«Voglio mettere fine a questa storia, Kaulitz, e lo voglio fare al più presto, l’ho tirata avanti troppo per le lunghe, e ora sono stanco» disse seriamente. «Più tardi ti manderò i dettagli, non ti allontanare troppo nel frattempo» chiuse la chiamata così, senza aggiungere altro.

Gustav portò lo sguardo su Tom, cercando di leggere i suoi occhi o le sue espressioni facciali, e lo vedeva così arrabbiato, così nervoso, sembrava voler uccidere qualcuno da un momento all’altro.

Lo vide prendere il vaso di fiori che era sul tavolo e lanciarlo contro il muro, con violenza: Ellen saltò sul posto, spaventata da quel gesto, così improvviso e violento. Quel vaso di vetro contenente le rose che Georg le aveva regalato, era distrutto in mille pezzettini, sul pavimento.

«Io lo uccido quel figlio di puttana!» sbraitò con odio, prendendosi la testa tra le mani.

Ellen si avvicinò a lui, poggiando una mano sulla sua spalla, attirando la sua attenzione: Tom la guardò, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro, e poi la abbracciò, stringendola a sé, scoppiando in un pianto disperato, aggrappato a lei.




 
*******


Sono tornata! Contente?
So di averci messo un'eternità e mi scuso per questo. Avevo detto che avevo un lavoro, bè l'ho lasciato, non faceva per me, quindi tornerò a scrivere regolarmente, almeno spero.
In ogni caso, vi piace il capitolo? Ve lo aspettavate?
Bè, vado un pò di fretta, ho delle cose da fare, voi intanto godetevi il capitolo, in attesa del prossimo, e se  vi va, potete lasciarmi una piccola recensione, ne sarei felice :))

un bacio e un abbraccio,

difficileignorarti. 



 
 
   
 
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