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Autore: Newtmasinmyveins    31/01/2015    19 recensioni
Il principe non indietreggiò, le bloccò i polsi, lei continuava a divincolarsi, sferrando pugni innocui. Gridava, mentre tutti guardavano, Richard era appena sceso, fissava la scena con sguardo inespressivo.
«La colpa è vostra! Siete un essere insensibile, » le sue grida agonizzanti, il suo pianto irreparabile, la stanchezza di lottare, ma il coraggio di continuare a sferrare pugni, la rendevano più forte di quanto credeva.
Alfred lasciò la presa, la fissò mortificato, spalancò le braccia,
«Colpite, vi aspetto » il viso piangente di Elena lo rendeva così debole, perché quella donna aveva una tale influenza su lui? «lasciate che paghi per questa colpa che ho»
* PRIMI CAPITOLI IN REVISIONE*
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.
Jane Austen
 

Primo Capitolo



Senza il consueto trambusto della città prodotto da giornalisti, mercanti e carri, il silenzio della campagna era davvero singolare, tanto che Richard ebbe l’impressione che i rumori più forti fossero gli zoccoli del suo cavallo Mortimer e il battito accelerato del proprio cuore.

Il suo lungo viaggio, la lunga attesa stavano per concludersi.

A ogni cavalcata, anche se lontano e coperto dalla vegetazione fitta, s’iniziava a intravedere il castello:una facciata alta e squadrata di pietra bianca, punteggiata di balconi e di finestre gotiche ornate da preziosi ricami di pietra. Anche se impossibile da credere, Richard era ritornato.

Il vestibolo esagonale del palazzo era sostenuto da alte colonne e archi gotici. Dei punti dorati incoronavano le cancellate.
Non ci volle nulla per aprire il grande cancello di ferro, il conte rimase a cavallo che nitriva per la stanchezza. Ci volle un po’ prima che il custode insonnolito si accorgesse della presenza del suo padrone.

«Vo … Vostra Grazia» balbettò  un servo, sgranando gli occhi; Si alzò frettolosamente dalla sedia rischiando di cadere, si aggiustò il colletto sperando di risultare più presentabile e come sua solita goffaggine rammentò in ritardo la riverenza, mortificato riempì il nobile di scuse, ma Richard non non era arrabbiato né tantomeno offeso anzi, gli era mancato proprio tutto persino Adam” il servo combina guai”.
 
«Dopo ben dieci anni siete tornato! » esclamò entusiasta, avvicinandosi al cavallo e aiutando il Reale a scendervi. Prese le redini di Mortimer, un cavallo come quello che era stato capace di trovare la via di casa andava premiato con un bel riposo e con tanto fieno.
 
«Se non fosse stato per il mio stallone, non sarei qui, avevo perduto tutte le speranze …» raccontò il Conte, accarezzando la schiena del suo fidato animale come maggiore ringraziamento. Si toccò la barba con aria pensosa e sospirando, cercò di scacciare i brutti ricordi dei momenti vissuti lontani dalla sua terra, dalla sua famiglia . « Adesso basta parlare di cose tristi, dove sono mia moglie e mia figlia, Adam?» domandò impaziente, sostituendo al viso immusonito un bel sorriso speranzoso. Il suo sguardo non era cupo come pochi attimi prima, si era acceso e ciò era dovuto alle donne della sua vita: Annalisa ed Elena.

«Vostra moglie è nelle sue stanze, mentre la giovane Elena è accanto alla fontana sicuramente a leggere un libro …» diede risposta, mostrandosi come poche volte capitava:ragguagliato e preciso.

Seppur desideroso di riposo, al pensiero della donna che amava, Richard cestinò la stanchezza e sebbene i suoi passi non fossero gli stessi di gioventù, salì le scale in fretta e furia, inspirando appieno tutti gli odori:dal pranzo sul fuoco al profumo di cera o semplicemente:l’odore di casa.
 
I domestici, -ognuno impegnato a svolgere la propria attività lavorativa- rimasero sbalorditi nel vederlo,  era così impossibile che lo credevano un miraggio;C’era chi si strofinava gli occhi pensando che stesse sognando, chi abbracciava il compagno di lavoro, chi ringraziava il Dio o chi semplicemente non riusciva a proferire parola. Era difficile credere che fosse reale, i tanti anni passati senza ricevere alcuna lettera, aveva portato tutti a credere che fosse morto o che entrato in territorio nemico, era divenuto ostaggio senza alcuna possibilità di far ritorno.
 
Il Conte percorse il lungo corridoio giungendo alla stanza interessata, era felice: nulla era cambiato. Bussò fremendo dall’emozione cercando ancora per poco di contenere la gioia che aveva in corpo; chissà com’era diventata la sua Annalisa, dopo dieci anni tutti cambiano, invecchiano. All’euforia si mischiò la paura, un timore grande che inspiegabilmente lo bloccava sull’uscio: «Se mi ha dimenticato?»sussurrò a sé, portando a mo’ di Oh la mano alle labbra. A scostare quei tristi pensieri fu proprio la voce di Annalisa che flebilmente rispose:


«Avanti, la porta è aperta …» Richard si fissò le mani, un omone forte e coraggioso come lui temeva di essere caduto nell’oblio. Il timore lo costringeva a rimanere sulla soglia, ma per quanto sarebbe potuto restare lì? Ormai la maggior parte dei servi sapeva del suo rientro e il caos da loro provocato, avrebbe indotto Annalisa a recarsi nel grande atrio. Così, cercando di tranquillizzarsi, il ricco Conte chiuse gli occhi e facendo un respiro profondo lentamente girò la maniglia; senza far rumore, si affacciò solo con la testa per individuare dove fosse sua moglie poi, preso coraggio spalancò  la porta rendendo il suo accesso più accomodante; La camera che si presentava dinanzi ai suoi occhi era la stessa di anni addietro neanche la disposizione dell’arredamento era cambiata: lo specchio con i contorni dorati che ne risaltavano la sua grazia e il suo valore era sempre nell’angolo, la carta da parati era di un giallo più chiaro, che con le sue sfumature di rosa pesco colorava i fiori disegnati a mano da giovani operaie, il gran camino e l’armadio levigato in legno erano al medesimo posto, ma un pensiero particolare catturò Richard:una crepa. Per le incessanti piogge, una leggera spaccatura si era formata sotto il quarto pilastro permettendo all’umidità di entrare. Il Nobile di casa si rasserenò quando, sforzata anche la vista, non ne trovò traccia.
 
A ogni passo percepiva i battiti cardiaci in forte aumento, non erano più i chilometri a dividere quel grande amore, ma solo poche mattonelle; Annalisa era di spalle seduta sulla poltrona imbottita, cercando di placare il freddo del mese invernale; quante volte Richard aveva desiderato un suo abbraccio, una sua carezza, nel suo viaggio quasi per alleviare la sofferenza ricordava Annalisa e quanto si sentisse protetta tra le sue braccia, adesso lui per la sua assenza doveva chiederle perdono.

La donna non si voltò, Richard cercava di scorgere cosa stesse facendo forse la sua attenzione era catturata da un romanzo o chissà da un bilancio, se vi fossero stati problemi finanziari nella sua assenza? Dopotutto erano ben dieci lunghi anni e per quanto le donne volevano la loro autonomia e indipendenza, erano incapaci per trattare di affari.  Cercò di non pensare a nulla, quell’attimo tanto desiderato era arrivato e niente e nessuno poteva rovinarglielo; attento a non fare rumore, in punta di piedi si avvicinò alla poltrona.


Il tremolio alle mani si presentò, avrebbe voluto ridere e piangere al tempo stesso, stava per riabbracciare sua moglie. Chiuse gli occhi e quasi come se volesse abbracciarla da dietro le coprì gli occhi; la donna ebbe un sussulto, cercò di dimenarsi credendo fosse un assalto, ma non ci volle molto a scoprire la verità.

Richard si schiarì la voce e scherzando proferì,«Indovina chi è tornato? » la moglie si liberò dalla stretta e scattò subito in piedi. Portò la mano alla bocca, le mancava l’aria. Pensava stesse sognando.

«Oh mio Dio …» ebbe un mancamento, quasi priva di sensi cadde sulla poltrona. Il volto della Contessa era irrigidito i tanti anni trascorsi le avevano negato la speranza.
Cercò di farsi aria con il fazzoletto bianco sul quale erano incise le sue iniziali “AR” poi, accarezzò il volto stanco di Richard che preoccupato era seduto ai piedi della poltroncina. Costatando che l’uomo dinanzi a sé era proprio chi aveva sposato, si alzò di scatto non badando alle vertigini, gettandosi tra le braccia di Richard. Entrambi erano desiderosi di non perdersi più e sicuri più che mai che il loro amore non era finito.

Il buon Conte fissò il viso della sua compagna ormai trasandato e pronto a invecchiare, ma non gli importava, in fondo è il ciclo della natura; sfiorando le guance, rammaricava di aver perduto gli anni più belli, ma non si arrese: erano tornati insieme, gli bastava.Non avrebbe mai più lasciato sua moglie che a sua detta era la donna migliore che un uomo potesse mai desiderare al suo fianco. Toccò le sue rughe, le adorava una a una, fissò i suoi occhi color nocciola , scese per poi soffermarsi sulle labbra carnose che si aprivano in un sorriso bagnato da lacrime di gioia.

«Pensavo di non vederti più» enunciò la contessa con voce rotta dal pianto, si accoccolò al petto del marito continuando a stringergli le mani, timorosa di perderlo di nuovo.

«Sono un Hemsworth, posso mai perdere?- »abbozzò un sorriso che la sua consorte ricambiò ed entrambi scoppiarono in una fragorosa risata. Una risata capace di scaldare la stanza più di quanto le fiamme del camino avessero già fatto.«Sei sempre bella Anne,» adulò lui, mentre sua moglie cercava di sistemare i capelli scompigliati,

«E’ inutile che cerchi di sistemarti, capisci? » le sollevò il mento lasciandole un dolce bacio sulle candide labbra.

Annalisa si lasciò baciare poi si allontanò recandosi verso la finestra;Richard la seguì.

«Sei un marito eccezionale e impeccabile, cerco di fare lo stesso da buona moglie... » accennò e il tremolio nella sua voce fu evidente. Richard allargò le braccia e lei non esitò a gettarsi a capofitto,

«Mi hai aspettato Anne, è la cosa più unica che avessi mai potuto fare»perfezionò lui , stringendola a sé. 

 
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“Non so cosa significhi amare la gente a metà, non è nella mia natura. I miei affetti sono sempre eccessivi.”

Era questa la frase che Elena Hemsworth stava leggendo, quando fu interrotta da una figura che reputava familiare, ma non riusciva ad appropriare quel viso a una persona che conosceva perfettamente.

Il 16 dicembre aveva appena compiuto diciassettenne anni. Il suo corpo era piccolo ed esile, la sua pelle non aveva niente a che vedere con quella degli inglesi che solitamente è bianca e sciupata, anzi era bronzea, tipico del meridione italiano. I suoi capelli ricci e lunghi di color bruno scuro risaltavano gli occhi castani con sfumature dorate.

Richard da lontano la fissava, lei quasi sentito un richiamo alzò lo sguardo dal libro, per un attimo i loro sguardi s’incrociarono ma poi non immaginando chi fosse, tornò alla sua lettura.

Il conte continuava a guardarla da dietro l’albero, era cresciuta e come immaginava: era bellissima.
Anche stavolta doveva armarsi di una gran dose di coraggio e dopo qualche sì e no, ebbe l’ audacia di compiere il primo passo vero quella fanciulla, così incurante del freddo, ma così travolta dalla lettura.

«Piccola lady, vi ammalerete» sussurrò Richard con voce rotta dall’emozione, occupando posto sul bordo della fontana. Elena distolse l’attenzione dal libro per portarla all’uomo.

«Avete ragione ser, ma quando leggo … »la sua voce era gentile, pacata, altro che contessa, era sicuro che non era nobile solo di titolo, ma anche di animo.

Sebbene avesse voluto non badare alle parole udite, Richard non riuscì a trattenere la collera che in poco tempo come veleno si estese per tutto il petto. « Mi ha dato del ser, non mi ha riconosciuto» pensò, iniziando a pensare brutte cose. Sua figlia non l’aveva riconosciuto e questo poco bastò a farlo cadere in un vero e proprio vortice di depressione.

Si alzò agitato, toccandosi ripetitivamente il petto. Il suo volto era divenuto sofferente. La giovane alzò un sopracciglio, inconsapevole di cosa stesse avvenendo. Gli parlò poiché non riusciva a rendersi conto di cosa fosse giusto fare.

«Cos’ha?Siete pallido …» iniziò a domandare, alzando e avvicinandosi all’uomo che barcollando, dava l’impressione di cadere da un momento all’altro.

«Elena. . . »sussurrò il conte striminzito, spalancò le orbite poi, debole si accasciò a terra. La giovane si inginocchiò e la sua velocità permise al vecchio di poggiare la testa sulle sue gambe.

«Non è possibile! » esclamò con espressione sorpresa, « Padre! Padre vi prego, aprite gli occhi! Padre …» Richard stava sempre peggio e lei non era intenzionata ad abbandonarlo, cercando di avere sangue freddo cominciò a urlare aiuto finché non vide delle sagome avvicinarsi.

Accorsero una domestica e due stallieri: i due uomini presero cautamente il Conte, George lo reggeva per il capo, Michael lo teneva per i piedi mentre la donna sventolava un fazzoletto bianco come per fare aria. Salirono le scale facendo attenzione e giunti nella rispettiva stanza il Nobile fu sistemato a letto. Poco dopo, secondo avviso della servitù sopraggiunse il dottor Dubel , un francese che da pochi anni si era stanziato nella campagna inglese.

«Madre, non potevo immaginare …» Elena continuava a pregare, a chiedere perdono. Era convinta di essere stata lei a procurare il malore a Richard. Camminava spedita per il corridoio, la sua agitazione era irrefrenabile. Sia lei che sua madre,avevano rifiutato la tisana, nessuna delle due aveva abbandonato  il corridoio.

«Elena, sta tranquilla» Anna cercava di rassicurare sua figlia, ma lei non era da meno. Aveva appena ritrovato Richard ed era così assurdo perderlo subito dopo.

«Come posso ?E'tutta colpa mia … non ho riconosciuto mio padre! » la piccola contessa sbatté i piedi a terra, non smetteva di piangere ,le sue guance paffute e rosee erano rigate da lacrime che rendevano il suo viso ancora più angelico.

Anne stette in silenzio, Elena non aveva colpe, l’ultima volta che aveva visto Richard era all’età di sette anni ed era cambiato completamente.
 
Trastullando con gli anelli più per tensione che gioco cercava di calmarsi, augurando il bene alla sua famiglia.
D un tratto, inaspettatamente atteso la porta della camera di Richard si aprì e un uomo basso e grasso ne uscì.
 
Elena che si era appena seduta, si alzò vertiginosamente seguita da sua madre.

«Madame, mademoiselle» accennò una riverenza e aggiustandosi il panciotto proferì« è inutile che facciate domande...il Conte sta bene, è solo molto stanco.» informò il dottore aggiustandosi il panciotto.

«Che bella notizia» sospirò Elena liberando fiato e tutta l’ansia accumulata; Il corsetto che indossava e il timore di perdere suo padre le avevano stritolato i polmoni, si sentiva morire.

«Sia ringraziato il Cielo, quindi si rimetterà? » domandò incalzante la contessa asciugandosi la fronte sudata  presentando in volto un sorriso luminoso.

«Certo, ma ha bisogno di riposo, è questione di pochi giorni …» informò il medico, posando il suo orologio da taschino negli scomparti dei pantaloni.

«Va bene» rispose la Contessa sollevata, chiuse gli occhi e accennò il segno della croce.

«E’ giunta ora di andare, i miei ossequi» accompagnò il saluto con la riverenza per poi dare le spalle e andare via.

«Madre, debbo parlargli» enunciò Elena con determinazione, aveva il bisogno di liberarsi da quel macigno sul cuore; doveva parlare con suo padre, raccontargli le tante cose accadute e soprattutto:chiedergli perdono.

«Elena ….» Annalisa voleva controbattere, ma Elena giocò di astuzia: s’inginocchiò ai piedi della madre assumendo un’espressione da cane bastonato.

«Madre, fidatevi. » dichiarò e sicura che la contessa Annalisa Roccaforte non l’avesse fermata, si alzò ed entrò.

Corse ai piedi del letto incurante del dolore causato dalle scarpe. Acconciato sul letto, suo padre riposava: aveva gli occhi socchiusi, un sorriso smorzato e il volto pallido. L’uomo, percependo una presenza all’interno della stanza, flebilmente aprì gli occhi e vedendo sua figlia non poté che sorridere.

«Padre. . . »disse a voce bassa, sedendosi sul letto stringendo affettuosamente le mani del suo vecchio.

«Figlia mia» costatò il Conte cercando di sedersi.

«Non muovetevi … è necessario che stiate a riposo» proferì  Elena intellettualmente. Odiava vedere la gente soffrire, figuriamoci le persone che l’avevano messa al mondo.
 
«Ho detto di non preoccuparti» rispose il padre con tono rimproverante. Il timbro di voce per un attimo terrorizzò la diciassettenne, ma poi tutto si risolse. Ciò che li legava era un gran bene e nonostante fossero passati tanti anni, Richard era felice scoprendo di non essere caduto nel dimenticatoio.

«Mi sei mancata figlia mia»in un momento come quello, il conte abbatté le regole del protocollo di corte rivolgendosi a sua figlia con un banale tu, come se fossero gente comune.  I due si abbracciarono e inevitabile furono le lacrime di Elena che sbadatamente bagnarono la camicia di seta di Richard, lo strinse a sé con tutta la forza che aveva. Per la prima volta dopo tanti anni, era tra le braccia del suo adorabile papà, del suo eroe. 
 
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 Fuori, il cielo si preparava a uno dei suoi più fenomenali spettacoli: la pioggia. La volta celeste era marcata da luce gialla, fulmini, ai quali dopo poco sopraggiunsero tuoni.

Elena ne aveva sempre avuto paura, da bambina si nascondeva sotto il letto oppure chiedeva a sua madre di dormire insieme ma adesso era cresciuta e inoltre, c’era suo padre con lei, il suo protettore. Fissò fuori la finestra, il vento era aumentato e gli alberi rischiavano di essere sradicati al suolo.

«Dimmi un po’… che libro leggevi? » domandò il padre a pieno interesse. Lei si voltò e tornando vicino al letto con un sorriso sincero rispose.

«Pride and Prejudice, Jane Austen» la voce della giovane si affievolì.

 «Un grande capolavoro »aggiunse il padre con un degno sorriso, dimostrazione di quanto fosse fiero di sua figlia. «Lo lessi anch’io anni fa, sai? » informò con un altro riso.

«Davvero? » domandò meravigliata. In cuor suo, Elena malediceva il lungo viaggio che suo padre era stato costretto ad affrontare, non gli aveva permesso di conoscerlo interamente e sapeva che erano più simili di quanto immaginasse.

«Certo, ma non credo che esista l’amore che Mr. Darcy provi per Elizabeth …» rifletté da perfetto realista, accennando un’espressione torva.

«E perché? » domandò arrabbiata la fanciulla, alzandosi dal letto. La riflessione di suo padre risuonava nel petto come una ferita: le aveva toccato i suoi personaggi preferiti, i suoi amici, persone reali.

«Non ti arrabbiare mio piccolo fior…» tentando di rasserenarla, cercò di misurare meglio le parole,«Per vivere questa vita è necessario guardare in faccia la realtà e per quanto io ne sappia orgoglio e pregiudizio è un romanzo eccezionale, ma non vuol dire che racconti la verità. »

«Siamo in un’epoca che non possiamo fare ciò che vogliamo, e tu lo capirai presto … »continuò e la sua frase fu del tutto inaspettata, c’era qualcosa che Elena non sapeva?

«Che cosa devo capire padre? » Elena si agitò tramutando il suo bel sorriso in un broncio, era spaventata.

« Bah, nulla figliola … sono stanco e blatero cose senza senso» Richard Hemsworth cercò di tralasciare, nonostante l’insistenza della figlia fosse irrefrenabile. Elena non era stupida né tantomeno si arrendeva al primo colpo, ciò che la frenava era il riposo al quale suo padre doveva sottostare.

« E va bene padre, ma a una condizione … quando vi rimetterete mi direte la verità, so che avete qualcosa da dirmi. Tra noi non devono esserci segreti, promesso? »
 
«Promesso, » rispose Richard sconfitto, sua figlia non desisteva mai.
 
Determinata come non mai, Elena aveva scoperto le carte e nonostante fosse abbastanza curiosa, sapeva che il padre giunto il momento le avrebbe detto tutto.
 
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«Sei riuscita a parlare con tuo padre? » domandò Annalisa, mentre si sistemava a tavola per il pranzo.

«Sì, ma è troppo poco per il tempo che abbiamo perso» affermò Elena assestandosi il tovagliolo al collo e sulle gambe.

«Vi rifarete» la Contessa abbozzò un sorriso sincero, ed entrambe iniziarono a consumare il pasto a base di carne e verdura.
 
«Vostra Eccellenza …» il maggiordomo irruppe nella stanza, a passo spedito si avvicinò al grande tavolo e accennata la riverenza , porse dolcemente un telegramma ad Annalisa,

«E’ per voi» proferì cauto, «dal Principe di Scozia, » informò  diligentemente ed Elena non poté che incuriosirsi: principi, galà, inviti erano le basi per le storie che leggeva, quei romanzi di cui era tanto attratta. La contessa si sentì rabbrividire, sbiancò e incurante liquidò Samuel dicendogli che l’avrebbe letta in seguito.

«Perché mai madre? Temete che sia una brutta notizia?» Elena corrucciò la fronte, temendo in una brutta ed evasiva risposta della madre.

«No, non credo sia qualcosa di preoccupante, ma non abbiamo fretta … la leggerò questa sera » mugolò determinata presentando in volto un sorriso leggero a sua figlia, cercando di non lasciar trapelare nel suo sguardo il risentimento che stava provando.

 
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Venne presto sera, Elena svolse le sue solite attività pomeridiane: lezione di francese, di piano, di danza.
La sera mangiò poco e nulla, il suo essere perspicace le faceva ben intuire che qualcosa di strano stava accadendo: il padre le aveva parlato smorzato, il telegramma di un principe sbucato dal nulla e a peggiorare tutto era il nervosismo di Annalisa nel rimandare. Al termine delle attività senza pensarci due volte scese in cucina, dove trovò le badanti, ognuna a svolgere il suo lavoro:c’era chi spolverava, chi rimetteva a posto le posate e chi spazzava a terra.

Elena era legate a tutte, non si sentiva superiore.

«Contessina, » la chiamò amabilmente Marie, la domestica che più di tutti lavorava per la famiglia Hemsworth. La giovane si sforzò di sorridere, quando qualcosa non andava era incapace di fingere che stesse bene.

«Come mai quest'aria triste?Dovreste essere felice per il ritorno»
 
«di mio padre» interruppe la giovane, assumendo ancora di più uno sguardo cupo.

«Ma è ovvio che lo sia, Marie! La contessina ama suo padre, ma evidentemente avrà capito! »una terza voce si aggiunse, era Adamina, la domestica più pettegola dell’intero palazzo.

«Non capisco Adamina, cosa ho capito? » Elena soffocò una risata nervosa poi volse lo sguardo a Marie per poi riposarlo su Adamina. Le due donne iniziavano ad azzuffarsi e anche se quella situazione fosse tanto buffa, Elena iniziò seriamente a preoccuparsi.

«Possibile che tu non chiuda mai quella boccaccia?» Perché tanto sgomento? Tanta preoccupazione?Tanto mistero? Cosa non aveva compreso?

«C’è davvero qualcosa che debba capire? » domandò con poco fiato in gola a bassa voce. Ci fu silenzio, un silenzio positivo. «Voglio la verità. Cos’ è che devo sapere? » insistette incrociando le braccia al petto, mentre i servi guardandosi tra loro mostravano difficoltà.

«Samuel, oggi a pranzo hai portato un telegramma per mia madre … »fissava il maggiordomo,con uno sguardo investigativo, al quale non sarebbe sfuggito nulla. L’uomo ingoiò quasi come se stessero per ammazzarlo, volse di sfuggita lo sguardo a Marie e lei ricambiò l’occhiata quasi come se volesse dire “ha chiamato te, provaci”

«Sì» rispose timidamente, indeciso su cosa dire in seguito; Elena decise di andargli incontro, avrebbe fatto di tutto per rompere il ghiaccio e scoprire la verità.

«Dal regno di Scozia » precisò avvicinandosi. «Che cosa poteva esserci scritto? » domandò con aria pensosa.

«Non lo so contessina. » l’uomo preferì negare, ma Elena non era sicura che fosse quella la verità; la servitù era sempre a conoscenza di tutto; i servi o avevano un sesto senso oppure spiavano sempre le conversazioni. La seconda ipotesi era più probabile.

Marie, la domestica che aveva permesso la nascita di Elena si avvicinò alla giovane. Con dolcezza la allontanò dalla cucina ed Elena si trovò ignara a seguire Mari nelle stalle. A quell’ora, in quel postaccio puzzolente vi erano soltanto loro e il bestiame. La loro conversazione sarebbe avvenuta lontano da occhi scrutatori , spioni e nessuno le avrebbe interrotto.

«Oh vi prego Marie, so che almeno voi non potete ingannarmi … almeno voi siate sincera»la contessina esausta, cercava di far desistere il forte guscio di Marie e finalmente sprigionare tutte le verità.

«So che me ne pentirò, ma non posso ingannare i vostri dolci occhi …» Sebbene Marie volesse iniziare un discorso proprio,  non le fu dato il tempo di presentare le carte in tavolo: Elena era già pronta per bombardarla di domande.

«Che cosa intendeva Adamina?» domandò come un fiume in piena tremando. I suoi occhi erano lucidi, desiderosi di scoprire un tale mistero. Il rapporto tra lei e Marie era ben saldo, le aveva sempre voluto bene e le sarebbe stata davvero riconoscente se le avesse permesso di scoprire la verità.

«Ecco … »la valletta iniziò a balbettare manifestando appieno la sua difficoltà o più semplice dire la paura di ferire la sua piccola Elena.

«I miei non lo sapranno se è questo che temi, croce sul cuore» promise la fanciulla  accennando uno scadente sorriso e toccandosi il petto.

«Adamina . . .si .. .rif. . .riferiva al  vostro matrimonio, vostra Grazia» l’anziana donna si fece aria sventolando le gonne, fiera di sé per un passo avanti.

« Matrimonio? » la voce si affievolì. Elena si sentì sprofondare in un vortice nero, per un attimo le girò la testa ma nulla di preoccupante: lei era forte.

«Contessina, vi prego …» la nutrice la esortò a non fare sciocchezze tipo: raccontare di aver scoperto tutto o peggio fuggire.

« Matrimonio? E con chi? » domandò avvilita, gettandosi nella paglia.

«Aspettate, forse ci sono arrivata, l’uomo del telegramma, vero? » per quanto strano sembrasse e per quanto Elena non volesse crederci, aveva preso in pieno.

La balia non ebbe parole, mosse il capo in cenno di approvazione ed Elena si sentì morire.

«Che cosa ho fatto di male? Sapevo che un giorno sarebbe arrivato, ma mi credo più grande, più matura! » gridò con tutta la voce che aveva in corpo. Poteva farlo, le mura della stalla erano abbastanza spesse.

«Vi prego contessina, calmatevi …» Marie era già pentita di averle raccontato la verità, non era suo compito.

Le lacrime iniziarono a scendere e lo sguardo della giovane Elena, da cerbiatto puro e indifeso si tramutò in uno da tigre affamata, pronta ad attaccare la sua preda.

«Vogliono sbarazzarsi di me …» Era indignata, ferita dalle sue stesse radici.

Il conte e sua moglie vogliono la vostra felicità. . .voci di corridoio dicono che è un principe a chiedere la vostra mano» un altro duro colpo.

 «Dovevo immaginarmelo, Samuel portava un telegramma proprio dal principe di Scozia» a Elena mancò il fiato, si alzò velocemente dalla palla di fieno su cui si era gettata poco prima e la testa le girò vertiginosamente, perse l’equilibro.

«Contessina, non fate sciocchezze … - esortò la balia.

«Mi hanno venduto? Verità o no, quasi ci credo. » ribatté la giovane. Provava incredulità nei confronti dei suoi genitori, che avevano il coraggio di abbandonarla a un destino cupo,infelice.

 «Ho bisogno di stare da sola, perdonatemi Marie Elena sbatté le ciglia, frastornata s'affrettò ad uscire dalla stalla, ignorando i consigli della sguattera.

 Quella notte la contessina di Herthford non riuscì a dormire, neanche dopo aver pianto a dirotto. Lo sbuffo continuo del vento e della pioggia sul tetto non tacque nemmeno per un istante. Si coprì la testa con le coperte, poi aggiunse un cuscino. Riuscì ad addormentarsi soltanto dopo mezzanotte, quando finalmente l’acquazzone si trasformò in una pioggerella silenziosa. Sperando che al suo risveglio, l’incubo sarebbe svanito.

 

Spazio Autrice:
Carissimi lettori, ecco a voi il primo capitolo. . .spero vivamente di non aver deluso le vostre aspettative, l'euforia mi porta a pubblicarlo senza dare ulteriori revisioni.Spero che ci siano pochi ORRORI, ma soprattutto mi auguro di ricevere Vostre recensioni :)
 
 
 
 
   
 
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