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Autore: DAlessiana    31/01/2015    2 recensioni
Silenzio.
Era lui che regnava in quella stanza da quando il telefono aveva squillato. Tutti i presenti avevano smesso di svolgere le loro azioni, pietrificati da quella notizia. La donna era rimasta col cordless in mano e la bocca spalancata, non c'era bisogno di parole, non c'era bisogno di dire ciò che era successo ai presenti davanti a lei, si capiva benissimo, forse anche troppo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio.
Era lui che regnava in quella stanza da quando il telefono aveva squillato. Tutti i presenti avevano smesso di svolgere le loro azioni, pietrificati da quella notizia. La donna era rimasta col cordless in mano e la bocca spalancata, non c'era bisogno di parole, non c'era bisogno di dire ciò che era successo ai presenti davanti a lei, si capiva benissimo, forse anche troppo.
Il ragazzo dinanzi a lei, attimi prima intento a cucinare qualcosa da mettere sotto i denti, fissava la padella senza controllare davvero la carne, che pian piano si stava cuocendo, voleva muoversi, voleva andare da sua madre per abbracciarla o da suo padre per consolarlo, ma le gambe non rispondevano al comando e rimaneva in quella posizione, in piedi di fronte ai fornelli con il fuoco accesso, forse troppo alto poiché un odore di bruciato si stava liberando nell'aria.
L'uomo, uscito da poco dal bagno dove si era, finalmente dopo giorni, concesso una doccia rilassante che forse avrebbe potuto calmare i suoi nervi tesi, rimase sulla soglia della porta, tutti i pensieri e i vari conti che gli invadevano il cervello erano andati in tilt, come un computer colpito da un violento virus e, molto probabilmente, non avrebbero ripreso velocemente.
In ultimo, in fondo alla stanza c'era lei, un'adolescente a cui la vita aveva giocato un brutto scherzo, molto di cattivo gusto, prima di quella telefonata era intenta a giocare col fratello prendendolo in giro per le sue misere doti culinarie, forse era l'unica cosa per spezzare quell'aria pesante che da troppo tempo c'era in casa, ma avevano iniziato a scherzare presto, le sue risate si interruppero di colpo, dopo quella chiamata, come se ci fosse un interruttore che da on fosse passato automaticamente ad off. Anche lei, come il fratello, voleva muoversi, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu accasciarsi a terra, le sue gambe si erano indebolite troppo per reggerla in piedi.
Fu lei la prima a rompere il silenzio, con un singhiozzo. Dopo quel lieve rumore, tutti ricominciarono a muoversi. Il telefono fu chiuso e appoggiato sul tavolo dalla donna. Il fuoco fu spento dal ragazzo. L'uomo cambiò direzione ed andò verso la sua camera per vestirsi, la donna lo seguì. La ragazza pian piano riuscì a rimettersi in piedi. Il tutto con una calma da brividi, nessuno parlò o degnò di un semplice sguardo l'altro componente della famiglia. Tutti sapevano cosa dovevano fare: vestirsi, ma nessuno aveva fretta di farlo, perché nessuno voleva che tutto ciò fosse vero, che si trattasse della realtà. Crudele, ma era comunque la realtà.
***
Volti, camici bianchi, e quel costante odore di ospedale che ti invade il setto nasale, che riempiva la stanza. Quella stanza che si erano imparati a memoria, non era molto grande, abbastanza per ospitare tre lettini uno accanto all'altro, insieme ai vari macchinari. Era la terza a destra che ti ritrovavi mentre percorrevi il corridorio, poco distante c'era il bagno ed accanto la sala delle infermiere con annessa cucina per chi, a quelle ore, si ritrovava a dover fare il turno ad ora di pranzo.
La ragazza era entrata in trance, come il resto della sua famiglia, tutti si muovevano perché erano costretti, senza vitalità, senza espressività nel volto. Dopo una notizia del genere ci si aspetta di scoppiare in lacrime, come lo era la signora davanti a lei, sua zia. O per lo meno una faccia sofferente, ma la ragazza era impassibile, il dolore le aveva soppresso ogni singolo movimento, ogni singola cellula, sì, certo, respirava e camminava quando doveva, ma era sotto shock. Era senza emozioni, come se un singolo singhiozzo le potesse rivelare che ciò che stava vivendo non fosse un sogno, anche perché non lo era.
"Aurora, piccola" la ragazza si voltò, sentendosi chiamare << Aurora >>, quello era il suo nome.
  "Lo abbiamo scelto perché significa: luminosa, splendente. Quello che tu sei per noi, piccola mia"
Le tornò in mente la frase della madre, quando a otto anni le chiese perché le aveva dato quel nome, perché proprio Aurora e non altri famosi, come Federica, Roberta, Anna. O più semplicemente, perché non il nome di sua nonna? Antonella.
Aveva sempre amato quel nome, non solo per la lunghezza, ma anche perché quando lo pronunciava suo nonno aveva un suono dolce, delicato. Forse aveva questo suono perché chiamava sua moglie, la quale non aveva mai smesso di amare.
Aurora, fin da piccola, sognava di trovare un uomo come suo nonno, che l'amasse per sempre.
Suo nonno le aveva sempre detto di affrontare le cose di petto, di mostrarsi sempre forte e di non lasciarsi mai andare, ma in quel momento, in quella stanza, non ce la faceva, non poteva fingere che non fosse succeso niente, non poteva mostrarsi forte, perché molto probabilmente neanche lo era.
Voleva piangere, ma non ci riusciva. Voleva urlare, ma le parole le morivano in gola. Voleva andare via, ma le gambe non le rispondevano. Voleva, voleva e voleva, ma non riusciva a fare niente, si sentì persa, senza una meta, senza più qualcosa per la quale lottare, senza più quella vitalità, che molti le invidiavano, senza più quel sorriso che suo nonno adorava.
Non aveva più niente, l'unica cosa che le rimaneva era un dolore che le opprimeva il petto, senza darle neanche il tempo di respirare.
Una mano le si posò sulla spalla e la riportò alla realtà. Quando si voltò, trovò il viso di suo fratello davanti, aveva gli occhi rossi, segno evidente che aveva pianto, lui che non piangeva mai. Se era riuscito a piangere lui, perché lei non ci riusciva?
"Ehi" sussurrò, prima di gettarsi tra le sue braccia, abbandonandosi su di lui. Suo fratello la strinse, l'abbracciò forte come non l'aveva mai abbracciata, la strinse in una morsa d'affetto e dolore, e lei si sentì al sicuro, protetta da quel semplice gesto, come se niente potesse ferirla finché restava attaccata a lui.
"Non ci riesco..." disse con una voce flebile, come se parlasse più a se stessa che a lui "A fare cosa?" le domandò, giustamente, il fratello, tenendola ancora stretta. Aveva pochi anni di differenza, ma lui era molto più alto di lei e, in quella posizione, Aurora era appoggiata col viso sul suo petto. Era la cosa che adorava di più di quegli abbracci, sentire il battito dell'altro, che batte in sincronia col tuo.
"A piangere. Vorrei tanto farlo, ma le lacrime non escono, è come se si fossero bloccate lungo il tragitto" rispose Aurora, finalmente riuscì a parlare ed a formulare un pensiero logico.
"Ognuno reagisce a modo suo" disse Alessio, quello era il suo nome. Significava << difensore >> e lo era per davvero, era il difensore di sua sorella.
Un lampo di luce colpì la stanza e dopo pochi istanti un tuono si liberò nell'aria.
Aurora ed Alessio si staccarono ed entrambi volsero uno sguardo alla finestra, pioveva. Un forte temporale batteva sul tetto di quell'ospedale e bagnava le auto parcheggiate in quel posto sempre affollato, dove trovare un parcheggio per la tua di auto diventava un'impresa.
"Anche il cielo piange" disse la zia, che da poco aveva smesso di singhiozzare, i ragazzi si resero conto che non parlava con loro e che quello era solo un pensiero che aveva preso la libertà di parola. Aurora si strinse ancora un po' al fratello, per poi lasciarlo avviandosi alla porta "Dove vai?" le chiese in modo maliconico, lei era l'unica che non piangeva né aveva gli occhi arrosati in quella stanza e, forse, ad Alessio serviva un po' della sua forza, ma lei era veramente forte? Tanto da sostenere tutti se era già tanto che riusciva a parlare? No, non lo era, aveva bisogno di solitudine in quel momento.
"Voglio stare un po' da sola, scusa" rispose, facendo un mezzo sorriso e varcando la soglia della stanza per andare in corridoio. Una volta fuori, notò che perfino suo padre, l'uomo più forte che conosceva si era sciolto in lacrime, d'istinto corse da lui ad abbracciarlo, ma si bloccò quando lo vide abbracciato alla madre, sua moglie, la donna che lui aveva scelto e con la quale aveva deciso di condividere il cammino della vita.
"Nella gioia e nel dolore, nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e povertà, finché morte non vi separi."
Avevano fatto un giuramento davanti a Dio ed ora non stavano facendo altro che rispettarlo. Il prete li aveva avvisati << nella gioia e nel dolore >>, non sempre era tutto rose e fiori.
In momenti come questi ti rendi conto se davvero una persona ti ama e se è disposta a superare tutto con te, perché ha scelto te non altri, ha scelto di portare all'altare te, perché è sicuro che niente possa separarvi, perché il vostro amore può affrontare tutto. Potrà essere scalfito o graffiato, ma mai potrà essere distrutto.
Preferì lasciarli soli a consolarsi uno nelle braccia dell'altro, entrambi forti, ma allo stesso tempo fragili.
Non aveva una meta precisa, camminava perché doveva sfogarsi, perché doveva trovare il coraggio di rientrare in quella stanza e forse sarebbe riuscita a piangere, sperando che, almeno per un po', il peso che le opprimeva il petto si potesse alleggerire, così da farla respirare tranquillamente.
Scese le scale, forse c'era qualcosa che la stava guidando, forse il suo istinto la stava portando in un luogo dove avrebbe trovato la forza che cercava. La forza di andare avanti.
Si ritrovò nella cappella dell'ospedale, una mini chiesa, dove persone sconosciute si ritrovavano a pregare per i propri cari, chiedendo un miracolo, qualcosa che non li facesse andare via dalla vita terrena. Forse, molti di loro avevano pregato sì e no una decina di volte nell'arco della loro vita, ma adesso si avvicinavano a Dio per chiedere una grazia. Alcuni, pregavano il contrario, chiedevano al Signore di portarsi via i propri cari, perché costretti a sofferenze atroci, preferivano saperli sereni in quel posto chiamato Paradiso, che averli qui e vederli soffrire e storcersi per il troppo dolore.
Aurora si era sempre chiesta se esistesse davvero un Dio, qualche forza divina che ci governa e osserva ogni nostro movimento dal cielo, come una sorta di genitore onnipresente, al quale non puoi sfuggire. Ma se esisteva davvvero, allora perché c'era il dolore? Perché c'erano le malattie incurabili? Perché esisteva la morte? Perché le persone ci lasciavano senza neanche un preavviso? Forse era l'intera umanità ad essere sbagliata. Perché, onestamente, quante persone sincere incontriamo nella nostra vita? Poche, così poche da poterle contare sulle dita delle mani.
La maggior parte delle persone sono false, ipocrite ed egoiste, ma non siamo noi stessi ad esserlo quando non vogliamo che qualcuno ci lasci? In quei momenti non siamo noi gli egoisti?
Troppe domande invadevano la mente della ragazza, non riusciva più a formulare un pensiero logico, il suo cervello era andato in tilt.
Si sedette su una delle panche, vicino all'altare, forse si aspettava un segno, qualcosa che le facesse capire se quel Dio esistesse davvero.
"Se sono cattolica, come credo di essere, forse non dovrei avere tutti questi dubbi. Forse sto perdendo la fede" pensò ad alta voce, abbassando lo sguardo per la vergogna, stava davvero mettendo in dubbio l'esistenza di Dio? Chi si credeva di essere?
"Mia cara, ognuno di noi ha dei dubbi" si sentì rispondere da una dolce vocina femminile,  apparteneva ad una signora sull'ottantina d'anni. Qualcosa nella sua espressione, nel suo volto le ricordava sua nonna, ma probabilmente era lei che stava impazzendo.
"Perché se esiste davvero un Dio, allora esiste la morte?" domandò Aurora, forse quella signora poteva mettere fine ai suoi dubbi, anche se era una perfetta sconosciuta, ispirava fiducia.
"La morte è solo un modo per avvicinarsi a Dio. Non moriamo per davvero, non lasceremo mai i nostri cari da soli, non credi?" replicò la donna, sedendosi vicino ad Aurora.
"No. Nessuno vorebbe abbandonare le persone che ama" la giovane si trovò d'accordo con quel pensiero e sorrise.
Forse sua nonna non l'aveva abbandonata per davvero, era lì con lei, sempre.
"Allora, perché una bella ragazza come te è qui?" le domandò l'anziana, accarezzandole il volto. Quel tocco, quella mano calda, avevano qualcosa di familiare.
"Non so, avevo bisogno di solitudine. Mia nonna se ne è andata poche ore fa e spero che abbia incontrato quel Dio che si ostinava a pregare ogni sera" rispose Aurora, ricordandosi ogni preghiera che recitava insieme alla nonna.
"Tieni" la donna le porse un rosario tra le mani "Così puoi continuare a pregare tu per tua nonna" disse, prima di alzarsi per andare via.
"Aspetti! Come si chiama?" la chiamò Aurora "Antonella." l'anziana sorrise ed Aurora vide uno strano raggio di luce attraversare la finestra della cappella.


-Salve a tutti! <3
Se siete arrivati fino alla fine vi ringrazio con tutto il cuore. Vuol dire che, almeno un po', vi è piaciuta :)
Ho scritto questa storia in base ad un'esperienza personale. 
Sarei molto felice di leggere le vostre opinioni...Spero che non vi abbia annoiato! 
Grazie a tutti quelli che la leggeranno :33
  
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