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Autore: Dust Fingers    01/02/2015    0 recensioni
Si sentì toccare appena un braccio e voltandosi di scatto spaventato – in realtà più teso per il fatto che chiunque avrebbe potuto sorprenderlo lì lo avrebbe potuto riconoscere e denunciare.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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017. Lust

Era da qualche sera che si avventurava per quelle vie malfamate e strette. I muri delle case, arroccate le une sulle altre, si stringevano mano a mano che ci si avvicinava al piccolo spiazzo nascosto da pesanti tendoni di velluto nero e blu scuro, rischiarato appena dalla flebile luce verdastra di due lampade appese a mezz’altezza. L’uomo sudò freddo: un amico gli aveva indicato quel luogo dopo avergli raccontato di aver trascorso le più belle ore della sua vita. Certo, lui non era quel tipo di persona che tradiva la propria moglie, ma ogni tanto, un po’ di spasso se lo poteva prendere, dopotutto le donne ormai scarseggiavano, erano per la maggior parte ormai incrociate con altre razze e non erano più pure. Un uomo di alto rango come lui non poteva certo sposare una volgare meticcia.
  Le tende si scostarono mentre si perdeva in inutili ragionamenti e finte autoconvinzioni che quello che stava facendo gli era permesso e dovuto. All’interno della piccola stanza in cui entrò regnava un’atmosfera di colori accesi e fragranze inebrianti ed eccitanti, calde. Alla pareti erano appesi arazzi e tappeti, tessuti con pregiata seta di Sevvant, diversa dalla solita perché filata con un procedimento diverso e molto più lungo, lo si poteva capire dalla particolare rifrazione che avevano le pieghe del tessuto della luce rossastra emanata dalle lampade. Dal soffitto pendevano veli sottilissimi e catenelle di gioielli che tintinnavano appena. L’uomo, perso nei suoi pensieri ed ammaliato dai profumi non si accorse della figura che gli arrivò alle spalle.
  Si sentì toccare appena un braccio e voltandosi di scatto spaventato – in realtà più teso per il fatto che chiunque avrebbe potuto sorprenderlo lì lo avrebbe potuto riconoscere e denunciare. Incontrò il viso giovane di un uomo, non doveva essere di razza del tutto pura poiché i sui capelli, lunghi e riccioluti ma raccolti in una composta coda di cavallo, erano di uno strano biondo leggermente tendente al verde acido dei suoi occhi. La pelle bronzea contrastava piacevolmente con la camicia azzurra che indossava, impreziosita da ricami argentati, su un paio di braghe di cuoio nero e morbido; era scalzo.
  «Ah, il ciambellano, che onore averla qui, signore» esordì con una nota di finto stupore nella voce, con un mezzo inchino; dal dentro il colletto della camicia sfuggì un ciondolo, legato ad una striscia di pelle nera, a forma di lacrima che si intonata ai suoi occhi esotici.
  «Sì ehm, ti sarei grato se non proferissi parola della mia presenza qui» si affrettò a dire il ciambellano. Il ragazzo, con un servile cenno del capo, acconsentì mentre scostava uno spesso drappo per lasciarlo passare. Il ciambellano esitò un istante, ma poi si fece avanti a piccoli passi nella sua figura ingombrante e massiccia, ed entrò nella seconda piccola saletta.
Il ragazzo gli fece levare le scarpe eleganti e il mantello per camminare sui morbidi tappeti, esortandolo poi verso la terza stanza: uno spogliatoio in cui due ragazze giovanissime lo aiutarono ad indossare una tunica di lino leggera e fresca che gli donò immediato sollievo, sciogliendo la sua tensione.
Le due giovani, coperte appena da veli trasparenti, lo guidarono poi nell’ultima stanza dove una donna ed un giovane uomo, poco più anziano del ragazzo dagli strani caratteri, lo fecero accomodare su di un basso divano, sprofondato in grossi cuscini di velluto viola e rossi, servendogli da bere e pietanze dai gusti strani e leggermente aspri, ma gradevoli.
  «Di quali piaceri volete bearvi, vostra grazia?» domandò la donna, sedendosi in grembo al ciambellano e solleticandogli il doppio mento. Lui la guardò con i suoi occhi porcini, «Di tutto quelle che avete da offrirmi» disse allungando una mano verso le sottili spalline dell’abito della donna, la quale però gli bloccò la mano a metà strada e con un ampio sorriso si alzava.
  «Enjli ha fatto preparare per voi le nostre danzatrici più belle e le nostre ragazze più…disponibili» disse, esitando sull’ultima parola per enfatizzarla e attirarvi l’attenzione dell’uomo. Enjli tornò, seguito da otto ragazze, una delle quali gli stava aggrappata al collo e gli accarezzava i capelli riccioluti. Si scambiarono uno sguardo complice prima di separarsi perché anche lei raggiungesse le altre attorno al loro cliente dal ventre prominente, radi ciuffi di capelli ai lati della testa e le gambette corte. Le danzatrici intonarono un canto vivace danzandogli attorno, giocando con i veli azzurri e verdi e facendo tintinnare bracciali, collane e cavigliere al ritmo dei lievi passi sul tappeto.
 
  «Questa volta un ciambellano e caduto nella nostra rete, potremo spennarlo un bel po’» disse la donna, parlandogli sottovoce all’orecchio e mordendoglielo appena.
  Enjli sorrise e le prese la vita traendola a sé.
  «Non potrà pentirsi si questa giornata» disse lui, ad un soffio dalle labbra della donna e lanciando uno sguardo di sottecchi al loro cliente, lei lo seguì divertita: era divertente e penoso allo stesso tempo vedere quel miserabile ed inutile politico eccitarsi toccando l’aria, e ridere pensando di leccare il corpo di una delle ragazze.
Enjli storse il naso dritto, senza però riuscire a nascondere il sorriso malvagio che gli spaccava le labbra e che si rifletteva ancor più maligno negli occhi scuri della donna ancora stretta a lui che gli carezzava il petto e i fianchi stretti, là dove iniziavano le brache.
  «Lasciamo che si diverta…a modo suo» ghignò, mentre la conduceva dietro una delle tende più spesse e pesanti verso una porta in legno massiccio, dipinta di nero con decori in rosso vivo.
Elenia toccò con la punta di un’unghia affilata e perfetta uno dei simboli centrali e questa si aprì su di un’accogliente stanza illuminata di luci fioche ma calde, meno sfarzosa delle precedenti e più intima, priva di quegli appariscenti fronzoli preziosi e quei veli che non facevano che intralciare il cammino e la vista.
Il letto al centro della stanza era basso, con lenzuola e veli colorati che pendevano da un baldacchino semplice, tutto intorno erano sparsi cuscini morbidi. Già scalzi, si diressero al letto mentre Enjli versava vino dell’est in due calici di pietra di cristallo, trasparenti e opachi allo stesso tempo, e ne porgeva uno alla donna.
  «Uhm, elisir d’amore, mio caro?» rise beffarda.
  «Non credi nelle mie capacità seduttive, per caso?» sussurrò di rimando Enjli mentre le girava attorno e le svolgeva dalla vita il lungo nastro che reggeva tutto l’elaborato abito che le ricadeva sulle curve generose: aveva sempre preferito che le donne fossero più morbide e meno ossute.
Il vestito cadde a terra in uno sbuffo, poi le sciolse i capelli dall’acconciatura che li stringeva, soffocandoli troppo e sfilò numerosi fermagli e spille prima che i capelli si srotolassero per tutta la loro lunghezza fin quasi a sfiorarle le ginocchia.
  «Credo piuttosto che il nostro cliente avrà bisogno di altra compagnia presto» disse lei e, con un gesto rapido del polso, Enjli fece comparire altre tre ragazze che parevano gemelle, abbigliate di veli colorati e trasparenti e ingioiellate fino all’esagerazione e fece cenno loro di raggiungere il ciambellano nella stanza attigua.
  «Non verremo disturbati per un po’, almeno» sorrise e spinse la donna contro il letto facendovela cadere di peso e salendole a cavalcioni mentre si liberava della camicia, quasi con ribrezzo in quel gesto. Lei lasciò vagare uno sguardo che fingeva indifferenza nei confronti di quel corpo attraente, perfetto e giovane che mostrava una pelle liscia tesa su muscoli scattanti. Il ragazzo colse l’intento della donna e sollevandosi finì di spogliarsi prima di stendersi di nuovo accanto a lei e iniziare a baciarla e accarezzarla. Elenia gli percorse il profilo della mandibola scendendo per il collo e l’addome e lui faceva lo stesso, affondando le dita nei suoi fianchi più morbidi. Subito i loro respiri si sincronizzarono, affannati e contenti; i loro movimenti e i loro corpi si fusero in uno solo e lasciarono che il calore li pervadesse. Lei si inarcò contro di lui per poi allacciare la braccia al suo collo e soffocare un grido di piacere sulla sua pelle calda, lievemente velata di sudore.
 
  La ragazza, quella più bella delle undici che gli avevano mandato, lo guardava lasciva, toccandosi le labbra e il corpo ed ancheggiando verso di lui. Il ciambellano, tenendo strette le grassocce mani su altre due ragazze che gli stavano ai fianchi la guardava pieno di desiderio, come non gli succedeva da anni e nemmeno mai gli era successo con la moglie. Si sentiva di nuovo vivo, giovane e forte, quando era nel fiore degli anni e nel pieno della carriera e tutti credevano in lui e mai si sognavano di ordire piani alle sue spalle.
  Intento com’era non fece caso alla figura scura che si nascondeva nelle ombre della stanza, inebetito dal vino e dagli aromi delle erbe.
  Vexe si fece da presso la sua tozza presenza, muovendosi felino alle sue spalle, fece scivolare un coltello nel palmo della mano e lo strinse convulsamente, gli occhi fissi sul bersaglio che ancora non si era accorto di essere stato drogato e imbrogliato oltre che derubato.
Provava un moto di ribrezzo verso quell’uomo, come verso ogni figura di spicco della società: decise di fare in fretta e di lasciare al più presto quel posto. La ricompensa era stata lasciata dove pattuito e nella sua interezza e autenticità, non gli restava che eseguire ciò per cui era stato pagato. La lama affilata del coltello incise rapida la carne, il sangue fluì con uno grosso spruzzo dalla gola della vittima e questa cadde riversa sul pavimento, imbrattando tappeti e cuscini. Non era stato difficile e non aveva sentito assolutamente niente, questa volta non si era tradito.
Ripose il coltello dopo averlo ripulito accuratamente su un lembo di stoffa e si dileguò rapido: i patti erano uccidi e sparisci, e così fece. Uscì rapido dal bordello, attraversando le tre stanze e uscendo nel vicolo si voltò a guardare l’entrata e vide maciullati lembi di grezzo tessuto mangiati dalle tarme e dalla muffa pendere pigri da storte assi infisse tra i muri delle case. Delle lampade, dei profumi e della lussuria di quel posto non era rimasto che polvere e inganni.
  Si calcò meglio il cappuccio sul capo pulendosi da una macchiolina di sangue che gli aveva raggiunta la guancia e si dileguò.
  
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