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Autore: Dust Fingers    01/02/2015    1 recensioni
Lo specchio adesso gli stava ai piedi, in mille frantumi che gli rimandavano indietro una figura nera, indistinta e spoglia, secca e scarna. Le ossa delle costole spuntavano bianche e lucide, come zanne snudate dalla sua figura nera.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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018. Identity Crisis
 
Non si riconosceva, la sua figura era indistinta e chiara allo stesso tempo, il suo viso non aveva niente di familiare, ma tutto di comune e già visto in mille altri visi. Che cosa gli stava succedendo? Cosa le stava succedendo?
 
  Si ritrovò d’improvviso davanti ad uno specchio piuttosto vecchio e rovinato che rimandava un riflesso ondulato e tagliato, indefinito come percepiva in quel momento la sua stessa personalità.
Un attimo prima era fuori, nell’aria fresca della sera, odorosa di fumo e delle spezie dei mercanti d’oriente, a giocare con i suoi fuochi, a scottarsi con essi e ad assaggiare la qualità della polvere da fuoco, quasi oleosa tra le sue dita; un attimo dopo, il cielo era chiazzato del suo fuoco colorato, e quei mille altri visi rivolti a quello spettacolo e non sulla sua figura. Si era sentita un’ombra tra le ombre, un punto nero su uno sfondo del medesimo colore e quando i fuochi erano terminati, gli astanti avevano finalmente riportato la loro attenzione su quella figura piatta e misteriosa ritta davanti a loro che veniva dal lontano e dimenticato est, che ormai non veniva neanche più segnato sulle mappe.
Fece partire dei nuovi fuochi con piroette e giochi di mani intricati e indistinguibili anche a se stesso, se avesse perso la concentrazione. E i fuochi erano schizzati nell’aria alta e fresca rilucendo vivaci e scoppiettando rumorosi ma affascinanti.
  Il cappello magico si era chinato verso di lui, il suo padrone, in quegli attimi di poca luce diffusa, rivolgendogli una smorfia tra le pieghe del tessuto logoro e rattoppato, triste del suo scarso contenuto per tutti quei prestigi. Così l’illusionista si era mosso agile e veloce come sempre: con una mano svuotava i portamonete facendone poi sparire il contenuto nella manica mentre, con l’altra, li riempiva di sassolini senza che nessuno di accorgesse mai di niente. Aveva fatto così per molto tempo e ancora adesso era costretto a farlo, i ricavati per i suoi soli spettacoli, ricavati onesti, erano troppo scarni e poveri anche solo per pagarsi una zuppa da una moneta intera.
Chi sono chi sono chi sono chi sono, rimbombava nella sua testa. Mentre tornava al suo posto, non visto, quasi scontrò una donna che gli si parò davanti intenta nel suo tenere il naso all’aria: aveva un viso tondo e morbido, i capelli lunghi e scuri tenuti in una spessa treccia, la pelle vellutata e gli occhi grandi di meraviglia, come quelli dei bambini che scorrazzavano in quella piazza al mattino giocando tra le bancarelle.
Sono io. Scosse la testa per tornare ancora al suo posto cercando di non farsi distrarre dai suoi pensieri. Ma incontrò un uomo, questa volta, che si mosse sul suo cammino, alto e robusto, forse un fabbro.
Sono io? Scosse ancora la testa, mentre sentiva il proprio corpo divenire sempre più sottile e piatto, scomparire e divenire invisibile. Si sentiva sempre più stiracchiato, la sua essenza in quel mondo stava svanendo, non ne faceva più parte da molto tempo, ma si ostinava a voler continuare ad aggrapparvisi. Inutile, più si teneva stretto a quelle luci, quei suoni, quegli odori, quelle città, quel cielo con i suoi soli, più si sentiva trascinato via e schiacciato da un peso insostenibile.
 
  Lo specchio adesso gli stava ai piedi, in mille frantumi che gli rimandavano indietro una figura nera, indistinta e spoglia, secca e scarna. Le ossa delle costole spuntavano bianche e lucide, come zanne snudate dalla sua figura nera.
Chi sono?
Uno dei frammenti riflesse un volto quadrato e bruno, serio. Un secondo frammento rimandò l’immagine di una donna avanti con l’età ma nella cui figura si poteva ancora scorgere quello che di lei era stata una figura formosa e bella; un altro ancora di una ragazza ordinaria, con biondi capelli di paglia e grosse crusche sul piccolo naso; un altro ancora era la figura di un vecchio che rimandava, un vecchio grinzoso e saggio, con la pelle cotta dal cocente sesto sole. Poi c’era un frammento diverso, in quello si specchiava un ragazzo con vivi capelli rossi e pelle nero carbone.
L’illusionista vide rientrare le acuminate zanne nel proprio costato e percepì qualcosa di umido e caldo colargli dagli occhi. Pose lo sguardo al frammento riflettente: dagli occhi del ragazzo colava uno scuro liquidi denso e viscoso mentre la sua pelle sbiadiva, diveniva di un colore malato e insano.
Prese il frammento e lo gettò via ferendosi le dita, in un urlo disperato e folle.
CHI SONO?
Urlò a se stesso, forte e disperato. Sentì un fosco dolore al ventre, come se un’improvvisa emorragia interna lo avesse scosso. Cadde su un fianco con il viso tra i frammenti, sempre più sottile e anoressica, la sua figura si contorceva tra i vetri taglienti. I frammenti cominciarono a rimandare immagini di donne, uomini, bambini con spade di legno, soldati e mercanti, tutti visi che aveva incrociato e memorizzato nei suoi spettacoli.
Chi sono? Qual è la mia identità?
Sentì sotto le dita strette al viso, le unghie piantate profondamente nella pelle, lacerandola, il suo viso lentamente afflosciarsi, poi tornava elastico, poi duro, poi irto di una lunga barba, poi di nuovo liscio e vellutato con labbra morbide e carnose, poi secco, vecchio sempre più vecchio, sempre più avvizzito e percorso da fitte ragnatele di rughe. Sentì la pelle farsi sottile e le ossa della sue dita perforarla e ferirsi. Le costole tornarono a spuntare, di nuovo come i denti di una bestia a mordergli la pelle per strapparla ed uscire mentre questa si ritirava sul suo scheletro. Nemmeno il manto nero che portava addosso adesso sapeva più come celare il corpo sfigurato da quella profonda malattia.
Allungò tremante una mano verso il frammento che aveva gettato via, ma non lo raggiunse, era troppo distante; il suo riflesso ancora sbiadiva, la pelle diveniva diafana e trasparente tanto da lasciar intravedere l’osso, gli occhi incavati, i capelli ormai radi sul capo. Quando furono caduti tutti la figura si ricompose in una ragazza, i suoi occhi non erano più incavati, le guance erano tonde e lisce.
L’illusionista non riuscì a raggiungere il frammento di vetro, si portò una mano alla testa che gli doleva terribilmente ormai, come compressa tra due lastre di pietra. Una ciocca rossa gli rimase tra le dita.
Chi sono? Figlio di un popolo maledetto, chi sono io? Figlia di un’assassina, figlio di un ladro?
Chi sono io?

Calò la sera, nebbiosa e uggiosa nella stanza, entrando dalla finestra spalancata. Si posò sul quel corpo ormai esilissimo e sottile, martoriato e indistinto, e se lo portò via.
  
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