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Autore: _Lalli    01/02/2015    3 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ciao
32. Morte delle Ombre

[Durza]
Il dolore era partito tra gli occhi, dove la freccia si era conficcata, e poi si era rapidamente diffuso e ramificato in tutto il corpo, strappandogli le membra in mille frammenti e annullando la sua coscienza.
Si era ritrovato nel buio più totale, annichilito come il primo giorno che gli Spiriti si erano fusi alla sua coscienza. Non riusciva a pensare, a parlare, non riusciva nemmeno a sentire il proprio corpo.
Era solo nero e sussurri. I sussurri rabbiosi delle tre entità che lo avevano accompagnato e guidato per gran parte della sua vita, i suoi più intimi amici e alleati e i suoi più grandi e oscuri nemici.
La prima cosa che tornò a sentire furono le proprie mani, poi la sensibilità tornò alle braccia, al torace e da lì alla testa e agli arti inferiori. Il suo corpo bruciava, come invaso dalle fiamme.
Durza aprì gli occhi con un gemito di dolore e se li trovò feriti dalla luce del sole, che entrava prepotentemente da un buco sul soffitto. Si guardò intorno e riconobbe subito l'ambiente spartano del refettorio, così come riconobbe il mucchio di abiti che giacevano sparsi a terra accanto a lui. Solo a quel punto si rese conto di essere completamente nudo e si affrettò a recuperare i propri vestiti e ad indossarli. Trovò la sua spada e il suo mantello, e quando afferrò la catena con il sole d'argento e vide il luccichio violetto dell'anello di ametiste ricordò tutto ciò che era accaduto, con una chiarezza quasi violenta: il cavaliere era riuscito ad ingannarlo e il suo amico lo aveva colto di sorpresa, colpendolo alla testa. Era stato ucciso per la prima volta in vita sua e il ritorno era stato terribilmente doloroso, più di qualsiasi dolore mai provato prima.
Un'ondata di furia cieca lo investì da testa a piedi, facendolo tremare violentemente e acuendo il bruciante mal di capo che sentiva da quando aveva ripreso coscienza di sé. Gli Spiriti gli parlavano di violenza, dell'inebriante odore del sangue, del potere che dava vedere la luce lasciare gli occhi di un essere vivente.
Arya. Doveva trovare Arya. Lei lo avrebbe aiutato a metterli a tacere, almeno un poco.
Ma il cavaliere se l'era portata via. Aveva sentito il suo richiamo di aiuto ed era accorso il prima possibile, tuttavia aveva bloccato gli intrusi solo nel refettorio, dove aveva visto la sua donna riversa a terra accanto al giovane. E poi il figlio di Morzan l'aveva colpito.
Puntellandosi alla propria spada, quella preziosa lama che decenni prima aveva rubato ai briganti che avevano ucciso Haeg, si alzò in piedi e inclinò la testa di lato, concentrandosi sui suoni. Effettivamente regnava un silenzio innaturale: nessun suono proveniente dalle caserme, non dalle carceri, non dal cortile esterno. Solo avvicinandosi alla cucina cominciò a sentire delle voci, voci che si spensero bruscamente quando spalancò la porta.
«Dove sono finiti tutti?» domandò, la voce tesa dall'ira.
Gli risposero sguardi stupefatti.
«I soldati sono usciti per inseguire il prigioniero fuggito, mio signore» rispose uno dei cuochi. «Ieri notte c'era un drago qui.. Hanno detto che eri morto».
«So cosa è successo ieri notte» lo freddò. «Hillr è ancora qui?»
«Sì, mio signore».
«Vai a cercarlo e mandalo nel mio studio immediatamente».
Si accasciò sull'unica sedia della sua scrivania e subito rievocò la sera in cui Arya si era seduta sopra di essa.
Sentì un vuoto scavargli lo stomaco quando realizzò di avere nuovamente perduto una persona cara, nonostante avesse ormai il potere sufficiente per opporsi a buona parte delle forze in Alagaësia. L'unica, sostanziale differenza alla quale si aggrappò disperatamente, era che il cavaliere non avrebbe mai fatto del male ad Arya, non ne avrebbe avuto alcun interesse e inoltre il suo drago avrebbe dovuto riconoscerla come la sua custode. O forse no?
Forse l'avrebbero punita per essersi alleata di uno Spettro, se lei fosse stata così avventata da rivelarlo.
E per di più aveva un veleno mortale nel sangue.
Si tirò i capelli, poi rovesciò la testa all'indietro e lanciò un grido di rabbia, che decisamente non lo aiutò a migliorare il suo mal di testa.
Doveva andare a prendere Arya. La amava, la amava davvero come non aveva mai amato nessuno in vita sua e non se la sarebbe lasciata strappare senza fare nulla. Avevano dei progetti, dei sogni, e non avrebbe permesso a nessuno -tanto meno a un giovane cavaliere arrogante- di infrangerli.
Finalmente udì i passi di Hillr nel corridoio e stava per uscire dalla stanza e scuoterlo fino a che non gli avesse detto tutto ciò che stava accadendo, ma poi capì che i passi appartenevano a due persone.
Così cercò di rilassarsi e non fare trapelare la propria inquietudine, si accomodò sulla sedia e incrociò le mani davanti a sé.
L'uomo che accompagnava Hillr era il capitano delle guardie mandate del re e aveva gli occhi iniettati di sangue e il viso di un giallo malsano.
«Mio signore» fece Hillr, inchinandosi.
Il capitano si limitò a fargli un cenno e ad avanzare a grandi passi fino all'orlo della sua scrivania. «Abbiamo trovato i tuoi abiti e le tue armi a terra nel refettorio e credevamo che il cavaliere ti avesse ucciso, ma sono felice di vedere che sei tornato. Il cavaliere ci è scappato e si è portato l'elfa con sé, senza contare che alcuni dei miei uomini hanno riconosciuto il giovane che li accompagnava come un altro ricercato: Murtagh, il figlio di Morzan. Sappiamo che si stanno dirigendo a sud e buona parte dei soldati d'istanza a Gil'ead li sta inseguendo».
Durza immagazzinò le informazioni del capitano e capì dal suo tono scoraggiato che non credeva che sarebbero mai riusciti a recuperare i fuggitivi. Ma in effetti non avevano preso in considerazione una seconda risorsa: gli Urgali. Urgali che effettivamente erano rimasti privi di direttive per.. quanto tempo era passato? Lo domandò ai suoi interlocutori.
«Sono passate circa dodici ore da quando il drago è entrato, sfasciando il soffitto del refettorio» rispose prontamente il capitano, con precisione militare.
«Avete notizie degli Urgali?»
«Dispersi. Alcuni di loro hanno cominciato a lanciarsi in scaramucce lungo le sponde del lago Leona e io ho ordinato ai soldati di stare loro lontani. So che eri tu il loro comandante e che non avrebbero risposto ad altri che a te» disse vagamente.
Probabilmente il re gli aveva dato alcune informazioni, ma non aveva specificato come Durza fosse riuscito a dominare quelle creature. E gli Urgali si erano ovviamente svicolati dal suo controllo quando lui era.. morto? Sì, in fondo era davvero morto, anche solo per una dozzina di ore.
«Bene, signori», disse, «io credo che andrò a fare valere di nuovo la mia autorità sugli Urgali, poi credo che li seguirò alle calcagna dei fuggitivi».
E recupererò Arya e la terrò al sicuro fino a che non mi sarò liberato dell'autorità che Galbatorix ha su di me.
Il capitano non si azzardò a toccarlo ma gli fece capire che intendeva fermarlo muovendo un lieve passo di fronte a lui. «Dobbiamo fare rapporto al re, entrambi. Quindi pensavo che potresti usare la tua magia e contattarlo o presto lo farà lui e sarà più infuriato che mai» disse in tono pratico.
Per la prima volta dopo la breve permanenza del suo manipolo a Gil'ead, Durza provò un moto di simpatia per il capitano. E per di più aveva anche ragione: ormai non poteva più andare ad Uru'baen, non senza una buona motivazione, e aveva perso il suo diversivo.
«Hillr rimani nei paraggi, dopo dovrò parlare anche con te» disse, congedandolo.
L'uomo uscì e lo Spettro fece cenno al capitano di avvicinarsi allo specchio che aveva appeso alla parete vicino alla scrivania. Gli spiegò brevemente cosa sarebbe successo e l'uomo ne approfittò per ravvivarsi i capelli e riassettarsi la barba.
Senza preoccuparsi troppo del suo aspetto, Durza aprì una comunicazione diretta con Galbatorix, che comparve sulla superficie liscia dello specchio pochi minuti dopo.
Lasciò parlare il capitano, anche se la sua arte oratoria era decisamente inferiore alla sua. Vide l'espressione del sovrano deformarsi sotto i suoi occhi e passare dal pacato e paterno all'iroso, fino a che non sollevò una mano e bloccò i patetici tentativi del capitano di spiegargli che i suoi uomini sarebbero sicuramente riusciti a recuperare i prigionieri e il figlio di Morzan.
«Io mi sono fidato ciecamente di entrambi, eppure entrambi avete duramente deluso le mie aspettative. I vostri rispettivi compiti erano talmente facili, di così piccola entità rispetto a tutto ciò che io ho fatto per voi, che il vostro fallimento risulta come un'offesa alla mia persona e alla mia autorità. Entrambi sarete responsabili del recupero di tutti i prigionieri che avete lasciato scioccamente fuggire e vi consiglio di non presentarvi più davanti a me o alla mia corte fino a che non li avrete nelle vostre mani. Mi dite che si stanno spostando verso sud, ebbene Geerten, tu continua a tallonarli con gli uomini, tu Durza li seguirai con gli Urgali. Ora capitano ti prego di lasciare la stanza in cui vi trovate e di ricordare le mie parole: sarai accolto come un eroe se porterai a me quei pericolosi criminali, in caso contrario l'onta dell'insubordinazione si abbatterà su di te e sulla tua famiglia, i tuoi figli non troveranno mogli e la tua progenie finirà nell'ombra».
Il capitano Geerten si inchinò con le lacrime agli occhi e lasciò la stanza, decisamente determinato ad ubbidire agli ordini del suo signore.
«Durza» fece il sovrano, con tono di rimprovero. «Ti sei fatto prendere in giro da un ragazzino e dalla sua banda di scapestrati».
Faticò parecchio a chinare il capo e a dire, con tono dimesso: «Mi dispiace».
«Sai che ormai non basta più. Questa era la tua terza occasione, non credo che ne avrai una quarta. Dopo che questa storia sarà finita sarai dimesso dal tuo ruolo di governatore e integrato nell'esercito. Credo che fanteria potrebbe andare».
Teoricamente avrebbe dovuto sentirsi umiliato dalle nuove disposizioni del suo signore, ma ovviamente non lo era. Non quando l'unica immagine che aveva davanti agli occhi era quella di Arya, sulla prua di una nave, con i capelli corvini scompigliati dalla brezza marina e gli occhi verdi che lo fissavano con affetto.
Non sarebbe diventato un semplice soldato di fanteria, avrebbe ucciso l'uomo che voleva vantare diritti di vita o di morte su di lui e poi sarebbe fuggito con la donna più bella che si potesse desiderare.
«Come comandi, mio re» si costrinse a rispondere.
«C'è forse qualcosa che mi stai nascondendo? Qualunque cosa sia ti ordino di mettermene immediatamente al corrente» fece il sovrano in tono volitivo.
Con suo estremo stupore, nessuna morsa gli strinse la mente, la sua lingua non si mosse contro la sua volontà, le labbra non si schiusero a rivelare tutte quelle verità che gli avrebbero procurato una morte certa e pressoché immediata.
Impiegò qualche istante, ma alla fine capì: il suo vero nome era cambiato. Forse grazie ad Arya, forse grazie alla sua momentanea morte, forse grazie ad entrambe, ma non sentiva più nessun obbligo, nessuna costrizione, niente che lo legasse a quello che per un secolo era stato il suo padrone.
Si inchinò, per nascondere il ghigno che andava sbocciando sulle sue labbra. «Ti assicuro, mio re, che non ti nascondo nulla. Farò ciò che mi hai ordinato e seguirò le orme dei fuggitivi con i miei Urgali. I Kull corrono parecchio più veloci di un semplice umano e sono certo che riusciremo a raggiungerli molto prima che raggiungano i Varden, il Surda o qualunque rifugio possano trovare a sud. Dammi un paio di settimane e vedrai che te li consegnerò personalmente».
Il re parve pensieroso. «Mi stai chiedendo di darti la tua quarta possibilità?»
«Sì» mentì prontamente.
«E sia! Ma voglio uno sforzo in più da te, Durza. Finora i Varden non sono stati nulla più di una seccatura, una piccola falla in una diga perfetta, ma ora la falla si sta ingrandendo e io non posso permettere che tutto crolli. Per farla breve: dopo che avrai catturato i fuggitivi voglio che tu continui la tua marcia fino al covo dei Varden e li distruggi. Non ti sarà difficile dato che hai nelle tue mani tutte le informazioni che ti servono. Hai conservato le carte che ti feci pervenire un anno fa, non è vero?»
«Certamente».
«Allora fanne buon uso. Gli ordini sono semplici: attacca i Varden, coglili di sorpresa e uccidi tutti, dal neonato in fasce al vecchio senza denti. Ogni singolo essere vivente sotto la montagna è un nemico. Per quanto riguarda Ajihad.. non ho intenzione di trattare, quindi fa' di lui ciò che desideri, purché non resti in vita. Ti contatterò non appena avrò parlato con i Gemelli e manderò a te e agli Urgali un piano più preciso per l'attacco. Mi raccomando, non deludermi o saprò come fartela pagare».
Ed annullò la magia che permetteva di comunicare con lui.
Durza dovette lottare per lunghi minuti contro gli Spiriti, che scalpitavano eccitati alla sola idea di sangue e morte, sopratutto della morte di Ajihad. Del resto lui che colpa ne avrebbe avuto? Poteva salvare Arya, lasciarla incosciente un paio di giorni e sfruttare il tempo per uccidere finalmente l'uomo che inseguiva da decenni. A lei avrebbe poi detto di essere ancora sotto l'influenza di Galbatorix e di non avere avuto scelta.
Ne avrebbe sofferto, forse, ma lo avrebbe sicuramente giustificato e perdonato una volta che il re fosse morto. Ma lui? Poteva vivere ancora di menzogne?
Ma non tentare di ingannarmi con finte promesse o ti giuro sulla mia vita e su quanto ho di più caro in questo mondo che non avrai mai e poi mai il mio perdono. A quel punto avresti creato la tua più acerrima nemica, per di più custode di parecchi dei tuoi segreti.
Si strinse la testa tra le mani e la scosse violentemente. No, non l'avrebbe mai fatto, non se il rischio era di perdere la prima vera persona importante dopo un secolo di aridità.
Tuttavia gli Spiriti non furono così rapidi a demordere e, per tutta la giornata, fu vittima di spaventosi sbalzi d'umore a causa dei violenti impulsi che le creature diffondevano nella sua coscienza. Pareva che l'intera operazione di morte e rinascita li avesse rafforzati.
Parlò con Hillr e gli affidò il comando della città fino a che non fosse tornato -rendendosi conto lui stesso che probabilmente non sarebbe tornato affatto- poi richiamò gli Urgali all'ordine e passò loro secchi comandi, radunando i primi squadroni di Kull, che avrebbe mandato il prima possibile alle calcagna dei fuggitivi, con l'ordine di catturarli ma non fare del male a nessuno di loro.
I preparativi gli richiesero più tempo di quanto avesse previsto, forse perché recuperare il controllo sugli Urgali si era rivelato piuttosto complicato. Si ritrovò, a un'ora dalla mezzanotte, a mangiare di malavoglia la cena fredda e a trascinarsi verso il suo letto. Era stanchissimo e si chiese se per caso non avesse sottovalutato il prezzo della rigenerazione, tuttavia non appena si coricò capì che il riposo non sarebbe giunto con tanta facilità.
Aveva diviso quel letto con Arya, c'era ancora il suo odore tra le lenzuola e lei era chissà dove, con un pericolosissimo veleno in corpo, affidata alle sbadate cure di un ragazzino. Se mai l'avesse rivista, viva e vegeta, si sarebbe chinato a baciarle i piedi.
Accese una candela e, preso il pugnale Luna, iniziò ad incidere distrattamente la testiera del letto. Non aveva una grafia particolarmente gradevole, era troppo fitta e spigolosa, ma era abbastanza abile ad incidere il legno, lo aveva fatto spesso quando era un ragazzo. Scrisse il nome dell'elfa, piccolo e rassicurante, e poi incise una barca, così ricca di dettagli da sembrare che fosse stata imprigionata nel legno. Poi si addormentò, il pugnale ancora in mano, abbandonandosi a sogni agitati.

[Arya]
«Vi ringrazio molto per le vostre cure, ma ora vorrei alzarmi» dissi spazientita, rivolgendomi al nutrito gruppetto di guaritori che mi circondava. In realtà mi sentivo stanca e svuotata da ogni vigore, tuttavia volevo assolutamente muovermi e tornare pienamente alla vita dopo oltre una settimana di coma.
«Non sottovalutare gli effetti del veleno e delle ferite, hai subito molto».
Già, avevo subito molto. Eppure si erano premurati di cancellare dal mio corpo ogni singola cicatrice, lasciando la mia pelle innaturalmente liscia, come non lo era dalla mia prima missione diplomatica tra i Varden.
«E gradirei riavere i miei abiti» li informai, scrutando con occhio critico la bianca camicia da notte che mi copriva dal collo alle caviglie.
Una donna abbandonò la stanza per eseguire, ma gli altri si affrettarono ad esortarmi al riposo non appena gettai i piedi oltre al pagliericcio per scendere a terra. Sembrava che, dopo avermi creduta morta e aver perso l'appoggio di mia madre, temessero di vedermi cadere in briciole sotto i loro occhi.
Sentii la porta aprirsi e diedi per scontato che fosse tornata la donna che era andata a prendere i miei vestiti, ma quando alzai gli occhi individuai la figura di una donna bassina, dai folti capelli castani e ricci.
«Angela!» la rimproverò qualcuno, «Non sei autorizzata a stare qui».
Ma lei mi guardò in viso e avanzò dritta nella mia direzione.
La riconobbi immediatamente e la sua immagine si sovrappose a quella sfocata che avevo visto durante la mia guarigione.
«Venerabile!» esclamai, inchinandomi precipitosamente davanti a lei.
Sorrise affabile e fece cenno a tutti gli stupefatti guaritori di lasciare la stanza. Lo fecero, forse troppo sconvolti dalla mia eccessiva deferenza per riuscire a ribattere in modo soddisfacente. Solo allora l'espressione di Angela si deformò e assunse contorni terribili.
«Arya Dröttningu di Ellesméra. Mi ricordo molto bene di te. Quanti anni sono passati dall'ultima volta che ho fatto visita a tua madre? Quaranta? Cinquanta?»
«Credo circa cinquanta» risposi incassando le spalle, un poco spaventata dal suo atteggiamento brusco.
«Bene, sappi che le sue ultime decisioni mi hanno parecchio indisposta, ma immagino che di questo dovrà informarti Ajihad.. Come ormai avrai intuito sono stata io a guarirti dal veleno, l'antidoto stava agendo troppo lentamente e il tuo sangue doveva essere depurato».
Annuii. «Ti ringrazio».
«E il tuo bambino sta bene». Era un'affermazione.
«Lo so» risposi, impreparata e allo stesso tempo consapevole di non poterle mentire.
«Ora voglio sapere chi, come e quando. No il come risparmiamelo, per favore, credo di sapere come si svolgano questo genere di cose».
Tentennai, poi feci un altro piccolo inchino. «Temo di non poterti rispondere, Venerabile».
«Arya non voglio costringerti e tanto meno violare l'intimità della tua mente, quindi farai meglio a rispondermi con la massima sincerità» mi intimò, arrotolandosi con noncuranza un ricciolo intorno al dito indice.
Sapevo che dietro all'ingannevole aspetto della minuta, indifesa e spensierata umana Angela l'Erborista si celava un essere dai vasti poteri, dalla saggezza sconfinata e dalla vita ancor più lunga di quella di qualsiasi elfo. Nessuno nella Du Weldenvarden sapeva a quale razza appartenesse quella che noi chiamavamo la Venerabile, ma era citata nelle nostre cronache più antiche e non di rado faceva visita ai nostri regnanti, cambiando nome e aspetto nel corso dei millenni. Sapevamo solo che si occupava di mantenere intatti gli equilibri e, per quanto crudele potesse sembrare, ciò che faceva era sempre mirato al bene supremo di Alagaësia stessa.
Così, in soggezione di fronte alla sua autorità e al suo cipiglio, mi fissai le mani e mi imposi di rivelarle almeno parte della verità. Lei mi avrebbe sicuramente consigliata su come agire, senza impormi soluzioni che sapeva fuori dalle mie capacità, sia morali che fisiche.
«Porto in grembo il figlio di Durza lo Spettro» sussurrai. E dirlo ad alta voce fu come accettarne finalmente l'esistenza.
Mi fece un cenno. «Lo avevo intuito. Ieri ho dovuto addormentarti o qualcuno avrebbe finito per crederti una traditrice: continuavi a balbettare il nome dello Spettro e a chiedere quando sarebbe arrivato e in che condizioni fosse il suo amabile figlioletto. Posso?» fece con inaspettata gentilezza, toccando il braccio che avevo avvolto intorno alla mia vita.
Feci cadere il braccio con un poco di timore e lasciai che bisbigliasse qualche parola per poter vedere sotto la mia carne, un incantesimo difficilissimo e che lei sembrava svolgere con assoluta noncuranza.
«Sei settimane?» domandò poi.
«Ormai sette» risposi automaticamente.
Annuì pensierosa. «Ancora non si vede nulla. Lo sai vero che se vuoi prendere delle erbe ti manca poco tempo?»
Deglutii. «Lo so».
La consapevolezza che brillò nei suoi occhi scuri mi fece intendere che aveva intuito buona parte della verità.
«Allora facciamo così: se sarai abbastanza intelligente e vorrai scrivere la parola fine a questa storia, cercami con la mente e io ti indicherò il posto dove trovarmi. Ti darò io le erbe giuste.» Alzò un indice con aria ammonitrice. «Se parli al Du Vrangr Gata della mia posizione ti ammazzo, ma non credo che lo farai, dico bene?»
Decisamente no. Quella strana setta di stregoni aveva avuto l'insana abitudine di importunarmi i primi anni che avevo preso in custodia l'uovo, ma era bastata una sfuriata di impatto per far passare loro la voglia. Angela, invece, preferiva che la portata dei suoi poteri restasse nell'ombra. Lo aveva sempre fatto tra gli uomini, così da potersi muovere più liberamente intorno a loro.
«Se invece preferisci scegliere la strada più difficile, allora sarà meglio che tu non dica nulla a nessuno o perderesti tutto il tuo rispetto e la tua credibilità. Certo, potresti sempre dire che si è trattato di una violenza e che non hai mischiato il tuo sangue a quello di uno Spettro, ma in ogni caso sarai guardata con sospetto se sceglierai di tenere il bambino, anche se ufficialmente non sarebbe colpa tua. Applica qualche incantesimo su di te in modo che nessuno con l'udito superiore a quello di un umano -come uno della tua razza- possa udire il battito del suo cuore o percepire la sua coscienza, quando si potrà percepire». Mi guardò dritta negli occhi. «Non voglio sapere nient'altro, ma ti conviene anche ricordare che per sei mesi sei stata prigioniera di uno Spettro crudele e sanguinario, che ti ha torturata fino a ridurti in fin di vita pur di strapparti informazioni da dare al re. Quindi vedi di non fare commenti inopportuni quando Ajihad verrà a parlarti. A nessuno piacciono gli Spettri e a me e ad Ajihad non piace Durza lo Spettro in particolare, chiaro?»
«Sono fedele alla causa dei Varden» mi sentii il dovere di specificare.
Rise. «Di questo non ne ho mai dubitato, sei una delle più convinte qui dentro e non credo che la tua fedeltà abbia subito un simile cambiamento in così pochi mesi, tuttavia ti consiglio di seguire alla lettera ciò che ti ho detto».
«Durza è..»
«Ti ho detto che non voglio sapere nulla» mi interruppe. «Fatti però almeno un paio di domande e ricorda che non sempre ciò che vedi corrisponde alla verità. Sappi che in me hai incontrato una persona comprensiva, ma se provassi a spiegare a qualcun altro ciò che hai provato a spiegare a me, probabilmente saresti uccisa senza una minima esitazione. Nessun elfo si è mai alleato ad uno Spettro, unito a lui e ancor meno avuto un figlio con lui».
Sapeva parecchio, era indubbio, ma mi aveva anche lasciato intendere che il mio segreto sarebbe stato al sicuro.
«Seguirò i tuoi consigli, Venerabile».
«Perfetto!» esclamò allegramente, battendo le mani. «Sai tu sei molto utile a questa ribellione e sarebbe un peccato perderti, ne risentiremmo parecchio. Ti prego però, non appena sarai al cospetto di tua madre, di convincerla a cambiare idea, dato che sei decisamente viva. Ah, ed evita di dirle ciò che ti è accaduto per favore. Scegli una versione ufficiale e mantienila con tutte le persone con cui parlerai, non credo di doverti spiegare cosa è meglio evitare di dire e cosa no. Ora ti saluto, suppongo ci vedremo presto!»
«Aspetta!» la bloccai, angosciata. «Tu sai cosa succederà? Cosa devo aspettarmi da questo bambino? La natura del padre lo..?»
Fece un gesto frivolo con la mano. «Non posso risponderti. Nella mia lunga esperienza non si è mai verificata una cosa simile, ma sono quasi sicura che tuo figlio non nascerà influenzato dagli Spiriti che possiedono Durza, se è questo che intendi. Un gran bell'esempio di quanto le azioni dei genitori non dovrebbero influenzare la prole, non credi? Bene, se deciderai di essere intelligente sai cosa fare. Ti farei le congratulazioni, ma qualcosa mi dice che non è il caso».
Detto questo mi strizzò l'occhio e se ne andò, lasciando entrare i guaritori che aveva cacciato fuori pochi minuti prima. Mi vennero restituiti i miei abiti e portato del cibo, che consumai con avidità, poi riuscii finalmente a mandare via tutti i miei molesti salvatori e a restare sola per qualche ora, così da rimettere in ordine le idee.
Non sapevo nulla di Durza, non potevo né divinarlo né contattarlo e se avessi parlato a qualcuno di ciò che era accaduto tra noi mi avrebbero rapidamente bollata come traditrice. Nessuno avrebbe creduto alla mia storia e nessuno avrebbe giustificato la mia alleanza con uno Spettro, mi sarei solo compromessa. E non era il caso che succedesse una cosa simile, non prima di avere la totale certezza della morte di Galbatorix.
A quel punto non ero più così certa che Durza sarebbe venuto a prendermi. Mi fidavo di lui, continuavo a fidarmi nonostante Angela mi avesse fatto notare che poteva avermi presa in giro, ma dovevo agire cautamente, parlare con Ajihad, con il cavaliere, recuperare la mia posizione e poi trovare il momento giusto per allontanarmi e cercare lo Spettro.
Era già un miracolo che Eragon non avesse trovato un paio di incongruenze, quando mi aveva salvata a Gil'ead: avevo i vestiti e i capelli puliti quando mi aveva recuperata dalla mia cella, ed ero certa che la mia pelle avesse ancora l'odore dell'olio da bagno che Durza versava sempre nella vasca. E non era esattamente normale occuparsi dell'igiene dei prigionieri fino a tal punto. Fortunatamente la mia pulizia era decisamente degenerata durante i giorni di viaggio che erano trascorsi per arrivare a Tronjheim, tanto che mi era stato fatto un bagno mentre ero incosciente e mi avevano anche lavato e rammendato i vestiti.
Nessuno sospettava nulla e mai lo avrebbe fatto se fossi stata abbastanza prudente.
            Nasuada venne a trovarmi nel pomeriggio, trascinando con sé una ventata di curiosa allegria. La conoscevo appena, ma era impossibile non volerle bene e rispettarla, nonostante la giovanissima età: era gentile, fiera, indipendente, scaltra e conosceva i Varden e la loro organizzazione almeno quanto Ajihad. La perfetta figlia di suo padre.
«Mio padre vorrebbe parlare con te non appena ti sentirai meglio» mi disse.
«Allora puoi dirgli che quando desidera può farmi chiamare, mi sento in perfetta forma ormai».
«Sei sicura? Non sono passati ancora due giorni completi da quando ti è stato somministrato l'antidoto e mio padre ha intenzione di farti domande che potrebbero rivelarsi piuttosto spiacevoli».
«So cosa vuole chiedermi Ajihad e io sono pronta a rispondergli». Esitai. «Il cavaliere e il suo drago stanno bene?»
«Benissimo, direi. Si sono ripresi in fretta e hanno manifestato l'intenzione di seguire il cammino che il patto tra elfi e uomini aveva previsto. Mio padre li farà esaminare domattina e scriverà una lettera per la regina Islanzadi, che dovrai consegnare a lei quando tornerai ad Ellesméra con i due». Chinò il capo. «Avrei un'altra triste notizia per te, ti prego di non dire a mio padre che te l'ho comunicata o si arrabbierà, ma mi sembra giusto che tu la sappia adesso, prima di dover ripercorrere tutti i mesi di sofferenze che hai passato».
«Dimmi pure».
«Si tratta di Brom. È morto».
Oh.
«Mi dispiace, so che vi conoscevate e che avevate preso insieme gli accordi per dividere l'uovo tra elfi e uomini. Cioè, non lo ricordo ovviamente, ma so che è così» concluse con un lieve sorriso.
Brom, morto. Avevo origliato la conversazione tra Durza e Galbatorix e avevo sentito che Brom era rimasto ferito dai Ra'zac, tuttavia non credevo che fosse..
«Questa è una grave perdita per i Varden» dissi con voce grave. Non lo conoscevo benissimo, Brom, ma ricordavo bene il giorno che era venuto da me a chiedermi di addossarmi anche l'incarico di custode dell'uovo, insieme a quello di ambasciatrice. Mi riteneva l'unica persona adatta e la più imparziale tra le due razze.
La giovane annuì. «Anche mio padre ne è rimasto molto colpito».
Nasuada si mosse inquieta sullo sgabello e capii che non vedeva l'ora di andarsene, ma allo stesso tempo non voleva apparire maleducata. Probabilmente aveva altre cose da fare.
«Ti ringrazio per la visita» la congedai.
«Figurati, rimettiti presto. Ora credo che andrò a trovare Murtagh, il figlio di Morzan. Devo portargli i tuoi saluti? È stato lui ad aiutare te ed Eragon a fuggire da Gil'ead».
Feci un cenno di assenso, poi la ragazza mi salutò e mi disse che avrebbe mandato suo padre da me entro un paio d'ore.
            Ajihad venne, accompagnato da Rothgar, ed entrambi stettero a sentire il mio succinto racconto, accomodandosi sugli sgabelli di fortuna accanto al mio pagliericcio.
Mi concentrai sui primi tre mesi di prigionia e feci un resoconto piuttosto dettagliato di ciò che avevo subito in quel primo periodo, fingendo che il tutto si fosse prolungato anche per i tre mesi seguenti. Evitai ovviamente di parlare di eventuali visioni, di Alba, dei baci -inizialmente umilianti- che Durza aveva lasciato sulla mia pelle.
A sua volta Ajihad fece a me e a Rothgar un breve riassunto delle disavventure vissute dal cavaliere, incastrando alla perfezione il racconto nel mio. Feci finta di nulla quando parlò di Gal, l'uomo che aveva mandato a cercare Brom e che probabilmente era stato intercettato dall'Impero. Da Durza a dire la verità, che era poi stato costretto a riferire le sue scoperte a Galbatorix. Ma non volevo sminuire ulteriormente il mio compagno di fronte al suo più acerrimo nemico e in ogni caso era un'informazione irrilevante. Ce n'era un'altra che era di importanza ben maggiore.
«Mentre ero prigioniera dello Spettro l'ho sentito parlare delle spie che avevano dato al sovrano le informazioni necessarie per intercettare me e gli altri custodi».
«Spie?» fece Ajihad con espressione dura.
«I Gemelli, parlava di loro. E non credo che ci siano molte persone con cui confondersi all'interno del Farthen Dur» dissi con convinzione.
Rothgar aggrottò le folte sopracciglia. «Non mi sono mai piaciuti quei tuoi stregoni Ajihad, mi sembrano due viscidi rettili. E per di più sono al di sopra di ogni controllo, dato che sono loro a scrutare le menti degli altri. È lo stesso problema che si è verificato con i cavalieri dei draghi: chi controlla i controllori?»
«Potrei farlo io» mi offrii.
Capii di aver commesso uno sbaglio quando il capo dei Varden liquidò la questione con un brusco gesto. «Se permettete ciò che riguarda gli uomini è sotto il mio controllo. Rispetto entrambi, la vostra autorità e la vostra razza, ma non voglio che nessuno di voi si immischi nelle faccende che sono sotto la mia autorità. Arya, probabilmente lo Spettro ti ha ingannata e in ogni caso non posso esserne sicuro».
Feci un cenno di assenso. «Come desideri. Ma ti prego di tenere gli occhi aperti e di moderare la tua fiducia nei loro confronti. È un consiglio in quanto tua alleata, non un tentativo di prevaricare la tua autorità».
«E io ti ringrazio del saggio consiglio. Non mi fido di nessuno al di sopra di me stesso e terrò d'occhio i Gemelli anche se sono certo della loro innocenza».
«E lascerai che il cavaliere mi segua ad Ellesméra?» mi accertai.
«Brom è morto e il patto stabiliva questo, quindi da parte mia non incontrerai resistenza. Tuttavia dovrai stare molto attenta, perché il giovane cavaliere -oltre ad essere piuttosto incosciente- è anche parecchio ingenuo. Mi ha riferito di essersi scontrato con Durza, a Gil'ead e ha detto che Murtagh, il figlio di Morzan, l'ha ucciso».
Il mio cuore perse un battito.
«Ma non è possibile, perché a quanto pare il giovane lo ha solamente colpito in fronte e che io sappia gli Spettri non possono morire, a meno che non ricevano un colpo dritto al cuore».
Rothgar annuì con l'aria di chi è sicuro di ciò che ha appena sentito e io mi ricordai appena in tempo di respirare.
«Ora il giovane cavaliere ha un nemico che lo odia profondamente» fece il re dei nani. «Non passa tanto in fretta l'umiliazione di una sconfitta, specie ad una creatura fatta d'odio».
«Lo so fin troppo bene» fu la replica di Ajihad. «Durza è un avversario temibile».
Ed estremamente testardo e orgoglioso. Aggiunsi tra me.
«Vi è un'ultima questione di cui vorrei metterti al corrente, Arya. Rothgar sa già tutto e anche Eragon, così non mi resta che dirla anche a te e pregarti di non riferirla a terzi, non voglio che il panico dilaghi a Tronjheim». Aspettò che annuissi poi proseguì: «Questo pezzo di pergamena è stato sottratto ad uno degli Urgali che ha cercato di sbarrare la strada ad Eragon. Si tratta di un comunicato mandato da Galbatorix in persona e pare riferirsi ad un futuro attacco. Non sappiamo ancora che posto sia questa Ithrö Zhada, ma deve trovarsi tra queste montagne e temiamo un attacco, anche se per il momento il Farthen Dur non è stato ancora scoperto».
«Ho già mandato dei ricognitori nelle gallerie» intervenne Rothgar. «Se ci saranno movimenti anomali lo sapremo immediatamente».
Annuii nuovamente e fui colta da sentimenti contrastanti quando seppi che Durza era annoverato tra i possibili comandanti. Certo, significava che era vivo, ma significava anche che stava muovendo un esercito di Urgali in direzione del Farthen Dur e ricordavo bene che possedeva mappe dettagliate delle gallerie sotto la montagna.
Cosa aveva intenzione di fare, esattamente?
I due rimasero per qualche altro minuto, ma, trovandomi improvvisamente chiusa in un ostinato mutismo, abbandonarono la stanza, lasciandomi con la sgradevole sensazione di stare combattendo la più dura battaglia della mia vita.

Dormii parecchio quella notte, ormai libera dagli incubi che mi avevano tormentata negli ultimi mesi. Il giorno seguente, sentendomi molto meglio, decisi di andare ad assistere all'esame che il cavaliere avrebbe subito; gli dovevo un ringraziamento o la mia scortesia avrebbe decisamente dato nell'occhio, senza contare che ero curiosa di conoscere finalmente il ragazzo che era più volte apparso nelle mie visioni e il drago che lo aveva reso cavaliere.
Non restai particolarmente sconvolta quando vidi che erano i Gemelli i giudici per quanto riguardava le abilità magiche del giovane. Era prevedibile, dato che erano i più abili maghi tra i Varden.
Me ne stetti in un angolo, non vista, a guardarlo passare con abbastanza disinvoltura da un incantesimo all'altro. Indubbiamente Brom era stato un ottimo maestro per lui ed Eragon non sembrava cavarsela male, per essere un umano.
Più volte i miei occhi scivolarono su Saphira, ammirando la bellissima e maestosa creatura, nata dall'uovo che avevo conservato con tanta cura per quasi vent'anni. Le sue squame catturavano la luce in modo ammaliante, rilucendo di un colore che pareva leggermente più chiaro di quello che era stato il suo uovo, più acquoso.
Mi riscossi dalle mie contemplazioni quando udii uno dei Gemelli chiedere ad Eragon di evocare l'essenza dell'argento. A quel punto non ci vidi più e, incurante degli sguardi sospettosi e guardinghi degli uomini intorno a me, avanzai nel piccolo gruppetto e li rimproverai aspramente, guadagnandomi le loro espressioni timorose.
Eragon mi guardò e riconobbi lo stesso sguardo che mi aveva lanciato la notte che mi aveva strappata dalla mia cella, a Gil'ead, lo sguardo di qualcuno che sembrava riconoscermi, ma non conoscermi.
Vidi che il qualche modo il mio intervento non era piaciuto agli uomini intorno a me, ma li ignorai e, attirato Eragon verso il centro del campo, rivendicai un duello con lui.
Perché lo feci? Volevo sondare le sue abilità fisiche, scoprire che guerriero aveva forgiato Brom, che genere di cavaliere fosse nato insieme al drago dell'uovo di zaffiro, quale giovane inesperto era riuscito a mettere Durza alle strette, fino ad ucciderlo, anche se solo temporaneamente. Mi guidava un misto di rabbia, irritazione, curiosità e aspettativa.
Eragon e Saphira erano pur sempre la possibilità che aspettavamo da anni per sconfiggere Galbatorix e io avevo fortemente contribuito alla loro creazione, anche solo sbagliando l'incantesimo che avrebbe dovuto portare l'uovo a Brom e che invece -come mi aveva riferito Ajihad- avevo mandato a lui.
Eragon era debole e lento come ogni essere umano, ma aveva molta fantasia e uno stile di combattimento piuttosto flessibile. Sembrava capace di adattarsi in qualche modo alle mie capacità, anche se non riusciva a raggiungerle. Probabilmente era il miglior spadaccino umano che avessi mai fronteggiato e rimasi abbastanza soddisfatta da quell'incontro e anche gli uomini intorno a noi, a giudicare dai complimenti che fecero al giovane. Nessuno mi disse nulla ovviamente e, una volta catturata l'attenzione di drago e cavaliere, mi allontanai dalla piccola folla con lui e Saphira e li ringraziai per ciò che avevano fatto.
Eragon mi disse di avermi vista in sogno, come una visione, e io mi limitai ad accennargli vagamente agli strani eventi che mi erano accaduti negli ultimi mesi. Era chiaro che il ragazzo non aveva la minima idea di che cosa fossero e non avevo intenzione di attirare ulteriori attenzioni su di me.
Mi congedai dai miei “salvatori” non appena mi fu possibile farlo senza apparire scortese e mi ritirai nella stanza che mi era stata assegnata.
Non avevo voglia di passare altro tempo in compagnia, quello era ancora il mondo che avevo scelto, quello in cui ero cresciuta e quello per cui avevo combattuto, tuttavia io ero cambiata. Durza mi mancava come se mi avessero sottratto un arto ed ero sinceramente preoccupata per ciò che avrei dovuto fare da quel momento in poi.
Lo Spettro si era rigenerato, dato che non lo avevano ucciso definitivamente. Ma come? E sopratutto: chi era l'uomo che era tornato? Era lo stesso che avevo lasciato con la promessa di rivederci il giorno dopo? O i suoi spiriti avevano nuovamente preso il sopravvento, come la notte che li aveva evocati?
Non sapevo nulla sulla materia, e nessuno poteva fornirmi ragguagli.
Cosa dovevo fare? Rischiare tutto e lasciare i Varden senza un perché, per lanciarmi nella cieca e pericolosa ricerca dell'uomo che amavo, ma non ero più certa che ricambiasse, non sembrava la migliore delle idee che avevo mai avuto fino a quel momento. Se non lo avessi trovato, o peggio, se avessi trovato uno Spettro sanguinario che mi vedeva come l'ennesima delle sue vittime, a quel punto avrei solo sprecato tempo ed energie che avrei potuto convogliare più facilmente nei miei antichi obiettivi: deporre Galbatorix.
Eppure allo stesso tempo non potevo fingere che gli ultimi sei mesi non fossero mai passati. Ne avevo la prova schiacciante nel ticchettio sempre più forte e sicuro che proveniva da dentro di me, il battito sempre più forte del cuore di nostro figlio.
Dovevo prendere una decisione.

Tuttavia fui sollevata dall'arduo compito il giorno seguente, quando un nano si presentò alla mia porta, ancora prima dell'alba, dicendomi che Ajihad voleva vedermi con urgenza.
Fui condotta in biblioteca, dove presto mi ritrovai coinvolta in un incontro con Ajihad, Jörmundur, Orik, Eragon e Saphira.
«Un esercito di Urgali si trova ad un giorno di marcia da qui» disse il capo dei Varden.
Non dissi nulla. C'era da aspettarselo visto il precedente messaggio intercettato ad un Urgali, in cui si accennava solo vagamente ad un futuro attacco a Tronjheim. Io poi sapevo che l'impero conosceva buona parte dei cunicoli dei nani e poteva raggiungere il covo dei Varden con facilità.
            Per le ore seguenti aiutai i nani a fare crollare innumerevoli tunnel sotterranei, così da costringere l'armata a convergere sotto Tronjheim, dove le truppe dei Varden avrebbero potuto tenerli a bada. Un fiume di gente si riversò all'esterno della città, in direzione delle gallerie che avrebbero permesso loro di lasciare il Farthen Dur ed essere scortati nel Surda in caso di sconfitta. Riconobbi sopratutto molti bambini, vecchi e donne. Mi chiesi per l'ennesima volta perché gli uomini non pensassero mai a mettere un'arma in mano alle loro figlie e spose, ma sapevo che il problema aveva radici troppo profonde nella loro cultura: gli uomini era previsto facessero lavori di fatica e le donne era previsto che si prendessero cura di loro e dei loro figli. Donne guerriere erano una rarità assoluta nella loro società prevalentemente maschilista.
Riuscii a procurarmi almeno una giubba corazzata da mettere sopra ai miei pratici abiti da viaggio e sedetti insieme al battaglione a cui mi ero unita, quello dove c'erano anche Eragon e Saphira.
Quella battaglia era un incognito per tutti, ma non avrei permesso che succedesse nulla di male al cavaliere e al suo drago. Avrei tenuto la mente aperta e cercato la coscienza di Durza e, nel caso l'avessi trovata, lo avrei raggiunto immediatamente e avrei fatto il possibile perché lui ritirasse le truppe. Sempre che non fosse sotto l'ordine diretto del re, ovviamente. A quel punto l'unica cosa che avrei potuto fare davvero era colpirlo mortalmente alla testa e metterlo nuovamente fuori gioco per.. quanto? Non sapevo quante ore, o quanti giorni impiegasse uno Spettro per rigenerarsi, ma se fossero state anche solo due ore probabilmente sarebbero bastate per ricacciare le litigiose bande di Urgali.
Mi imposi di respirare con calma e rallentare il battito del mio cuore agitato. Non potevo fare altro che aspettare, vegliare su quel giovane gentile e irrispettoso che era Eragon e sulla pacata creatura che lo accompagnava.
Approfittai della lunga attesa per rinnovare gli incantesimi di protezione su di me, intensificandoli sproporzionatamente nel punto in cui cresceva la mia creatura. Anche quella era una preoccupazione tutta nuova, non ero abituata ad essere cauta nell'espormi al pericolo e mi sembrava che in qualche modo la mia vita mi fosse stata sottratta. Non era più una questione solo mia, c'era qualcun altro in gioco.
            Fui io a risvegliare i miei compagni, poche ore dopo, quando le prime grida rimbombarono nel sottosuolo e gli esploratori dei nani riemersero per comunicare la notizia dell'avanzata degli Urgali. A quanto pareva non c'erano uomini dell'esercito imperiale insieme a loro e questo mi fermò ulteriormente nella convinzione che avrei trovato lo Spettro -volente o nolente- al comando delle loro fila.
Finii quasi subito le frecce e mi lasciai assorbire dallo scontro armato, troppo concentrata nel guardare con sgomento quanti Urgali stesse vomitando la terra per poter espandere la mia coscienza per non più di qualche miglio. Di Durza nessuna traccia.
E per i Varden e i loro alleati si stava mettendo veramente male.
La voce profonda di Saphira mi sfiorò la mente: «
I Gemelli hanno contattato Eragon. Dicono che ci sono rumori provenienti da sotto Tronjheim, forse gli Urgali stanno aprendo un tunnel sotto la città. Vogliono che andiamo a bloccarli».
Mi guardai intorno ed individuai drago e cavaliere con la coda nell'occhio.
«I Gemelli?» chiesi, improvvisamente sospettosa.
«Ajihad li ha incaricati di supervisionare la battaglia e uno di loro è sopra Isidar Mithrim».

Poi il drago atterrò davanti a me, schiacciando con la sua mole diversi Urgali ed io afferrai istintivamente la mano di Eragon, issandomi in sella dietro di lui e tenendo saldamente la spada nella mano sinistra.
Non mi fidavo affatto dei Gemelli, ma era meglio non ignorare le loro parole, magari stavano semplicemente ubbidendo ad ordine di Ajihad.
Sobbalzai sentendo Saphira ruggire di dolore: un Urgali l’aveva colpita sul petto. Ci alzammo in volo e vidi lo stesso mostro alzare la sua arma, pronto a scagliarla. Mi affrettai ad evocare la mia magia e a colpirlo.
Volammo via dal campo di battaglia, piuttosto instabili.
«Sta bene?» domandai a Eragon, strillando per farmi sentire e evitando di guardare sotto di me. Non avevo mai volato a dorso di drago e volevo evitare reazioni impreviste da parte del mio corpo.
«L’armatura è schiacciata verso l’interno, le da fastidio». La sua voce vibrò di preoccupazione per il suo drago. Mi fece quasi tenerezza.
«Resterò io con Saphira quando atterreremo» mi offrii. «E quando l’avrò liberata dall’armatura, ti raggiungerò».
Così mi accerterò che la convocazione non sia una trappola.
«Grazie» disse lui, un’espressione di puro sollievo in volto.
Ma quando arrivammo su Isidar Mithrim, dove avremmo dovuto trovare almeno uno dei Gemelli, di loro non c'era traccia.
Eragon si accertò rapidamente della condizioni di Saphira, prima di borbottare un: «Buona fortuna», e correre via.
Lo chiamai, invano. Stupido! Eravamo in cima a Vol Turin, la scala infinita, avrebbe almeno dovuto farsi portare alla base di Tronjheim. Come avrebbe fatto a scendere?
Sbuffai, avrebbe aspettato. Il mio compito era liberare la dragonessa e mi accinsi a farlo con delicatezza, sperando di non farle troppo male. Scostai le placche metalliche dell’armatura, lentamente.
«Arya» mi richiamò all’improvviso lei. «Eragon è sceso con lo scivolo. È arrivato illeso».
Che incosciente.
Mentre incastravo le dita tra la seconda placca del pettorale e le squame di Saphira, espansi di nuovo la mente, alla ricerca dei Gemelli. E invece percepii Durza.
«Durza!» esclamai automaticamente, dimenticando per un attimo che sicuramente non poteva sentirmi da quell'altezza.
«Eragon lo ha detto anche a me! Sbrigati a liberarmi, lo sta affrontando da solo e non ha possibilità!»
Il cavaliere lo stava affrontando. Durza. Il mio Durza.
Saphira era allarmata almeno quanto me e un senso di angoscia mi serrò la gola, impedendomi quasi di respirare. Presi a liberare l'armatura con ansia febbrile, senza più preoccuparmi se la cosa fosse dolorosa per lei o meno.
La mia mente era volta ad un unico pensiero: Non avrei lasciato che nessuno dei due uccidesse l’altro.
Perché uno era il primo cavaliere libero da un secolo, e l’altro era l'uomo con cui avevo deciso di vivere una buona fetta della mia vita, l’unica persona al mondo che sarebbe mai stata in grado di rendermi veramente felice. E io non potevo permettermi di perderlo, o avrei perso una non indifferente parte di me stessa.
«Dobbiamo aiutarlo!» gridai, senza capire bene neanche io a chi mi riferissi.
Saphira pensò ovviamente che parlassi del suo cavaliere e mi mandò un'immagine mentale che doveva corrispondere alla condizione di Eragon in quel momento. Una gran brutta condizione.
Strappai l'ultima placca dal suo torace e mi guardai intorno, consapevole di avere solo pochi istanti per prendere una decisione.
E la presi. Richiamai il mio potere e colpii la pietra sotto di me, saltando contemporaneamente in groppa a Saphira. La dragonessa si tuffò in picchiata, eruttando una fiammata gialla e azzurra. Strinsi le cosce sui suoi fianchi per non essere sbalzata via e boccheggiai, travolta dal calore del suo fuoco. Mi prese una fortissima sensazione di vertigine, che mi chiuse la bocca dello stomaco e mi riempì la testa d'aria, ma riuscii a riprendere il controllo di me stessa in misura sufficiente a pronunciare un incantesimo per controllare la caduta dei frammenti di Isidar Mithrim, o altrimenti il mio intento di salvare Durza ed Eragon sarebbe fallito comunque
Intravidi subito le figure dei due combattenti. Eragon era accucciato a terra e mi guardava con gli occhi di chi vede un’apparizione, il volto rigato di lacrime e un lago di sangue che si allargava intorno a lui.
Durza era di spalle e continuava ad ignorare la pressione della mia mente sulla sua, tuttavia si voltò anche lui, quasi lentamente, i capelli rossi schiacciati sotto un elmo nero.
Il tempo parve dilatarsi, mentre il suo viso trasfigurato in una maschera di disprezzo si alzava nella mia direzione. Vidi i suoi occhi ricolmi di sangue, odio e follia, lo stesso sguardo che gli avevo visto ogni volta che era stato in balia dei suoi Spiriti.
Alzò una mano e per un attimo fui certa che sarei stata uccisa dal mio stesso compagno. Tuttavia lo Spettro ebbe una piccola, impercettibile, esitazione. I suoi occhi si schiarirono e la sua voce si riversò, fredda e carezzevole, nella mia mente.
«Arya», disse.
In quella situazione quasi sospesa, il bagliore rosso della spada di Eragon mi parve quasi accecante.
Il cavaliere si scagliò in avanti.
E colpì Durza proprio al centro del torace, dove la placca di metallo che portava sicuramente sotto l'armatura avrebbe potuto salvarlo da molte ferite. Ma non da un colpo diretto.
In un attimo fu tutto finito: Durza urlò e fissò sconvolto la lama conficcata nel suo petto, poi la sua pelle si fece trasparente e poi polvere, che svanì nel nulla. Restai a fissare tre ombre -unico resto del suo corpo- che volteggiavano verso l'alto, attonita.
Saphira atterrò e io scivolai giù dal suo dorso, circondata da una sensazione di irrealtà. La magia che nell'ultimo tratto della discesa aveva sostenuto i frammenti di Isidar Mithrim sfuggì al mio controllo e una parte di essi si fracassò a terra con un gran baccano, distruggendosi in frammenti ancora più piccoli. Vidi a malapena Saphira intenta a proteggere Eragon sotto la sua ala, poi una grossa scheggia si conficcò nel mio braccio destro, così in profondità da toccarmi l'osso.
La tolsi quasi distrattamente, ma la stilettata di dolore non poté distrarmi dall'abisso di orrore nel quale stavo lentamente sprofondando. Caddi in ginocchio davanti agli abiti di Durza e un violenta convulsione mi scosse tutto il corpo, trasformando il mio respiro in brevi spasmi.
A terra davanti a me c'erano la sua armatura, il suo elmo, il suo mantello di pelli di serpente. Riconobbi il pallore della sua spada e lo scintillio dell'incisione sul pomolo di Luna, sfiorai il medaglione con il sole e le lisce pietre quadrate dell'anello di ametiste. Poi da una piccola bisaccia mi giunse un pungente odore di menta.
Qualcuno si inginocchiò accanto a me e mi afferrò le spalle.
«Arya devi guarirti prima di morire dissanguata» disse Angela, mettendomi tra le mani una borraccia e costringendomi a berne un sorso.
La mia gola rimase secca e il sangue continuò a fluire copioso dalla mia ferita al braccio, bagnandomi di liquido caldo i pantaloni.
Strisciai di una iarda all'indietro. A Durza non avrebbe certo fatto piacere se gli avessi macchiato il prezioso mantello, gli piaceva molto. Ricordavo che lo indossava il giorno in cui mi aveva protetta da Lord Barst, la prima volta che avevo sentito il profumo della sua pelle. Magari lo avrebbe indossato anche il giorno della nostra partenza.
«Arya» mi richiamò Angela con un tono dolce e insieme conciliante che mi colpì come una stilettata.
«No» rantolai. E mi venne un conato, ma non vomitai.
«Sei qui da parecchi minuti e hai perso molto sangue. Guarisciti e poi aiutami a guarire Eragon, ti va? Se lui morisse Galbatorix resterebbe sul suo trono per sempre e non è questo ciò che vuoi, giusto?»
«No» ripetei in tono assente, la gola e il cuore dolorosamente serrati in una morsa.
Con un paio di schiaffi ben assestati sul mio viso, Angela la Venerabile mi tirò in piedi e mi trascinò fino al punto in cui giaceva Eragon, riverso sulla schiena e immerso nel suo stesso sangue. Angela lo voltò con delicatezza e rinnovò l'ordine di guarirmi il braccio.
Lo feci, pronunciando la formula con fatica immane, come se avessi della polvere in bocca. A soffocarmi.
Poi la aiutai effettivamente a guarire Eragon, limitandomi a rimarginare i tessuti e dimenticandomi per un breve attimo di dove fossi. Quasi non notai che Saphira stava fornendo sia me che Angela di nuove energie, né mi accorsi della folla di persone che andava radunandosi intorno a noi.
«Basta così» disse lei ad un certo punto. «Al resto ci penseranno le mie erbe».
Mi ripiombò tutto addosso e per un attimo fui certa che sarei morta anche io.
«Venerabile, ti prego..»
uccidimi.
Angela sorrise con leggerezza. «Sarà meglio che tu dia una mano con gli altri feriti. Puoi salvare molti di loro da una morte certa, lo sai, ed è tuo dovere farlo. Quando ti sentirai così stanca da non riuscire nemmeno a ricordare il tuo nome, allora potrai cercare una branda e sono sicura che riuscirai a dormire».
Oh sì, salvare vite. Lo facevo da decenni, ma non sempre riuscivo a salvare tutti.
«Prendo io le sue cose» aggiunse, guidandomi al seguito degli uomini che avevano sollevato Eragon e lo stavano portando via. Saphira mi seguì, gli occhi fissi sulla figura del cavaliere.
Arrivammo in un edificio dove, nelle ore seguenti, i feriti si moltiplicarono come funghi. Gli ultimi arrivati annunciarono gioiosi la vittoria e la cacciata degli Urgali, mostrando entusiasmo persino con me, che di solito ero allontanata e guardata con sospetto.
Ajihad arrivò per ultimo e venne dritto nella mia direzione, implorandomi di sanare le sue ferite, così da poter inseguire gli Urgali nei tunnel con un drappello e scacciarli definitivamente dalla montagna.
«Sono vere le voci?» mi chiese poi, le nere sopracciglia unite in un'unica linea.
«Angela è con Eragon» riuscii solo a balbettare.
«E tu sei sfinita. Dovresti riposarti. Puoi portarmi da lui?» aggiunse poi, notando che persistevo nel mio mutismo.
Lo accompagnai alle scale e poi cercai la stanza in cui era stato deposto il cavaliere qualche ora prima. Angela uscì nel preciso istante in cui io e Ajihad arrivammo davanti alla porta e, con un gesto grave e solenne, porse al capo dei Varden una lunga spada sottile, incrostata di sangue, con un graffio lungo la lama.
Ajihad sgranò gli occhi e fissò l'arma per diversi secondi. «Lui è morto?»
«Morto per sempre» confermò Angela.
Gli occhi scuri dell'uomo si riempirono di lacrime, che scivolarono lungo l'ovale del suo viso. In qualsiasi altra occasione mi sarei stupita per l'avvenimento, ma in quel momento lo osservai impassibile e con disinteresse.
«Nadara è vendicata» ringhiò, sigillando le palpebre e prendendo in mano la spada.
Sapevo che Nadara era la madre di Nasuada e che era morta prima che Ajihad si unisse ai Varden.
«La farò fondere» aggiunse Ajihad.
«Eragon ha ucciso lo Spettro, spetterebbe a lui la decisione» osservò Angela.
«Sono certo che approverebbe. Il ragazzo sta bene?»
La donna tentennò. «Sì, meglio» rispose poi, laconica.
«Se hai altri oggetti dello Spettro manderò Jörmundur a prenderli. Vanno bruciati e distrutti».
E detto questo scese le scale di corsa, dimenticando l'intento di accertarsi di persona delle condizioni di Eragon.
«Arya dammi la tua spada e i tuoi pugnali, se ne hai» mi riscosse la Venerabile.
Le porsi Ren, con tutto il fodero, senza neanche perdere il mio tempo a farmi delle domande.
«Ricordi il tuo nome?» domandò, abbozzando un sorriso.
«No»
ma il suo sì.
«Bene». Abbassò la voce. «Allora ricordati anche che il tuo bambino ha sette settimane, è grande come un lampone, ma ha già gli occhi quasi formati e il suo cuore pompa il sangue nel suo corpo. E si sta anche muovendo, solo che tu non puoi sentirlo. Tra poche settimane potrai percepire la sua coscienza».
Non ricordo il tragitto, ma sono certa che sprofondai in un sonno senza sogni, forse indottomi da Angela stessa.
Solo quando mi risvegliai capii il senso delle sue azioni. Se fossi stata solo io e avessi avuto Ren con me avrei faticato parecchio a resistere alla tentazione di piantarmela nel cuore.



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Ehilà ciao! :D
Mi sono presa il mio tempo per questo capitolo, perché mi sembrava importante incastrare tutti i fatti in modo da spiegare il comportamento di Arya nei prossimi mesi, oltre a presentare un po' la nostra Angela, quindi è uscito parecchio lunghino, spero mi perdonerete!
Siamo arrivati alla fine di “Eragon” e, come da copione, Durza ci ha lasciati (dopo anni dalla prima lettura piango ancora, sigh). Inizialmente era previsto che Arya adagiasse i frammenti di Isidar Mithrim a terra e cadesse svenuta alla vista degli abiti dello Spettro afflosciati a terra, ma poi mi sono detta che la cosa sembrava fin troppo facile, no? E in una vena di puro sadismo ho deciso di farle vivere da cosciente anche le ore che seguono il lutto. È inutile specificare che la poveretta non ha ancora ben realizzato cosa sia successo al suo uomo, nonostante sia avvenuto sotto i suoi occhi.
In una prima versione era anche previsto che Durza e Arya avessero un breve scambio di pensieri prima della sua morte, il classico “ti amo” e “aspettiamo un bambino”, ma poi mi sono resa conto che i tempi della narrazione erano troppo stretti e che sarebbe diventato troppo melodrammatico, quindi mi sono limitata ad un “Arya” di addio. Quindi Durza non ha nemmeno saputo di suo figlio ed è morto prima di poter dire nulla T_T
Aiuto la mia storia mi fa soffrire troppo!
Tuuuuttavia non è ancora finita e vi informo che avremo altri interessanti colpi di scena da qui alla fine ;)

Mi sono persa anche il 24, che era il secondo compleanno di questa storia (mi vergogno un sacco di non averla ancora finita, sappiatelo) e vi ringrazio tanto per il contributo grande o piccolo che date o avete dato alla sua crescita, significa molto per me ^_^
Con il cuore che sanguina, vi saluto e vi informo che dovrò fare nuovamente un salto di settimana. Spero davvero che sia l'ultima volta che succede una cosa del genere.
Enormi baci a tutti voi,
Lalli
  
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