[Durza]
Il
dolore era partito tra gli occhi, dove la freccia si era conficcata,
e poi si era rapidamente diffuso e ramificato in tutto il corpo,
strappandogli le membra in mille frammenti e annullando la sua
coscienza.
Si era ritrovato nel buio più totale, annichilito come
il primo giorno che gli Spiriti si erano fusi alla sua coscienza. Non
riusciva a pensare, a parlare, non riusciva nemmeno a sentire il
proprio corpo.
Era solo nero e sussurri. I sussurri rabbiosi delle
tre entità che lo avevano accompagnato e guidato per gran
parte
della sua vita, i suoi più intimi amici e alleati e i suoi
più
grandi e oscuri nemici.
La prima cosa che tornò a sentire furono
le proprie mani, poi la sensibilità tornò alle
braccia, al torace e
da lì alla testa e agli arti inferiori. Il suo corpo
bruciava, come
invaso dalle fiamme.
Durza aprì gli occhi con un gemito di dolore
e se li trovò feriti dalla luce del sole, che entrava
prepotentemente da un buco sul soffitto. Si guardò intorno e
riconobbe subito l'ambiente spartano del refettorio, così
come
riconobbe il mucchio di abiti che giacevano sparsi a terra accanto a
lui. Solo a quel punto si rese conto di essere completamente nudo e
si affrettò a recuperare i propri vestiti e ad indossarli.
Trovò la
sua spada e il suo mantello, e quando afferrò la catena con
il sole
d'argento e vide il luccichio violetto dell'anello di ametiste
ricordò tutto ciò che era accaduto, con una
chiarezza quasi
violenta: il cavaliere era riuscito ad ingannarlo e il suo amico lo
aveva colto di sorpresa, colpendolo alla testa. Era stato ucciso per
la prima volta in vita sua e il ritorno era stato terribilmente
doloroso, più di qualsiasi dolore mai provato prima.
Un'ondata di
furia cieca lo investì da testa a piedi, facendolo tremare
violentemente e acuendo il bruciante mal di capo che sentiva da
quando aveva ripreso coscienza di sé. Gli Spiriti gli
parlavano di
violenza, dell'inebriante odore del sangue, del potere che dava
vedere la luce lasciare gli occhi di un essere vivente.
Arya.
Doveva trovare Arya. Lei lo avrebbe aiutato a metterli a tacere,
almeno un poco.
Ma il cavaliere se l'era portata via. Aveva
sentito il suo richiamo di aiuto ed era accorso il prima possibile,
tuttavia aveva bloccato gli intrusi solo nel refettorio, dove aveva
visto la sua donna riversa a terra accanto al giovane. E poi il
figlio di Morzan l'aveva colpito.
Puntellandosi alla propria
spada, quella preziosa lama che decenni prima aveva rubato ai
briganti che avevano ucciso Haeg, si alzò in piedi e
inclinò la
testa di lato, concentrandosi sui suoni. Effettivamente regnava un
silenzio innaturale: nessun suono proveniente dalle caserme, non
dalle carceri, non dal cortile esterno. Solo avvicinandosi alla
cucina cominciò a sentire delle voci, voci che si spensero
bruscamente quando spalancò la porta.
«Dove sono finiti tutti?»
domandò, la voce tesa dall'ira.
Gli risposero sguardi
stupefatti.
«I soldati sono usciti per inseguire il prigioniero
fuggito, mio signore» rispose uno dei cuochi. «Ieri
notte c'era un
drago qui.. Hanno detto che eri morto».
«So cosa è successo
ieri notte» lo freddò. «Hillr
è ancora qui?»
«Sì, mio
signore».
«Vai a cercarlo e mandalo nel mio studio
immediatamente».
Si accasciò sull'unica sedia della sua
scrivania e subito rievocò la sera in cui Arya si era seduta
sopra
di essa.
Sentì un vuoto scavargli lo stomaco quando
realizzò di
avere nuovamente perduto una persona cara, nonostante avesse ormai il
potere sufficiente per opporsi a buona parte delle forze in
Alagaësia. L'unica, sostanziale differenza alla quale si
aggrappò
disperatamente, era che il cavaliere non avrebbe mai fatto del male
ad Arya, non ne avrebbe avuto alcun interesse e inoltre il suo drago
avrebbe dovuto riconoscerla come la sua custode. O forse no?
Forse
l'avrebbero punita per essersi alleata di uno Spettro, se lei fosse
stata così avventata da rivelarlo.
E per di più aveva un veleno
mortale nel sangue.
Si tirò i capelli, poi rovesciò la testa
all'indietro e lanciò un grido di rabbia, che decisamente
non lo
aiutò a migliorare il suo mal di testa.
Doveva andare a prendere
Arya. La amava, la amava davvero come non aveva mai amato nessuno in
vita sua e non se la sarebbe lasciata strappare senza fare nulla.
Avevano dei progetti, dei sogni, e non avrebbe permesso a nessuno
-tanto meno a un giovane cavaliere arrogante- di
infrangerli.
Finalmente udì i passi di Hillr nel corridoio e
stava per uscire dalla stanza e scuoterlo fino a che non gli avesse
detto tutto ciò che stava accadendo, ma poi capì
che i passi
appartenevano a due persone.
Così cercò di rilassarsi e non fare
trapelare la propria inquietudine, si accomodò sulla sedia e
incrociò le mani davanti a sé.
L'uomo che accompagnava Hillr era
il capitano delle guardie mandate del re e aveva gli occhi iniettati
di sangue e il viso di un giallo malsano.
«Mio signore» fece
Hillr, inchinandosi.
Il capitano si limitò a fargli un cenno e ad
avanzare a grandi passi fino all'orlo della sua scrivania.
«Abbiamo
trovato i tuoi abiti e le tue armi a terra nel refettorio e credevamo
che il cavaliere ti avesse ucciso, ma sono felice di vedere che sei
tornato. Il cavaliere ci è scappato e si è
portato l'elfa con sé,
senza contare che alcuni dei miei uomini hanno riconosciuto il
giovane che li accompagnava come un altro ricercato: Murtagh, il
figlio di Morzan. Sappiamo che si stanno dirigendo a sud e buona
parte dei soldati d'istanza a Gil'ead li sta inseguendo».
Durza
immagazzinò le informazioni del capitano e capì
dal suo tono
scoraggiato che non credeva che sarebbero mai riusciti a recuperare i
fuggitivi. Ma in effetti non avevano preso in considerazione una
seconda risorsa: gli Urgali. Urgali che effettivamente erano rimasti
privi di direttive per.. quanto tempo era passato? Lo
domandò ai
suoi interlocutori.
«Sono passate circa dodici ore da quando il
drago è entrato, sfasciando il soffitto del
refettorio» rispose
prontamente il capitano, con precisione militare.
«Avete notizie
degli Urgali?»
«Dispersi. Alcuni di loro hanno cominciato a
lanciarsi in scaramucce lungo le sponde del lago Leona e io ho
ordinato ai soldati di stare loro lontani. So che eri tu il loro
comandante e che non avrebbero risposto ad altri che a te»
disse
vagamente.
Probabilmente il re gli aveva dato alcune informazioni,
ma non aveva specificato come Durza fosse riuscito a dominare quelle
creature. E gli Urgali si erano ovviamente svicolati dal suo
controllo quando lui era.. morto? Sì, in fondo era davvero
morto,
anche solo per una dozzina di ore.
«Bene, signori», disse, «io
credo che andrò a fare valere di nuovo la mia
autorità sugli
Urgali, poi credo che li seguirò alle calcagna dei
fuggitivi».
E
recupererò Arya e la terrò al sicuro fino a che
non mi sarò
liberato dell'autorità che Galbatorix ha su di me.
Il
capitano non si azzardò a toccarlo ma gli fece capire che
intendeva
fermarlo muovendo un lieve passo di fronte a lui. «Dobbiamo
fare
rapporto al re, entrambi. Quindi pensavo che potresti usare la tua
magia e contattarlo o presto lo farà lui e sarà
più infuriato che
mai» disse in tono pratico.
Per la prima volta dopo la breve
permanenza del suo manipolo a Gil'ead, Durza provò un moto
di
simpatia per il capitano. E per di più aveva anche ragione:
ormai
non poteva più andare ad Uru'baen, non senza una buona
motivazione,
e aveva perso il suo diversivo.
«Hillr rimani nei paraggi, dopo
dovrò parlare anche con te» disse, congedandolo.
L'uomo uscì e
lo Spettro fece cenno al capitano di avvicinarsi allo specchio che
aveva appeso alla parete vicino alla scrivania. Gli spiegò
brevemente cosa sarebbe successo e l'uomo ne approfittò per
ravvivarsi i capelli e riassettarsi la barba.
Senza preoccuparsi
troppo del suo aspetto, Durza aprì una comunicazione diretta
con
Galbatorix, che comparve sulla superficie liscia dello specchio pochi
minuti dopo.
Lasciò parlare il capitano, anche se la sua arte
oratoria era decisamente inferiore alla sua. Vide l'espressione del
sovrano deformarsi sotto i suoi occhi e passare dal pacato e paterno
all'iroso, fino a che non sollevò una mano e
bloccò i patetici
tentativi del capitano di spiegargli che i suoi uomini sarebbero
sicuramente riusciti a recuperare i prigionieri e il figlio di
Morzan.
«Io mi sono fidato ciecamente di entrambi, eppure
entrambi avete duramente deluso le mie aspettative. I vostri
rispettivi compiti erano talmente facili, di così piccola
entità
rispetto a tutto ciò che io ho fatto per voi, che il vostro
fallimento risulta come un'offesa alla mia persona e alla mia
autorità. Entrambi sarete responsabili del recupero di tutti
i
prigionieri che avete lasciato scioccamente fuggire e vi consiglio di
non presentarvi più davanti a me o alla mia corte fino a che
non li
avrete nelle vostre mani. Mi dite che si stanno spostando verso sud,
ebbene Geerten, tu continua a tallonarli con gli uomini, tu Durza li
seguirai con gli Urgali. Ora capitano ti prego di lasciare la stanza
in cui vi trovate e di ricordare le mie parole: sarai accolto come un
eroe se porterai a me quei pericolosi criminali, in caso contrario
l'onta dell'insubordinazione si abbatterà su di te e sulla
tua
famiglia, i tuoi figli non troveranno mogli e la tua progenie
finirà
nell'ombra».
Il capitano Geerten si inchinò con le lacrime agli
occhi e lasciò la stanza, decisamente determinato ad
ubbidire agli
ordini del suo signore.
«Durza» fece il sovrano, con tono di
rimprovero. «Ti sei fatto prendere in giro da un ragazzino e
dalla
sua banda di scapestrati».
Faticò parecchio a chinare il capo e
a dire, con tono dimesso: «Mi dispiace».
«Sai che ormai non
basta più. Questa era la tua terza occasione, non credo che
ne avrai
una quarta. Dopo che questa storia sarà finita sarai dimesso
dal tuo
ruolo di governatore e integrato nell'esercito. Credo che fanteria
potrebbe andare».
Teoricamente avrebbe dovuto sentirsi umiliato
dalle nuove disposizioni del suo signore, ma ovviamente non lo era.
Non quando l'unica immagine che aveva davanti agli occhi era quella
di Arya, sulla prua di una nave, con i capelli corvini scompigliati
dalla brezza marina e gli occhi verdi che lo fissavano con
affetto.
Non sarebbe diventato un semplice soldato di fanteria,
avrebbe ucciso l'uomo che voleva vantare diritti di vita o di morte
su di lui e poi sarebbe fuggito con la donna più bella che
si
potesse desiderare.
«Come comandi, mio re» si costrinse a
rispondere.
«C'è forse qualcosa che mi stai nascondendo?
Qualunque cosa sia ti ordino di mettermene immediatamente al
corrente» fece il sovrano in tono volitivo.
Con suo estremo
stupore, nessuna morsa gli strinse la mente, la sua lingua non si
mosse contro la sua volontà, le labbra non si schiusero a
rivelare
tutte quelle verità che gli avrebbero procurato una morte
certa e
pressoché immediata.
Impiegò qualche istante, ma alla fine capì:
il suo vero nome era cambiato. Forse grazie ad Arya, forse grazie
alla sua momentanea morte, forse grazie ad entrambe, ma non sentiva
più nessun obbligo, nessuna costrizione, niente che lo
legasse a
quello che per un secolo era stato il suo padrone.
Si inchinò,
per nascondere il ghigno che andava sbocciando sulle sue labbra.
«Ti
assicuro, mio re, che non ti nascondo nulla. Farò
ciò che mi hai
ordinato e seguirò le orme dei fuggitivi con i miei Urgali.
I Kull
corrono parecchio più veloci di un semplice umano e sono
certo che
riusciremo a raggiungerli molto prima che raggiungano i Varden, il
Surda o qualunque rifugio possano trovare a sud. Dammi un paio di
settimane e vedrai che te li consegnerò
personalmente».
Il re
parve pensieroso. «Mi stai chiedendo di darti la tua quarta
possibilità?»
«Sì» mentì prontamente.
«E sia! Ma voglio
uno sforzo in più da te, Durza. Finora i Varden non sono
stati nulla
più di una seccatura, una piccola falla in una diga
perfetta, ma ora
la falla si sta ingrandendo e io non posso permettere che tutto
crolli. Per farla breve: dopo che avrai catturato i fuggitivi voglio
che tu continui la tua marcia fino al covo dei Varden e li distruggi.
Non ti sarà difficile dato che hai nelle tue mani tutte le
informazioni che ti servono. Hai conservato le carte che ti feci
pervenire un anno fa, non è vero?»
«Certamente».
«Allora
fanne buon uso. Gli ordini sono semplici: attacca i Varden, coglili
di sorpresa e uccidi tutti, dal neonato in fasce al vecchio senza
denti. Ogni singolo essere vivente sotto la montagna è un
nemico.
Per quanto riguarda Ajihad.. non ho intenzione di trattare, quindi
fa' di lui ciò che desideri, purché non resti in
vita. Ti
contatterò non appena avrò parlato con i Gemelli
e manderò a te e
agli Urgali un piano più preciso per l'attacco. Mi
raccomando, non
deludermi o saprò come fartela pagare».
Ed annullò la magia che
permetteva di comunicare con lui.
Durza dovette lottare per lunghi
minuti contro gli Spiriti, che scalpitavano eccitati alla sola idea
di sangue e morte, sopratutto della morte di Ajihad. Del resto lui
che colpa ne avrebbe avuto? Poteva salvare Arya, lasciarla
incosciente un paio di giorni e sfruttare il tempo per uccidere
finalmente l'uomo che inseguiva da decenni. A lei avrebbe poi detto
di essere ancora sotto l'influenza di Galbatorix e di non avere avuto
scelta.
Ne avrebbe sofferto, forse, ma lo avrebbe sicuramente
giustificato e perdonato una volta che il re fosse morto. Ma lui?
Poteva vivere ancora di menzogne?
Ma
non tentare di ingannarmi con finte promesse o ti giuro sulla mia
vita e su quanto ho di più caro in questo mondo che non
avrai mai e
poi mai il mio perdono. A quel punto avresti creato la tua
più
acerrima nemica, per di più custode di parecchi dei tuoi
segreti.
Si
strinse la testa tra le mani e la scosse violentemente. No, non
l'avrebbe mai fatto, non se il rischio era di perdere la prima vera
persona importante dopo un secolo di aridità.
Tuttavia gli
Spiriti non furono così rapidi a demordere e, per tutta la
giornata,
fu vittima di spaventosi sbalzi d'umore a causa dei violenti impulsi
che le creature diffondevano nella sua coscienza. Pareva che l'intera
operazione di morte e rinascita li avesse rafforzati.
Parlò con
Hillr e gli affidò il comando della città fino a
che non fosse
tornato -rendendosi conto lui stesso che probabilmente non sarebbe
tornato affatto- poi richiamò gli Urgali all'ordine e
passò loro
secchi comandi, radunando i primi squadroni di Kull, che avrebbe
mandato il prima possibile alle calcagna dei fuggitivi, con l'ordine
di catturarli ma non fare del male a nessuno di loro.
I
preparativi gli richiesero più tempo di quanto avesse
previsto,
forse perché recuperare il controllo sugli Urgali si era
rivelato
piuttosto complicato. Si ritrovò, a un'ora dalla mezzanotte,
a
mangiare di malavoglia la cena fredda e a trascinarsi verso il suo
letto. Era stanchissimo e si chiese se per caso non avesse
sottovalutato il prezzo della rigenerazione, tuttavia non appena si
coricò capì che il riposo non sarebbe giunto con
tanta
facilità.
Aveva diviso quel letto con Arya, c'era ancora il suo
odore tra le lenzuola e lei era chissà dove, con un
pericolosissimo
veleno in corpo, affidata alle sbadate cure di un ragazzino. Se mai
l'avesse rivista, viva e vegeta, si sarebbe chinato a baciarle i
piedi.
Accese una candela e, preso il pugnale Luna, iniziò ad
incidere distrattamente la testiera del letto. Non aveva una grafia
particolarmente gradevole, era troppo fitta e spigolosa, ma era
abbastanza abile ad incidere il legno, lo aveva fatto spesso quando
era un ragazzo. Scrisse il nome dell'elfa, piccolo e rassicurante, e
poi incise una barca, così ricca di dettagli da sembrare che
fosse
stata imprigionata nel legno. Poi si addormentò, il pugnale
ancora
in mano, abbandonandosi a sogni agitati.
[Arya]
«Vi
ringrazio molto per le vostre cure, ma ora vorrei alzarmi»
dissi
spazientita, rivolgendomi al nutrito gruppetto di guaritori che mi
circondava. In realtà mi sentivo stanca e svuotata da ogni
vigore,
tuttavia volevo assolutamente muovermi e tornare pienamente alla vita
dopo oltre una settimana di coma.
«Non sottovalutare gli effetti
del veleno e delle ferite, hai subito molto».
Già, avevo subito
molto. Eppure si erano premurati di cancellare dal mio corpo ogni
singola cicatrice, lasciando la mia pelle innaturalmente liscia, come
non lo era dalla mia prima missione diplomatica tra i Varden.
«E
gradirei riavere i miei abiti» li informai, scrutando con
occhio
critico la bianca camicia da notte che mi copriva dal collo alle
caviglie.
Una donna abbandonò la stanza per eseguire, ma gli
altri si affrettarono ad esortarmi al riposo non appena gettai i
piedi oltre al pagliericcio per scendere a terra. Sembrava che, dopo
avermi creduta morta e aver perso l'appoggio di mia madre, temessero
di vedermi cadere in briciole sotto i loro occhi.
Sentii la porta
aprirsi e diedi per scontato che fosse tornata la donna che era
andata a prendere i miei vestiti, ma quando alzai gli occhi
individuai la figura di una donna bassina, dai folti capelli castani
e ricci.
«Angela!» la rimproverò qualcuno,
«Non sei
autorizzata a stare qui».
Ma lei mi guardò in viso e avanzò
dritta nella mia direzione.
La riconobbi immediatamente e la sua
immagine si sovrappose a quella sfocata che avevo visto durante la
mia guarigione.
«Venerabile!» esclamai, inchinandomi
precipitosamente davanti a lei.
Sorrise affabile e fece cenno a
tutti gli stupefatti guaritori di lasciare la stanza. Lo fecero,
forse troppo sconvolti dalla mia eccessiva deferenza per riuscire a
ribattere in modo soddisfacente. Solo allora l'espressione di Angela
si deformò e assunse contorni terribili.
«Arya Dröttningu di
Ellesméra. Mi ricordo molto bene di te. Quanti anni sono
passati
dall'ultima volta che ho fatto visita a tua madre? Quaranta?
Cinquanta?»
«Credo circa cinquanta» risposi incassando le
spalle, un poco spaventata dal suo atteggiamento brusco.
«Bene,
sappi che le sue ultime decisioni mi hanno parecchio indisposta, ma
immagino che di questo dovrà informarti Ajihad.. Come ormai
avrai
intuito sono stata io a guarirti dal veleno, l'antidoto stava agendo
troppo lentamente e il tuo sangue doveva essere depurato».
Annuii.
«Ti ringrazio».
«E il tuo bambino sta bene». Era
un'affermazione.
«Lo so» risposi, impreparata e allo stesso
tempo consapevole di non poterle mentire.
«Ora voglio sapere chi,
come e quando. No il come risparmiamelo, per favore, credo di sapere
come si svolgano questo genere di cose».
Tentennai, poi feci un
altro piccolo inchino. «Temo di non poterti rispondere,
Venerabile».
«Arya non voglio costringerti e tanto meno violare
l'intimità della tua mente, quindi farai meglio a
rispondermi con la
massima sincerità» mi intimò,
arrotolandosi con noncuranza un
ricciolo intorno al dito indice.
Sapevo che dietro all'ingannevole
aspetto della minuta, indifesa e spensierata umana Angela l'Erborista
si celava un essere dai vasti poteri, dalla saggezza sconfinata e
dalla vita ancor più lunga di quella di qualsiasi elfo.
Nessuno
nella Du Weldenvarden sapeva a quale razza appartenesse quella che
noi chiamavamo la Venerabile, ma era citata nelle nostre cronache
più
antiche e non di rado faceva visita ai nostri regnanti, cambiando
nome e aspetto nel corso dei millenni. Sapevamo solo che si occupava
di mantenere intatti gli equilibri e, per quanto crudele potesse
sembrare, ciò che faceva era sempre mirato al bene supremo
di
Alagaësia stessa.
Così, in soggezione di fronte alla sua
autorità e al suo cipiglio, mi fissai le mani e mi imposi di
rivelarle almeno parte della verità. Lei mi avrebbe
sicuramente
consigliata su come agire, senza impormi soluzioni che sapeva fuori
dalle mie capacità, sia morali che fisiche.
«Porto in grembo il
figlio di Durza lo Spettro» sussurrai. E dirlo ad alta voce
fu come
accettarne finalmente l'esistenza.
Mi fece un cenno. «Lo avevo
intuito. Ieri ho dovuto addormentarti o qualcuno avrebbe finito per
crederti una traditrice: continuavi a balbettare il nome dello
Spettro e a chiedere quando sarebbe arrivato e in che condizioni
fosse il suo amabile figlioletto. Posso?» fece con
inaspettata
gentilezza, toccando il braccio che avevo avvolto intorno alla mia
vita.
Feci cadere il braccio con un poco di timore e lasciai che
bisbigliasse qualche parola per poter vedere sotto la mia carne, un
incantesimo difficilissimo e che lei sembrava svolgere con assoluta
noncuranza.
«Sei settimane?» domandò poi.
«Ormai sette»
risposi automaticamente.
Annuì pensierosa. «Ancora non si vede
nulla. Lo sai vero che se vuoi prendere delle erbe ti manca poco
tempo?»
Deglutii. «Lo so».
La consapevolezza che brillò nei
suoi occhi scuri mi fece intendere che aveva intuito buona parte
della verità.
«Allora facciamo così: se sarai abbastanza
intelligente e vorrai scrivere la parola fine a questa storia,
cercami con la mente e io ti indicherò il posto dove
trovarmi. Ti
darò io le erbe giuste.» Alzò un indice
con aria ammonitrice. «Se
parli al Du Vrangr Gata della mia posizione ti ammazzo, ma non credo
che lo farai, dico bene?»
Decisamente no. Quella strana setta di
stregoni aveva avuto l'insana abitudine di importunarmi i primi anni
che avevo preso in custodia l'uovo, ma era bastata una sfuriata di
impatto per far passare loro la voglia. Angela, invece, preferiva che
la portata dei suoi poteri restasse nell'ombra. Lo aveva sempre fatto
tra gli uomini, così da potersi muovere più
liberamente intorno a
loro.
«Se invece preferisci scegliere la strada più
difficile,
allora sarà meglio che tu non dica nulla a nessuno o
perderesti
tutto il tuo rispetto e la tua credibilità. Certo, potresti
sempre
dire che si è trattato di una violenza e che non hai
mischiato il
tuo sangue a quello di uno Spettro, ma in ogni caso sarai guardata
con sospetto se sceglierai di tenere il bambino, anche se
ufficialmente non sarebbe colpa tua. Applica qualche incantesimo su
di te in modo che nessuno con l'udito superiore a quello di un umano
-come uno della tua razza- possa udire il battito del suo cuore o
percepire la sua coscienza, quando si potrà
percepire». Mi guardò
dritta negli occhi. «Non voglio sapere nient'altro, ma ti
conviene
anche ricordare che per sei mesi sei stata prigioniera di uno Spettro
crudele e sanguinario, che ti ha torturata fino a ridurti in fin di
vita pur di strapparti informazioni da dare al re. Quindi vedi di non
fare commenti inopportuni quando Ajihad verrà a parlarti. A
nessuno
piacciono gli Spettri e a me e ad Ajihad non piace Durza lo Spettro
in particolare, chiaro?»
«Sono fedele alla causa dei Varden» mi
sentii il dovere di specificare.
Rise. «Di questo non ne ho mai
dubitato, sei una delle più convinte qui dentro e non credo
che la
tua fedeltà abbia subito un simile cambiamento in
così pochi mesi,
tuttavia ti consiglio di seguire alla lettera ciò che ti ho
detto».
«Durza è..»
«Ti ho detto che non voglio sapere
nulla» mi interruppe. «Fatti però almeno
un paio di domande e
ricorda che non sempre ciò che vedi corrisponde alla
verità. Sappi
che in me hai incontrato una persona comprensiva, ma se provassi a
spiegare a qualcun altro ciò che hai provato a spiegare a
me,
probabilmente saresti uccisa senza una minima esitazione. Nessun elfo
si è mai alleato ad uno Spettro, unito a lui e ancor meno
avuto un
figlio con lui».
Sapeva parecchio, era indubbio, ma mi aveva
anche lasciato intendere che il mio segreto sarebbe stato al
sicuro.
«Seguirò i tuoi consigli, Venerabile».
«Perfetto!»
esclamò allegramente, battendo le mani. «Sai tu
sei molto utile a
questa ribellione e sarebbe un peccato perderti, ne risentiremmo
parecchio. Ti prego però, non appena sarai al cospetto di
tua madre,
di convincerla a cambiare idea, dato che sei decisamente viva. Ah, ed
evita di dirle ciò che ti è accaduto per favore.
Scegli una
versione ufficiale e mantienila con tutte le persone con cui
parlerai, non credo di doverti spiegare cosa è meglio
evitare di
dire e cosa no. Ora ti saluto, suppongo ci vedremo
presto!»
«Aspetta!» la bloccai, angosciata. «Tu
sai cosa
succederà? Cosa devo aspettarmi da questo bambino? La natura
del
padre lo..?»
Fece un gesto frivolo con la mano. «Non posso
risponderti. Nella mia lunga esperienza non si è mai
verificata una
cosa simile, ma sono quasi sicura che tuo figlio non nascerà
influenzato dagli Spiriti che possiedono Durza, se è questo
che
intendi. Un gran bell'esempio di quanto le azioni dei genitori non
dovrebbero influenzare la prole, non credi? Bene, se deciderai di
essere intelligente sai cosa fare. Ti farei le congratulazioni, ma
qualcosa mi dice che non è il caso».
Detto questo mi strizzò
l'occhio e se ne andò, lasciando entrare i guaritori che
aveva
cacciato fuori pochi minuti prima. Mi vennero restituiti i miei abiti
e portato del cibo, che consumai con avidità, poi riuscii
finalmente
a mandare via tutti i miei molesti salvatori e a restare sola per
qualche ora, così da rimettere in ordine le idee.
Non sapevo
nulla di Durza, non potevo né divinarlo né
contattarlo e se avessi
parlato a qualcuno di ciò che era accaduto tra noi mi
avrebbero
rapidamente bollata come traditrice. Nessuno avrebbe creduto alla mia
storia e nessuno avrebbe giustificato la mia alleanza con uno
Spettro, mi sarei solo compromessa. E non era il caso che succedesse
una cosa simile, non prima di avere la totale certezza della morte di
Galbatorix.
A quel punto non ero più così certa che Durza
sarebbe venuto a prendermi. Mi fidavo di lui, continuavo a fidarmi
nonostante Angela mi avesse fatto notare che poteva avermi presa in
giro, ma dovevo agire cautamente, parlare con Ajihad, con il
cavaliere, recuperare la mia posizione e poi trovare il momento
giusto per allontanarmi e cercare lo Spettro.
Era già un miracolo
che Eragon non avesse trovato un paio di incongruenze, quando mi
aveva salvata a Gil'ead: avevo i vestiti e i capelli puliti quando mi
aveva recuperata dalla mia cella, ed ero certa che la mia pelle
avesse ancora l'odore dell'olio da bagno che Durza versava sempre
nella vasca. E non era esattamente normale occuparsi dell'igiene dei
prigionieri fino a tal punto. Fortunatamente la mia pulizia era
decisamente degenerata durante i giorni di viaggio che erano
trascorsi per arrivare a Tronjheim, tanto che mi era stato fatto un
bagno mentre ero incosciente e mi avevano anche lavato e rammendato i
vestiti.
Nessuno sospettava nulla e mai lo avrebbe fatto se fossi
stata abbastanza prudente.
Nasuada venne a trovarmi nel
pomeriggio, trascinando con sé una ventata di curiosa
allegria. La
conoscevo appena, ma era impossibile non volerle bene e rispettarla,
nonostante la giovanissima età: era gentile, fiera,
indipendente,
scaltra e conosceva i Varden e la loro organizzazione almeno quanto
Ajihad. La perfetta figlia di suo padre.
«Mio padre vorrebbe
parlare con te non appena ti sentirai meglio» mi disse.
«Allora
puoi dirgli che quando desidera può farmi chiamare, mi sento
in
perfetta forma ormai».
«Sei sicura? Non sono passati ancora due
giorni completi da quando ti è stato somministrato
l'antidoto e mio
padre ha intenzione di farti domande che potrebbero rivelarsi
piuttosto spiacevoli».
«So cosa vuole chiedermi Ajihad e io sono
pronta a rispondergli». Esitai. «Il cavaliere e il
suo drago stanno
bene?»
«Benissimo, direi. Si sono ripresi in fretta e hanno
manifestato l'intenzione di seguire il cammino che il patto tra elfi
e uomini aveva previsto. Mio padre li farà esaminare
domattina e
scriverà una lettera per la regina Islanzadi, che dovrai
consegnare
a lei quando tornerai ad Ellesméra con i due».
Chinò il capo.
«Avrei un'altra triste notizia per te, ti prego di non dire a
mio
padre che te l'ho comunicata o si arrabbierà, ma mi sembra
giusto
che tu la sappia adesso, prima di dover ripercorrere tutti i mesi di
sofferenze che hai passato».
«Dimmi pure».
«Si tratta di
Brom. È morto».
Oh.
«Mi dispiace, so che vi conoscevate e
che avevate preso insieme gli accordi per dividere l'uovo tra elfi e
uomini. Cioè, non lo ricordo ovviamente, ma so che
è così»
concluse con un lieve sorriso.
Brom, morto. Avevo origliato la
conversazione tra Durza e Galbatorix e avevo sentito che Brom era
rimasto ferito dai Ra'zac, tuttavia non credevo che fosse..
«Questa
è una grave perdita per i Varden» dissi con voce
grave. Non lo
conoscevo benissimo, Brom, ma ricordavo bene il giorno che era venuto
da me a chiedermi di addossarmi anche l'incarico di custode
dell'uovo, insieme a quello di ambasciatrice. Mi riteneva l'unica
persona adatta e la più imparziale tra le due razze.
La giovane
annuì. «Anche mio padre ne è rimasto
molto colpito».
Nasuada
si mosse inquieta sullo sgabello e capii che non vedeva l'ora di
andarsene, ma allo stesso tempo non voleva apparire maleducata.
Probabilmente aveva altre cose da fare.
«Ti ringrazio per la
visita» la congedai.
«Figurati, rimettiti presto. Ora credo che
andrò a trovare Murtagh, il figlio di Morzan. Devo portargli
i tuoi
saluti? È stato lui ad aiutare te ed Eragon a fuggire da
Gil'ead».
Feci un cenno di assenso, poi la ragazza mi salutò e
mi disse che avrebbe mandato suo padre da me entro un paio
d'ore.
Ajihad venne, accompagnato da Rothgar,
ed entrambi
stettero a sentire il mio succinto racconto, accomodandosi sugli
sgabelli di fortuna accanto al mio pagliericcio.
Mi concentrai sui
primi tre mesi di prigionia e feci un resoconto piuttosto dettagliato
di ciò che avevo subito in quel primo periodo, fingendo che
il tutto
si fosse prolungato anche per i tre mesi seguenti. Evitai ovviamente
di parlare di eventuali visioni, di Alba, dei baci -inizialmente
umilianti- che Durza aveva lasciato sulla mia pelle.
A sua volta
Ajihad fece a me e a Rothgar un breve riassunto delle disavventure
vissute dal cavaliere, incastrando alla perfezione il racconto nel
mio. Feci finta di nulla quando parlò di Gal, l'uomo che
aveva
mandato a cercare Brom e che probabilmente era stato intercettato
dall'Impero. Da Durza a dire la verità, che era poi stato
costretto
a riferire le sue scoperte a Galbatorix. Ma non volevo sminuire
ulteriormente il mio compagno di fronte al suo più acerrimo
nemico e
in ogni caso era un'informazione irrilevante. Ce n'era un'altra che
era di importanza ben maggiore.
«Mentre ero prigioniera dello
Spettro l'ho sentito parlare delle spie che avevano dato al sovrano
le informazioni necessarie per intercettare me e gli altri
custodi».
«Spie?» fece Ajihad con espressione dura.
«I
Gemelli, parlava di loro. E non credo che ci siano molte persone con
cui confondersi all'interno del Farthen Dur» dissi con
convinzione.
Rothgar aggrottò le folte sopracciglia. «Non mi
sono mai piaciuti quei tuoi stregoni Ajihad, mi sembrano due viscidi
rettili. E per di più sono al di sopra di ogni controllo,
dato che
sono loro a scrutare le menti degli altri. È lo stesso
problema che
si è verificato con i cavalieri dei draghi: chi controlla i
controllori?»
«Potrei farlo io» mi offrii.
Capii di aver
commesso uno sbaglio quando il capo dei Varden liquidò la
questione
con un brusco gesto. «Se permettete ciò che
riguarda gli uomini è
sotto il mio controllo. Rispetto entrambi, la vostra
autorità e la
vostra razza, ma non voglio che nessuno di voi si immischi nelle
faccende che sono sotto la mia autorità. Arya, probabilmente
lo
Spettro ti ha ingannata e in ogni caso non posso esserne
sicuro».
Feci un cenno di assenso. «Come desideri. Ma ti prego
di tenere gli occhi aperti e di moderare la tua fiducia nei loro
confronti. È un consiglio in quanto tua alleata, non un
tentativo di
prevaricare la tua autorità».
«E io ti ringrazio del saggio
consiglio. Non mi fido di nessuno al di sopra di me stesso e
terrò
d'occhio i Gemelli anche se sono certo della loro innocenza».
«E
lascerai che il cavaliere mi segua ad Ellesméra?»
mi
accertai.
«Brom è morto e il patto stabiliva questo, quindi
da
parte mia non incontrerai resistenza. Tuttavia dovrai stare molto
attenta, perché il giovane cavaliere -oltre ad essere
piuttosto
incosciente- è anche parecchio ingenuo. Mi ha riferito di
essersi
scontrato con Durza, a Gil'ead e ha detto che Murtagh, il figlio di
Morzan, l'ha ucciso».
Il mio cuore perse un battito.
«Ma non
è possibile, perché a quanto pare il giovane lo
ha solamente
colpito in fronte e che io sappia gli Spettri non possono morire, a
meno che non ricevano un colpo dritto al cuore».
Rothgar annuì
con l'aria di chi è sicuro di ciò che ha appena
sentito e io mi
ricordai appena in tempo di respirare.
«Ora il giovane cavaliere
ha un nemico che lo odia profondamente» fece il re dei nani.
«Non
passa tanto in fretta l'umiliazione di una sconfitta, specie ad una
creatura fatta d'odio».
«Lo so fin troppo bene» fu la replica
di Ajihad. «Durza è un avversario
temibile».
Ed
estremamente testardo e orgoglioso.
Aggiunsi tra me.
«Vi è un'ultima questione di cui vorrei
metterti al corrente, Arya. Rothgar sa già tutto e anche
Eragon,
così non mi resta che dirla anche a te e pregarti di non
riferirla a
terzi, non voglio che il panico dilaghi a Tronjheim».
Aspettò che
annuissi poi proseguì: «Questo pezzo di pergamena
è stato
sottratto ad uno degli Urgali che ha cercato di sbarrare la strada ad
Eragon. Si tratta di un comunicato mandato da Galbatorix in persona e
pare riferirsi ad un futuro attacco. Non sappiamo ancora che posto
sia questa Ithrö Zhada, ma deve trovarsi tra queste montagne e
temiamo un attacco, anche se per il momento il Farthen Dur non
è
stato ancora scoperto».
«Ho già mandato dei ricognitori nelle
gallerie» intervenne Rothgar. «Se ci saranno
movimenti anomali lo
sapremo immediatamente».
Annuii nuovamente e fui colta da
sentimenti contrastanti quando seppi che Durza era annoverato tra i
possibili comandanti. Certo, significava che era vivo, ma significava
anche che stava muovendo un esercito di Urgali in direzione del
Farthen Dur e ricordavo bene che possedeva mappe dettagliate delle
gallerie sotto la montagna.
Cosa aveva intenzione di fare,
esattamente?
I due rimasero per qualche altro minuto, ma,
trovandomi improvvisamente chiusa in un ostinato mutismo,
abbandonarono la stanza, lasciandomi con la sgradevole sensazione di
stare combattendo la più dura battaglia della mia vita.
Dormii
parecchio quella notte, ormai libera dagli incubi che mi avevano
tormentata negli ultimi mesi. Il giorno seguente, sentendomi molto
meglio, decisi di andare ad assistere all'esame che il cavaliere
avrebbe subito; gli dovevo un ringraziamento o la mia scortesia
avrebbe decisamente dato nell'occhio, senza contare che ero curiosa
di conoscere finalmente il ragazzo che era più volte apparso
nelle
mie visioni e il drago che lo aveva reso cavaliere.
Non restai
particolarmente sconvolta quando vidi che erano i Gemelli i giudici
per quanto riguardava le abilità magiche del giovane. Era
prevedibile, dato che erano i più abili maghi tra i Varden.
Me ne
stetti in un angolo, non vista, a guardarlo passare con abbastanza
disinvoltura da un incantesimo all'altro. Indubbiamente Brom era
stato un ottimo maestro per lui ed Eragon non sembrava cavarsela
male, per essere un umano.
Più volte i miei occhi scivolarono su
Saphira, ammirando la bellissima e maestosa creatura, nata dall'uovo
che avevo conservato con tanta cura per quasi vent'anni. Le sue
squame catturavano la luce in modo ammaliante, rilucendo di un colore
che pareva leggermente più chiaro di quello che era stato il
suo
uovo, più acquoso.
Mi riscossi dalle mie contemplazioni quando
udii uno dei Gemelli chiedere ad Eragon di evocare l'essenza
dell'argento. A quel punto non ci vidi più e, incurante
degli
sguardi sospettosi e guardinghi degli uomini intorno a me, avanzai
nel piccolo gruppetto e li rimproverai aspramente, guadagnandomi le
loro espressioni timorose.
Eragon mi guardò e riconobbi lo stesso
sguardo che mi aveva lanciato la notte che mi aveva strappata dalla
mia cella, a Gil'ead, lo sguardo di qualcuno che sembrava
riconoscermi, ma non conoscermi.
Vidi che il qualche modo il mio
intervento non era piaciuto agli uomini intorno a me, ma li ignorai
e, attirato Eragon verso il centro del campo, rivendicai un duello
con lui.
Perché lo feci? Volevo sondare le sue abilità
fisiche,
scoprire che guerriero aveva forgiato Brom, che genere di cavaliere
fosse nato insieme al drago dell'uovo di zaffiro, quale giovane
inesperto era riuscito a mettere Durza alle strette, fino ad
ucciderlo, anche se solo temporaneamente. Mi guidava un misto di
rabbia, irritazione, curiosità e aspettativa.
Eragon e Saphira
erano pur sempre la possibilità che aspettavamo da anni per
sconfiggere Galbatorix e io avevo fortemente contribuito alla loro
creazione, anche solo sbagliando l'incantesimo che avrebbe dovuto
portare l'uovo a Brom e che invece -come mi aveva riferito Ajihad-
avevo mandato a lui.
Eragon era debole e lento come ogni essere
umano, ma aveva molta fantasia e uno stile di combattimento piuttosto
flessibile. Sembrava capace di adattarsi in qualche modo alle mie
capacità, anche se non riusciva a raggiungerle.
Probabilmente era il
miglior spadaccino umano che avessi mai fronteggiato e rimasi
abbastanza soddisfatta da quell'incontro e anche gli uomini intorno a
noi, a giudicare dai complimenti che fecero al giovane. Nessuno mi
disse nulla ovviamente e, una volta catturata l'attenzione di drago e
cavaliere, mi allontanai dalla piccola folla con lui e Saphira e li
ringraziai per ciò che avevano fatto.
Eragon mi disse di avermi
vista in sogno, come una visione, e io mi limitai ad accennargli
vagamente agli strani eventi che mi erano accaduti negli ultimi mesi.
Era chiaro che il ragazzo non aveva la minima idea di che cosa
fossero e non avevo intenzione di attirare ulteriori attenzioni su di
me.
Mi congedai dai miei “salvatori” non appena mi fu
possibile farlo senza apparire scortese e mi ritirai nella stanza che
mi era stata assegnata.
Non avevo voglia di passare altro tempo in
compagnia, quello era ancora il mondo che avevo scelto, quello in cui
ero cresciuta e quello per cui avevo combattuto, tuttavia io ero
cambiata. Durza mi mancava come se mi avessero sottratto un arto ed
ero sinceramente preoccupata per ciò che avrei dovuto fare
da quel
momento in poi.
Lo Spettro si era rigenerato, dato che non lo
avevano ucciso definitivamente. Ma come? E sopratutto: chi era l'uomo
che era tornato? Era lo stesso che avevo lasciato con la promessa di
rivederci il giorno dopo? O i suoi spiriti avevano nuovamente preso
il sopravvento, come la notte che li aveva evocati?
Non sapevo
nulla sulla materia, e nessuno poteva fornirmi ragguagli.
Cosa
dovevo fare? Rischiare tutto e lasciare i Varden senza un
perché,
per lanciarmi nella cieca e pericolosa ricerca dell'uomo che amavo,
ma non ero più certa che ricambiasse, non sembrava la
migliore delle
idee che avevo mai avuto fino a quel momento. Se non lo avessi
trovato, o peggio, se avessi trovato uno Spettro sanguinario che mi
vedeva come l'ennesima delle sue vittime, a quel punto avrei solo
sprecato tempo ed energie che avrei potuto convogliare più
facilmente nei miei antichi obiettivi: deporre Galbatorix.
Eppure
allo stesso tempo non potevo fingere che gli ultimi sei mesi non
fossero mai passati. Ne avevo la prova schiacciante nel ticchettio
sempre più forte e sicuro che proveniva da dentro di me, il
battito
sempre più forte del cuore di nostro figlio.
Dovevo prendere una
decisione.
Tuttavia fui sollevata dall'arduo compito il giorno
seguente, quando un nano si presentò alla mia porta, ancora
prima
dell'alba, dicendomi che Ajihad voleva vedermi con urgenza.
Fui
condotta in biblioteca, dove presto mi ritrovai coinvolta in un
incontro con Ajihad, Jörmundur, Orik, Eragon e Saphira.
«Un
esercito di Urgali si trova ad un giorno di marcia da qui»
disse il
capo dei Varden.
Non dissi nulla. C'era da aspettarselo visto il
precedente messaggio intercettato ad un Urgali, in cui si accennava
solo vagamente ad un futuro attacco a Tronjheim. Io poi sapevo che
l'impero conosceva buona parte dei cunicoli dei nani e poteva
raggiungere il covo dei Varden con facilità.
Per le ore
seguenti aiutai i nani a fare crollare innumerevoli tunnel
sotterranei, così da costringere l'armata a convergere sotto
Tronjheim, dove le truppe dei Varden avrebbero potuto tenerli a bada.
Un fiume di gente si riversò all'esterno della
città, in direzione
delle gallerie che avrebbero permesso loro di lasciare il Farthen Dur
ed essere scortati nel Surda in caso di sconfitta. Riconobbi
sopratutto molti bambini, vecchi e donne. Mi chiesi per l'ennesima
volta perché gli uomini non pensassero mai a mettere un'arma
in mano
alle loro figlie e spose, ma sapevo che il problema aveva radici
troppo profonde nella loro cultura: gli uomini era previsto facessero
lavori di fatica e le donne era previsto che si prendessero cura di
loro e dei loro figli. Donne guerriere erano una rarità
assoluta
nella loro società prevalentemente maschilista.
Riuscii a
procurarmi almeno una giubba corazzata da mettere sopra ai miei
pratici abiti da viaggio e sedetti insieme al battaglione a cui mi
ero unita, quello dove c'erano anche Eragon e Saphira.
Quella
battaglia era un incognito per tutti, ma non avrei permesso che
succedesse nulla di male al cavaliere e al suo drago. Avrei tenuto la
mente aperta e cercato la coscienza di Durza e, nel caso l'avessi
trovata, lo avrei raggiunto immediatamente e avrei fatto il possibile
perché lui ritirasse le truppe. Sempre che non fosse sotto
l'ordine
diretto del re, ovviamente. A quel punto l'unica cosa che avrei
potuto fare davvero era colpirlo mortalmente alla testa e metterlo
nuovamente fuori gioco per.. quanto? Non sapevo quante ore, o quanti
giorni impiegasse uno Spettro per rigenerarsi, ma se fossero state
anche solo due ore probabilmente sarebbero bastate per ricacciare le
litigiose bande di Urgali.
Mi imposi di respirare con calma e
rallentare il battito del mio cuore agitato. Non potevo fare altro
che aspettare, vegliare su quel giovane gentile e irrispettoso che
era Eragon e sulla pacata creatura che lo accompagnava.
Approfittai
della lunga attesa per rinnovare gli incantesimi di protezione su di
me, intensificandoli sproporzionatamente nel punto in cui cresceva la
mia creatura. Anche quella era una preoccupazione tutta nuova, non
ero abituata ad essere cauta nell'espormi al pericolo e mi sembrava
che in qualche modo la mia vita mi fosse stata sottratta. Non era
più
una questione solo mia, c'era qualcun altro in gioco.
Fui io a
risvegliare i miei compagni, poche ore dopo, quando le prime grida
rimbombarono nel sottosuolo e gli esploratori dei nani riemersero per
comunicare la notizia dell'avanzata degli Urgali. A quanto pareva non
c'erano uomini dell'esercito imperiale insieme a loro e questo mi
fermò ulteriormente nella convinzione che avrei trovato lo
Spettro
-volente o nolente- al comando delle loro fila.
Finii quasi subito
le frecce e mi lasciai assorbire dallo scontro armato, troppo
concentrata nel guardare con sgomento quanti Urgali stesse vomitando
la terra per poter espandere la mia coscienza per non più di
qualche
miglio. Di Durza nessuna traccia.
E per i Varden e i loro alleati
si stava mettendo veramente male.
La voce profonda di Saphira mi
sfiorò la mente: «I
Gemelli hanno contattato Eragon. Dicono che ci sono rumori
provenienti da sotto Tronjheim,
forse gli Urgali stanno aprendo un tunnel sotto la città.
Vogliono
che andiamo a bloccarli».
Mi
guardai intorno ed individuai drago e cavaliere con la coda
nell'occhio.
«I
Gemelli?» chiesi,
improvvisamente sospettosa.
«Ajihad
li ha incaricati di supervisionare la battaglia e uno di loro
è
sopra Isidar Mithrim».
Poi
il drago atterrò davanti a me, schiacciando con la sua mole
diversi
Urgali ed io afferrai istintivamente la mano di Eragon, issandomi in
sella dietro di lui e tenendo saldamente la spada nella mano
sinistra.
Non mi fidavo affatto dei Gemelli, ma era meglio non
ignorare le loro parole, magari stavano semplicemente ubbidendo ad
ordine di Ajihad.
Sobbalzai sentendo Saphira ruggire di dolore: un
Urgali l’aveva colpita sul petto. Ci alzammo in volo e vidi
lo
stesso mostro alzare la sua arma, pronto a scagliarla. Mi affrettai
ad evocare la mia magia e a colpirlo.
Volammo
via dal campo di battaglia, piuttosto instabili.
«Sta bene?»
domandai a Eragon, strillando per farmi sentire e evitando di
guardare sotto di me. Non avevo mai volato a dorso di drago e volevo
evitare reazioni impreviste da parte del mio corpo.
«L’armatura
è schiacciata verso l’interno, le da
fastidio». La sua voce vibrò
di preoccupazione per il suo drago. Mi fece quasi tenerezza.
«Resterò
io con Saphira quando atterreremo» mi offrii. «E
quando l’avrò
liberata dall’armatura, ti raggiungerò».
Così
mi accerterò che la convocazione non sia una trappola.
«Grazie»
disse lui, un’espressione di puro sollievo in volto.
Ma quando
arrivammo su Isidar Mithrim, dove avremmo dovuto trovare almeno uno
dei Gemelli, di loro non c'era traccia.
Eragon si accertò
rapidamente della condizioni di Saphira, prima di borbottare un:
«Buona fortuna», e correre via.
Lo chiamai, invano. Stupido!
Eravamo in cima a Vol Turin, la scala infinita, avrebbe almeno dovuto
farsi portare alla base di Tronjheim. Come avrebbe fatto a
scendere?
Sbuffai, avrebbe aspettato. Il mio compito era liberare
la dragonessa e mi accinsi a farlo con delicatezza, sperando di non
farle troppo male. Scostai le placche metalliche
dell’armatura,
lentamente.
«Arya»
mi richiamò all’improvviso lei. «Eragon
è sceso con lo scivolo. È arrivato
illeso».
Che
incosciente.
Mentre incastravo le dita tra la seconda placca del
pettorale e le squame di Saphira, espansi di nuovo la mente, alla
ricerca dei Gemelli. E invece percepii Durza.
«Durza!»
esclamai automaticamente, dimenticando per un attimo che sicuramente
non poteva sentirmi da quell'altezza.
«Eragon
lo ha detto anche a me! Sbrigati a liberarmi, lo sta affrontando da
solo e non ha possibilità!»
Il
cavaliere lo stava affrontando. Durza. Il mio Durza.
Saphira
era allarmata almeno quanto me e un
senso di angoscia mi serrò la gola, impedendomi quasi di
respirare.
Presi a liberare l'armatura con ansia febbrile, senza più
preoccuparmi se la cosa fosse dolorosa per lei o meno.
La mia
mente era volta ad un unico pensiero: Non avrei lasciato che nessuno
dei due uccidesse l’altro.
Perché uno era il primo cavaliere
libero da un secolo, e l’altro era l'uomo con cui avevo
deciso di
vivere una buona fetta della mia vita, l’unica persona al
mondo che
sarebbe mai stata in grado di rendermi veramente felice. E io non
potevo permettermi di perderlo, o avrei perso una non indifferente
parte di me stessa.
«Dobbiamo aiutarlo!» gridai, senza capire
bene neanche io a chi mi riferissi.
Saphira pensò ovviamente che
parlassi del suo cavaliere e mi mandò un'immagine mentale
che doveva
corrispondere alla condizione di Eragon in quel momento. Una gran
brutta condizione.
Strappai l'ultima placca dal suo torace e mi
guardai intorno, consapevole di avere solo pochi istanti per prendere
una decisione.
E la presi. Richiamai il mio potere e colpii la
pietra sotto di me, saltando contemporaneamente in groppa a Saphira.
La dragonessa si tuffò in picchiata, eruttando una fiammata
gialla e
azzurra. Strinsi le cosce sui suoi fianchi per non essere sbalzata
via e boccheggiai, travolta dal calore del suo fuoco. Mi prese una
fortissima sensazione di vertigine, che mi chiuse la bocca dello
stomaco e mi riempì la testa d'aria, ma riuscii a riprendere
il
controllo di me stessa in misura sufficiente a pronunciare un
incantesimo per controllare la caduta dei frammenti di Isidar
Mithrim, o altrimenti il mio intento di salvare Durza ed Eragon
sarebbe fallito comunque
Intravidi subito le figure dei due
combattenti. Eragon era accucciato a terra e mi guardava con gli
occhi di chi vede un’apparizione, il volto rigato di lacrime
e un
lago di sangue che si allargava intorno a lui.
Durza era di spalle
e continuava ad ignorare la pressione della mia mente sulla sua,
tuttavia si voltò anche lui, quasi lentamente, i capelli
rossi
schiacciati sotto un elmo nero.
Il tempo parve dilatarsi, mentre
il suo viso trasfigurato in una maschera di disprezzo si alzava nella
mia direzione. Vidi i suoi occhi ricolmi di sangue, odio e follia, lo
stesso sguardo che gli avevo visto ogni volta che era stato in balia
dei suoi Spiriti.
Alzò una mano e per un attimo fui certa che
sarei stata uccisa dal mio stesso compagno. Tuttavia lo Spettro ebbe
una piccola, impercettibile, esitazione. I suoi occhi si schiarirono
e la sua voce si riversò, fredda e carezzevole, nella mia
mente.
«Arya»,
disse.
In
quella situazione quasi sospesa, il bagliore rosso della spada di
Eragon mi parve quasi accecante.
Il cavaliere si scagliò in
avanti.
E colpì Durza proprio al centro del torace, dove la
placca di metallo che portava sicuramente sotto l'armatura avrebbe
potuto salvarlo da molte ferite. Ma non da un colpo diretto.
In un
attimo fu tutto finito: Durza urlò e fissò
sconvolto la lama
conficcata nel suo petto, poi la sua pelle si fece trasparente e poi
polvere, che svanì nel nulla. Restai a fissare tre ombre
-unico
resto del suo corpo- che volteggiavano verso l'alto,
attonita.
Saphira atterrò e io scivolai giù dal suo dorso,
circondata da una sensazione di irrealtà. La magia che
nell'ultimo
tratto della discesa aveva sostenuto i frammenti di Isidar Mithrim
sfuggì al mio controllo e una parte di essi si
fracassò a terra con
un gran baccano, distruggendosi in frammenti ancora più
piccoli.
Vidi a malapena Saphira intenta a proteggere Eragon sotto la sua ala,
poi una grossa scheggia si conficcò nel mio braccio destro,
così in
profondità da toccarmi l'osso.
La tolsi quasi distrattamente, ma
la stilettata di dolore non poté distrarmi dall'abisso di
orrore nel
quale stavo lentamente sprofondando. Caddi in ginocchio davanti agli
abiti di Durza e un violenta convulsione mi scosse tutto il corpo,
trasformando il mio respiro in brevi spasmi.
A terra davanti a me
c'erano la sua armatura, il suo elmo, il suo mantello di pelli di
serpente. Riconobbi il pallore della sua spada e lo scintillio
dell'incisione sul pomolo di Luna, sfiorai il medaglione con il sole
e le lisce pietre quadrate dell'anello di ametiste. Poi da una
piccola bisaccia mi giunse un pungente odore di menta.
Qualcuno si
inginocchiò accanto a me e mi afferrò le spalle.
«Arya
devi guarirti prima di morire dissanguata» disse Angela,
mettendomi
tra le mani una borraccia e costringendomi a berne un sorso.
La
mia gola rimase secca e il sangue continuò a fluire copioso
dalla
mia ferita al braccio, bagnandomi di liquido caldo i
pantaloni.
Strisciai di una iarda all'indietro. A Durza non
avrebbe certo fatto piacere se gli avessi macchiato il prezioso
mantello, gli piaceva molto. Ricordavo che lo indossava il giorno in
cui mi aveva protetta da Lord Barst, la prima volta che avevo sentito
il profumo della sua pelle. Magari lo avrebbe indossato anche il
giorno della nostra partenza.
«Arya» mi richiamò Angela con un
tono dolce e insieme conciliante che mi colpì come una
stilettata.
«No» rantolai. E mi venne un conato, ma non
vomitai.
«Sei qui da parecchi minuti e hai perso molto sangue.
Guarisciti e poi aiutami a guarire Eragon, ti va? Se lui morisse
Galbatorix resterebbe sul suo trono per sempre e non è
questo ciò
che vuoi, giusto?»
«No» ripetei in tono assente, la gola e il
cuore dolorosamente serrati in una morsa.
Con un paio di schiaffi
ben assestati sul mio viso, Angela la Venerabile mi tirò in
piedi e
mi trascinò fino al punto in cui giaceva Eragon, riverso
sulla
schiena e immerso nel suo stesso sangue. Angela lo voltò con
delicatezza e rinnovò l'ordine di guarirmi il braccio.
Lo feci,
pronunciando la formula con fatica immane, come se avessi della
polvere in bocca. A soffocarmi.
Poi la aiutai effettivamente a
guarire Eragon, limitandomi a rimarginare i tessuti e dimenticandomi
per un breve attimo di dove fossi. Quasi non notai che Saphira stava
fornendo sia me che Angela di nuove energie, né mi accorsi
della
folla di persone che andava radunandosi intorno a noi.
«Basta
così» disse lei ad un certo punto. «Al
resto ci penseranno le mie
erbe».
Mi ripiombò tutto addosso e per un attimo fui certa che
sarei morta anche io.
«Venerabile, ti prego..» uccidimi.
Angela
sorrise con leggerezza. «Sarà meglio che tu dia
una mano con gli
altri feriti. Puoi salvare molti di loro da una morte certa, lo sai,
ed è tuo dovere farlo. Quando ti sentirai così
stanca da non
riuscire nemmeno a ricordare il tuo nome, allora potrai cercare una
branda e sono sicura che riuscirai a dormire».
Oh sì, salvare
vite. Lo facevo da decenni, ma non sempre riuscivo a salvare
tutti.
«Prendo io le sue cose» aggiunse, guidandomi al
seguito
degli uomini che avevano sollevato Eragon e lo stavano portando via.
Saphira mi seguì, gli occhi fissi sulla figura del
cavaliere.
Arrivammo in un edificio dove, nelle ore seguenti, i
feriti si moltiplicarono come funghi. Gli ultimi arrivati
annunciarono gioiosi la vittoria e la cacciata degli Urgali,
mostrando entusiasmo persino con me, che di solito ero allontanata e
guardata con sospetto.
Ajihad arrivò per ultimo e venne dritto
nella mia direzione, implorandomi di sanare le sue ferite,
così da
poter inseguire gli Urgali nei tunnel con un drappello e scacciarli
definitivamente dalla montagna.
«Sono vere le voci?» mi chiese
poi, le nere sopracciglia unite in un'unica linea.
«Angela è con
Eragon» riuscii solo a balbettare.
«E tu sei sfinita. Dovresti
riposarti. Puoi portarmi da lui?» aggiunse poi, notando che
persistevo nel mio mutismo.
Lo accompagnai alle scale e poi cercai
la stanza in cui era stato deposto il cavaliere qualche ora prima.
Angela uscì nel preciso istante in cui io e Ajihad arrivammo
davanti
alla porta e, con un gesto grave e solenne, porse al capo dei Varden
una lunga spada sottile, incrostata di sangue, con un graffio lungo
la lama.
Ajihad sgranò gli occhi e fissò l'arma per
diversi
secondi. «Lui è morto?»
«Morto per sempre» confermò
Angela.
Gli occhi scuri dell'uomo si riempirono di lacrime, che
scivolarono lungo l'ovale del suo viso. In qualsiasi altra occasione
mi sarei stupita per l'avvenimento, ma in quel momento lo osservai
impassibile e con disinteresse.
«Nadara è vendicata» ringhiò,
sigillando le palpebre e prendendo in mano la spada.
Sapevo che
Nadara era la madre di Nasuada e che era morta prima che Ajihad si
unisse ai Varden.
«La farò fondere» aggiunse Ajihad.
«Eragon
ha ucciso lo Spettro, spetterebbe a lui la decisione»
osservò
Angela.
«Sono certo che approverebbe. Il ragazzo sta bene?»
La
donna tentennò. «Sì, meglio»
rispose poi, laconica.
«Se hai
altri oggetti dello Spettro manderò Jörmundur a
prenderli. Vanno
bruciati e distrutti».
E detto questo scese le scale di corsa,
dimenticando l'intento di accertarsi di persona delle condizioni di
Eragon.
«Arya dammi la tua spada e i tuoi pugnali, se ne
hai» mi
riscosse la Venerabile.
Le porsi Ren, con tutto il fodero, senza
neanche perdere il mio tempo a farmi delle domande.
«Ricordi il
tuo nome?» domandò, abbozzando un sorriso.
«No» ma
il suo sì.
«Bene».
Abbassò la voce. «Allora ricordati anche che il
tuo bambino ha
sette settimane, è grande come un lampone, ma ha
già gli occhi
quasi formati e il suo cuore pompa il sangue nel suo corpo. E si sta
anche muovendo, solo che tu non puoi sentirlo. Tra poche settimane
potrai percepire la sua coscienza».
Non ricordo il tragitto, ma
sono certa che sprofondai in un sonno senza sogni, forse indottomi da
Angela stessa.
Solo quando mi risvegliai capii il senso delle sue
azioni. Se fossi stata solo io e avessi avuto Ren con me avrei
faticato parecchio a resistere alla tentazione di piantarmela nel
cuore.
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Ehilà ciao! :D
Mi sono presa il mio tempo per questo capitolo, perché mi sembrava importante incastrare tutti i fatti in modo da spiegare il comportamento di Arya nei prossimi mesi, oltre a presentare un po' la nostra Angela, quindi è uscito parecchio lunghino, spero mi perdonerete!
Siamo arrivati alla fine di “Eragon” e, come da copione, Durza ci ha lasciati (dopo anni dalla prima lettura piango ancora, sigh). Inizialmente era previsto che Arya adagiasse i frammenti di Isidar Mithrim a terra e cadesse svenuta alla vista degli abiti dello Spettro afflosciati a terra, ma poi mi sono detta che la cosa sembrava fin troppo facile, no? E in una vena di puro sadismo ho deciso di farle vivere da cosciente anche le ore che seguono il lutto. È inutile specificare che la poveretta non ha ancora ben realizzato cosa sia successo al suo uomo, nonostante sia avvenuto sotto i suoi occhi.
In una prima versione era anche previsto che Durza e Arya avessero un breve scambio di pensieri prima della sua morte, il classico “ti amo” e “aspettiamo un bambino”, ma poi mi sono resa conto che i tempi della narrazione erano troppo stretti e che sarebbe diventato troppo melodrammatico, quindi mi sono limitata ad un “Arya” di addio. Quindi Durza non ha nemmeno saputo di suo figlio ed è morto prima di poter dire nulla T_T
Aiuto la mia storia mi fa soffrire troppo!
Tuuuuttavia non è ancora finita e vi informo che avremo altri interessanti colpi di scena da qui alla fine ;)
Mi sono persa anche il 24, che era il secondo compleanno di questa storia (mi vergogno un sacco di non averla ancora finita, sappiatelo) e vi ringrazio tanto per il contributo grande o piccolo che date o avete dato alla sua crescita, significa molto per me ^_^
Con il cuore che sanguina, vi saluto e vi informo che dovrò fare nuovamente un salto di settimana. Spero davvero che sia l'ultima volta che succede una cosa del genere.
Enormi baci a tutti voi,
Lalli