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Autore: Whity    01/02/2015    0 recensioni
A sedici anni, Anne Laure Smythe Clarington ha poche certezze.
È una sfigata.
Suo padre Hunter non l’ha mai voluta, altrimenti non la tratterebbe a quel modo.
Nessuno la vorrà mai. Soprattutto Helena Carter. E no, lei non è lesbica. Assolutamente no.
Cosa accadrà quando Sebastian – l’altro padre nonché genitore affidatario dopo la separazione dal marito – si invaghirà del suo professore, una vecchia conoscenza dai tempi della scuola, e Hunter perderà la testa dietro ad un noto pediatra? Ma soprattutto, c’è un modo giusto di dire le cose?
[One-shot partecipante al Glee Big-Bang Italia]
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Hunter Clarington, Sebastian Smythe, Thad Harwood, Trent Nixon | Coppie: Sebastian/Thad
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quando ho scoperto che te ne eri andato
Credo mi si sia rotto qualcosa dentro, perché
È stato profondamente ingiusto
Privare il mondo dei tuoi sorrisi.
Questa è per te, ovunque tu sia sono certa che
Starai sorridendo.
A Mirko <3.
 
 
 
When we were young,
Oh Oh, we did enough
When it got cold,
Ooh Ooh, we bundled up
I can't be told,
Ah Ah It can't be done
(Stubborn Love – The Lumineers)


Se c’era una cosa che Anne Laure detestava sul serio, era la prospettiva di passare il week end a casa Clarington da suo padre. Non che quelli a casa propria con l’altro padre fossero idilliaci e fatti di film stucchevoli e marshmallows ma – quantomeno – le evitavano lo stress del borsone da preparare di corsa in procinto di andare in un posto che – intendiamoci – era la rappresentazione casalinga di una caserma.
O di un lager, a seconda dell’umore dell’inquilino.
Nemmeno a dirlo, qui non si stava parlando del gatto, isterico anche quello e sacro come nemmeno il crocifisso.
- Hai preso tutto, Anne? – la voce di Sebastian, altrimenti detto l’altro genitore, la fece sobbalzare.
Si limitò a dare un’occhiata al borsone che aveva preso con sé - felpe, pigiama, qualche libro, spazzolino, telefono... sarebbe sopravvissuta, si disse - prima di scrollare le spalle.
- Suppongo – mormorò – in ogni caso domani pomeriggio sono di nuovo qua… -.
Aggrapparsi alla speranza di tornare alla propria stanza dai muri tappezzati di poster improbabili, citazioni di Audre Lorde[1] e zeppa di libri più o meno impegnati era un buon modo per affrontare il week end.
Doveva essere propositiva, si disse.
“Eh, col cazzo…”
Salutò Sebastian con un gesto del capo – entrambi erano decisamente goffi, quando si trattava di dimostrazioni di affetto. E non perché non si amassero, beninteso. Semplicemente, a volte non sapevano come farlo – quindi si diresse verso la porta d’ingresso con l’andatura di un condannato a morte.
Una volta uscita si trovò davanti la figura decisamente imponente – e slanciata, dannazione! – di Hunter Clarington appoggiata elegantemente alla fiammante macchina sportiva che si era regalato per i trentotto anni.
- Eccoti finalmente – la salutò con un cenno del capo, prima di prenderle il borsone di mano – Andiamo, altrimenti rischiamo di fare tardi – posò il borsone sul sedile posteriore e salì in macchina, rapidamente imitato dalla ragazzina.
Una volta in viaggio l’uomo prese nuovamente la parola.
- Prima di andare a casa dobbiamo passare a prendere una persona, quindi una volta là sii gentile. Intesi? -.
Inutile dire che la domanda non lasciasse alcuno spazio a risposte negative di qualsiasi genere.
Passarono davanti ad un piccolo negozio di fiori e Hunter si fermò, lasciandola ad aspettare in macchina chiedendosi che diamine stesse succedendo.
Probabilmente, ci fosse stato il gatto al suo posto quell’altro si sarebbe pure portato il trasportino dietro… a lei invece toccava rimanere in una macchina chiusa con il riscaldamento spento.
A novembre.
Una volta che suo padre fu tornato – reggendo un mazzo di gigli decisamente impegnativo - Anne si arrischiò a prendere la parola.
- Che succede? -.
L’altro le rivolse uno sguardo di pura sufficienza.
- A volte mi chiedo se tu sia veramente mia figlia o ti abbiano scambiata alla nascita – borbottò – Mi pare evidente che siano per Trent.. -.
Trent?!
Anne evitò di soffermarsi sulle parole di Hunter, su quanto le avessero fatto male e si concentrò sull’ultima parte della frase.
- Trent?! Un collega? – chiese, poi si concentrò sul mazzo di fiori e realizzò.
Oh. Cazzo.
- Il tuo… sì, insomma il…. – rimase senza parole per più tempo di quanto le sarebbe piaciuto ammettere, prima di ingoiare a vuoto e terminare la frase – il tuo fidanzato? -.
Hunter frenò un po’ troppo bruscamente all’ennesimo semaforo rosso, prima di voltarsi e riservare un’occhiataccia.
- Vedi di non farmi fare figuracce, razza d’impiastro… -.
Nella lingua di Hunter quello doveva essere un sì.
Arrivarono pochi minuti dopo, parcheggiarono e scesero dall’auto.
Hunter si soffermò a sistemarsi la cravatta – a quel gesto Anne fu quasi certa dell’esistenza dell’anticristo perché insomma… era di Hunter Clarington stessero parlando, mica di un essere umano qualunque ­– e prese il mazzo di fiori, prima di chiudere le portiere e dirigersi verso il gate destinato agli arrivi.
Non le restò che seguire suo padre in religioso silenzio, chiedendosi cosa avesse fatto di male questo famoso Trent per meritarsi la pena di dover sopportare il pessimo carattere di quell’altro.
Probabilmente era l’erede di Charles Manson.
O il centurione che inchiodò Gesù Cristo alla croce.
Un messaggio la distrasse momentaneamente.
Passa un buon WE con tuo padre. Lunedì mi racconti poi tutto. XOXO Helena
Nonostante le farfalle allo stomaco – insomma era Helena Carter, la ragazza più bella della Columbus International e il sogno erotico di mezza scuola. Probabilmente pure il suo. - storse il naso.
Sarebbe stato un week-end infernale, altroché…
 
Today is gonna be the day that they’re gonna throw it back to you
By now you should’ve somehow realize what you gotta do
I don’t believe that anybody feels the way I do about you now
Backbeat the word was on the street that the fire in your heart is out
I’m sure you’ve heard it all before but you never really had a doubt
I don’t believe that anybody feels the way I do about you now
(Wonderwall – Oasis)
 
Trent Nixon era nervoso.
Non come quando aveva parlato davanti a tutta la scuola per il diploma.
Nemmeno come quando aveva recitato il giuramento di Ippocrate.
Neppure come quando aveva operato una bambina di tre anni con la speranza di farla vivere almeno altri venti.
Molto, molto di più. Aveva persino le mani sudate!
Hunter lo aspettava in aeroporto con sua figlia, la ragazzina di cui gli parlava ogni due per tre facendogli credere di non apprezzarla a sufficienza quando – ne era certo – la adorava e si preoccupava per lei.
- Dovrebbe mettersi a dieta, st’impiastro. Sia mai che diventi una balena come sua nonna… -.
- Mah, una A di inglese, cosa vuoi che sia!? -.
- Mi chiedo chi sia il cretino apocalittico che le ha tagliato così i capelli…sarebbe da denunciare -.
- Non ha uno straccio di fidanzato, le tre amiche che le ronzano intorno sono inaffidabili… ma Sebastian cosa diavolo fa, invece di controllarla?! -.
Sobbalzò quando la spia delle cinture di sicurezza si spense, quindi si accinse ad alzarsi e recuperare il bagaglio a mano, prima di scendere salutato dalle hostess che gli auguravano un piacevole soggiorno a Columbus.
Se non mi prende un infarto fulminante sulla scaletta del Boeng…
Prese un respiro profondo prima di dirigersi verso le porte che lo separavano dal fidanzato – erano fidanzati, peraltro?! Dopo quasi due anni non si era più scopamici, vero!? Focalizza, Trent – e relativa figlia.
Era un pediatra, sapeva gestire emergenze e bambini, cosa sarebbe potuto andare storto?
“Tutto” gli ricordò la vocina dentro di sé e – ad essere onesti – il fatto avesse la voce di Wes non aiutava la causa.
La porta si aprì e la prima cosa che vide fu un enorme mazzo di gigli, seguito dagli occhi verdi del suo uomo – calma Trent, non è il caso di farsi venire un’erezione in mezzo alla gente – e dietro di lui una ragazzina ingolfata in una felpa scura, un paio di jeans e quelle sneakers oscene che però agli adolescenti sembravano piacere da matti.
Fu letteralmente amore a prima vista.
“È adorabile, e probabilmente nemmeno se ne rende conto” si ritrovò a pensare.
Si copriva esattamente come Trent aveva fatto per anni, teneva lo sguardo basso di chi non voleva esser notata e sicuramente non apprezzava le si leggesse dentro. L’uomo era quasi certo fosse pure una divoratrice di libri niente male…
Salutò Hunter con un bacio, prima di sorridergli.
- Grazie dei fiori – gli mormorò, per poi voltarsi – Tu devi essere Anne Laure – si rivolse direttamente alla ragazzina – Tuo padre mi parla spesso di te -.
Lei alzò lo sguardo, i cui occhi dicevano qualcosa di tremendamente simile a “Immagino quanto e come ti parli di me”, prima di alzarsi, fare un passo avanti e porgergli la mano.
- Piacere – mormorò.
Lui gliela strinse prima di sorriderle di nuovo e indicare Hunter che pareva decisamente interessato alla trama del nastro che stringeva i gigli. Pagliaccio adorabile.
- Portiamo sua signoria il musone a casa – le strizzò l’occhio.
La ragazza si morse un labbro, come a volersi impedire di sogghignare impunemente, prima di annuire.
- Andiamo -.
Sarebbe stato un gran week-end. Trent ne era assolutamente certo.
 
When routine bites hard,
And ambitions are low,
And resentment rides high,
But emotions won't grow,
And we're changing our ways, taking different roads.

Then love, love will tear us apart again.
Love, love will tear us apart again.

(Love Will tear us apart – Joy Division)
 
Dall’altra parte della città, intanto, Sebastian Smythe stava preparando l’impasto – forse sarebbe stato meglio dire impiastro - per la torta che quella sera avrebbe dovuto portare a casa di Blaine e Kurt.
La fenomenologia del suo rapporto con la coppia più bella del mondo era una di quelle cose inspiegabili al resto del genere umano. Dopo lo scandalo degli steroidi si era trovato a incontrare Blaine in palestra e dopo un primo tesissimo mese fatto di silenzi e cenni del capo i due avevano deciso di concedersi un po’ di tregua. Inserire Kurt nel loro rapporto fu complesso e necessitò di qualche mese ma dopo l’ennesima discussione di questo ultimo con Blaine – quando il biondo lo chiamò disperato perché non riusciva a raggiungere il fidanzato – seppe di avercela fatta. Erano quasi-amici. Le piccole soddisfazioni della vita.
- Speriamo vada tutto bene – stava borbottando al telefono con l’amico, intento a non versarsi uova sui piedi o farina tra i capelli – Ancora non capisco come faccia Hunter a combinare disastri di queste proporzioni, peraltro. Che poi… perché diamine l’ho sposato!? -.
Dall’altro capo della conversazione fu quasi certo di sentire Kurt Faccia da Checca Hummel sogghignare.
- Anderson hai messo il vivavoce senza il mio consenso? – sibilò, prima di notare una macchia sulla camicia – Maledizione, lo sapevo che avrei dovuto mettere un grembiule… -.
Blaine sospirò, prima di rispondere.
- Anne è un’adolescente. Può capitare che discuta con Hunter… poi sul fatto il vostro sia stato in cima alla Top Ten dei matrimoni improbabili beh… è un altro discorso -.
Lo sentì parlottare col marito.
- Cosa succede, Faccia da Checca? – chiese stancamente, mentre decideva potesse permettersi il lusso di buttare l’impasto fallimentare in onore di una torta presa in pasticceria.
- Sai che Thad si è trasferito qui? – gli chiese, prima di continuare – Gli hanno assegnato una supplenza alla Columbus International, intanto sta continuando a collaborare con la Columbus State e… -.
L’altro lo interruppe.
- Quindi? -.
- Stasera c’è anche lui a cena. Vedi di comportarti a modo – borbottò, prima di concludere la chiamata.
Senza nemmeno salutare.
Maledetto Hummel.
Si fermò un secondo a fare mente locale.
Thad.
Thad Harwood.
Thad Fottuto Harwood.
Sebastian ricordava un ragazzo non troppo alto, magro, dalla carnagione olivastra e gli occhi scuri. Inutile a dirsi, ricordava anche un culo niente male che – però – non era riuscito a conquistare.
Dannati Cosmo e Wanda e la loro ala protettiva, non fosse stato per loro avrebbe scopato quel ragazzino senza soluzione di continuità. Anche perché era il suo dannatissimo compagno di stanza…
Si liberò in fretta di quel blob che avrebbe dovuto chiamarsi impasto, cacciò ciotole e cucchiai in lavastoviglie e si diresse in bagno.
Una doccia bollente era quanto gli ci voleva per relegare Thad Harwood in un angolino oscuro della propria mente. Quello e – magari – una sega ben fatta.
- Cazzo, devo trovarmi un uomo -.
 
I never wanted to be your weekend lover
I only wanted to be some kind of friend
Baby I could never steal you from another
It’s such a shame our friendship has to end
(Purple Rain – Prince)
 
Il professore associato Thaddeus James Harwood era – da nemmeno un’ora – un uomo con un obiettivo ben preciso: sopravvivere ad una cena in presenza di Sebastian Smythe senza ritrovarsi ad implorarlo di scoparlo direttamente nello sgabuzzino di casa Hummel-Anderson.
Dopo la fine della sua storia con Marc – l’anno precedente - si era concesso solo storie passeggere nella convinzione di non volere altro, come se la solidità del rapporto che aveva perso non potesse essere ricostruita con qualcun altro.
Quel pomeriggio, quando Kurt gli aveva proposto di cenare da loro aveva accettato subito, contento di non dover passare l’ennesima serata a correggere saggi scritti da ragazzi che non avevano idea di cosa fosse un blank verse. Il fatto ci fosse il fu-sogno-erotico di mezza Dalton era solo un valore aggiunto.
Cazzo, sono veramente disperato….
Chiuse il foglio di calcolo nel quale registrava i voti degli studenti e decise di mettersi ad ascoltare un po’ di musica.
La voce di Prince riempì lo studio di casa Harwood mentre la voce di Kurt gli tornò alla mente.
“C’è anche Sebastian. Sai, Smythe? Lui e Blaine sono diventati amici… la figlia è dall’ex marito quindi passa a cena da noi. Te lo ricordi Hunter Clarington? Si sono sposati e hanno avuto una bambina, poi dopo una decina d’anni si sono separati..”
Hunter Clarington.
Hunter sia dannato Clarington.
Il pagliaccio fresco di accademia militare che li aveva quasi costretti a prendere steroidi e i pochi che si erano opposti avevano potuto dire adieu ai Warbler.
Poi – che Trent fosse lodato – era arrivata la cavalleria, quindi “bye bye Clarington”.
Inutile dire che nessuno – proprio nessuno – si fosse reso conto del fatto Sebastian sparisse durante i week-end per fare qualcosa di diverso da chiudersi allo Scandal e buttarsi tra le braccia dell’ennesimo sconosciuto ubriaco. Quello sino al momento delle nozze.
Thad ricordava ancora quando a casa era arrivato l’invito delle nozze, in carta pergamena color champagne.
Aveva dovuto nascondere un muso eclatantemente lungo dietro un volume di letterature comparate…
Le nozze erano state eleganti e imponenti, esattamente come ci si sarebbe aspettati, e i voti essenziali.
Una cerimonia bellissima.
Una delle peggiori giornate della sua vita.
In quel preciso istante si rese conto di due cose.
Primo: stava pensando decisamente troppo a Sebastian Smythe.
Secondo: aveva un’erezione decisamente dolorosa della quale prendersi cura.
Spense la musica, prima di dirigersi in bagno.
- Cazzo, le cose non sono per niente cambiate -.
 
‘Cause no, no, nobody knows you
When you’re down and out.
In your pocket, not one penny,
And as for friends, you don’t have any.
(Nobody wants you, when you’re down and out – Eric Clapton)
 
- Pizza? – la voce di Trent la riscosse.
Anne Laure si era assopita sul divano di casa Clarington, con una copia di Wuthering Heighs in grembo ed una tazza di the sul tavolino davanti a sé.
Impiegò un paio di secondi prima di rendersi conto di dove si trovasse.
- Cosa? – mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
L’altro le sorrise, prima di ripeterle la domanda.
- Per cena pensavamo di ordinare una pizza. Per te va bene? -.
Lei fece per annuire, quando la voce di Hunter li bloccò.
- Per lei dell’insalata, e delle proteine – borbottò, sembrando direttamente un compendio sulla Dieta a Zona – Non può lievitare come la madre di Sebastian.. -.
La ragazza fece per dire qualcosa quando l’uomo accanto a lei intervenne.
- Chiedile scusa – sibilò – Ora -.
Anne Laure sospirò e si morse un labbro.
- Non fa nulla -.
Ci sono abituata.
Trent si voltò verso di lei, scrollando il capo.
- Tuo padre aveva questa pessima abitudine già ai tempi della scuola. Pensavo che gli anni gliela avessero fatta perdere – riservò l’ennesima occhiataccia al fidanzato – Chiedile scusa -.
In quel preciso istante, Anne si rese conto che – contrariamente a quanto aveva supposto in precedenza – a portare i pantaloni non era sua altezza il grandissimo generale Clarington.
Proprio per niente.
Finalmente una buona notizia.

- Vedi di non abbuffarti – fu tutto ciò che suo padre le concesse prima di uscire dalla stanza lasciandola sola con l’altro.
- Mi spiace – Trent era sinceramente mortificato per lei.
Era una strana sensazione sapere ci fosse qualcuno che teneva a lei – o almeno così sembrava – al punto da rispondere a tono a Hunter, senza paura di rispostacce e senza essere Sebastian.
- Non importa – mormorò in risposta, cercando di mantenere un tono di voce leggero – Non è nulla che non mi abbia già detto – concluse con una scrollata di spalle.
L’altro sospirò, prima di sedersi accanto alla ragazzina.
- Tuo padre tiene molto a te. Parla di te ogni volta che ne ha l’occasione – confessò – solo non sa come. A volte il fatto di volerci bene non ci impedisce di farlo nel modo sbagliato, ecco – concluse.
L’altra parve riflettere un attimo sulle parole di Trent, prima di prendere in mano l’Iphone e digitare frettolosamente un messaggio.
Papà, tu sapevi che papà ha un fidanzato?
Si morse il labbro. Doveva scriverle? Aveva voglia di sentirla? Doveva sbilanciarsi?
Sospirò, prima di scrivere un altro messaggio.
Mio padre ha un fidanzato. Simpatico. Probabilmente in lista per il premio “Martire dell’anno”. Ci vediamo lunedì :*
Dopo averlo inviato lo rilesse.
Aveva messo una faccina. Perché lo aveva fatto? Se Helena avesse frainteso? Se avesse capito?!
Affondò i denti nel labbro, salvo bloccarsi quando sentì la mano di Trent sulla propria.
- Rischi di farlo sanguinare –mormorò l’uomo, prima di alzarsi – e non stare troppo a pensare a quello che dice tuo padre. Sai, ad una certa età… - concluse, sistemandole una ciocca di capelli e dirigendosi in cucina.
La risposta di Sebastian – e la conseguente vibrazione del telefono – la fecero sobbalzare.
Di nuovo.
Un fidanzato?! Ma davvero?! Ma da quanto!? L’ha scovato al manicomio!? Stasera vado da Kurt e Blaine. Se avanza un pezzo di dolce è nostro, ragazzina. Comportati bene.
Sorrise, prima di rendersi conto le fosse arrivato un altro messaggio.
Era Helena.
Beh, un fidanzato lo abbiamo tutti. O quasi. ;) Ci vediamo lunedì!!! :)
Sbuffò, facendo per tirare il telefono.
- Tiralo e sognati che te ne compri un altro -.
Ci mancava solo suo padre, in quel momento…
- Vaffanculo – mormorò, non appena questo girò l’angolo.
 
 
Ever since I was a child,
I’ve turned it over in my mind.
I sang by the piano, tore my yellow dress and,
Cried and cried and cried.
And I don’t wanna see what I’ve seen,
To undo what has been done.
Turn off all the lights,
Let the morning come.
[Over The Love – Florence + The Machine]
 
Anne Laure stava meditando di strozzarsi con la pizza.
Seriamente.
Suo padre Hunter era diventato dannatamente ciarliero, probabilmente con l’intenzione di impressionare Trent che – al contrario – pareva sinceramente interessato a conoscerla meglio.
Nemmeno a dirlo, lei invece detestava essere al centro dell’attenzione.
- Quindi? Progetti per il futuro? Aspirazioni? -.
Fu certa di aver sentito Hunter sbuffare. Parimenti finse di ignorare di notare il calcio che questo ultimo ricevette sotto il tavolo.
- Mi piace la letteratura – mormorò, prendendo un sorso d’acqua – Vorrei continuare in quel campo, magari occuparmi di letteratura e Women Studies[2]… - concluse.
Lo sguardo consapevole di Trent la fece vacillare.
Era come se sapesse.
Cazzo.
- Mi sembra un buon piano – le sorrise l’uomo – tuo padre ti ha raccontato di come è finito a fare l’avvocato? – cambiò rapidamente argomento, probabilmente percependo la tensione della ragazzina.
Il luccichio negli occhi di Trent e il ringhio soffocato di Hunter le fecero intuire quella sarebbe stata una storia degna di esser ascoltata.
- Non mi pare il caso – borbottò suo padre, prima di alzarsi – Vado a prendere la frutta – poi si voltò verso Trent – Non provarci, Nixon – concluse minaccioso.
Non appena se ne fu andato, Trent le si avvicinò.
- Ti basti sapere che è finito a lavorare per Sebastian – sussurrò complice – Che i primi due mesi gli ha letteralmente fatto fare il segretario e il portaborse… credo si ricordi ancora come funziona la rilegatura delle fotocopie… – mormorò, prima di sorridere al compagno che era appena tornato con una fruttiera colma.
La ragazza sorrise al pensiero di un Hunter sottomesso alle volontà dell’altro genitore, con le braccia colme di faldoni, documenti e atti.
- Nixon… - borbottò questi – Non fare danni – poi si rivolse a lei – E tu, ragazzina, vedi di mangiare un po’ di frutta… -.
Anne Laure prese una mela e le diede un morso, prima di storcere il naso: era leggermente acidula e decisamente diversa dalla frutta candita che le portava Mamie[3].
- Abituati al cibo sano – la riprese il genitore – Sia mai che… - l’ennesimo calcio di Trent lo mise a tacere.
Sospirò.
Quella dannata farsa stava andando troppo oltre.
Decisamente troppo oltre.
Si morse l’interno della guancia, prima di alzarsi – ignorando  i rimproveri di Hunter perché le pareva il caso di fare la scenetta?! – e uscire dalla sala da pranzo.
Salì velocemente le scale e si chiuse nella camera degli ospiti, prima di tirare un pugno alla porta e sedersi direttamente in terra.
La torta non è buona come al solito, ma Kurt ha fatto una teglia di Strudel solo per noi. ;)
Il messaggio di Sebastian la fece singhiozzare.
Perché Sebastian l’amava mentre Hunter sembrava detestarla così tanto?
Perché non riusciva a vedere il buono in quello che faceva?
Perché non gli riusciva di essere un genitore decente?
Okay…ci vediamo domani
Rispose brevemente a Sebastian, prima di alzarsi e decidere potesse anche buttarsi sul letto a leggere.
Emily Brönte sarebbe stato un modo decisamente migliore di passare la serata…
- Anne? Posso entrare? -.
Appunto.
Era Trent.
Poteva entrare, dopotutto era stato gentile con lei…
Si avvicinò alla porta e fece scattare la serratura, prima di farlo entrare.
- Tesoro… - non appena l’uomo notò gli occhi lucidi si avvicinò e l’abbracciò.
Il contatto con quel corpo caldo fu sufficiente a farla scoppiare a piangere.
- Va tutto bene – la voce dell’uomo era soffice, non riuscì a trovare un altro aggettivo – Se può farti star meglio Sebastian lo sta insultando. Pesantemente. In francese -.
Sorrise al pensiero del padre intendo a sciorinare una quantità improponibile di bestemmie in francese.
Nel frattempo Trent la condusse sul letto, prima di farla sedere e accomodarsi a sua volta di fianco alla ragazzina.
- Mi dispiace, a volte Hunter esagera – mormorò l’uomo.
Anne Laure scosse il capo.
- Mi odia. Semplice – scoccò lapidaria.
Tagliente come solo gli adolescenti sanno essere.
L’altro sorrise, quasi intenerito.
- Non ti odia – le mormorò, sistemandole un ciuffo di capelli – è solo dannatamente goffo quando si tratta di mostrare affetto -.
La ragazzina negò con un cenno del capo.
- No, mi detesta – lo contraddisse – Perché non sono brillante, magra, bella, fidanzata… -.
L’uomo la bloccò.
- Eterosessuale? -.
Lei si lasciò scappare un gemito.
- No.. cioè, non lo so io.. – l’abbraccio dell’altro la strinse nuovamente.
- Va bene – mormorò lui – va tutto bene… -.
Quello sembrava diventato il mantra della serata…
 
The green eyes, shines upon you
And how could, anybody, deny you 
I came here with a load and it feels so much lighter
Now I've met you…
Honey you should know
That I could never go on
Without you
(Green Eyes – Coldplay)
 
Thad Harwood aveva un culo fantastico.
Questo, in buona sostanza, quello che Sebastian aveva pensato trovandoselo davanti, intento a parlare con Kurt. Dopo un litigio assurdo con Hunter – aveva quasi certamente fatto piangere la sua bambina, il bastardo. Un padre sa. – una vista del genere era quanto di meglio potesse chiedere.
Come fossero finiti a casa sua a farlo sul tavolo della cucina – in ogni caso – era un mistero.
- Sebastian… - il gemito di Thad lo incitò a spingersi più a fondo in quel corpo caldo.
- Sebastian.. – la voce dell’altro lo richiamò – Vai più… - un gemito – vai più piano altrimenti… -.
Quando toccò quel punto lo vide inarcarsi sotto di sé.
- Nessuno dice che dopo ci tocchi fermarci.. -.
Dopo – esattamente un paio d’ore e numerosi orgasmi dopo – Thad si stava allacciando la camicia, incerto su cosa fare o dire per non risultare inopportuno.
L’hai fatto con quello che credevi solamente un sogno erotico.
Lo avete fatto svariate volte sul tavolo della cucina di casa sua.
Lui ti ha proposto un caffè e tu già sapevi.
Sapevi ma hai comunque accettato.
Perché era di Sebastian, che si stava parlando.
Di lui e dei suoi dannati occhi verdi.
- A che stai pensando, Harwood? – quella voce lo riscosse.
- Al fatto potresti quasi iniziare a chiamarmi per nome. Tolti i colloqui di quella che suppongo sia tua figlia, ovviamente – chiuse l’ultimo bottone senza sapere cosa sarebbe successo dopo – Sperando, tra l’altro, sia una studentessa migliore di quanto non fossi tu.. -.
L’altro sogghignò.
- Come vuoi, Thad –.
Si avvicinò alla macchina del caffè e l’accese.
- Ne vuoi una tazza? – chiese, muovendosi verso un pensile.
L’altro annuì mormorando un ringraziamento.
- Ti imbarazza, Thad? – la voce di Sebastian lo fece sobbalzare nuovamente – Perché vorrei mi fosse data la possibilità di frequentarti senza imbarazzi di sorta, ma Anne non è un cucciolo di animale che si riporta in canile… -.
Thad alzò lo sguardo.
- Lo vorresti sul serio? – chiese – Frequentarmi, intendo – concluse, abbassando impercettibilmente gli occhi.
Per tutta risposta l’altro gli passò il dorso della mano sotto il mento e gli alzò lo sguardo per baciarlo.
- Domanda stupida, Harwood – mormorò prima di mordergli il labbro inferiore – Perché non dovrei volerlo? Non ho più l’età per fare il coglione in giro – concluse con una scrollata di spalle per poi passargli il mug con il caffè.
– E mi piaci – si sentì in dovere di aggiungere, probabilmente rendendosi conto di non esser stato particolarmente delicato.
- Ti piaccio -.
Sebastian lo guardò storto per un attimo, prima di sbuffare una risata.
- La smetti di ripetere quello che dico? -.
Thad nascose il viso nella tazza, prima di prendere un sorso di caffè e sorridere.
- Mi piaci anche tu, comunque – mormorò.
Finirono i caffè in religioso silenzio, prima di decidere fosse cosa buona e giusta riprendere da dove avessero iniziato.
Sul letto, questa volta.
 
There now, steady love, so few come and don’t go
Will you, won’t you be the one I’ll always know?
When I’m losing my control, the city spins around
You’re te only one who knows, you slow it down.
(Look after you – The fray)
 
Hunter Clarington era un uomo frustrato.
Una frase del genere, all’una di notte di un maledetto sabato sera, era in grado di riassumere più che efficacemente quello che era successo.
Aveva discusso con Sebastian, con Trent e quella dannata ragazzina non gli rivolgeva la parola dalle otto di quella sera.
Anche ammettendo avesse sbagliato – e al più aveva sbagliato i toni, ma poco altro, fosse ben chiaro – era davvero il caso di fare un teatro del genere?! Come se i rapporti con l’ex-marito non fossero già sufficientemente tesi…
- Dannazione – borbottò, prima di voltarsi su un fianco e fermarsi un secondo ad ammirare la schiena del fidanzato.
E pensare che aveva passato buona parte della settimana a sognare di fare l’amore con lui per tutta la notte…
Trent mosse un braccio, come a cercarne la mano. La strinse, intrecciando le loro dita.
- Domani chiedile scusa – mormorò il pediatra, prima di voltarsi e stendersi sulla schiena.
Era sveglio, lo stronzo.
- E falla parlare – aggiunse.
Hunter si avvicinò, senza mollare la presa sulla mano dell’altro.
- Eri sveglio – sibilò – Hai fatto l’offeso, come… -.
Con un colpo di reni Trent – il goffo Trent, quello che faticava a stare al passo con le coreografie dei Warblers – lo sovrastò.
- Non dire niente – mormorò, prima di avvinarsi al viso dell’altro – E baciami, animale -.
Si avventò su quelle labbra come se da quelle dipendesse il suo stare bene – in fondo era così – e sorprese il fidanzato con un’irruenza che l’altro non credeva possibile. Hunter gli strinse i fianchi, prima di far scendere una mano sul sedere dell’altro.
- Non giocare col fuoco Nixon – ne strinse una natica – Potresti bruciarti – infilò una mano sotto i pantaloni del pigiama.
In quel momento scoprì che sotto questi ultimi non c’era nulla.
Cazzo.
- Smettila con tutte queste parole – lo riprese l’altro, prima di mordergli una spalla – E scopami, Hunter -.
Si perse in quel corpo come poche volte gli era capitato con Sebastian – quando ancora entrambi credevano fosse amore. Forse in un certo senso lo era: amore a scadenza – guardandolo ogni singolo istante. Con la chiara intenzione di non perdere nemmeno un frammento di quella notte.
- Dobbiamo fare piano – lo riscosse la voce di Trent – Altrimenti tua figlia potrebbe svegliarsi.. -.
Hunter ringraziò il fatto la suddetta stesse sempre da Sebastian, almeno tutte le altre volte avrebbe potuto urlare quanto voleva e farlo dove doleva.
- Pessimo padre – lo rimproverò il compagno, prima di mordergli la spalla – peraltro dovresti iniziare a non pensare a voce alta… - concluse con un piccolo ghigno.
Appunto.
Merda.
 
I'm more than a bird, I'm more than a plane
I'm more than some pretty face beside a train
And it's not easy to be me

I wish that I could cry
Fall upon my knees
Find a way to lie
‘Bout a home I'll never see

(Superman (it’s not easy) – Five for fighting)
 
Anne Laure si svegliò incredibilmente presto, considerando fosse una domenica e il giorno seguente la sveglia avrebbe preso a trillare alle sei.
Si alzò rendendosi conto si fosse addormentata vestita, prima di decidere potesse anche farsi una doccia – il bagno era dalla parte opposta rispetto alla camera di suo padre, ergo con ogni probabilità non avrebbe svegliato nessuno – e concedersi una tazza di caffè.
Quello, evidentemente, prima di affrontare l’elefante rosa che sicuramente avrebbe affollato ogni stanza di quella dannatissima casa.
Prese la trousse nella quale aveva stipato le cose per il bagno e uscì dalla stanza, imbattendosi immediatamente nell’ultima persona che avrebbe voluto vedere a quell’ora.
Dall’alto dei suoi quasi due metri e infagottato in una tuta in felpa grigia, Hunter Clarington  la squadrava con cipiglio incerto.
- Hai un paio di scarpe da ginnastica? – chiese, prima di allungarle un paio di pantaloni simili ai suoi e una felpa – mettiteli e raggiungimi in cucina – parve riflettere un secondo – per favore -.
Probabilmente furono quelle ultime due parole a farla capitolare.
Che suo padre stesse male?
Scese cinque minuti dopo, trovandolo appoggiato alla veranda.
- Andiamo? – le chiese, come se la meta fosse già chiara ad entrambi.
Lei lo guardò confusa.
- Dove? – mormorò, prima di mordersi un labbro – Cioè.. sì… -.
Hunter la squadrò dubbioso, come se non sapesse bene cosa risponderle.
O come farlo.
- A correre – rispose infine – è un toccasana per i pensieri – le sfiorò il labbro con il pollice – rischi di farlo sanguinare – concluse incolore.
“Chi sei tu? Che ne hai fatto di mio padre? Non è che questo Trent è in realtà un qualche santone che fa miracoli?!”
Si avviarono lentamente lungo il viale che ospitava qualche raro passante, probabilmente diretto all’edicola di quartiere per recuperare il New York Times e leggerselo bevendo il caffè. Dopo circa dieci minuti Anne decise che per Natale avrebbe richiesto un paio di polmoni. Fece per rallentare il passo – suo padre aveva l’andatura di un granatiere d’assalto, dannazione a lui – quando il genitore le strinse il polso intimandole così di continuare.
- Pensa – le borbottò – concentrati su qualcosa. Disciplinati, ragazzina -.
Strinse gli occhi e riprese il passo.
“Se non muoio lo ammazzo”
Dopo circa altri dieci minuti Hunter rallentò il passo, sino a farlo evolvere in una camminata poco sostenuta.
- Non male, ragazzina – borbottò, passandole una bottiglietta d’acqua apparsa da chissà dove – Bevi piano -.
Alla prima sorsata, complice il fiatone, iniziò a tossire.
- Appunto – fu il commento del genitore.
Puntuale come nemmeno il ciclo…
Lei gli lanciò un’occhiataccia, prima di passargli l’acqua e il tappo.
“E adesso?”
- Trent ha ragione – esordì l’uomo, continuando a camminare – io e te dobbiamo imparare a comunicare. Ieri sera ho sbagliato i modi – borbottò.
Anne fu quasi certa di averlo visto arrossire.
“Chi sei tu e che ne hai fatto dello stronzo che ieri sera mi ha dato della balena che si alimenta male e si veste peggio!?”
- Quando ti dico quelle cose sui capelli, o su cosa mangi – riprese – è perché non voglio che qualcuno ti faccia stare male dicendotele con cattiveria -.
La ragazzina non riuscì più a tenersi.
- Invece dirle e farmi rimanere come una stronza non è cattiveria – sibilò.
L’altro si voltò, prima di allungarle uno schiaffetto sulla nuca.
- Linguaggio, ragazzina – la riprese – comunque lo so. Ho sbagliato – poi si voltò a guardarla – Ma tu non rendi il lavoro facile. Sei uguale a quell’altro – concluse borbottando – spero solo tu non sia altrettanto promiscua – concluse, prima di accelerare leggermente il passo – Muoviti, altrimenti chi lo sente Trent se la colazione non è a temperatura ideale? -.
 
“There’s nothing wrong with lovin’ who you are”
She said “cause he made you perfect babe.
So hold your head up girl and you’ll go far
Listen to me when I say:

I’m beautiful in my way
‘cause God makes no mistakes
I’m on the right track baby
I was born this way
(Born this way – Lady Gaga)
 
- Devo andare a prendere Anne – la voce di Sebastian lo fece voltare – Mi accompagni? -.
Thad sorrise, prima di alzarsi da tavola e sporgersi per un bacio.
- Credo sia meglio procedere per gradi – gli mormorò sulle labbra – Io la conoscerò domani e quando le cose tra noi andranno bene – calcò l’ultima parola – organizzeremo qualcosa. Okay? -.
L’altro annuì, evidentemente poco contento ma non ancora in grado di presentare una qualche rimostranza. Dopotutto si erano rivestiti da nemmeno un’ora…
Thad stava sorseggiando il proprio caffè quando il cellulare di Sebastian prese a squillare.
- Pronto, chaton? – la voce dell’uomo si fece incredibilmente dolce – Dopo? Tu es sûre? Come vuoi, solamente non fate tardi… per le nove? Perfetto – concluse la chiamata.
Prese un sorso di caffè dalla tazza del professore, prima di iniziare a parlare.
- Mia figlia mi ha tradito col fidanzato del mio ex marito… Io e Trent volevamo andare a vedere una mostra di fotografie e chiude oggi… - concluse, imitando una voce in falsetto solo per veder l’altro scoppiare a ridere.
In quel preciso istante Thaddeus non ebbe cuore di dirgli che Trent – al secolo Trent Nixon, pediatra e fu-warbler nonché pseudo fidanzato dell’ex-marito di Sebastian – detestava la fotografia e non era nemmeno in grado di farsi un selfie decente.
 
- Una mostra di fotografie? – la voce di Trent la fece voltare.
Anne sorrise incerta.
- Credo di aver bisogno di ancora un po’ di tempo per capire – mormorò, prima di rivolgergli uno sguardo curioso – Ha senso, secondo te? -.
L’altro annuì, prima di aprirle elegantemente la porta e farle strada verso la macchina di Hunter.
- Se le fai una riga, Nixon, ti aizzo contro il gatto – gli fece presente il proprietario, appoggiato all’ingresso e incurante della frescura che sarebbe entrata in casa – E andate piano – concluse borbottando.
Gli altri due si sorrisero, quasi complici, prima di salire.
- Allora, sei pronta? – le chiese Trent – i miei due amici che lavorano lì sono adorabili. Un po’… ahem – faticò a trovare le parole – gay ma sono deliziosi -.
Anne Laure si morse un labbro.
- Secondo te lo sa? Papà, intendo –.
L’altro sorrise, prima di scalare la marcia e fermarsi ad un semaforo.
- Se vuoi la mia personalissima opinione, Hunter ha qualcosa in testa – ripartì una volta scattato il verde – non vedo Sebastian dalla scuola ergo non posso parlare per lui, ma Hunter credo abbia valutato l’opzione. Con me non ne ha fatto parola, in ogni caso -.
La ragazzina si morse un labbro, prima di annuire.
- Ecco – si passò una mano tra i capelli – Dio, che disastro… -.
L’altro si limitò a sfiorarle una gamba e canticchiare un motivetto che andava in voga anni prima.
Just love yourself and you’ll say
I’m on the right track baby
I was born this way
Trovarono parcheggio a nemmeno un isolato, prima di scendere e dirigersi verso un palazzo anonimo.
“Come? Niente bandiere arcobaleno e uccelli del paradiso, ad attenderci?” si chiese la ragazza, prima di seguire Trent verso l’ascensore.
Salirono al sesto piano e una volta lì si diressero verso una porta in legno chiaro accanto alla quale una targhetta in plastica decisamente colorata recitava PFLAG[4]. Anne prese un respiro, prima di decidere fosse ora di dimostrarsi esattamente per chi era: la figlia di un francese cinico e un dannato soldato, ergo Anne apri questa porta e conquista il mondo.
Entrarono in un ambiente luminoso, pieno di cartelloni e qualche disegno.
- Trent! – un uomo decisamente biondo fece il suo ingresso, seguito da un altro coi capelli castani – Che bello vederti! E chi è questo raggio di sole? -.
La ragazza guardò il fidanzato di suo padre con tanto d’occhi prima di mormorare il proprio nome.
- Anne è la figlia del mio attuale compagno – spiegò l’uomo – e visto che ha un po’ di pensieri in testa – i tre adulti si scambiarono uno sguardo decisamente troppo consapevole – le ho proposto di fare un salto qua -.
L’uomo dai capelli castani le si avvicinò.
- Stavamo servendo il the con gli altri, perché non venite anche voi? -.
Quando i due si furono allontanati la ragazzina si voltò verso Trent.
- Quelli sono Wanda e Cosmo?! – sibilò.
L’altro scoppiò a ridere, prima di non riuscire più a trattenersi e scompigliarle i capelli.
- Sei proprio la figlia di Sebastian -.
 
I’ll never stop holding your hand
I’ll never stop opening your door

I’ll never stop choosing you babe
I’ll never get used to you

(Never stop – Safesuit)
 
Alle nove in punto, la porta di casa di Sebastian si aprì, per far spazio ad una Anne Laure stranamente sorridente, con in spalla il solito borsone consunto.
- Chaton – l’uomo le andò incontro, prima di sorriderle sornione – Deduco il fidanzato di tuo padre mi stia spodestando, se sorridi così… -.
All’espressione sinceramente colpevole dell’altra non riuscì a non scoppiare a ridere.
- Scherzavo Anne – le fece cenno verso la cucina – che ne dici di un pezzo del dolce di Kurt? -.
La ragazza posò il giaccone, prima di negare con un sorriso.
- Domani a colazione, magari – si diresse verso la cucina – Vado a farmi del the. Ne vuoi? -.
Sebastian guardò la sagoma della sua bambina – poco importava avesse sedici anni – allontanarsi, prima di prendere il telefono e scrivere un messaggio ad Hunter.
Qualsiasi cosa abbia detto il tuo fidanzato a Anne-Laure, ringrazialo. Sembra dannatamente raggiante.
La risposta dell’altro non si fece attendere.
Riferirò.
Un secondo messaggio ebbe il potere di stupirlo.
Nostra figlia lo merita, in ogni caso.
- Cosa diamine è successo, in sti due giorni? – si trovò a mormorare, prima di raggiungere la figlia in cucina.
La ragazzina gli passò un mug che profumava di amarena, prima di soffiare sul proprio.
- Papà – mormorò – posso chiederti un favore? -.
L’altro si voltò verso la ragazzina.
- Qu’est que c’est? Così mi fai preoccupare… - concluse, inclinando leggermente il capo.
Anne sorrise, prima di scuotere il capo.
- Mi accompagneresti a fare shopping, un giorno che finisci prima a lavoro? Con la prossima paghetta credo taglierò i capelli, ma per adesso mi limiterò a tenerli un po’ in ordine… -.
In quel momento l’uomo non riuscì a trattenersi.
Posò il mug e – in barba a tutte le volte in cui non aveva saputo come comportarsi, a tutte le parole che aveva taciuto per imbarazzo e a quelle che non aveva detto per paura di ferire un animo che reputava troppo sensibile – strinse la figlia in un abbraccio.
- Papà – mormorò questa, spiazzata e persino un po’ imbarazzata – tutto bene? -.
L’altro annuì, prima di lasciare la stretta e sorridere.
- Sono fiero di te, perché stai crescendo e sei bellissima – le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio – Voglio solo che tu sappia che se c’è qualcosa che vuoi dirmi, io ci sono..ecco – concluse, vagamente impacciato.
Mi sa tanto che qua gatta ci cova…
- Buono a sapersi – la ragazzina finì il proprio the, prima di congedarsi – Vado a preparare le cose per domani, poi vado a dormire. Notte -.
 
You with the sad eyes don’t be discouraged
Oh, I realize it’s hard to take courage
[…]
But I’ve seen your true colours shining through

I’ve seen your true colours and that’s why I love you
So don’t be afraid to let them show your true colours
True colours are beautiful like a rainbow
(True colours – Cindy Lauper)
 
Tre settimane dopo Anne Laure uscì dal parrucchiere con un adorabile carré che ne metteva in risalto l’ovale e una fascia per capelli che le sarebbe servita per quando andava a correre.
Perché sì, aveva iniziato a correre.
Sembrava incredibile come in quei ventuno giorni fosse successo tutto quello, eppure era successo.
Helena si era mollata col fidanzato e ora usciva con un ragazzo del club di spagnolo ma, incredibilmente, la notizia l’aveva sconvolta meno di quanto non ritenesse possibile. Sebastian le aveva detto che stava uscendo con qualcuno, e che dopo Natale avrebbe anche potuto valutare di presentarli. Trent – invece – le aveva mandato la foto di un anello in oro bianco il cui sottotesto era decisamente inequivocabile e la ragazzina aveva dovuto trattenersi dall’urlare in classe, nell’ora del professor Harwood.
Non era andata al PFLAG – che senso avrebbe avuto, se non lo aveva ancora detto ai rispettivi genitori? – ma aveva preso un the con Nick e Jeff, dove i due le avevano raccontato delle loro vicissitudini a scuola – incredibile come quella scuola privata nel freddo Ohio fosse foriera di coppiette, poi… - e le avevano dato un paio di consigli dei quali far tesoro.
Ora, si disse, toccava a lei.
Aveva dato un taglio ai capelli, un po’ di brio all’armadio e si era messa a correre per disciplinare i pensieri – come avrebbe detto suo padre -, doveva solo raccogliere il coraggio a piene mani e dirlo ai propri genitori.
- Tesoro – le aveva detto Nick – sei la figlia di una coppia gay, cosa credi possa andare storto? Poi al massimo con Sebastian ci parliamo noi… - aveva concluso, prima di perdersi nell’aneddoto sulla volta in cui avevano tinto di rosa le unghie di suo padre il giorno prima di un’esibizione.
Quella sera aveva chiesto a Sebastian di invitare Hunter a cena, decidendo fosse un buon modo per affrontare la questione, quindi si apprestò ad andare a ritirare l’arrosto dalla rosticceria lì vicino prima di prendere l’autobus e tornare a casa.
Entrò e subito sentì due voci confabulare.
- Ti dico che qualcosa non va, Thad – era suo padre – E se vuole andarsene da quell’altro? -.
Ma cosa… ?
Chiuse la porta, facendo ben attenzione a far piano, prima di sfilarsi le scarpe e dirigersi verso la cucina. Quello che l’attese le fece quasi cadere la sporta con la cena di mano.
- Professor Harwood?! – mormorò, prima di iniziare a guardare i due uomini alternativamente – Oddio no, non voglio sapere – concluse, prima di posare la busta sul piano di marmo.
L’interpellato le si avvicinò.
- Ho saputo che stasera sarete impegnati in una cena di famiglia, ergo rimanderemo qualsivoglia spiegazione a dopo – le passò una tazza con del the prima di congedarsi – buon pomeriggio signorina Smythe Clarington -.
Quando l’uomo se ne fu andato la ragazzina si voltò verso il genitore.
- Papà, è un mio professore!!! – sibilò oltraggiata – Ora tutti penseranno che… - si fermò, prima di sospirare – Bah, che pensino quello che vogliono, in fin dei conti.. -.
Sebastian le sorrise, prima di prenderle la mano e farle fare una piroetta.
- Bei capelli, non c’è che dire - si complimentò – Mi dai una mano a finire di preparare il contorno? -.
Un paio d’ore dopo, seduti al tavolo del salone, i tre stavano silenziosamente mangiando quando Anne, con un sospiro, prese la parola.
“O la va o la spacca. In ogni caso, ti sarai tolta un peso” si disse.
- Papà – iniziò – c’è una cosa che vorrei dirvi – mormorò, prima di prendere un sorso d’acqua - Ecco… sì, insomma… -.
Sebastian la interruppe.
- Anne, stai bene? -.
Lei annuì, prima di riprendere la parola.
- Quello che volevo dirvi è che, sì… Quella domenica Trent mi ha accompagnato da Nick e Jeff, al PFLAG, perché sì… insomma… avevo dei dubbi e avevo bisogno di chiarirmi le idee prima di parlarne a voi e – si mise le mani tra i capelli – Oddio che casino… disciplinati, Anne – finse di ignorare il sorrisetto di Hunter e alzò lo sguardo – Mi piacciono le ragazze – sputò fuori – Ecco, l’ho detto – concluse, abbassando decisamente il tono di voce.
Sebastian prese la parola e il tono di voce che assunse non poté proprio definirsi virile.
Per nulla.
- Tu mi hai fatto venire un infarto per una sciocchezza del genere?! -.
La ragazzina assunse un’espressione allarmata.
- Quello che l’imbecille qui di fianco cerca di dirti – si intromise Hunter, lanciando un’occhiataccia all’ex marito – è che va bene –.
L’altro annuì.
- Anne Laure – il genitore aveva il tono delle grandi occasioni – Io e tuo padre non andiamo d’accordo su un sacco di cose, ma una cosa sulla quale concordiamo, anche se a volte non sembra, è la tua felicità. Se la persona che ti fa stare bene è una ragazza non vedo dove sia il problema. Se sei felice, lo siamo anche noi -.
Lei annuì, prima di allontanare il piatto e alzarsi.
Un abbraccio di famiglia, dannazione, non glielo toglieva proprio nessuno.
 
Dalle donne puoi trarre note che non sai, con le donne un brano di musica da camera, inaspettatamente si trasforma in un blues. Con loro non ci sono istruzioni per l’uso: nell’arco di una giornata possono convincerti con la sagacia, ammaliarti con la bellezza, spaventarti con la furia, spiazzarti con la passione, ferirti con il rancore. Perché se l’amore per le donne non si può scegliere, scegliere di amarle senza vergognarsi si può.
(Paola Concia con Maria Teresa Meli – La vera storia dei miei capelli bianchi)
 
NOTE al TITOLO: Stubborn Love è una canzone dei "The Lumineers", mentre "The hitchhikers' guide to the Galaxy" è il titolo del primo romanzo dell'omonima serie di Douglas Adams. 
[1]: Audre Lorde è stata una nota poetessa e attivista. Era una donna di colore, femminista e lesbica che ha trascorso buona parte della sua esistenza tra Berlino e l’America. Molto nota è la raccolta dei suoi discorsi “Sister Outsider”.
[2]: lo confesso: questo è esattamente quello di cui mi occupo io. Ma è un dottorato. (Sì, sono vecchia. Pochi giorni e saranno un quarto di secolo + 1) Non sono del tutto certa sia possibile occuparsi già di questo in un college, per quanto prestigioso possa essere, ergo eventualmente consideratela una vena poetica.
[3]: Mamie è il vezzeggiativo con cui i bambini francesi chiamano la nonna (Grand-mère)
[4]: l’acronimo sta per Parents and Families of Lesbians and Gays
   
 
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