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Autore: A li    29/11/2008    5 recensioni
Anno 2013.
Una vita distrutta. Un'adolescenza rubata.
Un'ultima possibilità di riscatto.
- Bill… - sussurrai.
Lui si voltò, ancora una volta con quello sguardo desolato e stanco, ancora una volta trapassandomi il cuore.
- Cosa volevi davvero dalla tua vita? -
Genere: Triste, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*No Happy Ending*

NdA:

Grazie a coloro che hanno recensito e hanno avuto la pazienza di aspettare:

vero94

angeli neri

sbadata93

broken93

Sognatrice

Grazie anche a

angie83

betta94_th

sbadata93

sognatrice

broken93

kiku_san

sunsetdream

tokiohotellina95

Ora i preferiti sono 8! XD

 

Mi prostro ai vostri piedi per l’enorme ritardo – spero vorrete concedermi ancora il vostro perdono…

Eccoci all’ultimo capitolo. Non anticipo niente… Spero solo che vi piaccia. XD

 

*No Happy Ending*

 

 

No Hope, No Love, No Glory.

No Happy Ending.

 

Happy Ending – Mika

 

 

Anno 2013

4. No Happy Ending

                   (senza lieto fine)

Mi svegliò il suono del suo respiro.

Non so cosa ci fosse in quel tiepido ritmo di differente rispetto agli altri rumori che udivo. Forse, la mia anima aveva bisogno di sentire che dentro di lui c’era ancora qualcosa di vivo.

Quando lo trovai, poco lontano da me, seduto contro lo scalino del pavimento che avevamo condiviso in quei due giorni, mi sembrò di essere in un sogno.

Bill lo era sempre stato per me. Ma finalmente avevo scoperto la verità.

La verità era che Bill Kaulitz non aveva niente a che vedere con la visione che avevo io di lui: la persona che per tanto tempo avevo creduto di amare non esisteva, era una creazione della mia anima perduta. Ora, davanti a lui, sentivo solo il bisogno di abbracciarlo, per consolarlo del dolore che provava.

Gli volevo bene, come ad un fratello, perché, nonostante tutto, era stato una parte importante della mia vita.

Mentre lo osservavo, con quello sguardo che lui perdeva lontano, sentii sulla mia pelle il peso del tempo.

Dai miei diciott’anni era passato davvero tantissimo. Ora, percepivo sul corpo lo scorrere di ogni singolo minuto: dopo aver perso la mia giovinezza nel dolore, la paura di sprecare ogni singolo attimo era incontrollabile.

Dentro di me ero sicura, adesso, che il tempo che stavo passando con Bill non era sprecato.

Sospirai, senza accorgermene realmente, perché fino a pochi giorni prima, se avessi pensato di ritrovarmi in una situazione del genere, avrei maledetto ogni Dio esistente.

- Sei sveglia? -

Fu solo un sussurro, una frase di circostanza.

Qualcosa che ci desse l’impressione di esistere ancora.

- Sì. – risposi.

Mi alzai faticosamente a sedere, inarcando la schiena intorpidita e sciogliendo le spalle. Era tutto buio intorno, quello che mi aveva permesso di scorgere gli oggetti intorno a me era la luce d’emergenza, sempre accesa. Doveva essere ancora notte fonda.

Stiracchiando ancora un braccio che aveva preso a formicolare, vidi Bill mordersi il labbro inferiore. Sembrava nervoso. Ma c’era qualcosa di differente nei suoi occhi, rispetto al giorno prima. Mi sembrava quasi di vedere una luce nuova: piccola, ma presente.

- Bill… - lo chiamai.

Lui si voltò, sorridendo tirato.

Probabilmente non aveva dormito niente, da quando eravamo chiusi lì dentro. Mi guardava come si fa in preda a quel dolore che vuoi tenere per te. Ma stava in silenzio.

Abbassò lo sguardo stanco sui suoi piedi, sentii che voleva dirmi qualcosa.

- Bill… - ripetei, cercando la sua risposta.

Ma lui continuava a mordersi le labbra, forse cercando in sé la forza che non aveva.

La voglia di piangere mi chiuse la gola, come il giorno prima. Presi a torturarmi le labbra, per evitare che lui capisse cosa provavo. Perché soffriva così?

- Ailka… - mi disse.

Il suono del mio nome detto da lui mi fece rabbrividire. Senza saperlo davvero, avevo sempre desiderato che mi pronunciasse il mio nome. E non mi sembrò, in quel momento, una cosa stupida.

- Perdonami per quello che ti ho fatto. -

Sussultai e il nodo in gola mi fece male. Una lacrima che non ero riuscita a trattenere scivolò giù dalla mia guancia.

Non volevo che soffrisse ancora. Ma sapevo che i suoi sensi di colpa non l’avrebbero mai abbandonato.

- Bill, non… - tentai.

- Ti prego, lascia stare. – mi interruppe – Se ho fatto del male alle persone a cui tenevo di più, questo è quello che mi merito. -

Sentirlo ripetere ancora una volta, come la sera prima, quelle parole, mi creò un buco nel petto. Perché se non lo avrei più desiderato, comunque l’avrei amato sempre e non volevo che soffrisse.

Ma la vita di Bill era stata così, dall’inizio e io non potevo certo fare qualcosa.

- Per favore… - disse ad un tratto.

L’urgenza nella sua voce mi fece capire che era quello ciò che realmente aveva voluto dirmi fin dall’inizio.

Deglutì, cercando di trattenere le lacrime.

- Per favore… Dimmi che non sarà così per sempre. -

Tremai, mentre pronunciava quella frase. Altre lacrime scesero, seguendo la prima.

Cosa avrei dovuto rispondere?

Nel mio cuore una dolorosa certezza mi diceva che Bill avrebbe sofferto per sempre.

Mi chiesi se fosse la punizione di un qualche Dio che governava il mondo. Ma ero sicura che, se fosse esistito, avrebbe concesso a Bill una vita migliore.

- Non sarà così per sempre, Bill. -

Alla fine, mentii. Perché il mio cuore andava contro la mia razionalità.

Perché forse in questo modo avrebbe sofferto davvero di meno.

Calò il silenzio. E sentii che in quei pochi secondi Bill avrebbe saputo che la verità era un’altra: lui avrebbe scontato quella punizione per sempre e lo avrebbe fatto da solo.

Il panico s’impadronì di me. Come potevo abbandonarlo, ora?

Mentre lo abbracciavo forte, come la sera prima, ripensai a mia sorella. Per lei lo avrei fatto: sarei rimasta con lei sempre e l’avrei aiutata a sopravvivere, anche se mi sarebbe costata la sofferenza più grande.

Se fosse stata accanto a me, in questo momento, lei avrebbe saputo cosa fare. Mi avrebbe detto: “Non abbandonarlo, Ailka, perché ha bisogno di te.”

In realtà, forse avrebbe detto qualcos’altro. Nella mia mente le parole giuste si composero.

“Aiutalo, Ailka, perché gli vuoi bene, anche se ti ha fatto del male.”

Per la prima volta, lo sentii singhiozzare contro la mia schiena. Le sue lacrime mi bagnarono i vestiti, ma non me ne curai.

Finalmente il suo dolore uscì.

Perché anche se ammetteva di essere colpevole, di meritare tutto quello che stava soffrendo a causa sua, Bill era pur sempre un essere umano. E gli esseri umani sono esseri soli e tristi.

Gli esseri umani piangono se la loro vita non ha senso.

Sentii tutto quello che aveva taciuto per anni uscire fuori.

Uscì non perché io fossi diversa dalle altre persone, ma perché Bill aveva raggiunto il limite della sopportazione.

Su di me, lo sentii cercare l’affetto di Tom, lo sentii tentare di afferrare quel calore che aveva irrimediabilmente perso.

Per un attimo, sperai di poterglielo donare. Ma era solo un’illusione.

Restammo così per molto tempo, ognuno perso in quegli universi che non combaciavano.

- Cos’è questo…? – lo sentii chiedere, la voce roca per il troppo piangere.

Lasciai che si districasse dalle catene del mio corpo.

In quel momento, sentii anch’io quello che aveva sentito lui.

- Fumo…? -

Mi alzai in piedi, seguendo la linea del suo sguardo per l’enorme locale di cui non avevamo scoperto quasi niente, ma in cui avevamo capito noi stessi.

La paura si materializzò prima che capissi. L’istinto fece presa sul mio cuore.

- Cosa…? – balbettai, con occhi spalancati.

Lui non rispose, ma mi afferrò il polso con urgenza e si mise a correre verso la prima uscita di sicurezza di cui lesse l’indicazione. Quando gli arrivò di fronte, ci si gettò contro e cercò di aprirla.

Restò chiusa.

Il panico s’impadronì di me. Faticavo a respirare e non riuscivo a stare dietro al passo veloce di Bill.

Quando mi guardai alle spalle, vidi che le fiamme arancioni, contro il buio dell’edificio, si stavano espandendo.

- Bill! – cercai di dire, ma mi venne fuori solo un rantolo.

Come poteva essersi acceso un incendio?

Nel panico, con la pura per me e per lui, non riuscivo a ragionare lucidamente. Non parlavo e non gridavo. Non piangevo neppure. Sentivo solo le gambe molli e un senso d’impotenza crescente.

Bill si guardava intorno, cercando probabilmente una soluzione, ma nei suoi occhi non c’era la minima traccia di paura. Il dolore e la rassegnazione che vedeva nel suo futuro gli permettevano di ragionare lucidamente. Freddo, tentava di aggrapparsi alla vita. Ma qualcosa mi disse che non era la sua, di vita.

Sempre tenendo forte il mio braccio, si mise a correre su per le scale che aveva intravisto al fondo del magazzino e mi trascinò dietro la sua corsa.

Il piano di sopra era pieno di scatoloni, le fiamme avevano raggiunto l’angolo alla nostra destra.

- Bill… - mormorai, disperata. Era tutto ciò che riuscivo a dire.

Senza guardarmi, riprese a correre verso il punto in cui le fiamme avevano distrutto quasi tutto. Non mi chiesi perché lo stesse facendo: senza più un briciolo di forza di volontà, prosciugata dai due giorni di reclusione e dalla paura, lo seguii.

Quando arrivammo alla parete, capii. Sul muro, c’era una porta scardinata, l’unica uscita. Al di là, c’erano le scale antincendio. Ci sarebbe bastato sorpassare una zona pericolante in cui il pavimento era ceduto, e avremmo raggiunto la salvezza.

Studiando con attenzione, nei pochi secondi che ci rimanevano, Bill si avvicinò. Si tolse la maglia che portava e me la legò su una mano. Senza sapere perché, rimasi immobile.

- Ascoltami. – disse, serio.

Era la prima cosa che gli sentivo dire da quando avevamo iniziato a fuggire e il suono della sua voce mi spaventò. Il crepitio delle fiamme mi riempiva le orecchie del rumore di morte.

- Vedi quella barra lassù? – mi chiese.

Io alzai lo sguardo verso una spranga di ferro che era appesa poco lontano dalla porta scardinata e annuii.

- Adesso ti prendo in braccio; tu appenditi lassù. Poi stai attenta a tenerti bene e salta dall’altra parte. -

Senza attendere una risposta, mi afferrò le gambe e mi issò verso la barra di ferro. Feci appena in tempo a chiedermi come facesse ad avere ancora quella forza, poi dovetti appendermi. Usai la mano che Bill mi aveva coperto con la sua maglia e capii perché l’avesse fatto: al di là del tessuto, sentivo il ferro scottare.

- Ci sei? – mi urlò, sopra il rumore assordante del fuoco.

Cercai di rispondere sì, ma non ci riuscii, avevo la gola completamente secca. Lui capì comunque.

Mi spinse avanti. Facendo leva sulle mie ultime forze, saltai oltre la voragine che si apriva sotto i miei piedi e atterrai rovinosamente sul piano della scala antincendio, oltre la porta.

In quel momento, sentii un rumore assordante alle mie spalle. Mi voltai di scatto, la lucidità recuperata.

La barra che mi aveva sorretto era appena caduta.

Per la prima volta, capii le reali intenzioni di Bill. Oltre il muro di fiamme che saliva sempre di più, sorrideva nella mia direzione. Era seduto a terra, affaticato e sporco di fuliggine. Sembrava felice.

- Hai visto? – gridò, perché sentissi – Per la prima volta ho fatto qualcosa per un’altra persona. -

Quando compresi le sue parole, il panico mi assalì. E fu peggiore di quello che la paura poteva darmi.

- Bill! – gridai – Salta di qua! -

Lui sorrise ancora e scosse la testa. – Non voglio. –

La verità era che non poteva, ma le sue parole mi fecero capire che era una sua scelta.

Scoppiai a piangere, senza contegno, protendendomi verso il baratro che ci avrebbe sempre diviso.

- Bill! – gridai, più forte – Bill! Non farlo, ti prego! -

Ma lui mi fissava felice, per la prima volta e scuoteva la testa.

- Va bene così. – disse.

- No! – lo implorai, allo stremo – Bill, non lasciarmi! -

A quelle parole, si rabbuiò. – Hai la tua vita, Ailka, non sprecarla. –

- No! – gridai ancora, protendendo un braccio verso di lui.

Dall’altra parte, lui tese il suo. – Mi spiace per quello che ti ho fatto. Ci sarò sempre.

Faresti un’ultima cosa per me? – aggiunse, ma quasi non lo sentivo più.

Le lacrime gli inondarono il volto, ma lui sorrideva.

- Dì a Tom che gli ho sempre voluto bene e che sempre gliene vorrò. -

Poi tacque.

Nonostante tutto il frastuono che sentivo intorno, nonostante il fuoco che lambiva sempre più da vicino la sua figura, nonostante le sirene dei vigili del fuoco che cominciai a sentire dietro le spalle, nonostante tutto questo io udii quel silenzio. Lo sentii forte.

E ne ebbi paura.

In quel momento, la certezza che Bill se ne sarebbe andato per sempre, mi colpì assoluta.

Il rumore dei miei singhiozzi mi parve assordante più di ogni altra cosa.

Guardai ancora Bill sorridente e cercai di tenere a mente il suo sorriso.

Poi il soffitto cadde.

Fu l’ultima cosa che vidi.

Mentre perdevo coscienza, mi sembrò di morire.

Di una cosa ero certa: una parte di me sarebbe morta insieme a lui.

Ma io avrei continuato a vivere. E lo avrei fatto anche per lui.

 

 

This is the way that we love (Questo è il modo in cui amiamo)

Like it’s forever (Come se fosse per sempre)

Then live the rest of our life (Poi viviamo il resto della nostra vita)

But not together (Ma non insieme)

 

No hope, no love, no glory

No happy ending

 

 

FINE

 

 

Note finali:

Direi che non ha bisogno di commenti. Sono pronta a farmi uccidere…

Purtroppo il finale era già scritto e non ho voluto cambiarlo, anche se forse oggi avrei fatto concludere diversamente questa storia.

Spero commenterete comunque! ^^

Grazie e a presto!

 

Aki

 

   
 
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