NdA:
Grazie a coloro che hanno recensito e hanno avuto la
pazienza di aspettare:
vero94
angeli neri
sbadata93
broken93
Sognatrice
Grazie anche a
angie83
betta94_th
sbadata93
sognatrice
broken93
kiku_san
sunsetdream
tokiohotellina95
Ora i preferiti sono 8! XD
Mi prostro ai vostri piedi per l’enorme ritardo – spero vorrete
concedermi ancora il vostro perdono…
Eccoci all’ultimo capitolo. Non anticipo niente… Spero
solo che vi piaccia. XD
*No Happy
Ending*
No Hope, No Love, No Glory.
No Happy Ending.
Happy Ending – Mika
Anno 2013
4. No Happy Ending
(senza
lieto fine)
Mi svegliò il suono del
suo respiro.
Non so cosa ci fosse in
quel tiepido ritmo di differente rispetto agli altri rumori che udivo. Forse,
la mia anima aveva bisogno di sentire che dentro di lui c’era ancora qualcosa
di vivo.
Quando lo trovai, poco
lontano da me, seduto contro lo scalino del pavimento che avevamo condiviso in
quei due giorni, mi sembrò di essere in un sogno.
Bill lo era sempre stato
per me. Ma finalmente avevo scoperto la verità.
La verità era che Bill
Kaulitz non aveva niente a che vedere con la visione che avevo io di lui: la
persona che per tanto tempo avevo creduto di amare non esisteva, era una
creazione della mia anima perduta. Ora, davanti a lui, sentivo solo il
bisogno di abbracciarlo, per consolarlo del dolore che provava.
Gli volevo bene, come ad
un fratello, perché, nonostante tutto, era stato una parte importante della mia
vita.
Mentre lo osservavo, con
quello sguardo che lui perdeva lontano, sentii sulla mia pelle il peso del
tempo.
Dai miei diciott’anni
era passato davvero tantissimo. Ora, percepivo sul corpo lo scorrere di ogni
singolo minuto: dopo aver perso la mia giovinezza nel dolore, la paura di
sprecare ogni singolo attimo era incontrollabile.
Dentro di me ero sicura,
adesso, che il tempo che stavo passando con Bill non era sprecato.
Sospirai, senza
accorgermene realmente, perché fino a pochi giorni prima, se avessi pensato di
ritrovarmi in una situazione del genere, avrei maledetto ogni Dio esistente.
- Sei sveglia? -
Fu solo un sussurro, una
frase di circostanza.
Qualcosa che ci desse
l’impressione di esistere ancora.
- Sì. – risposi.
Mi alzai faticosamente a
sedere, inarcando la schiena intorpidita e sciogliendo le spalle. Era tutto
buio intorno, quello che mi aveva permesso di scorgere gli oggetti intorno a me
era la luce d’emergenza, sempre accesa. Doveva essere ancora notte fonda.
Stiracchiando ancora un
braccio che aveva preso a formicolare, vidi Bill mordersi il labbro inferiore.
Sembrava nervoso. Ma c’era qualcosa di differente nei suoi occhi, rispetto al
giorno prima. Mi sembrava quasi di vedere una luce nuova: piccola, ma presente.
- Bill… - lo chiamai.
Lui si voltò, sorridendo
tirato.
Probabilmente non aveva
dormito niente, da quando eravamo chiusi lì dentro. Mi guardava come si fa in
preda a quel dolore che vuoi tenere per te. Ma stava in silenzio.
Abbassò lo sguardo
stanco sui suoi piedi, sentii che voleva dirmi qualcosa.
- Bill… - ripetei,
cercando la sua risposta.
Ma lui continuava a
mordersi le labbra, forse cercando in sé la forza che non aveva.
La voglia di piangere mi
chiuse la gola, come il giorno prima. Presi a torturarmi le labbra, per evitare
che lui capisse cosa provavo. Perché soffriva così?
- Ailka… - mi disse.
Il suono del mio nome
detto da lui mi fece rabbrividire. Senza saperlo davvero, avevo sempre
desiderato che mi pronunciasse il mio nome. E non mi sembrò, in quel momento,
una cosa stupida.
- Perdonami per quello
che ti ho fatto. -
Sussultai e il nodo in
gola mi fece male. Una lacrima che non ero riuscita a trattenere scivolò giù
dalla mia guancia.
Non volevo che soffrisse
ancora. Ma sapevo che i suoi sensi di colpa non l’avrebbero mai abbandonato.
- Bill, non… - tentai.
- Ti prego, lascia
stare. – mi interruppe – Se ho fatto del male alle persone a cui tenevo di più,
questo è quello che mi merito. -
Sentirlo ripetere ancora
una volta, come la sera prima, quelle parole, mi creò un buco nel petto. Perché
se non lo avrei più desiderato, comunque l’avrei amato sempre e non volevo che
soffrisse.
Ma la vita di Bill era
stata così, dall’inizio e io non potevo certo fare qualcosa.
- Per favore… - disse ad
un tratto.
L’urgenza nella sua voce
mi fece capire che era quello ciò che realmente aveva voluto dirmi fin
dall’inizio.
Deglutì, cercando di trattenere
le lacrime.
- Per favore… Dimmi che
non sarà così per sempre. -
Tremai, mentre
pronunciava quella frase. Altre lacrime scesero, seguendo la prima.
Cosa avrei dovuto
rispondere?
Nel mio cuore una
dolorosa certezza mi diceva che Bill avrebbe sofferto per sempre.
Mi chiesi se fosse la
punizione di un qualche Dio che governava il mondo. Ma ero sicura che, se fosse
esistito, avrebbe concesso a Bill una vita migliore.
- Non sarà così per
sempre, Bill. -
Alla fine, mentii.
Perché il mio cuore andava contro la mia razionalità.
Perché forse in questo
modo avrebbe sofferto davvero di meno.
Calò il silenzio. E
sentii che in quei pochi secondi Bill avrebbe saputo che la verità era
un’altra: lui avrebbe scontato quella punizione per sempre e lo avrebbe fatto
da solo.
Il panico s’impadronì di
me. Come potevo abbandonarlo, ora?
Mentre lo abbracciavo
forte, come la sera prima, ripensai a mia sorella. Per lei lo avrei fatto:
sarei rimasta con lei sempre e l’avrei aiutata a sopravvivere, anche se mi
sarebbe costata la sofferenza più grande.
Se fosse stata accanto a
me, in questo momento, lei avrebbe saputo cosa fare. Mi avrebbe detto: “Non
abbandonarlo, Ailka, perché ha bisogno di te.”
In realtà, forse avrebbe
detto qualcos’altro. Nella mia mente le parole giuste si composero.
“Aiutalo, Ailka, perché
gli vuoi bene, anche se ti ha fatto del male.”
Per la prima volta, lo
sentii singhiozzare contro la mia schiena. Le sue lacrime mi bagnarono i
vestiti, ma non me ne curai.
Finalmente il suo dolore
uscì.
Perché anche se
ammetteva di essere colpevole, di meritare tutto quello che stava soffrendo a
causa sua, Bill era pur sempre un essere umano. E gli esseri umani sono esseri
soli e tristi.
Gli esseri umani
piangono se la loro vita non ha senso.
Sentii tutto quello che
aveva taciuto per anni uscire fuori.
Uscì non perché io fossi
diversa dalle altre persone, ma perché Bill aveva raggiunto il limite della
sopportazione.
Su di me, lo sentii
cercare l’affetto di Tom, lo sentii tentare di afferrare quel calore che aveva
irrimediabilmente perso.
Per un attimo, sperai di
poterglielo donare. Ma era solo un’illusione.
Restammo così per molto
tempo, ognuno perso in quegli universi che non combaciavano.
- Cos’è questo…? – lo
sentii chiedere, la voce roca per il troppo piangere.
Lasciai che si
districasse dalle catene del mio corpo.
In quel momento, sentii
anch’io quello che aveva sentito lui.
- Fumo…? -
Mi alzai in piedi,
seguendo la linea del suo sguardo per l’enorme locale di cui non avevamo
scoperto quasi niente, ma in cui avevamo capito noi stessi.
La paura si materializzò
prima che capissi. L’istinto fece presa sul mio cuore.
- Cosa…? – balbettai,
con occhi spalancati.
Lui non rispose, ma mi
afferrò il polso con urgenza e si mise a correre verso la prima uscita di
sicurezza di cui lesse l’indicazione. Quando gli arrivò di fronte, ci si gettò
contro e cercò di aprirla.
Restò chiusa.
Il panico s’impadronì di
me. Faticavo a respirare e non riuscivo a stare dietro al passo veloce di Bill.
Quando mi guardai alle
spalle, vidi che le fiamme arancioni, contro il buio dell’edificio, si stavano
espandendo.
- Bill! – cercai di
dire, ma mi venne fuori solo un rantolo.
Come poteva essersi
acceso un incendio?
Nel panico, con la pura
per me e per lui, non riuscivo a ragionare lucidamente. Non parlavo e non
gridavo. Non piangevo neppure. Sentivo solo le gambe molli e un senso
d’impotenza crescente.
Bill si guardava
intorno, cercando probabilmente una soluzione, ma nei suoi occhi non c’era la
minima traccia di paura. Il dolore e la rassegnazione che vedeva nel suo futuro
gli permettevano di ragionare lucidamente. Freddo, tentava di aggrapparsi alla
vita. Ma qualcosa mi disse che non era la sua, di vita.
Sempre tenendo forte il
mio braccio, si mise a correre su per le scale che aveva intravisto al fondo
del magazzino e mi trascinò dietro la sua corsa.
Il piano di sopra era
pieno di scatoloni, le fiamme avevano raggiunto l’angolo alla nostra destra.
- Bill… - mormorai,
disperata. Era tutto ciò che riuscivo a dire.
Senza guardarmi, riprese
a correre verso il punto in cui le fiamme avevano distrutto quasi tutto. Non mi
chiesi perché lo stesse facendo: senza più un briciolo di forza di volontà,
prosciugata dai due giorni di reclusione e dalla paura, lo seguii.
Quando arrivammo alla
parete, capii. Sul muro, c’era una porta scardinata, l’unica uscita. Al di là,
c’erano le scale antincendio. Ci sarebbe bastato sorpassare una zona
pericolante in cui il pavimento era ceduto, e avremmo raggiunto la salvezza.
Studiando con
attenzione, nei pochi secondi che ci rimanevano, Bill si avvicinò. Si tolse la
maglia che portava e me la legò su una mano. Senza sapere perché, rimasi
immobile.
- Ascoltami. – disse,
serio.
Era la prima cosa che
gli sentivo dire da quando avevamo iniziato a fuggire e il suono della sua voce
mi spaventò. Il crepitio delle fiamme mi riempiva le orecchie del rumore di
morte.
- Vedi quella barra
lassù? – mi chiese.
Io alzai lo sguardo
verso una spranga di ferro che era appesa poco lontano dalla porta scardinata e
annuii.
- Adesso ti prendo in
braccio; tu appenditi lassù. Poi stai attenta a tenerti bene e salta dall’altra
parte. -
Senza attendere una
risposta, mi afferrò le gambe e mi issò verso la barra di ferro. Feci appena in
tempo a chiedermi come facesse ad avere ancora quella forza, poi dovetti
appendermi. Usai la mano che Bill mi aveva coperto con la sua maglia e capii
perché l’avesse fatto: al di là del tessuto, sentivo il ferro scottare.
- Ci sei? – mi urlò,
sopra il rumore assordante del fuoco.
Cercai di rispondere sì,
ma non ci riuscii, avevo la gola completamente secca. Lui capì comunque.
Mi spinse avanti.
Facendo leva sulle mie ultime forze, saltai oltre la voragine che si apriva
sotto i miei piedi e atterrai rovinosamente sul piano della scala antincendio,
oltre la porta.
In quel momento, sentii
un rumore assordante alle mie spalle. Mi voltai di scatto, la lucidità
recuperata.
La barra che mi aveva
sorretto era appena caduta.
Per la prima volta,
capii le reali intenzioni di Bill. Oltre il muro di fiamme che saliva sempre di
più, sorrideva nella mia direzione. Era seduto a terra, affaticato e sporco di
fuliggine. Sembrava felice.
- Hai visto? – gridò,
perché sentissi – Per la prima volta ho fatto qualcosa per un’altra persona. -
Quando compresi le sue
parole, il panico mi assalì. E fu peggiore di quello che la paura poteva darmi.
- Bill! – gridai – Salta
di qua! -
Lui sorrise ancora e
scosse la testa. – Non voglio. –
La verità era che non
poteva, ma le sue parole mi fecero capire che era una sua scelta.
Scoppiai a piangere,
senza contegno, protendendomi verso il baratro che ci avrebbe sempre diviso.
- Bill! – gridai, più
forte – Bill! Non farlo, ti prego! -
Ma lui mi fissava
felice, per la prima volta e scuoteva la testa.
- Va bene così. – disse.
- No! – lo implorai,
allo stremo – Bill, non lasciarmi! -
A quelle parole, si
rabbuiò. – Hai la tua vita, Ailka, non sprecarla. –
- No! – gridai ancora,
protendendo un braccio verso di lui.
Dall’altra parte, lui
tese il suo. – Mi spiace per quello che ti ho fatto. Ci sarò sempre.
Faresti un’ultima cosa
per me? – aggiunse, ma quasi non lo sentivo più.
Le lacrime gli
inondarono il volto, ma lui sorrideva.
- Dì a Tom che gli ho
sempre voluto bene e che sempre gliene vorrò. -
Poi tacque.
Nonostante tutto il
frastuono che sentivo intorno, nonostante il fuoco che lambiva sempre più da
vicino la sua figura, nonostante le sirene dei vigili del fuoco che cominciai a
sentire dietro le spalle, nonostante tutto questo io udii quel silenzio. Lo
sentii forte.
E ne ebbi paura.
In quel momento, la certezza
che Bill se ne sarebbe andato per sempre, mi colpì assoluta.
Il rumore dei miei
singhiozzi mi parve assordante più di ogni altra cosa.
Guardai ancora Bill
sorridente e cercai di tenere a mente il suo sorriso.
Poi il soffitto cadde.
Fu l’ultima cosa che
vidi.
Mentre perdevo
coscienza, mi sembrò di morire.
Di una cosa ero certa:
una parte di me sarebbe morta insieme a lui.
Ma io avrei continuato a
vivere. E lo avrei fatto anche per lui.
This is the way
that we love (Questo è il modo in cui amiamo)
Like it’s forever (Come se fosse per sempre)
Then live the rest of our life (Poi viviamo il resto della nostra vita)
But not together (Ma non insieme)
No hope, no love,
no glory
No happy ending
FINE
Note finali:
Direi che non ha bisogno di commenti. Sono pronta a
farmi uccidere…
Purtroppo il finale era già scritto e non ho voluto
cambiarlo, anche se forse oggi avrei fatto concludere diversamente questa
storia.
Spero commenterete comunque! ^^
Grazie e a presto!
Aki