Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: kibachan    01/02/2015    2 recensioni
lo S.H.I.E.L.D. è caduto, Ward ha tradito, Fitz è in coma. È da qui che Coulson deve partire per rimettere insieme i pezzi della sua amata organizzazione. Insieme agli agenti superstiti dovrà trovare la forza per far tornare lo shield ad essere lo scudo che protegge l'umanità, e affrontare nuove e vecchie minacce.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jemma Simmons, Leo Fitz, Melinda May, Phil Coulson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Base segreta di Fury, infermeria

Il Soldato contemplava con una vaga curiosità il ragazzo che si affaccendava intorno al suo letto, con su un’espressione omicida peggiore della sua.Leo Fitz non era affatto contento di dover fare da infermiere al loro ‘ospite speciale’ e dopo aver piantato i piedi a terra come un somaro in salita per una buona mezz’ora, aveva accettato unicamente perché in vece sua Coulson aveva detto che se ne sarebbe occupata Simmons.
Così, torto collo, si era armato di ogni briciolo di giuramento di Ippocrate che era riuscito a racimolare dentro di sé, e era andato dal Soldato.

Non gli piaceva quel tizio e non riusciva proprio a capire cosa gliene veniva in tasca allo S.H.I.E.L.D. di aiutarlo, ed era già qualche minuto che aveva preso a manifestare i suoi sentimenti strappando via il cerotto dalle fasciature dell’uomo con quanta meno delicatezza era capace.

-peccato che questo tizio sembra fatto di legno!- pensò lanciandogli un’occhiataccia dopo l’ennesimo cerotto che aveva tirato via con uno strappo talmente sonoro che aveva fatto rizzare i peli del collo persino a lui -guardalo non sbatte neanche le palpebre!-

Solo a quel punto l’attenzione di Fitz venne catturata dalla pelle intorno alla ferita sulla spalla, laddove stava operando la sua piccola tortura personale: era arrossata e abrasa, e nonostante il Soldato non stesse facendo una piega, com’era tipico di lui si sentì in colpa e alzando gli occhi al cielo gli premette sulla parte il palmo freddo per dargli un po’ di sollievo, bofonchiando uno “scusami” tra i denti.

Il Soldato osservava il comportamento del suo carnefice di dubbia esperienza quasi divertito. Non si poteva certo dire che fosse un tipo che tentava di nascondere cosa provasse. Paradossalmente questa sua schiettezza lo tranquillizzava.
Rispetto ai sorrisi forzati della ragazza che (anche se si rifiutava di ammetterlo) gli aveva salvato la vita, e alla studiata distanza di sicurezza che quel Coulson aveva mantenuto, l’aperto astio che quel ragazzo non aveva alcun timore di mostrargli era davvero rassicurante. Pensò che di qualcosa detto da lui… si sarebbe potuto fidare, tutto sommato…
Sì… forse poteva credere alle parole di uno che, per quanto palesemente lo disprezzasse, non aveva trovato niente di più crudele da fargli che strappargli i cerotti, e poi se ne dispiaceva pure!
“bhe… che hai da guardare?” gli chiese Fitz sulla difensiva, notando che lo stava fissando e lanciando, senza volerlo, una fugace occhiata alle cinghie che assicuravano i polsi dell’uomo al letto.
“sei strano” disse il Soldato sollevando un sopracciglio. Fitz si paralizzò quasi scandalizzato da quell’affermazione, e aprì un paio di volte la bocca a vuoto prima di ribattere
“i-io?? Io… sarei strano!?” esclamò balbettando per la rabbia “quand’è l’ultima volta che sei passato… davanti…a uno specchio!?” ribatté indicando con un gesto l’imponente protesi metallica del Soldato. Quello lo ignorò
“al palazzo di vetro, tempo fa” continuò l’uomo “mi hai dato un pugno in faccia” Fitz fece spallucce dando attenzione ai punti sulla spalla sinistra dell’uomo, cercando di decidere se era il caso di rimuoverli “perché?” insistette
“come perché?!” ribatté il ragazzo interrompendo il suo lavoro e accalorandosi di nuovo “avevi appena lanciato la mia ragazza fuori dalla finestra!” e poi, di colpo in imbarazzo per aver definito Jemma la sua ragazza a voce alta, arrossì e iniziò a balbettare “cioè… non era ancora la mia ragazza quand’è successo…”

-ma perché diavolo racconto i fatti miei a ‘sto tipo???-

“lo è diventata dopo.. anche se io…oh insomma!” esplose in un eccesso di vergogna “hai capito!” tagliò corto convinto di essersi spiegato
“ho capito” disse piano il Soldato “in pratica dovresti ringraziarmi” aggiunse in un fremito di ironia lungo quanto un battito di ciglia, quell’ironia di cui il vecchio Bucky faceva il suo pane quotidiano. Fitz, che si infervorò di nuovo urlando un “ma sentitelo!!!”, non aveva idea di quanto in quel momento James Barnes si fosse sovrapposto al Soldato d’Inverno, e quanto ci fosse di miracoloso in questo.
Non durò che un istante, perché immediatamente dopo delle voci fuori dalla stanza fecero di nuovo congelare l’espressione sul viso del giovane uomo.
Fitz si voltò verso la porta a vetri giusto in tempo per vederla spalancarsi e attraversare da Steve, con Simmons praticamente aggrappata alla schiena nel misero tentativo di trattenerlo a viva forza.
“Steve ti prego!” stava urlando la ragazza
“Buck…” soffiò il ragazzo ignorandola completamente. Fitz fece in tempo a notare lo sguardo del Soldato farsi vitreo, alla vista di Steve, la pupilla ridursi a uno spillo
“l’obiettivo” disse prima di tendere ogni singolo muscolo del corpo a iniziare a dibattersi ringhiando. Fitz fece un balzo indietro e si precipitò ad aiutare Jemma nel tentativo di frenare il Capitano
“te l’ho detto!” gridava la ragazza davanti allo sgomento di Steve “te l’ho detto! Non ce la fa a vederti! Non ti avvicinare ti prego!” Soldato non sentiva un dolore alla testa tanto pungente dai fatti di Washington, cioè dall’ultima volta che si era trovato faccia a faccia con quel ragazzo, e aveva tentato di stemperare il mal di testa scaricando il pugno d’acciaio contro la sua faccia. Steve fece un passo indietro vedendo le vene sul suo braccio sinistro gonfiarsi per lo sforzo e gli addominali contratti fino al punto di sembrare di stare per strapparsi. Fitz lasciò andare il braccio del capitano e si avvicinò al Soldato tra le urla di Jemma
“non sei tu” disse con voce incredibilmente ferma afferrando la testa del Soldato per farsi guardare in faccia “ascoltami, non sei tu, è quella macchina, combattila!” le cinghie cominciarono a stridere mentre l’uomo trapassava Fitz con uno sguardo feroce
“Fitz!” gridò Jemma sempre più agitata. Finalmente le urla avevano attirato l’attenzione di qualcuno e Clint e Trip si erano precipitati nell’infermeria, andando uno a trattenere Steve e l’altro ad aiutare il giovane scienziato
“amico è meglio se te ne vai” disse secco Trip all’indirizzo del Capitano. Il ragazzo annuì debolmente, straziato dal dolore di vedere il suo amico in quelle condizioni, e fece per voltarsi, ma la voce del Soldato lo bloccò
“no!” gridò con urgenza “no aspetta!” strinse gli occhi per il male e fece un profondo respiro per calmarsi “ce la faccio… ce la faccio” aggiunse gettando una fugace occhiata a Fitz, annuendo anche se aveva gli occhi iniettati di sangue per lo sforzo. Steve si girò di nuovo verso di lui, non osando tuttavia avvicinarsi di un solo passo in più, per non aumentare ulteriormente il dolore del suo amico. Clint allentò la presa sulle spalle del giovane sentendovi diminuire la tensione. Dardeggiò lo sguardo da Steve a Fitz, chiedendo mutamente conferma se ci si potesse fidare, Fitz annuì piano.
“dimmi chi è Bucky” ansò il Soldato stringendo ancora gli occhi per contenere il forte dolore “tu lo sai chi è, dimmelo” insistette. Steve sentì stringersi il cuore in una morsa e lo stomaco andare a fargli cincin con le tonsille
“sei tu Bucky” disse a voce bassa, tanto che ormai il silenzio era infranto solo dal respiro affaticato del Soldato “il tuo nome è James Buckenain Barnes” continuò, fulminato dallo sguardo di fuoco del giovane “sono stato io a chiamarti così, quando avevo tre anni, e Buckenain era troppo difficile per me.” Raccontò.
Soldato iniziò a guardarlo stupefatto mentre lui parlava, nella sua testa il dolore si mischiava alla voce di un bambino e a un’altra… che forse poteva essere la sua

 

Bucky Bucky! Vieni qui!”
Buckenain! È un nome importante! Di mio nonno!”
Bucky!”
ti ho detto di no! Perché non mi chiami James se non sai dirlo!”
Bucky! Buuuuuckyyyyy!”
va bene.. come vuoi.. mi sta bene anche Bucky”

 

Clint lo lasciò andare del tutto e si rimise dritto osservando alternatamente Steve e il Soldato, che ora sembrava trovarsi molto lontano da lì.
“Bucky…” disse ancora Steve, sotto lo sguardo triste di Jemma, “tu non puoi ricordare ma io si… e non mi importa tutto quello che hai fatto in questi anni” Soldato strinse di nuovo gli occhi mentre il dolore e l’ordine di agire si rifaceva sotto più pressante di prima “sei il mio migliore amico, e io sarò con te fino alla fine” aggiunse sperando che quella frase avrebbe avuto effetto su di lui, così come aveva fatto a Washington. Soldato mandò la testa indietro contro il lettino, non sopportando la vista di quel giovane un istante di più, e nonostante ciò percependo ogni singola sillaba delle sue parole. Di nuovo immagini affollarono la sua mente… di lui su un aereo in fiamme e di quel ragazzo che gli dice quella frase, che anche allora lo aveva toccato. E poi qualcosa di molto più antico, la sua mente che formula quella stessa frase, e la dice a qualcuno. C’è l’odore pungente del sudore e del sangue in questo ricordo, c’è il dolore nei muscoli sfibrati per una camminata infinita, e il tocco della brezza fresca delle prime luci dell’alba. Era stanco come non era mai stato quando l’aveva pronunciata, eppure c’era così tanta convinzione nelle sua voce.

Quel ragazzo gli stava dicendo la verità, lo conosceva, loro due si conoscevano già da prima. Questa era forse l’unica cosa di cui poteva dirsi certo al momento attuale.
Sentì dire alla ragazza con la coda di cavallo che era meglio se se ne andava, per non recargli altro dolore. Sentì i suoi passi allontanarsi dalla stanza e il mal di testa volgere lentamente verso la sua fine.
“agente Fitz” chiamò voltandosi verso lo scienziato, che ancora stava vicino a lui e lo guardò, sorpreso che conoscesse il suo nome “sei tu l’agente Fitz, che ha scoperto il macchinario nel mio cervello vero?” continuò. Anche in preda al dolore lancinante aveva sentito gli altri nella stanza chiamarlo così.
Il ragazzo e Clint si lanciarono un’occhiata e poi lui annuì
“si sono io”. Soldato prese un profondo respiro avvertendo finalmente il dolore che lo abbandonava
“mi giuri sulla vita di quella ragazza, che ti sta tanto a cuore, che me la toglierete quella merda?” Fitz drizzò la schiena e annuì risoluto “e allora fatelo” disse il Soldato distogliendo lo sguardo da lui, sparita ormai ogni traccia di dubbio su quella faccenda “fatelo il prima possibile, io sono pronto”
Se c’era anche una sola possibilità per lui, di guardare in faccia quel ragazzo che tutti chiamavano Steve, e parlargli, senza desiderare di ucciderlo, doveva assolutamente coglierla.

 

 

 

Base segreta di Fury, alloggi, notte fonda

Coulson lasciò andare un sospiro mentre guadagnava con le ultime forze la porta della sua stanza. Gettò un'occhiata all'orologio mentre pescava dal fondo della tasca il budge: le 3.14. Decisamente era stata una lunga giornata.
Non era più tornato in infermeria dopo la sua visita al Soldato d'Inverno. Numero 1 perché aveva ritenuto giusto concedere all'uomo il giusto tempo per pensare alla sua offerta, e numero 2 perché Koenig l'aveva letteralmente sommerso di lavoro amministrativo/organizzativo, a parer suo era perfetto per "distrarsi" dagli ultimi tragici avvenimenti.

Mha...

sospirò facendo scorrere il tesserino magnetico nella fessura della porta e digitando il codice sul tastierino. Quanto avrebbe voluto poter sprofondare nel materasso e lasciarsi cadere in uno stato di morte apparente fino al mattino dopo!
Ma sapeva bene che non appena avesse chiuso le palpebre il suo corpo l'avrebbe condotto alla prima superficie libera (secondo i suoi calcoli c'era rimasta solo la tavoletta del water) e avrebbe trascorso le successive ore a sfiancarsi incidendo simboli incomprensibili.
Con un ennesimo sospiro di frustrazione avanzò nella stanza senza neanche accendere la luce e iniziò ad allentarsi il nodo della cravatta.
Era arrivato già al terzo bottone della camicia quando sollevò la testa e rimase piuttosto interdetto nel notare, finalmente, Skye seduta a gambe incrociate per terra e il naso rivolto in su verso la principale parete della stanza coperta di simboli. Gli dava le spalle e sembrava molto assorta. La punta dei lunghi boccoli neri sfiorava quasi il pavimento mentre contemplava le incisioni perimetrali al soffitto.
"credevo di aver protetto camera mia con una password" disse con un lieve sorriso alla sua schiena
"dovevi pensarci prima di far entrare un hacker nel tuo cerchio della fiducia*" rispose semplicemente la ragazza, senza neanche voltarsi.
"cosa fai qui?" domandò Coulson andando a sedersi accanto a lei sulla moquette verde pino. Non era disturbato nel trovarla lì, ormai si era abituato al suo totale disinteresse per le regole gerarchiche e anzi, non essere solo in quella stanza gli trasmise un'inedita sensazione di benessere.
Skye si strinse nelle spalle senza scollare gli occhi dalla parete
"Ho notato che la testa di Easter aveva iniziato a ciondolare dal sonno un paio d'ore fa..giovani d'oggi.. degli smidollati! Dopo solo 17 ore di lavoro" commentò imitando la voce di May e facendo sorridere Coulson "così l'ho mandata a letto e mi sono trovata un occupazione per il tempo libero. È piuttosto intrippante questa roba AC" concluse voltandosi per guardarlo e facendo poi un cenno col capo alla parete. Phil stava per dire qualcosa quando il gigantesco sorriso sornione e malandrino che vide comparire sul viso della sua protetta lo trattenne
"ohoh!!" proruppe lei ridacchiando
"che c'è??" chiese esasperato dal suo tono
"aloha AC!! da dove vieni tutto sexy?!?" esclamò Skye rovesciando la testa indietro per le risate. Coulson non afferrò per un istante, poi lasciando cadere lo sguardo allo stato in cui verteva la sua camicia in un lampo di comprensione, roteò gli occhi sbuffando
"oh andiamo!" protestò abbottonandosi in fretta "ma quanti anni hai 12??" Skye, che era finita sdraiata a terra, rotolò su un fianco senza smettere di ridere, era troppo divertente vederlo in imbarazzo! "ero appena rientrato in camera mia avrò pure il diritto o no di mettermi comodo?" insistette lui con un tono di rimprovero che non ebbe il potere neanche di far smettere di ridere Skye "scommetto che se mi nascondessi in camera tua, al tuo rientro anche io avrei un bello spettacolo di che ridere" la apostrofò. Skye sollevò di scatto la testa e lo guardò stupefatta, anche lui la fissò per un attimo ripetendo mentalmente quello che aveva appena detto
"AC!" esclamò fintamente scandalizzata la ragazza
"ok.. questa mi è uscita male" ammise l'uomo grattandosi un orecchio. Incrociarono solo un'altra volta lo sguardo prima che entrambe scoppiassero a ridere questa volta.

 

 

"grazie" disse Coulson dopo alcuni minuti che si erano calmati e Skye era andata a riempire in bagno il bollitore elettrico
"di cosa?" chiese sinceramente sorpresa la ragazza
"ne avevo bisogno" spiegò Coulson con un sorriso che lei ricambiò, una volta compreso che era di un pò di leggerezza che quell'uomo straordinario, al quale lei doveva tutto, anelava. Lo vide passarsi una mano sul viso stanco. Nella penombra sembravano notarsi di più le occhiaie scure che gli cerchiavano gli occhi.
Come aveva potuto non accorgersi che non stesse bene, che non dormisse bene da mesi, finché non era stato lui stesso a confessarglielo!
Era stata talmente presa dai suoi problemi, pronta a vomitarli su chiunque avesse avuto l'ardire di chiederle come stava, da non rendersi neanche conto di quanto quell'uomo così importante per lei stesse per crollare.
Lui era bravo a nascondere le sue sofferenze.
Ma lei non voleva giustificarsi dietro a questa verità.
Aveva deciso che avrebbe preso esempio da lui, per la persona che voleva essere, così come prendeva esempio da May quando pensava all'agente che voleva essere.
Avrebbe messo da parte sé stessa temporaneamente, per tentare di aiutare chi amava. E lui indubbiamente lo amava.
"sai sono diversi giorni che studio quella roba che scrivi" gli disse piano porgendogli la tazza col thè bollente "e stanotte venire qui ad osservare la parete nel suo insieme è stata una buona idea, non soltanto perché ho potuto assistere al tuo spogliarello" spiegò con un sorriso. Coulson la guardò avvicinarsi alla parete grande, e con il cuore in gola la osservò ricalcare con il dito alcuni simboli, con aria assorta. Poi si voltò a guardarlo
"Coulson... io credo di aver capito cos'è" soffiò.

 

 

Base segreta di Fury, notte fonda, infermeria

Soldato era stanco morto per i postumi dell’immane dolore provato quel pomeriggio, ma non riusciva lo stesso a prendere sonno. Felice che nessuno da quelle parti fosse in grado di leggere i pensieri, così da non doversene vergognare, era tenuto sveglio dal timore di star riponendo quel briciolo di fiducia, che neanche sapeva più di avere, nelle persone sbagliate.
In fondo, se quella dottoressa dal viso carino avesse riprogrammato il meccanismo anziché rimuoverglielo, come avrebbe mai potuto accorgersi di essere stato raggirato, e ancora una volta manipolato? L’agente Fitz, quel buffo ragazzo dall’aria così innocente, gli aveva promesso di conservarlo per mostraglielo, una volta rimosso..
Ma anche in questo caso una voce diffidente nella sua testa gli ricordava che grazie a quello stesso macchinario avrebbero potuto ‘ricondizionarlo’ e fargli dimenticare di nuovo tutto, persino di aver conosciuto quelle persone, e di aver parlato con Steve.
Il pensiero di rischiare l’ennesimo lavaggio del cervello ebbe il potere di fargli torcere le budella dall’ansia e, maledizione a tutto, era legato così strettamente da non potersi neanche muovere un po’ per scacciare lo stress.
(inoltre l’immobilità totale del suo prezioso braccio destro cominciava davvero a pesargli)
Cercò di concentrarsi sul fatto che non avrebbe avuto molto senso tentare di convincerlo a farsi operare se avessero avuto intenzioni disoneste. Immobile com’era gli sarebbe bastato iniettargli l’anestetico in endovena e sarebbe stato immediatamente nelle loro mani.
Quindi forse erano sinceri.
Ma era davvero difficile stare tranquilli quando non ci si ricorda di aver mai ricevuto gesti di altruismo nella propria vita, ma solo di essere stati meschinamente sfruttati.

Un lieve rumore di passi, quasi impercettibile, gli fece sollevare per quanto poteva il busto sul letto e mettere in allarme.
Si vergognò segretamente di desiderare che non fosse di nuovo Steve, ne aveva avuto abbastanza di emicrania per quel giorno.
Non riuscì quindi a nascondere una vena di stupore nel suo sguardo, quando vide in prossimità della porta l’esile figura di una ragazzina, una bambina quasi, che seminascosta dietro l’uscio aperto (tra l’altro in maniera piuttosto ridicola dato che l’intera zona era di vetro e quindi la parete non celava affatto il su corpo) lo osservava timorosa, indecisa se fare o meno un'altra passo, e utilizzando il vetro che li separava quasi fosse uno scudo.
Aveva i capelli biondi, occhiali con la montatura azzurra ed era inconsuetamente magra, anche se indubbiamente in salute.

 

Easter studiava rapita dalla curiosità l’aspetto del misterioso Soldato d’Inverno. Una parte del suo cervello non da poco sapeva di star risultando piuttosto idiota, lì ferma a spiarlo da dietro un vetro, eppure non riusciva a convincere le sue gambe ad avanzare.
Forse, anche se si era più volte ripetuta il contrario negli ultimi giorni, aveva un po’ paura di lui.
Inoltre vederlo l’aveva piuttosto spiazzata.
La sua giovane immaginazione aveva dipinto per lui il ritratto dell’uomo nero: un essere imponente e dallo sguardo truce, dai lineamenti talmente marcati da renderlo spaventoso a una prima occhiata, credeva che avrebbe visto la ferocia e la crudeltà, di cui i resoconti dei suoi (presunti) attacchi erano farciti, balzar fuori da ogni tratto del suo viso.
Si era decisamente fatta un film a colori.
L’unico aspetto che combaciava con l’immagine mentale che si era costruita di lui, era che senza dubbio aveva un fisico imponente.
Ma le somiglianze finivano lì.
Il ragazzo (sì, perché innanzi tutto era una ragazzo!!) che era seduto sul letto e la squadrava, probabilmente cominciando a chiedersi cos’avesse da guardare, aveva un aspetto straordinariamente normale, eccezion fatta per la protesi meccanica: era muscoloso ma non in maniera abnorme e innaturale, aveva un viso semplice, era rasato, e la mascella aveva lineamenti incredibilmente delicati, quasi femminili. Gli occhi erano scuri come pozzi, vero, ma non v’era traccia della crudeltà che aveva immaginato di scorgervi. L’unica cosa che davvero usciva dall’ordinario era la sua bocca. Non senza arrossire Easter pensò che non aveva mai visto su un uomo una bocca più bella di quella.
Nel complesso il Soldato dava l’impressione di un angelo, travestito da assassino.

“chi sei?” ruppe lui il silenzio, stanco di quell’immobile guardarsi a vicenda.
“mi chiamo Easter” rispose di getto la ragazza, quasi di riflesso alla domanda, poi rendendosi conto di aver ormai avviato la conversazione si costrinse a occupare l’uscio, smettendo di nascondersi. l’uomo sospirò, stufo delle visite per quel giorno, e senza guardarla chiese in tono duro
“dovrei conoscere già anche te?” con la coda dell’occhio le vide scuotere la testolina
“no… è la prima volta che ci incontriamo” disse piano. Questo fece impercettibilmente rilassare il Soldato, che però non disse nulla. Easter strinse le labbra, delusa dal suo silenzio. Aveva deliberatamente ignorato la promessa che aveva fatto a Steve, mossa dall’irrefrenabile curiosità di conoscerlo, e ora… non sapeva bene cosa dirgli. Eppure non era riuscita a trattenersi. Aveva pensato molto a quell’uomo, anche se non lo conosceva. Solo contro tutti, senza memoria, senza sapere chi era, né quale fosse il suo scopo, il suo posto.
Si era sentita anche lei così in passato, prima di entrare allo S.H.I.E.L.D.
Se non aveva ceduto alla depressione, nei suoi anni adolescenziali, era stato solo per merito di Sunday. Quell’uomo invece non aveva nessuno se non sé stesso.
“dicono che tu sia pericoloso” ruppe il silenzio quasi senza accorgersene, lui si girò a guardarla “dicono che dovrei stare lontana da te” aggiunse
“e allora cosa ci fai qui?” ribatté lui, lasciando andare la tensione negli addominali che fino a quel momento l’aveva tenuto semiseduto. Cominciava ad essere stanco, stanco di essere legato a quel letto, stanco di non avere più controllo sulla sua protesi, stanco di essere circondato di persone che lo studiavano. Si voltò di scatto quando avvertì un passo vicino al suo fianco, e fissò stupito la ragazza, quando se la trovò accanto al letto.

Che faceva? Diceva di dover stare lontana e invece si avvicinava?

“non penso che mi farai del male” stava rispondendo alla sua precedente domanda “volevo conoscerti… come ti chiami?” aggiunse. Poi notando che lui non le rispondeva individuò la grossa pulsantiera che manovrava il meccanismo del letto e la afferrò. La studiò per qualche istante, occhieggiando alternatamente il meccanismo e il letto, sotto lo sguardo indagatore dell’uomo, poi premette un bottone e lo schienale cominciò dolcemente a sollevarsi fino a portarlo a una comoda posizione a 50°. La ragazza sorrise trionfante, poi si morse il labbro inferiore lanciando un occhiata al collo dell’uomo, piegato leggermente indietro perché il guanciale gli era scivolato dietro le spalle, valutò un solo istante se fosse il caso o meno di farlo, poi allungò le mani e gli sistemò il cuscino dietro la testa. Sorrise nel vedere i muscoli delle sua spalle rilassarsi perché, anche se lui non disse nulla, seppe di aver fatto bene. “va meglio adesso?” chiese in tono dolce.
Lui non rispose, si stava chiedendo sospettoso se per caso non l’avesse mandata quel Coulson, quella ragazzina dolce che senza un motivo apparente si stava prendendo cura di lui.
Il sospetto ormai faceva parte della sua vita.

-ho già deciso di farmi operare- si costrinse a pensare -non c’è motivo per cui debba mandare qualcuno a rabbonirmi-

“so che ti operano tra una settimana” riprese Easter ignorando il suo silenzio “sei preoccupato?” lo sguardo del Soldato si indurì e ancora non rispose, stufo che chiunque ne sapesse più di lui sul suo conto.

-e ora che diavolo fa???- pensò esterrefatto quando la vide sedersi sul bordo del letto, accanto al suo fianco.

Istintivamente si ritrasse, per quanto le cinghie glielo permettevano, per evitare che anche solo lo sfiorasse. Non riusciva bene ad inquadrare quella ragazzina, che senza conoscerlo gli si rivolgeva in tono amichevole. Ora gli stava parlando e lui neanche la ascoltava.
“sarai stanco” le sentì dire a un certo punto “Steve mi ha raccontato quanto è stata dura per te oggi” aggiunse, facendolo di nuovo voltare a guardarla.
Soldato non voleva che lo facesse, ma era legato e non poté impedirle di allungare la mano e posargliela sull’avambraccio. Avvertì un leggero brivido lungo la schiena quando lo toccò, con quella piccola mano fresca, dicendogli “ti lascio riposare”.
Essere legato in quel modo gli suscitava ricordi spiacevoli. Erano sensazioni a pelle più che veri ricordi, ma erano tutte dolorose: un colpo, come una frustata, sul viso o sul corpo, senza una ragione apparente; il dolore lancinante alla testa durante il ricondizionamento; il sapore ferroso del sangue, e della gomma del morso che stringeva tra i denti…
Invece il tocco di quella mano era gentile, quasi piacevole, e per questo disturbante sulla sua pelle.

Easter si alzò in piedi e gli rivolse un timido sorriso, ignara di ciò che stava avvenendo nella testa dell’uomo, e si diresse alla porta. Si voltò un attimo prima di uscire e gli fece un cenno di saluto con la mano
“buonanotte” disse “tornerò anche domani va bene?” aggiunse con un sorriso prima di uscire.

-non tornerà- pensò il Soldato, quasi questo pensiero lo rassicurasse -non mi ha cavato di bocca neanche una parola, quindi non tornerà-

 

 

Base segreta di Fury, alloggi

“Skye che stai dicendo?” le aveva chiesto esterrefatto Coulson, avvicinandosi e prendendola per le spalle, quasi che toccandola potesse accertarsi se dicesse la verità “in che senso pensi di sapere cosa sia!?” la incalzò
“non ne sono certa” lo fermò la ragazza, ricambiando la stretta sulle sue braccia “ma ho fatto delle ricerche e forse ho capito cosa può essere, e perché la disegni ossessivamente” Coulson guardò in rapida successione Skye e la parete alle sue spalle, senza sapere cosa dire, improvvisamente ogni fibra di stanchezza era sparita e la sua testa (ma era davvero solo la sua?) voleva soltanto sapere… sapere la risposta al mistero dei simboli che incideva.
Skye si liberò con uno scrollone dalla stretta dell’uomo e si avvicinò di nuovo alla parete
“vedi questi piccoli cerchi?” iniziò indicandone diversi, sparpagliati apparentemente in modo casuale nell’incisione “sono luoghi, e queste linee… sono rotte!” spiegò muovendo il dito sulla parete avanti e indietro, poi si girò a guardare Coulson, che la fissava rapito “AC… io penso seriamente che questa sia una mappa” esclamò
“una mappa di cosa?” chiese l’uomo, non celando una certa nota di delusione nella voce, ci aveva pensato anche lui in passato ma… “l’ho sovrapposta a qualsiasi tipo di carta geografica esistente, e non ho trovato nessuna corrispondenza” spiegò passandosi una mano sul viso e lasciandosi poi cadere su una sedia. Ma Skye sorrise di nuovo e gli si fece incontro, accucciandosi davanti a lui e cercando il suo sguardo dal basso
“ma hai dimenticato un particolare fondamentale AC” gli disse riguadagnando la sua attenzione “il nostro amico blu non era esattamente di qui, prima ho detto che i cerchi sono luoghi, non è proprio esatto… sono stelle, e pianeti. Questa è una mappa celeste” spiegò ruotando su sé stessa per indicarla “che indica le rotte spaziali per arrivare a una certa destinazione… non saprei dirti quale ma..” aggiunse avvicinandosi di nuovo alla parete e accovacciandosi a gambe incrociate a terra, seguita subito dopo da Coulson “vedi questa parte in basso, fin qui all’altezza del comodino?” chiese “ricalca perfettamente la posizione di astri e pianeti della frontiera di spazio scoperta fin ora dall’uomo. Coulson, mi rimangio quello che ho detto, io SONO certa che questa sia una mappa del cielo”.

Coulson da in ginocchio come stava si lasciò cadere seduto, osservando a bocca semiaperta la porzione di parete, e ricalcandone con le dita le incisioni. Fu una sensazione difficile da descrivere quella che lo pervase. Era simile a quando, dopo aver tenuto a mente un numero di telefono, ripetendolo in loop per non scordarlo, finalmente trovi carta e penna e lo scrivi, e puoi rilassarti… quella, ma amplificata 100 volte. Di colpo seppe dentro di sé che la prossima volta che avrebbe chiuso gli occhi, non avrebbe più inciso quei simboli… ora sapeva cosa significavano.
“Skye è così…” sillabò non riuscendo a trattenere l’eccitazione nella voce “è proprio come dici tu”
“sembra probabile vero?” sorrise la ragazza, orgogliosa ma con una nota amara in quel sorriso.. ora che sempre di più una paura si faceva strada dentro di lei
“no, non sembra!” ribattè Coulson avvicinandosi carponi per metterle le mani sulle spalle “Skye non so spiegarlo, ma È così! Me lo sento… nelle viscere, nel sangue!” aggiunse come se fosse di colpo avesse trovato un termine più corretto. Poi sotto lo sguardo, che via via si faceva più pensieroso, di Skye, ricominciò ad osservare estasiato la parete, borbottando tra sé e sé che ora era necessario scoprire dove quella mappa portasse, e a quale scopo per quell’essere fosse importante a tal punto, da trattenerlo nella propria memoria cellulare, per trasmetterlo a chiunque fosse entrato a contatto con il suo sangue.
Fu quel ‘chiunque’ che lo scosse… non era andata così. I rapporti secretati dello S.H.I.E.L.D. che era riuscito a reperire, e lo stesso Garreth.. erano la prova che non solo lui, ma tutti quelli curati col siero G.H. erano impazziti, tracciando i simboli ovunque, persino sul loro stesso corpo a sangue.
Tutti tranne uno.
Coulson si voltò a guardare Skye, con una consapevolezza negli occhi che alla ragazza fece quasi paura. In quel momento fu certa che anche lui era arrivato al nocciolo delle sue angosce
“AC… come mai io non ho inciso neanche un simbolo?” chiese con un filo di voce, trapassandolo con gli occhioni scuri dilatati dal buio e dall’ansia. L’uomo sospirò, lasciando cadere le spalle
“non lo so…” ammise “ma meglio così non credi? Era necessario che almeno qualcuno rimanesse lucido qui dentro!” aggiunse sorridendo, tentando di sdrammatizzare qualcosa che indubbiamente invece doveva suscitare apprensione. Skye infatti scosse la testa con violenza, quasi a voler scacciare quella pavida rassegnazione
“io un’idea del perché ce l’ho” la voce era strozzata, segno di come quell’idea che si era fatta la spaventava “AC pensaci” disse spostandosi convulsamente da seduta a in ginocchio, incapace di star ferma “io sono uno 0-8-4, me l’hai detto tu! Mi hai raccontato che pur di trovarmi hanno sterminato un intero villaggio, che hanno ucciso persino i due agenti dello S.H.I.E.L.D. incaricati di portarmi via!” incalzò a voce sempre più alta. Poi si fermò per un istante, quasi avesse paura delle sue stesse parole “AC… e se fossi anche io un alieno?”
“ma tu non sei blu!” proruppe l’uomo di getto, segno che anche la sua mente aveva fatto lo stesso ragionamento poco prima ed era pronto a smentire
“potrei essere un sangue misto!” ribattè ancora lei “potrei..” ma lui la interruppe alzandosi in piedi di fretta e afferrandola per i polsi per farle fare altrettanto
“Skye no” disse con voce ferma, continuando a stringerle le mani “no. Non è possibile. Ne sono sicuro” ora la sua voce era controllata, la guardava negli occhi con quel suo sguardo rassicurante
“non puoi esserne sicuro” disse la ragazza tentando di divincolarsi debolmente “se solo permettessi a Simmons di analizzare il mio sangue, ora che ho avuto l’iniezione..”
“NO!” la bloccò ancora Coulson, ora quasi scuotendola “ascoltami bene Skye, non c’è niente di extraterrestre in te, sei assolutamente normale”
“ma”
“ci deve essere un’altra spiegazione per la faccenda dei simboli, forse l’età… sei la più giovane dei pazienti sottoposti a G.H.” buttò lì “Skye… tu sei umana. Io non permetterò a nessuno di insinuare il contrario” affermò.
Questo ebbe il potere di farla smettere di agitarsi. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime alla consapevolezza che lui non era affatto certo che non fosse aliena… ma che avrebbe fatto di tutto per impedire che lo si pensasse. Per proteggerla. Dio solo poteva sapere cosa avrebbero potuto farle, dal governo allo stesso S.H.I.E.L.D., a organizzazioni come l’HYDRA, se avessero saputo che il suo corpo poteva essere a chiave della cura di tutte le malattie, persino della vecchiaia stessa.
L’avrebbero rinchiusa, ridotta in tanti piccolissimi pezzi, pur di scoprirlo.
Coulson era lì a dirle che l’avrebbe impedito.
Si asciugò gli occhi col dorso della mano smorzando un sorriso
“ok” soffiò.. come a fargli capire che ora poteva lasciarla. Coulson le liberò i polsi e si fece un passo indietro, dopo averle dato un buffetto su una guancia con un sorriso.
“è tardi” le disse poi “dovresti andare a letto, o domani sarà Easter a tiranneggiare su di te” tentò di scherzare.
Skye non rispose, e senza alcun preavviso gli gettò le braccia al collo stringendolo con tutta la forza che aveva. Lui rimase fermo con le braccia leggermente sollevate, stupito da quello slancio improvviso. La sentì sussurrare un grazie e poi lasciarlo.
Skye lo guardò sorridendogli grata per un attimo prima di riassumere la sua solita espressione scanzonata, che ora più di qualunque altro momento appariva come una maschera.
“ah.. basta” sospirò “sei troppo sexy così, me ne vado a letto!” esclamò scherzando ancora sulla sua camicia, come se niente fosse successo.
Coulson rise, anche se un po’ forzatamente, e la accompagnò con lo sguardo finché la porta non si chiuse alle sue spalle.

 

 

Base segreta di Fury, infermeria, 6 giorni dopo

Era la vigilia dell'intervento. Abbastanza tardi perché tutte le luci fossero già spente e persino la dottoressa col sorriso dolce fosse andata via.
E Soldato sapeva che lei sarebbe venuta.
Al contrario di quanto aveva preventivato infatti, quella ragazzina era tornata. Ogni sera dal loro primo incontro, con un'ostinazione degna del più cocciuto dei muli.
Sopratutto considerato il fatto che lui, per i primi tre giorni, si era chiuso in un mutismo quasi totale.
Eppure lei non ci aveva badato. Ogni sera andava da lui e lo salutava allegramente, gli faceva domande sapendo che non avrebbe ricevuto risposta, poi si sedeva sul bordo del suo letto e gli raccontava qualsiasi cosa le passasse per la testa: cosa succedeva nella base, a che punto erano le sue ricerche, cosa faceva Steve... che da quel primo incontro non aveva più osato andarlo a trovare.
Soldato si era impegnato al massimo per essere ostile i primi giorni, per mandarla via, senza ottenere nessun successo. Così aveva smesso di provarci, arrendendosi ad ascoltarla.
Suo malgrado aveva dovuto ammettere a sé stesso che gli faceva piacere ricevere quelle visite. Per un po' non pensare al rischio a cui si stava esponendo.

Easter non sapeva nemmeno lei perchè si fosse tanto incaponita con quell'uomo così ritroso. Sapeva solo che quando la quarta sera entrando lui aveva risposto al suo saluto, per la prima volta, evitando il suo sguardo quasi in modo timido, lei si era sentita scoppiare d'orgoglio e felicità.
Da quel momento, non che si fosse sbilanciato in chiacchiere, ma avevano cominciato ad interagire. E questo aveva dato a Easter il coraggio di fare un passo in più.
Dopo un po' che era lì aveva preso l'abitudine di slacciare le cinghie che stringevano il braccio sinistro del Soldato e lasciarglielo libero per un po'.
La prima volta aveva avuto davvero un paura fottuta che strappasse via le altre e si desse alla fuga, invece lui l'aveva guardata ricolmo di sorpresa, e come primissima cosa l'avevo visto portarsi la mano a grattarsi la radice del naso. Cosa che l'aveva fatta piuttosto ridere. Poi al momento di andar via si era fatto docilmente legare di nuovo.

 

Quella sera arrivò puntuale come al solito e lo salutò dopo aver cacciato la testa nella porta a vetri con la classica aria circospetta (anche se aveva cominciato a sospettare che fossero tutti al corrente delle sue visite).
Soldato accennò un sorriso e la guardò sgattaiolare dentro e dirigersi verso il letto con qualche passo di corsa, come se una volta arrivata lì nessuno avrebbe più potuto vederla. L'uomo scostò il bacino quanto le cinghie glielo permettevano, per permetterle di accoccolarsi a gambe incrociate sul letto accanto a lui.
“allora come ti senti?” gli chiese mentre gli slacciava la cinghia del braccio sinistro e distrattamente iniziava a massaggiargli il polso “agitato?”
“sono pronto” rispose lui, anche se non era vero. Easter storse la bocca
“brr non so come fai! Io darei di matto se sapessi che domani mi dovessero aprire il cranio.. per tirar fuori... oddio bleah!” esclamò agitando le mani davanti al naso come a scacciare una mosca
“grazie tante... il tuo discorso è davvero d'aiuto” commentò lui facendola ridere.
“ve bene, va bene parliamo d'altro vuoi?” disse prima di lanciarsi nel resoconto della giornata.

 

 

“scherzi a parte” disse lei dopo un po' “lo sai che non hai ancora mai risposto alla prima domanda che ti ho fatto?”
“sarà stata una domanda stupida”
“non era affatto stupida!!” si piccò lei accigliandosi “ti avevo chiesto il nome!”
“era stupida” sentenziò lui “sapevi anche allora che mi chiamano il Soldato d'Inverno”
“ma Solato d'Inverno non è un nome!” ribattè lei ad alta voce, sbracciando per sottolineare l'ovvio “è più un titolo onorifico... o che so io, dai.... che razza di nome è Soldato d'Inverno?!” insistette facendo una caricaturale voce grossa al ripetere Soldato d'Inverno.
“perchè... che razza di nome è Pasqua**?” commentò il giovane, stavolta senza riuscire a nascondere una nota di irritazione nella voce. Easter arrossì
“touchè” disse “ma il punto non è questo!” aggiunse subito dopo agitando ancora le mani davanti al viso, a scacciare la distrazione “Soldato d'Inverno era il nome dell'arma dell'HYDRA, non di una persona.... tu sei una persona, non un'arma” concluse tornando seria.
Soldato voltò la testa dall'altra parte, nervoso come tutte le volte che la sua totale amnesia veniva sbattuta sul tavolo della conversazione
“e come vorresti chiamarmi allora?” disse in tono duro “vorresti che fossi James Barnes? Steve dice che era quello il mio nome una volta, vorresti che fossi lui?” il suo tono ora non lasciava dubbi sul fatto che fosse arrabbiato “mi dispiace, ma io non so neanche chi sia James Barnes” concluse amaramente. Di colpo non era più contento che lei fosse lì.
Easter guardò il suo profilo con tristezza, per un po' regnò il silenzio. Poi Soldato liberò la mano sinistra da quelle della ragazza in malo modo e la poggiò a favore della cinghia di cuoio.
“adesso lasciami dormire per favore” disse in tono freddo, sempre senza guardarla.
“vuoi sapere cosa penso?” disse invece lei senza accennare ad accontentarlo
“no”
“ecco cosa penso”
“ti ho detto di no sei sorda??” ribattè lui girandosi per fulminarla con lo sguardo. Easter invece gli sorrise, dolce, contenta di averlo spinto a voltarsi di nuovo
“penso che allo stesso modo in cui non sei più il Soldato d'Inverno, tu non sia più neanche James Barnes” sentenziò.
Lui la fissò, sorpreso e diffidente insieme “credo che la gente, e Steve sopratutto, dovrà venire a patti col fatto che James Barnes non c'è più, che Soldato d'Inverno non c'è più” aggiunse poggiandogli di nuovo una mano sulla sua “da domani potrai decidere tu cosa fare della tua vita, quindi pensavo.... che dovresti sceglierti un nuovo nome, da solo” concluse.
L'uomo la guardò, senza dire nulla, ma si vedeva che la rabbia aveva abbandonato i suoi occhi. La stanza fu inghiottita dal silenzio per qualche meditabondo istante
“potresti darti un nome ridicolo come il mio per farmi compagnia.... che ne so.... Christmas?” scherzò a quel punto lei, costringendolo a mascherare una risata in uno sbuffo. Il giovane sospirò scuotendo la testa
“sei una strana ragazza”
“ma almeno riesco a farti ridere ogni tanto” ghignò lei “allora ci penserai?” aggiunse poi “a come vuoi chiamarti?”
l'uomo si fece assorto per un po'. Nella sua memoria, se scartava le immagini di dolore inflitto e subìto negli ultimi tempi, non restava molto a cui aggrapparsi per costruire una nuova identità

“non devi decidere subito...” la voce di Easter giungeva periferica tra i suoi pensieri

l'unica cosa che, nel turbine di violenza che aveva in testa, si salvava era quel bambino biondo. Che forse poteva essere Steve, che lo chiamava storpiando un nome che non ricordava più. Lo chiamava.....
“Bucky” si sentì dire, ad alta voce quasi senza accorgersene
“come?” lo esortò Easter
“vorrei che mi chiamassi.... Bucky” era l'unica parte di sé, di cui avesse una qualche memoria, che non gli provocava ribrezzo.
Easter sorrise quasi commuovendosi, di come un legame come quello tra lui e Steve fosse sopravvissuto a quasi 70 anni di violenze fisiche e psichiche. Le ricordava il legame che aveva sempre sentito col suo gemello... e che sentiva forte persino ora che lui non c'era più.
“d'accordo allora...” sussurrò, esitando poi solo un attimo, prima di sfiorargli la guancia con una carezza leggera “Bucky”
Lui la guardò, con la solita espressione seria, indecifrabile, senza saper bene catalogare cosa sentisse per quella ragazza che aveva deciso di piantare le tende nella sua vita. Poi senza alcun preavviso ricambiò la carezza che lei gli aveva fatto, facendo scorrere il palmo dalla guancia ai capelli della ragazza, che avvampò, presa alla sprovvista da quell'inedito contatto affettuoso
“mi piace sentir pronunciare da te questo nome” le disse semplicemente, senza nessuna particolare intonazione.... solo con sincerità.
Easter si alzò in piedi di scatto, improvvisamente sopraffatta da un imbarazzo che la sorprese.
Ma che le prendeva?
Non era certo la prima volta in vita sua che qualcuno la accarezzava sulle guance, Steve lo faceva continuamente e non gli aveva mai fatto quell'effetto!
“bhè...” si schiarì la voce in difficoltà “ti chiamerò così d'ora in poi” sussurrò “ora è meglio che vada, è tardi” aggiunse di fretta.
Bucky lo guardò allontanarsi verso la porta e poi tornare indietro a testa bassa, borbottando sulla sua sbadataggine, per riallacciargli la cinghia intorno al polso. Sorrise appena... era davvero buffa...
Easter riguadagnò la porta e si aggrappò allo stipite con forza, per riguadagnare un minimo della risoluta dignità con cui si era comportata fino a quel momento. Fece un respiro e poi si voltò a guardarlo sorridendo, voleva salutarlo per bene.
“sarò qui quando ti sveglierai... promesso..” gli disse, prima di fargli un cenno della mano e lasciare la stanza.

 

 

Base segreta di Fury, sala operatoria, il giorno dopo

Simmons si avvicinò al lettino sul quale il Soldato d'Inverno era steso brandendo il respiratore con l'anestetico. Gli sorrise rassicurante quando incrociò il suo sguardo, anche se si sentiva tesa come una corda di violino ad solo pensiero di ciò che si apprestava a fare.

Quando era aveva iniziato la laurea in medicina lo aveva fatto pensando che sarebbe tornato utile per rattoppare agenti crivellati di proiettili, non credeva certo che avrebbe avuto a che fare con casi alla Grey's Anatomy***.

“allora...sei pronto Soldato?” gli chiese dolcemente
“Bucky” rispose lui in tono secco “il mio nome... è Bucky” Simmons si sciolse un sorriso sincero, di sollievo per Steve, senza sapere quanto anche per l'uomo che aveva di fronte fosse importate quella conquista
“ok... allora Bucky.... se tu sei pronto, andiamo a incominciare” gli disse. L'uomo annuì risoluto, e lei gli posizionò delicatamente la mascherina su naso e bocca.

 

 

 

 

 

Base segreta di Fury, palestra, due giorni dopo, sera

Steve Rogers aveva premuto distrattamente il bottone con il numero -6 nell'ascensore e ora attendeva sovrappensiero di arrivare a destinazione.
Veniva dal reparto a lunga degenza dell'infermeria dove aveva appena fatto visita a Bucky.
Non che si fossero detti granchè dato che era in coma farmacologico da due giorni.
Tutte le volte che sentiva stringersi lo stomaco si ripeteva come un mantra le parole di Simmons, che gli aveva garantito con un sorriso che era tutto normale, che l'intervento era andato benissimo, e che il coma era indotto volutamente per permettere all'ematoma cerebrale di riassorbirsi senza dover dedicare nessuna energia ad altre funzioni non necessarie (quali respirare, pensare ecc).
Sospirò.
“è tutto normale, l'intervento è andato benissimo, il coma era voluto” ripeté ancora ad alta voce per convincersene. Lo ripetè finchè il jingle dell'ascensore non lo avvisò dell'arrivo a destinazione.
Fu accolto da un forte rumore di risa che venivano dalla palestra, cosa che lo incuriosì non poco, così accelerò il passo fino alla balaustra, accanto a Natasha, sporgendosi per ammirare la scena apocalittica che si stava consumando sul tatami sottostante.

 

 

“mano destra s-s-sul giallo” tentò di scandire meglio che poteva Fitz, in difficoltà, in parte per i postumi dell'afasia, e in parte per il gran ridere.
“cosa!!!” stava urlando Jemma, in una curiosa posizione tipo ragno poggiata su un telo di plastica con disegnati dei cerchi colorati “ma l'unico libero è dalla parte opposta a dove sono io!” protestò
“sai solo lamentarti pettirosso... guarda io come sono ridotto!” le fece eco Clint, in una quanto mai contorta posizione a ponte.
“ti ci sei messo da solo in quella situazione Barton! Non rompere!” ribattè la ragazza incrociando le braccia e allungandosi più che poteva per raggiungere il disco giallo.
In effetti Clint all'inizio, quando aveva tutti e due i piedi saldamenti ancorati sul verde, aveva fatto lo spaccone, e alla comanda 'mano sinistra sul giallo' aveva sfoggiato il suo passato da artista del circo arcuando la schiena all'indietro poggiando la mano facendo il ponte da in piedi. Ma era stato punito, dato che i turni dopo gli avevano fatto spostare anche tutti e due i piedi sul giallo. Costringendolo a una posa degna di un contorsionista.
“Jemma ci sei arrivata o no? Guarda che se poggi il ginocchio a terra hai perso!” esclamò Trip, che aveva la visuale bloccata da Skye, piegata in avanti a libretto, e Easter.
Era stata di Trip l'idea di giocare a Twister per distendere un po' gli animi. Ultimamente quella base stava cominciando a sembrare un cimitero nell'orario delle visite con tutte quelle facce scure in giro, così poco prima si era presentato in sala comune a caccia di proseliti con il diabolico tappetto di plastica arrotolato sotto il braccio.
“Trip tocca... a te, pe-pensa a giocare” lo chiamò Fitz “mano destra sul rosso”
“hee??? io sotto al sedere di Barton per raggiungerlo non ci passo!” protestò alzando di scatto la testa, e ritrovandosi a circa due centimetri dal fondoschiena di Skye, che guarda caso calzava un paio di Jeans attillati rossi “bhè però potrei....” ridacchiò sollevando una mano
“TRIP SE CI TIENI AI DENTI NON PENSARCI NEANCHE!!” strillò Skye. facendo scoppiare a ridere tutti quelli a portata di orecchio. Easter in particolar modo venne colta da una ridarella isterica che le fece cedere le braccia e rovinare sul ginocchio di Clint.
“ma porc!!” imprecò lui un istante prima di accartocciarsi addosso a Skye, che per tenersi si aggrappò a Tripplett facendo inesorabilmente schiantare a terra anche lui in un gran tonfo di gambe e braccia.
“ma tu guarda, ho vinto!” trillò Simmons alzandosi in piedi e applaudendosi da sola tutta contenta
“hai rotto ragazzina!!” le gridò Clint cercando di togliersi di dosso Skye, anche lei colta da una crisi di risate “Fitz, la tua donna ha troppo una fortuna sfacciata! Portatela un po' via!!” esclamò prima di scoppiare a ridere anche lui.

 

“bhe” commentò Steve ridacchiando “se non altro il morale della truppa è alto!” disse voltandosi verso Nat e sorprendendola a nascondere un sorrisino con il pugno. “ascolta Tasha..” si schiarì poi la voce, girandosi per fissarla negli occhi con aria risoluta. La donna non si curò di nascondere uno sguardo al soffitto, che però sciolse con un sorriso. Ormai conosceva abbastanza il Capitano da capire quando entrava in modalità da predica del buon boy scout “lo so quanto hai detestato il Soldato d'Inverno per quello che ti ha fatto in Russia**** ma... vorrei chiederti di rinunciare alla vendetta contro di lui” Natasha sorrise ancora quando Steve aggiunse timidamente “fallo per me”
“per te? E cosa sei tu per me?” gli chiese in tono canzonatorio incrociando le braccia sotto al seno. Anche Steve sorrise intuendo che non fosse arrabbiata o sulla difensiva
“credevo che fossimo d'accordo sul fatto che fossimo amici” scherzò a sua volta
“Steve... tu davvero non sei tagliato per lavorare allo S.H.I.E.L.D.” sospirò in tono dolce Natasha. Cominciava a credere che non esistesse una persona più buona e dolce di lui. All'inizio, quando si era resa conto che la sua non era una maschera, ma la sua vera genuina indole, si era sentita a disagio in sua presenza. Tanta rettitudine la faceva sentire sporca, sbagliata, cattiva.

 

-non come Clint..- si trovò a pensare suo malgrado -lui, anche se è buono come un bambino, non mi ha mai fatto sentire inadeguata, anzi... mi ha sempre trattata come se fossi la cosa migliore che potesse succedere al mondo-
strinse per un impercettibile istante gli occhi, per scacciare il senso di colpa che l'aveva travolta al pensiero di come l'aveva trattato sul tetto.
“non preoccuparti Capitano” disse sforzandosi di sorridere di nuovo. Aveva imparato a capire che l'affetto che Steve gli dimostrava era sincero e che, forse non avrebbe saputo perdonarle proprio tutto, di quello che c'era di orrido nel sul passato, ma che sicuramente stimava la persona che era ora. “eliminare il Soldato d'Inverno era un ordine per me, niente di personale... davvero” mentì appena “adesso i miei ordini sono cambiati...e poi” aggiunse con un sorriso sincero stavolta “ora non esiste più un Soldato d'Inverno giusto?” Steve le sorrise con sollievo, grato di quelle sue parole e Natasha, anche se non era del tutto vero che non portasse rancore, fu fiera di sé stessa. In fondo lei era l'ultima persona al mondo a poter negare una seconda chance a qualcuno.

Quell'istante di complicità tra i due venne bruscamente interrotto da una scarpa da tennis che con molta poca grazia si schiantò sulla nuca di Steve facendogli crollare le spalle in avanti!
“Barton!! Ma porca puttana!!!” gridò il ragazzo massaggiandosi la testa e lanciando uno sguardo assassino al suo assalitore
“scusa tanto Capitano! Mi è caduta!” ironizzò lui facendo scoppiare a ridere Skye dietro di lui
“tu sei malato!!” gli stava urlando Steve, mentre lui lanciava una fugace occhiata a Natasha, che ridacchiava sotto i baffi.
Tanto per cambiare, nel vederli sorridere insieme, il suo corpo aveva agito senza prima consultare il suo cervello, e ora stava tentanto di mascherare la sua palese scenata da irlandese geloso in uno dei suoi soliti 'innocui' scherzetti ai danni del boy scout più vecchio del mondo.
“sei l'unico che riesca a far imprecare Steve” commentò Easter in tono analitico
“anni e anni di allenamento” commentò in risposta, voltando le spalle all'imbestialito Steve, che stava scendendo a passo di carica le scalette, e a Natasha che invece non staccò gli occhi da lui neanche quando non poté vedere altro che la sua schiena.

 

 

 

Coulson contemplava l'allegra scenetta dei 'suoi ragazzi' che si concedevano un po' di svago dall'angolo sinistro della palestra. Poggiato con un gomito all'armadietto delle pistole stava teoricamente facendo compagnia a May che si allenava al poligono.
Nella pratica era invece con un caffè ormai gelido in mano, immerso in elucubrazioni.
Osservava... quasi ammirava... Skye che si reggeva al braccio di Trip per non cadere a terra dal gran ridere, mentre Fitz rosso in faccia di imbarazzo si rifiutava di prendere il posto di Easter sul tappeto da twister e Steve sbatacchiava Clint per il collo della felpa.
Nonostante tutto ancora lo sorprendeva la forza d'animo di quella ragazza. La sua capacità di reagire, di trovare la forza di affrontare con sorriso le agghiaccianti notizie che in quei due anni si erano accavallate nella sua vita. Si rese conto di volerle bene. Bene più di quanto si sarebbe aspettato. Accennò un sorriso tra sé a quel pensiero.
Tutta quella faccenda della sua seconda vita gli aveva tolto un affetto importantissimo (per un certo periodo due) ma inaspettatamente gliene aveva donato uno nuovo, anche se totalmente diverso e più che imprevedibile. Se ne vergognava anche un po'... ma talvolta si sentiva il padre di quella ragazza.

In quel momento May con uno scatto si tolse le cuffie isolanti che aveva indossato per lasciare tutto quello starnazzare fuori dal suo allenamento, e riposta la pistola si avvicinò alle sue spalle.
“sai cosa è strano?” gli disse in tono confidenziale facendolo voltare “che il mondo è tenuto sotto scacco da un pazzo in grado di controllare la gravità terrestre, la sua salvezza dipende da noi, e abbiamo la più potente arma biologica concepita da mente umana nella stanza accanto........ e tu.. non avevi un aspetto così sano e rilassato... da mesi ormai!” esclamò, con quella sottile ruga di sospetto che le attraversava il bel viso quand'era preoccupata. Coulson le sorrise dolcemente, quel sorriso che riservava solo alla loro decennale confidenza. Lei aveva sempre avuto accesso alla versione più vera di lui. “di cosa non mi sono accorta in tutto questo tempo Phil?” lo incalzò la donna, aggirando il suo tentativo di sviare il discorso ancor prima che ci provasse. L'uomo smorzò il sorriso passandosi la tazza tra le mani
“tu hai avuto i tuoi segreti Melinda e io i miei.... e non è una ripicca te lo posso giurare!” si affrettò ad aggiungere quando vide un lampo di tristezza nei suoi occhi “si è trattato di qualcosa che ho DOVUTO affrontare da solo... ma sappi che è passata” concluse tornando a sorridere
“credevo sapessi che puoi fidarti di me... che tutto quello che ho fatto è sempre stato nel tuo interesse, innanzitutto” disse lei amaramente
“è così credimi” insistette Coulson voltandosi completamente verso di lei abbandonando la tazza sul mobiletto, e approfittando della generale distrazione per fargli una fugace carezza su un braccio, che lei seguì con lo sguardo quasi come se facesse male “ma ci sono fantasmi che bisogna sconfiggere in prima persona... credo tu mi possa capire meglio di chiunque altro” aggiunse. May annuì accennando un sorriso.
Capiva. Capiva benissimo.
E Coulson si sentì in colpa di averle di fatto mentito ancora. In fondo, anche se ci aveva provato ad affrontare tutto da solo, alla fine aveva mostrato la sua stanza a Skye. Ed era stata proprio lei ad aiutarlo a venir fuori da quell'incubo di linee e cerchi. Ma se si era aperto con la ragazza era stato solo per la faccenda che li accomunava del siero GH... che li aveva uniti a doppio filo, più di quanto già non fossero. Sotto sotto temeva che anche lei fosse ossessionata dai simboli come lui, e non voleva lasciarla da sola.
In quel momento però si pentì di non averne fatto parola con May. Nel suo sguardo lesse la sua profonda comprensione e il suo affetto. Aveva sbagliato a supporre che avrebbe tentato di risolvere il problema in stile 'cavalleria'... in quell'istante seppe con certezza che l'avrebbe invece aiutato, protetto perfino.
Mentre gli chiedeva se lo accompagnava a rifarsi il caffè, con la promessa di prepararle in cambio quella tisana di chiodi di garofano e ribes che amava tanto, promise a sé stesso che quella era l'ultima volta che le mentiva.

 

 

 

Note dell'autrice: Della serie a volte ritornano!!! io sono peggio dei pg Marvel, se non vedi il cadavere non puoi esser certo che sia morta!!! sono ufficialmente tornata, e tenterò di ricominciare a pubblicare con una certa regolarità quindicinale ^^ se avete ancora memoria di questa storia, vi ringrazio infinitamente.

E ora gli asterischi:
*il cerchio della fiducia è una citazione a “ti presento i miei”
** Easter, ricordo, significa Pasqua
*** in quel telefilm diabolico fare operazioni a cuore aperto in anestesia locale è ordinaria amministrazione
**** nel film Capitan America 2 Natasha racconta di aver preso un colpo di pistola da Soldato d'Inverno in una missione in Russia.

 

  
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