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Autore: Calliope49    01/02/2015    4 recensioni
*COMPLETA*
«Avete anche un nome, monsieur?»
«D’Artagnan».
Lei strinse appena le labbra. «Ah, siete quel d’Artagnan».
«Prego?»
«D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. Treville vi nomina spesso - quando parla dei rischi per la sua salute, ad esempio».

Una calma insolita è piovuta su Parigi, ma la situazione non è destinata a durare. Strani incidenti, un omicidio e la comparsa di un misterioso bandito daranno filo da torcere agli uomini del re. Nel mezzo, una ragazza e troppe cose che non sono quello che sembrano…
[AthosXNuovoPersonaggio; Accenni Constagnan e Annamis]
[N.B. La storia non tiene conto degli sviluppi della seconda stagione perché è stata ideata prima che ne cominciassero gli episodi]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Captain Treville, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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Qualche nota prima di (ri)cominciare…

Quella che state per leggere è la versione riveduta e corretta di “By any other name” (dal verso di Romeo e Giulietta “A rose by any other name would smell as sweet”).
Ho pubblicato questa fanfiction tra febbraio e giugno 2015. Quando iniziai a scriverla, la seconda stagione del telefilm era appena cominciata, quindi decisi che ne avrei  ignorato gli sviluppi (da qui il “What if?” tra gli avvertimenti, dato che la storia si basa sul paring AthosXNuovoPersonaggio, una cosa che a mio avviso può essere considerata “plausibile” solo se si ignora il risvolto che ha preso la storyline di Athos e Milady nella seconda stagione).
Mi è piaciuto creare il personaggio di Diane ed entrarle nella testa. Non so quanto possa convincere un lettore, ma è la mia bambina e ho provato a renderla nero su bianco con tutta la cura che potevo.
Non sono mai riuscita a decidere quale fosse il mio moschettiere preferito, alla fine la scelta del co-protagonista principale della storia è caduta su Athos perché era quello che mi divertiva di più immaginare in una relazione più o meno romantica (soprattutto in vista degli sviluppi che avevo in mente). Ho comunque cercato di dare il giusto spazio a (quasi) tutti i personaggi della serie perché… sono tutti fantastici ed era un peccato lasciarli nell’ombra, punto! :P
Tengo molto a questa storia, mi ha divertito tantissimo scriverla e adoro il telefilm (i moschettieri in realtà sono un’innamoramento che mi trascino dietro da ragazzina) e immergermi in questo mondo è stato davvero favoloso, ma soprattutto ci tengo perché è stata il pretesto per tornare a scrivere dopo moltissimo tempo in cui non prendevo carta e penna in mano.
Come tutte le cose riprese dopo un periodo di distacco, mi sono poi resa conto che la mia scrittura non mi soddisfaceva del tutto. Rileggendo a distanza di mesi la prima quindicina di capitoli scritti durante l’inverno in piena “foga creativa” mi sono accorta che c’erano molte cose da sistemare, sia a livello di stile sia di resa di personaggi e di passaggi narrativi, così ho pensato che una volta conclusa la fanfiction mi sarei dedicata a una revisione dell’intero malloppo. Naturalmente ho fatto tutto da me… ma ho cercato di farlo al meglio.
 
Se non siete caduti addormentati sulla tastiera dopo questo preambolo avete la mia gratitudine ma soprattutto la mia ammirazione.
 
Buona lettura.
C.
___

 
Prologo
 
L'aria umida portava con sé promesse di un inverno rigido.
Athos era da solo in mezzo all’odore di paglia e terriccio bagnato, a gambe stese sul tavolo lucidava la spada. Ormai ci si poteva specchiare in quella lama, ma lui continuava strofinare il panno lercio, assorto.
La frescura pungente della notte aveva lasciato un alone lucido sul legno liso del patio.
Parigi era insolitamente tranquilla in quelle settimane, una condanna per i moschettieri. Gli uomini del re si limitavano a fare la spola tra la guarnigione e il palazzo, in attesa di ordini, o a percorrere le strade in ronde senza scopo.
Un soldato annoiato è un soldato pericoloso, aveva detto una volta il capitano Treville, la noia impiega poco a diventare stoltezza.
Una folata di vento rimescolò polvere e fili di fieno sul terreno spoglio del cortile.
Athos tese le orecchie, come a cercare qualcosa nel silenzio vuoto di quella prima mattina, o forse solo per levarsi dalle orecchie il fracasso della taverna della sera prima che gli era rimasto incollato alla testa, a rimbalzare tra una tempia e l’altra.
Cominciava a essere vecchio per le grandi bevute.
Credeva di aver chiuso i conti con il suo passato, si era strappato di dosso i ricordi e i rimpianti, ma era rimasta come un’inquietudine dolorosa a fare eco nel suo petto vuoto.
Il rimorso è una brutta compagnia, ma dopo cinque anni ti dà comunque la sensazione di avere qualcosa che vada oltre il semplice vivere per inerzia.
Athos guardò la lama della spada lucida e perfetta. Forse il suo più grande difetto era quello di non sapersi accontentare di una qualunque ragione semplice per stare al mondo, come tutti quelli che avevano avuto molto e molto avevano perduto.
«Scusate».
Rinvenne dai propri pensieri. Stava davvero invecchiando: non aveva sentito i passi avvicinarsi. La giovane donna si tolse il cappuccio della mantella rivelando un sorriso cortese e una treccia un po’ spettinata di capelli castani.
Athos tolse i piedi dal tavolo e si sedette composto.
«Scusate, sto cercando la guarnigione dei moschettieri».
«L’avete trovata, mademoiselle».
La ragazza si guardò attorno. «L’immaginavo più affollata»
«Non a quest’ora».
La sconosciuta accennò un sorriso garbato in risposta. Aveva viaggiato, era evidente, forse era giunta in città con una nave attraccata in anticipo lungo la Senna. Parlava il francese di Parigi con l’accento stridente di chi ha passato molto tempo in un paese straniero.
«Sapreste dirmi dove posso trovare il capitano Treville? Oppure è troppo presto anche per lui?»
«C’è chi è pronto a giurare che il capitano non dorma affatto» disse Athos, la voce calma e fredda come al solito. Non aveva dimenticato le buone maniere, ad ogni modo, si alzò e fece strada alla giovane su per le scale, fino alla porta dell’ufficio del capitano.
Notò che i passi della ragazza non facevano rumore, non si udiva nemmeno il frusciare della gonna mentre saliva i gradini.
Indicò la porta dell’ufficio di Treville con un’occhiata e accennò un saluto sfiorandosi la falda del cappello.
Quali che fossero gli affari di quella giovane con il capitano non era cosa che lo riguardava.
Vide Porthos e Aramis arrivare mentre scendeva le scale.
 
***
 
Non ricordava che a Parigi facesse così freddo. L’odore di polvere e acqua stagnante, quello lo ricordava, era più o meno lo stesso per ogni città ma l’odore di casa propria sembra sempre diverso da tutti gli altri posti.
Restò qualche secondo in attesa, davanti alla porta che il moschettiere le aveva indicato. Ebbe la tentazione di voltarsi a guardarlo mentre si allontanava ma, in qualche modo, era certa che lui se ne sarebbe accorto.
Bussò. Avrebbe voluto essere più delicata ma l'entusiasmo trasformò qualche colpo leggero in pugni bruschi contro il legno.
«Avanti». Dalla voce, il capitano dei moschettieri sembrava seccato.
La ragazza esitò, la mano appoggiata alla maniglia. Il viaggio dall’Italia era stato lungo, aveva avuto tempo per pensare ma adesso era come se casa sua fosse proprio dietro quella porta e tornare avesse implicazioni per cui non si sentiva pronta.
L’ufficio del capitano era un ambiente spartano con poco mobilio e una scrivania ingombra di fogli e oggetti gettati in un disordine assai poco militaresco.
Treville stava leggendo una missiva, reggendosi il mento tra l’indice e il pollice. Non era affatto diverso da come lo ricordava, anche se gli ultimi dieci anni non erano stati del tutto generosi con lui.
Sollevò lentamente la testa dal foglio, con l’indolenza di chi non è abituato a trattare da ospiti coloro che bussano alla porta del suo luogo di lavoro.
Si alzò meccanicamente, riconoscendo una donna nella persona che era arrivata a disturbare i suoi affari, poi rimase a guardare in viso la giovane per qualche istante.
«Diane?» mormorò.
«Grazie al cielo. Pensavo che non mi avresti riconosciuto, zio».
Il capitano dei moschettieri mosse qualche passo verso la figlia di sua sorella. Diane si lanciò con foga nel suo abbraccio. Era a casa e, per la prima volta da quando si era messa in viaggio, pensò che col tempo ogni cosa sarebbe andata a posto.
«Quando sei arrivata?»
«Adesso. Poco fa».
«Nella tua ultima lettera dicevi che pensavi di tornare, ma non credevo così presto».
Diane sorrise, scosse il capo e una ciocca di capelli sfuggì alla presa della treccia.
«C’era una nave che salpava prima del previsto. Non c’è stato tempo di avvisare».
Treville assottigliò lo sguardo. Non doveva gradire troppo la prospettiva di sua nipote in viaggio da sola: l’aveva vista partire che era poco più di una bambina e per lui forse era rimasta tale.
«Sei tornata per restare?» le chiese.
Difficile dirlo. «Parigi è la mia città».
«Credevo che in Italia avresti trovato un pretendente, che avessi stretto amicizie…».
A Diane non sfuggì il sottinteso di quelle parole. Dieci anni di lontananza avevano cancellato la sua vecchia vita e quelli che ne avevano fatto parte si erano certo dimenticati di lei, di un’anonima ragazzina di dodici anni come tante. Forse suo zio credeva che a Parigi non le fosse rimasto più niente: si sbagliava.
«Ad ogni modo,» aggiunse Treville, «sono felice che tu sia qui»
«Grazie, zio»
«I tuoi bagagli?»
«Sono al porto»
«Bene, manderò qualcuno a prenderli, li farò portare a casa mia. Aspettami lì, al momento sono impegnato ma oggi pomeriggio tornerò a casa e parleremo». 
«Basta che non ti azzardi a chiedere dei pretendenti». Diane alzò l’indice con fare ammonitore.
Il sorrido di Treville gli ispessiva le rughe ai lati della bocca.
«Gli italiani non possono essere così male»
«No, in effetti no, cucinano troppo bene».
  
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