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Autore: PuccaChan_Traduce    02/02/2015    4 recensioni
Tauriel salva la vita a Kili durante la Battaglia delle Cinque Armate, alterando per sempre il corso della Storia.
Disclaimer: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
QUESTA STORIA È INCOMPIUTA.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Nuovo personaggio, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit
Coppia: Kìli/Tauriel

~~~

If this is to end in fire
Then we should all burn together
Watch the flames burn auburn on
The mountain side high.


I see fire, Ed Sheeran
 
~
 
“Vi presento,” disse Balin con voce tremante, “Kìli, figlio di Fìnor, Re... sotto la Montagna.”
Dàin Piediferro sbuffò sonoramente facendo trasalire Tauriel e guadagnandosi un’occhiata di riprovazione da parte di Balin.
“Non abbiamo ancora finito di discutere la faccenda, Balin,” esclamò il signore dei Colli Ferrosi con voce dura e grave, allontanandosi poi senza più guardare nessuno. Tauriel, interdetta, fece scorrere lo sguardo da Balin a Legolas a Kìli, ma nessuno sembrava badare a lei. Nessuno sembrava nemmeno vederla, in effetti. Il silenzio si prolungò fino a quando non fu più capace di sopportarlo.
Allora si alzò in piedi e, stringendo i denti per ricacciare indietro la pena, s’inchinò brevemente davanti a Kìli; le sue sensibili orecchie di Elfo colsero il sibilo di disapprovazione di Legolas, ma non vi badò. “Le mie condoglianze, Re Kìli, per la tua immensa perdita. Possano i Valar arrecarti conforto e pace.” Detto ciò rialzò piano la testa, improvvisamente conscia del proprio gesto; incontrò lo sguardo di Kìli e, per un breve istante, colse in esso un barlume dell’antica tenerezza prima che egli chinasse il capo a sua volta.
“Ti ringrazio, Tauriel, per tutto ciò che hai fatto per me e per i miei congiunti.” Quando si risollevò, la tenerezza era scomparsa. Non la guardò più. Lei avrebbe voluto dirgli ancora qualcosa, qualsiasi cosa che alleviasse il suo dolore, rassicurarlo che aveva molte altre persone che tenevano a lui e credevano in lui, sebbene lei stessa non sapesse spiegare perchè ne fosse tanto sicura; in verità lo conosceva appena, ma fin dal fatidico giorno in cui lo aveva salvato dai ragni nel Bosco Atro si era sentita indissolubilmente attratta da lui. Proprio come le maree sono attratte dalla luna.
“Scusatemi, ora... devo andare da mio zio e da mio f–fratello...” egli riuscì a balbettare e subito dopo si allontanò senza più guardarsi indietro, svanendo in fretta nella notte incipiente, come un’ombra. Tauriel udì il clamore dei festeggiamenti salire nell’oscurità e quel suono assunse alle sue orecchie un significato profondamente offensivo e crudele. Cosa c’era mai da festeggiare quando in così tanti avevano perso la vita? Si mosse nella direzione in cui si era allontanato Kìli, seppur incerta sul da farsi, ma Balin la fermò toccandole gentilmente un braccio.
“Lascialo andare, ragazza, ha bisogno di stare da solo per un momento. È ancora sconvolto.”
Tauriel arrossì e si allontanò dal suo tocco, portandosi più vicina al fuoco. Dentro era tutta un guazzabuglio di emozioni distorte. Non era abituata a sentirsi tanto incerta. Lunghi anni erano trascorsi dall’ultima volta che era stata così in conflitto, così... smarrita.
Legolas scelse quel momento per parlare, attirando la sua attenzione. “Dàin dei Colli Ferrosi ha intenzione di reclamare il regno di Erebor, non è così?”
Balin aprì la bocca per rispondere ma un’altra voce, a lei molto familiare, lo precedette. “E’ così, Legolas, ed è un valido aspirante. Il nipote di Thorin è a malapena considerato un adulto tra la sua stessa gente e non sa nulla di come si governa un regno.”
“Padre,” disse Legolas inchinandosi profondamente a Re Thranduil che usciva dalla tenda, e Tauriel fece lo stesso. Era sia in accordo che in disaccordo con il suo Re, e la cosa la lacerava. Era vero che Kìli era molto giovane – non sapeva di preciso quanti anni avesse, ma di certo era il più giovane della sua compagnia; eppure non lo credeva affatto incapace di comprendere appieno le necessità del suo popolo. Mentre era loro prigioniero le aveva narrato storie meravigliose dei suoi anni in esilio, dei lavori che aveva svolto e delle esperienze che ne avevano forgiato il carattere, e le aveva raccontato con orgoglio di come la sua gente avesse superato con coraggio le molte difficoltà. Forse Kìli era giovane e spensierato, ma non era un bambino e di certo non era estraneo al significato del comando. Dopotutto era cresciuto all’ombra di suo zio, il quale, malgrado gli errori recenti, era indiscutibilmente stato un grande leader. Tauriel non riusciva a pensare a nessuno che fosse più adatto di Kìli per quel ruolo.
Guardò Balin, la cui indignazione lo aveva portato a farsi più alto di quel che era – tanto che le arrivava quasi al petto. “Non spetta agli Elfi decidere della questione, Re Thranduil, e Kìli è un diretto discendente della forte stirpe di Durin. Egli è l’ultimo erede della propria casata e l’unico che ha diritto di sedere sul trono di Erebor.”
Le labbra di Thranduil si arricciarono di sdegno, la rabbia gli attraversò i lineamenti angelici. “Una stirpe avvelenata da cupidigia e fame di ricchezza che ha portato solo morte e rovina sul vostro popolo. Una stirpe inquinata sin dai tempi di Bain di Durin e della caduta di Hadhodrond!”
Il viso di Balin si tinse di un’allarmante tonalità rossastra ma fu Tauriel che, con sorpresa di tutti – specie di sè stessa – parlò. “Io non credo che Kìli soffra dello stesso male che avvelenò le menti dei suoi antenati.”
Tre paia di occhi si volsero su di lei, le cui espressioni andavano dalla furia alla confusione fino a una viva disapprovazione. Ma ella sollevò il mento senza alcuna intenzione di ritrattare quanto aveva appena detto.
“E cosa ne puoi sapere tu, Tauriel?” chiese Thranduil, la voce venata di disprezzo.
C’era stato un tempo, non da lungo trascorso, in cui lei avrebbe chinato la testa e gli avrebbe dato ascolto, ma nel corso dell’ultimo decennio preoccupazioni e sospetto l’avevano portata a cambiare totalmente parere. Thranduil non era più il sovrano della sua giovinezza, non era più colui che l’aveva cresciuta con tutte le cure possibili. Di recente sembrava essere precipitato nella meschinità e nello sprezzo per gli altri, completamente disinteressato del mondo che si svolgeva al di là dei confini delle loro terre, che diventavano di giorno in giorno sempre più esigue. Tauriel, che aveva sempre sognato di vedere più che il solito muro di vecchi alberi e lo stesso identico mare di facce, si era scoperta, nel corso degli ultimi cento anni, sempre più insoddisfatta della vita che, come Elfo Silvano, conduceva sotto il dominio di un re Sindar. Desiderava qualcosa di diverso, qualcosa di più.
“Forse ben poco, mio Re, ma ho imparato a conoscere il Nano Kìli e presumo che chiunque possa facilmente vedere che egli è del tutto libero dall’oscurità che affliggeva suo zio,” affermò, ergendosi fiera davanti a lui. Sentiva lo sguardo di avvertimento di Legolas, affilato come un pugnale, su di sè.
Gli occhi di Thranduil si assottigliarono pericolosamente e si avvicinò a lei, il fuoco che gettava ombre inquietanti sul suo volto etereo. Tauriel resistette alla tentazione di fare un passo indietro e sollevò il mento in una sfida ostinata. Gli altri intorno a loro sembravano incapaci perfino di respirare. Ella si costrinse a riflettere sulla propria insubordinazione e si rese conto di aver varcato da tempo il confine della mera insolenza; che cosa le era saltato in mente?
“Tu presumi molte cose, Tauriel, ma non è nella tua natura mettere in discussione il giudizio di coloro che sono più saggi e migliori di te. Ti ho concesso molte libertà e responsabilità... forse troppe,” sibilò Thranduil nella loro lingua, e c’era qualcosa nel suo viso che le fece rapidamente perdere il coraggio.
Si affrettò a chinare la testa, il volto arrossato e il cuore che le batteva forte. “Ti chiedo perdono, mio Re, non intendevo mancarti di rispetto...”
“Padre, ti prego; è ancora stanca per la battaglia, non è del tutto in sè.” Legolas intervenne in suo favore ed ella gli lanciò un’occhiata: il viso di lui era supplichevole e la vergogna la travolse. Non avrebbe dovuto parlare con tanta leggerezza, ma ormai era fatta.
Thranduil rimase in silenzio per alcuni momenti carichi di tensione, prima di dire lentamente: “Alla luce degli ultimi eventi credo che un pò di... comprensione possa essere concessa. Lasciaci ora, Tauriel, e và a riposarti. Questo non è argomento per le tue orecchie.” Il Re elfico aveva parlato con tono tagliente e Tauriel si inchinò profondamente, non osando più guardarlo in faccia.
Se ne andò in fretta senza guardare nè Legolas nè il Nano e vagò tortuosamente tra le tende dell’accampamento. Che i Valar mi aiutino, si può sapere cosa mi prende? Non aveva fatto molta strada quando una voce burbera la bloccò.
“Ci hai reso un grande servizio con il tuo discorso, ragazza. Forse non tutti gli Elfi sono indegni di fiducia come pensavo...” Ella si voltò e vide la temibile figura di Dwalin che la scrutava nell’ombra, in attesa forse dei suoi parenti. Tra tutti i Nani che aveva conosciuto era quello che le sembrava più feroce.
Per qualche ragione però Tauriel si risentì alle sue parole: era come se l’avesse accusata di tradire la sua gente. La sua già fragile compostezza si sgretolò ulteriormente ed ella desiderò spasmodicamente un pò di solitudine. “Ho solo detto la verità, Nano, niente di più.”
Il Nano tatuato si limitò a rivolgerle un sorriso sghembo, la luna che brillava sulla sua testa pelata e che faceva scintillare in maniera minacciosa la lama della sua ascia. “Come ti pare, ragazza.”
Con un’ultima, gelida occhiata Tauriel proseguì per la sua strada, stanca dei Nani e dei loro modi bruschi e impudenti.
 
~
 
Sola nella sua piccola tenda, posta all’estremità dell’accampamento degli Elfi, Tauriel si spogliò lentamente. Si tolse l’armatura con gesti esperti e mise da parte ogni elemento con cura. Uno dei suoi subalterni avrebbe potuto aiutarla, ma non vedeva la necessità di disturbarli per quel compito: ciascun guerriero elfico aveva dovuto misurarsi quel giorno con ogni specie di orrore, e adesso meritavano una notte di riposo e solitudine. Lunghi anni erano trascorsi da che il suo popolo aveva sperimentato tante e tali perdite tra le sue file, addirittura da prima che lei stessa venisse al mondo.
Sentiva la mancanza del suo Principe e del cameratesco rapporto che avevano avuto, aveva nostalgia dei suoi consigli e delle sue parole di conforto. Una volta lo vedeva come una sorta di mentore e di fratello maggiore fino a che non era diventato un suo pari, un amico perfino; ora esisteva un vasto abisso tra loro che non poteva essere colmato. Tauriel si sentiva cambiata, diversa, e tutto a causa di un Nano dalla lingua impertinente e dal fascino conturbante...
O forse non è solo questo?, riflettè, pensando al disagio che negli ultimi anni l’aveva colta all’indifferenza del suo popolo davanti alla crescita indiscriminata di ragni giganti e altre creature immonde nella loro terra. Il suo cuore era turbato da molto prima dell’arrivo della compagnia di Thorin Scudodiquercia, dovette ammettere, anche se quell’incontro era stato di certo un potente catalizzatore; pian piano si era semplicemente lasciata trascinare dagli eventi senza riuscire a fare nulla per impedirlo.
Tauriel sospirò di sollievo quando fu spogliata di tutto tranne la leggera sottoveste di cotone, impregnata di sudore e di schizzi di sangue di orco. Non si era mai sentita tanto stanca o stravolta. Desiderava il sonno cui, in quanto Elfo, così raramente si abbandonava: invidiava gli Uomini e i Nani per il dono del riposo che a loro veniva concesso. Con i suoi seicento e più anni Tauriel non era considerata affatto vecchia tra la sua gente – non erano nulla al confronto delle migliaia di anni vissuti dal suo Re, ad esempio – ma quella notte, sotto il peso estraneo della guerra, si sentì vecchia.
Qualcuno, che i Valar lo benedicessero, le aveva preparato un recipiente di acqua riscaldata e teli per lavarsi nonchè degli abiti puliti per la notte. Immergendo un morbido panno in acqua, iniziò a tergere sangue e sporcizia dal proprio viso e dal corpo. Avrebbe preferito fare un vero bagno nelle tiepide acque delle sorgenti sotterranee del Bosco Atro, laddove sarebbe riuscita a togliersi completamente di dosso la stanchezza e l’orrore, ma era grata di avere almeno quelle piccole comodità, malgrado la situazione. Quando ebbe finito – tutti i panni erano ormai neri – si tolse anche la sottoveste e indossò un fresco abito di seta; quindi si sciolse con cura le trecce da battaglia e prese una spazzola.
Aveva appena iniziato a districare i grovigli che aveva nei capelli quando qualcuno la chiamò dall’esterno.
“Sì?” rispose, e vide un volto familiare che la scrutava da un lembo sollevato della tenda; Tauriel accennò un sorriso stanco.
“Salve, Lurìena,” la salutò nel modo più gentile permessole dalla stanchezza. La fanciulla elfica rispose al sorriso ed entrò silenziosamente nella tenda. Indossava un abito color prato e i lunghi capelli castani erano acconciati in una treccia fissata intorno al collo; soltanto il grembiule macchiato di sangue raccontava del lungo tempo che aveva trascorso nella tenda del guaritore.
“Sono venuta per assicurarmi che tu stessi bene,” disse Lurìena con la sua voce dolce, togliendole di mano la spazzola prima che lei potesse protestare. Era piuttosto esperta nel curare i capelli di Tauriel perchè l’aveva fatto tante volte quando erano bambine, con una delicatezza e una pazienza che lei non aveva mai posseduto. Lei non era mai stata dolce e delicata come Lurìena, era sempre stata dura e insofferente a tutte le imposizioni. Da piccole giocavano sempre insieme senza stancarsi mai: Lurìena impersonava la principessa in pericolo mentre Tauriel era il valoroso cavaliere senza macchia e senza paura che veniva a salvarla. Tanto la sua amica era dolce e piena di premure quanto lei era scapestrata e priva di tatto, sempre a cacciarsi nei guai e a spingere all’esasperazione quelli preposti alla sua custodia. Tauriel sembrava nata dalla violenza mentre Lurìena sembrava essere stata creata dai Valar apposta per arrecare pace e conforto ai sofferenti. Anche la guarigione che aveva operato sulla gamba ferita di Kìli non era che una delle tante cose insegnatele dalla sua amica, altrimenti non avrebbe potuto fare nulla per lui. La morte era l’unica cosa che pareva in grado di arrecare...
“Sei turbata, amica mia,” mormorò Luriena, le dita sottili e lenitive che le accarezzavano lo scalpo.
Tauriel chiuse gli occhi aggrottando un pò le sopracciglia. “C’è molto per cui essere turbati in questi giorni oscuri.”
“E’ vero,” concordò la sua amica, la voce melodiosa venata di dolore. “Molti dei nostri amici e congiunti sono morti e altri ancora soffrono, ma non è solo questo che ti turba, Tauriel. A me non puoi nasconderlo, lo sai. Non mi sembri te stessa.”
Tauriel tacque; l’unico suono che si udiva era il fruscio della spazzola tra la massa infuocata dei suoi capelli. Non sapeva cosa dire così come non riusciva a fermare il corso dei suoi pensieri, che si facevano sempre più ingarbugliati.
“Io...” Si fermò, esitante. “Mi sento... sperduta. Nulla mi è più chiaro...” La sua voce si spense in un sussurro. Di rado esternava le proprie emozioni in presenza di altri, l’aveva sempre ritenuta una dimostrazione di debolezza. Un capo doveva essere senza paura, doveva saper guidare con sicurezza i suoi soldati,  e non essere distratto e pieno di strani pensieri.
Le mani di Lurìena le si posarono delicatamente sulle spalle. “Hai sopportato molte dure prove in queste ultime settimane, più di quanto io possa immaginare. Forse... sei semplicemente stanca e hai bisogno di riposarti, nella pace della nostra casa.”
Tauriel sospirò, pensando alla loro patria con un misto di nostalgia e sdegno. Le mancavano le comodità cui era abituata, ma non il prezzo grazie al quale le venivano concesse. Adesso che aveva visto com’era il mondo esterno era restìa a fare ritorno alle antiche stanze e a starsene rintanata dietro porte ben chiuse; c’era così tanto da vedere, da fare, da imparare.
“Forse...” rispose piano, aprendo gli occhi e guardando la luce della lanterna che faceva danzare ombre sulle bianche tende.
Lurìena le diede una strizzatina prima di acconciarle i capelli nelle trecce che più le piacevano, e aggiunse: “Stai tranquilla, amica mia. L’oscurità è passata e il nemico è stato sconfitto; la pace tornerà su queste terre.”
Tauriel ebbe un senso di disagio alle sue parole e un brivido le corse lungo la schiena, come l’avanzare malefico di un ragno lungo la sua tela. “Tu credi? Credi davvero che sia passata?” domandò più a sè stessa che a Lurìena, che aveva posato la spazzola e le era venuta accanto, osservandola con i profondi occhi blu in cui si leggevano affetto e preoccupazione.
“O forse questa è stata solo la prima battaglia, il primo assaggio di una tempesta in arrivo; forse l’oscurità non ci ha ancora lasciati.”
 
~
 
Il giorno seguente Tauriel radunò un gruppo di Elfi e si recarono di nuovo sul campo di battaglia per recuperare i corpi dei loro caduti; con sua sorpresa, Legolas li accompagnò.
“Credevo fossi impegnato in qualche importante riunione strategica,” gli disse facendo cenno a uno dei loro compagni verso un mucchio di cadaveri di goblin. Legolas fece una smorfia. Non indossava l’armatura, ma una semplice tunica nei toni del verde e del grigio, i pugnali incrociati dietro la schiena e l’arco in spalla. Altri intorno a loro, Uomini e Nani, si muovevano tra i resti della carneficina con lo stesso triste scopo.
“E così avrebbe dovuto essere, ma mio padre ha avuto pietà di me e ha detto che venire a dare una mano qui mi avrebbe fatto stare meglio, aiutandomi a lenire il dolore o qualcosa del genere.” Il suo volto era cupo, lo sguardo impenetrabile.
Tauriel osservò quella grande distruzione, e poi la Montagna Solitaria che incombeva su di loro e le grandi Porte di Erebor, infrante come una ferita aperta nel fianco della montagna. Perfino lei, un Elfo, non poteva non provare reverenza davanti a quella magnificenza, non poteva non avere almeno un’idea del suo passato splendore e di tutto ciò che era andato perduto. Non aveva mai visto Erebor al massimo della sua gloria, nè in nessun’altra circostanza, e avvertì una fitta di dolore al pensiero che quella gloria avrebbe potuto non tornare mai più; il che, come spesso le accadeva negli ultimi tempi, la portò a pensare a Kìli. Sarebbe diventato Re di quel regno distrutto ed esecrato. Non riusciva ad immaginare il peso di un tale onere e se ne dolse terribilmente per lui.
Anche se non era affatto da lei, desiderava rivederlo. Desiderava vedere il suo viso e offrirgli tutte le parole di conforto di cui si sentiva capace.
“Capitano!” chiamò all’improvviso una delle guardie, attirando la sua attenzione. Voltandosi riconobbe in Estolion colui che l’aveva chiamata, e lei e Legolas si affrettarono a raggiungerlo. Egli stava presso un corpo orrendamente straziato ma dall’aria familiare, e Tauriel si lasciò sfuggire un gemito di dolore; Legolas le pose una mano confortante sulla spalla.
“Kalthèon,” ella disse piano, stendendo una mano per chiudere pietosamente gli occhi del caduto. Ricordava di averlo addestrato lei stessa; era stato uno dei suoi pupilli, in effetti. Era certa che non si era arreso alla morte tanto facilmente e quel pensiero le diede un pò di conforto.
“Non avrebbe dovuto morire in questo posto,” disse Estolion con voce tremante di rabbia e dolore. Era un giovane Elfo appena entrato nell’età adulta, dal viso pallido e dai lunghi capelli scuri.
La guerra era un peso opprimente da sopportare per coloro che non erano avvezzi nè ad essa nè a ciò che comportava.
“No,” rispose Legolas, “non avrebbe dovuto. Ma è morto per proteggere la nostra gente e la nostra terra: ha avuto una morte onorata. Non avrebbe voluto vederci così addolorati per il suo sacrificio.”
Trascorsero alcuni istanti in rispettoso silenzio, mentre una lieve brezza sollevava l’odore della morte tutt’intorno a loro come un malsano profumo; Tauriel non vedeva l’ora di venire via da quel posto.
“Preparate delle lettighe,” disse infine. “Stasera daremo il nostro addio a lui e a tutti gli altri caduti. Egli è in pace ora, Estolion, nelle terre dei nostri Padri al di là del mare. Coraggio, abbiamo ancora una lunga e triste giornata di lavoro davanti a noi.” Aveva parlato con voce severa, il che sembrò in qualche modo rianimare il giovane Elfo. Tauriel, insieme a Legolas, lo guardò allontanarsi per eseguire il suo ordine e si sentì fiera di lui.
“Vogliono seppellire Thorin e suo nipote domani sera,” le disse tranquillamente Legolas mentre riprendevano a rimuovere cadaveri di orchi. Tauriel fissò un pugnale di bella fattura che spuntava dalle fauci di un Mannaro senza riuscire a staccarne gli occhi. “Nel profondo delle caverne di Erebor, ci è stato detto,” continuò lui in tono neutrale. “Mio padre e Bard di Pontelagolungo hanno garantito la loro presenza.”
“E che ne è della questione di Kìli e Dàin Piediferro?” gli chiese lei, incapace di continuare a trattenersi e ansiosa di sapere.
Legolas strinse i denti e diede un calcio a una brutta spada, evidentemente appartenuta a qualche orco. “Non è stato ancora deciso nulla: Kìli si rifiuta di discuterne almeno finchè i suoi congiunti non saranno stati sepolti.” Il suo tono aspro indicava chiaramente che la considerava una dimostrazione di stoltezza da parte sua, e Tauriel si sentì punta sul vivo. Perchè deve sempre essere così severo nei loro confronti?, si domandò prima di ricordarsi che, fino a non molto tempo prima, anche lei si comportava praticamente allo stesso modo.
“Di certo la faccenda potrà aspettare fino ad allora. Erano la sua famiglia e lui avrà pure il diritto di piangerli come si confà al–” cominciò, accalorandosi mentre parlava; ma Legolas la interruppe.
“Se davvero desidera diventare Re dovrà mettere da parte le questioni personali. I popoli dei Colli Ferrosi e di Pontelagolungo diventano sempre più impazienti di avere la loro parte del Tesoro. Hanno subìto gravi perdite, come noi del resto, che avrebbero potuto essere evitate se Thorin Scudodiquercia non avesse–”
Stavolta fu Tauriel a interromperlo. “Non vorrai imputare a Thorin e alla sua compagnia la colpa di tutto questo, vero?” esclamò indignata. “Questo male era pianificato già da lungo tempo, Legolas, tutti hanno potuto vederlo. Forse la morte di Smaug gli ha reso le cose più facili, ma di certo non ne è stata la causa.”
Legolas scosse la testa, i suoi occhi buoni erano velati di rabbia. “Sei sempre così lesta a difenderli, Tauriel. Dimmi sinceramente, tutto questo sarebbe mai accaduto senza la cupidigia di Thorin Scudodiquercia e della sua gente? Cupidigia che, ti piaccia o no, suo nipote è destinato ad ereditare.”
Tauriel sollevò le braccia al cielo esasperata. “E chi può dire che non avrebbero preso la città degli Uomini e non avrebbero marciato fino ai confini del nostro regno anche senza il coinvolgimento dei Nani? Le nostre mura sono forti, Legolas, ma la nostra sorveglianza sulla foresta si indebolisce. Essa non è più la stessa della nostra–”
Improvvisamente Legolas le si avvicinò al punto che dovette alzare la testa per guardarlo in faccia; Tauriel trattenne il respiro. “Qualunque cosa ci sia tra te e quel Nano bambino, Tauriel, è una cosa impossibile,” sussurrò lui ferocemente. Ella sostenne lo sguardo dei suoi occhi appassionati che pian piano scesero sulla sua bocca in un modo che conosceva bene; si fece indietro di colpo, sconvolta.
Trasse dei respiri profondi, rimproverandosi aspramente per la propria condotta, e fece l’unica cosa possibile in quella situazione: negò tutto. “Io non provo niente per nessun Nano, bambino o chicchessia,” affermò volgendogli la schiena e cercando di ricomporsi. “Sono solo stanca di sentir dare la colpa agli altri come se noi non ne avessimo alcuna. Da lungo tempo avevamo colto segnali premonitori da Dol Guldur e abbiamo scelto di non fare nulla, per non parlare del giorno in cui Smaug conquistò queste terre e noi giungemmo qui solo per voltare le spalle davanti alle sofferenze di Erebor e Dale. Non siamo anche noi da biasimare per tutte queste atrocità, non è forse la ricompensa per la nostra indifferenza?”
Non si rese conto che stava piangendo fino a che non si voltò verso Legolas e lesse l’incredulità nei suoi occhi; si girò di nuovo. Non vide il desiderio senza speranza nel suo sguardo e non potè sentire le sue richieste di riconciliazione perchè in quel momento un altro Elfo li raggiunse, proprio mentre Legolas stava per aprire bocca.
“Re Thranduil richiede la tua presenza, mio Principe,” esordì l’Elfo inchinandosi profondamente. “E anche la tua, Capitano,” aggiunse, con un’espressione un pò tesa.
Tauriel e Legolas si scambiarono un’occhiata e lei ebbe la sensazione che l’abisso tra loro si approfondiva sempre più ad ogni secondo che passava.
“Certamente,” rispose al messaggero in tono neutro, asciugandosi le lacrime. “Tutto quel che il mio Re comanda.”
 
  
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