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Autore: trullitrulli    29/11/2008    2 recensioni
Vedere due stelle cadenti contemporaneamente è un fenomeno più unico che raro, che cosa può succedere se si esprime un desiderio in questo caso? Bulma e Vegeta le hanno viste quando erano ragazzi e hanno chiesto la cosa che più preme sapere a qualcuno: il futuro. Ma è davvero giusto rivelare loro gli avvenimenti di cui saranno protagonisti? Si può sempre arrivare a un compromesso: un'avventura ambientate prima del ritrovamento della prima sfera del drago. Come si risveglieranno Bulma e Vegeta dopo aver espresso il desiderio?
Genere: Romantico, Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bulma, Nuovo personaggio, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cari lettori rieccomi, sono imperdonabile, ho avuto un periodo scolastico un po' travagliato ma ora che la situazione si è poco o meno stabilizzata ho trovato un secondino per competare questa schifezza.
Umpa_Lumpa, caso mai passassi di quà ti ricordo che io non godo a svalutarmi ma sottovalutare i miei limiti è un grosso sbaglio e io voglio migliorare.
Non mi resta che augurarvi buona lettura^^ by trullitrulli

Di tutto ciò che si poteva trovare a pochi passi dal bosco quella era forse la più paradossale.
Una capsula sferica con all’interno un sedile che al tatto pareva confortevole quanto bastava per un viaggio decente e una serie di pannelli in disuso da alcuni mesi. Ma la vegetazione proliferava con una velocità impressionante in quella sua nuova casa e l’interno era già stato invaso da rampicanti e da uno strano…rettile,che aveva dovuto scacciare non senza ripulso, che ne aveva fatto la propria tana.
Un Lah saltellante ed eccitato per la scoperta la disturbava nelle sue meditazione e girava intorno al marchingegno strappando gli arbusti che si erano spavaldamente spinti oltre la portiera spalancata.
La ragazza aveva preso anche lei girarci intorno con una mano adagiata al mento in atteggiamento meditativo e aveva assestato un paio di calci alla struttura esterna per saggiarne la resistenza.
Era di un metallo pallido e ammaccato dal travagliato atterraggio.
Nel poco del pianeta che aveva conosciuto in quei giorni non aveva mai visto niente di simile, poteva
addirittura pensare che il mal funzionamento delle reti di telecomunicazione, che aveva appreso ad utilizzare da Maya, fosse dovuta a qualche interferenza nel sistema di quell’aggeggio, oppure da qualcosa a esso direttamente collegabile.
Forse si stava solo ingannando, ma quale altra eventualità avrebbe potuto prendere in considerazione?
Si sporse nell’abitacolo, dopo aver fatto un altro giro attorno al mezzo, diede un paio di colpetti alla lamina interna con un’ aria competente che a Lah non sfuggì.
-Tu sai farlo funzionare?-
Senza interrogarsi sul perché di quella sua apparente esperienza nel campo della robotica e della meccanica si adagiò sul sedile affondandoci dentro e sfregandosi le mani con soddisfazione.
Si chinò sui comandi cercando e distinguendo quelli di accensione, il regolatore di velocità, il ricettore di messaggi, schedando le funzionalità di ogni bottone con un idoneità che presupponeva un grande talento e conoscenza.
Lah la osservava ammirato con gli occhi luccicanti di interesse, consapevole di aver fatto due scoperte.
-Ma come fai?-
Sollevò gli occhi azzurri dalla tastiera non capendo la domanda.
-Cosa?-
-Questo!- disse allargando le braccia –Sei un meccanico-
Bulma sussultò.
In realtà, non si era posta il problema, aveva una naturale predisposizione nel maneggiare circuiti e macchinari, ma sul momento aveva trovato la struttura della navicella elementare e supponeva che anche Lah avrebbe potuto giocarvi senza far troppi danni.
Confidando nell’assoluta normalità delle sue conoscenze aveva dato fondo a queste sue abilità senza riflettere, spinta dalla sua sopita passione ed attitudine.
Realizzò solo al momento di aver in mano i fili del meccanismo di una consolle estremamente complicata.
-Come?Tu non lo sai fare? Eppure è così semplice, guarda!-
Lah guardava e quello che vedeva era lei, e un sacco di fili rossi, gialli, blu, viti, bulloni, cip…
Bulma aveva cominciato ad elargire le sue conoscenze mentre abilitava il circuito di avvio e lui si era perso a “è estremamente semplice non bisogna far altro che prendere questi due fili collegarli con il generatore inserire il cip blablablablabla......Ehi Lah? Mi stai ascoltando-
 Sussultò.
-Eh?-
-Non mi stavi ascoltando!?-
Ammiccando un sorriso a disagio Lah si passò una mano dietro la nuca.
-Ehm…ho perso il filo del discorso-
Esasperata appuntò i gomiti appoggiandoli sui comandi e spingendo inavvertitamente il bottone rosso.
Il portellone le si chiude davanti sotto gli occhi di Lah e la consolle cominciò a emettere segnali luminosi preoccupanti.
Ci fu una lieve scossa e poi percepì la mancanza del suolo sotto il velivolo che stabile si librava di pochi centimetri.
Cominciò ad armeggiare affannosamente con i comandi tentando di sfuggire alla situazione.
Lah si dimenava non con minor foga dietro il vetro dell’oblò, ormai distante.
L’ambiente ovattato isolava i rumori all’esterno lasciandola fisicamente del tutto sola.
Si allacciò alla cintura il più velocemente che potè per evitare almeno di ferirsi e visto che ormai la partenza era stabilita doveva impartire al computer le coordinate.
Scelse quelle più vicine che le vennero in mente per scampare a viaggi interplanetari.
Si sentì compressa sulla poltrona della cabina dalla velocità.
Sfrecciò tuffandosi nelle nubi e mantenendosi ben salda ai braccioli del sedile trovando, tra se e se, il tempo per pregare.
Si chiuse gli occhi non appena vide riavvicinarsi il verde del pianeta, sentiva il sibilo del vuoto che la navicella lasciava dietro di se tagliando l’aria con la sua velocità.
Era evidente che l’eccesso stava procurando danni all’interno perché i bulloni cominciarono a cedere e una sottile linea fumosa ad invadere l’abitacolo.
Ma Bulma era troppo occupata per pensarci.
Uno schianto dall’intensità e rumore direttamente proporzionale all’indicatore di velocità sul piccolo schermo laterale fece cedere la sua presa sui braccioli e la cintura e si ritrovò a testa in giù.
Cercò di ricomporsi come poteva, si sistemò i capelli, si lisciò inutilmente le pieghe del kimono rosa, si diede un occhiata allo specchiante schermo incrinato e fumante.
Poi provvide a guardarsi intorno e non darsi pena per il suo aspetto scomposto e lievemente corrotto.
Appurò che il portellone era bloccato: uno sbilancio durante l’atterraggio aveva capovolto la navicella e l’aveva fatta atterrare frontalmente.
Lo spinse, lo tempestò di deboli pugni, disperata, poi vista l’utopia del suo tentativo si accasciò sconsolata sul sedile, sistemandosi come poteva nonostante fosse ribaltato, cercando un comodo incastro per la sua figura.
Soffiò via aria e chiedendosi perché capitassero a lei tutte le disgrazie di questo mondo picchiò la parete con un pugno.
Si rivelò una pessima idea perché lo schianto le restituì un dolore lancinante alle nocche.
Mentre si soffiava sulle dita come se potesse soffiare via la sofferenza la struttura interna scricchiolò pericolosamente.
Notò una crepa delle dimensioni di non più di tre pollici.
La osservò curiosa del fatto che si trovasse proprio dove aveva punito la navicella per essere un inutile pezzo di rottame mal funzionante.
Possibile che l’impatto con il suolo erboso avesse provocato una rottura della lamina interna.
Scartò l’ipotesi; il materiale doveva essere stato concepito e lavorato proprio per evitare disastri del genere.
Ma come se fosse bastato guardarla venne innescata la propagazione del danno.
La crepa si allungò, ne apparvero altre con rumorosi cigolii mentre il guscio interno si sfaldava; la parete si
frammentò implodendo su se stessa con un pesante polverone e uno scoppio sonoro.
Bulma si ritirò per evitare i contaminare ulteriormente la sua persona di danni.
Si ritrovò ugualmente con il polverone nella cabina e addosso una strana sensazione di dejavù.
Si spolverò con il palmo della mano e uscì dal rudere stellare.
Tossì convulsamente per espellere l’accumulo di polvere dal naso e dalla bocca.
In un secondo momento, quando la sua vanità fu esaudita e si fu ripulita assimilò quel che era successo.
Si guardò le mani come a volerle interrogare.
Non conosceva la sua forza.
“Ma che vado a pensare” disse con un gesto della mano scacciando l’ipotesi come una mosca fastidiosa e un sorriso di scherno verso se stessa.
“Una ragazza giovane e carina come me…ahahahah….figurarsi se sono in grado di…”
Tutta la struttura del velivolo franò al suolo senza troppe cerimonie.
Con la mascella molle Bulma osservò la navicella disfatta.
Questo non poteva ignorarlo.
Doveva ammettere che nell’ultimo periodo le stavano accadendo stranezze simili, collegabili.
Una volta, mentre si esercitava nella levitazione, quando era ancora ai primi rudimenti della tecnica ed era ansiosa di riuscire ad eguagliare il mocciosetto di otto anni, Lah la continuava a disturbare, intuendo il disagio dell’amica nella sua provvisoria inferiorità.
Pervasa dal nervoso aveva interrotto gli esercizi appositamente per assestargli un calcio nelle natiche, che lo spedì molto più in alto e lontano di quanto non avesse calcolato.
Era una giornata molto ventosa e ipotizzò si fosse trattato di un potente spiffero ascensionale sul sedentario.
Teoria dubbia, ma bastò sedare i sospetti.
La seconda volta, in un' uscita mattiniera e tempestosa, una decina di alberi aveva “casualmente” preso fuoco invasi dalle fiamme di un’energia silenziosa e potente che si era sentita strisciare in corpo rapidamente ed esplodere all’esterno frammentando anche i vetri della casa e qualche sassolino quando Lah le aveva fatto uno sgambetto facendola finire dritta nella poltigliosa fanghiglia accanto.
“Incredibile cosa accada durante i temporali su questo pianeta” pensò attribuendo i meriti del disastro ad un altro ignoto fenomeno fisico.
Ora non poteva nascondere le sue doti dietro ricercate spiegazioni.
Aveva pure notato che, col passare dei giorni e il susseguirsi dei disastri, Majia spifferava a Lah qualcosa nell’orecchio con l’indice in alto autoritario e serio sempre più di frequente.
Aveva preso a trattarla con una mielosa e fasulla gentilezza ricreata con enorme sforzo anche quando rompeva qualcosa in modo volontario.
Ad ogni modo si trovava sola, lontana chilometri dalla casa dei suoi soccorritori, e neanche alzandosi in volo riusciva ad arrivare con lo sguardo fino al bosco dove avevano sostato a bere prima lei e quella piccola peste.
“Chissà, forse  ha toccato la navetta dove non doveva quel mostriciattolo alto un metro e uno sputo”.
Il bollore non le si era ancora spento.
Si voltò per esaminare quale altro possibile panorama le offrisse il pesaggio, ma quel che trovò servì a tutt’altro che a infonderle sicurezza.
Una collina oltre la quale i corvi descrivevano cerchi ampi in un chiaro messaggio di morte.
Le si indurì la coda sotto la veste.
Timorosa scalò l’ostacolo non troppo sicura di voler assistere mentre i corvi scendevano in picchiata.
Non avevano mai assaggiato civili.
Spiò oltre l’erba e poi si issò lentamente, del tutto dritta, rapita da uno spettacolo opera di selvaggia distruzione.
Le lacrime cominciarono la risalita insieme al pranzo, la scena era troppo cruda per essere sostenuta rimanendo indenne.
Caddè di nuovo in ginocchio, piegata dalla paurosa consapevolezza della morte, e dell’addio di quella gente.
Il vento che si portava via quel poco che rimaneva della città, pezzo per volta disperdeva ciò che i corvi avevano lasciato, coinvolgeva nella corrente anche le azzurre ciocche di capelli libere.
Ora che ci pensava, quel paesaggio aveva qualcosa di sconvolgente, negativo è vero… ma di nuovo faceva capolino nelle sue membra quella scarica, vibrante e viscerale del silenzioso risveglio di un potere strano, di una rabbiosa voglia di distruggere espressa al massimo nella spinta trascinante dei Sayan trasformati nei feroci gorilla della luna piena.
Alimentato dalla rabbia
Odiava la vista di quei resti butterati gli uni sugli altri, la miseria di quella gente, con lo sguardo disperso nel niente, era avvilente.
Più si sforzava di non guardarli più si rendeva conto che non c’era altro da guardare li.
Odiava soprattutto essere costretta a osservarli lo odiava perché in un certo qual modo le ispirava di nuovo quell’orribile sensazione di dejavù.
-Come ci sei arrivata qui?-
Quell’energia si dissipò, gelata insieme al sangue.
Si voltò verso un accumulo di sangue raggrumato e secco sulla pelle del suo tormentatore.
I sogni la notte si stavano delineando, e specchiavano Vegeta come il carnefice che era.
Nelle sue paure, il suo.
Incapace di parlare o pensare, per un momento credette si trattasse di un cadavere tornato alla vita tanto era lordo della sporcizia, le ci volle un po’ per capire che sotto tutta quella rappresa e maleodorante sudiceria di origine viscerale non c’erano ferite.
Si figurò a dire qualcosa di davvero offensivo, ma non si accorse che invece della risposta elaborata le uscirono una serie di suoni disarticolati senza alcun senso.
Vegeta alzò lievemente il mento in un espressione composita di interrogativo e beffeggiamento e un sorrisino sghembo.
-Vedo che ti piace il panorama…-
La afferrò senza attendere che si accorgesse della magra figura e per il braccio la trascinò ad osservare il resto.
Bulma prese nuovamente possesso delle sue facoltà e strepitò imperiosa senza riuscire a mantener fermo il tono.
- Vedi?Schifosa mezzosangue vedi? Vedi!!!!!?- Le urlò direzionando violentemente il suo sguardo con uno schiaffo verso l’estensione cittadina di morti.
Bulma si dibatteva strizzava gli occhi, le debordavano lacrime di impotente sofferenza.
-Lasciami!-
-No!-
-Lasciami…-
-Apri quegli occhi bastarda. Cos’è? Hai paura del tuo compito?-
Bulma non comprese fino in fondo il senso.
La colpì sul fianco con un calcio- Guarda!-
Lo ripugnava dover educare una sciocca mezzosangue alla sopportazione e successivamente all’indifferenza a queste cose, avrebbe preferito costringerla a ficcarsi in bocca le membra putrefatte, sarebbe stato più facile, e sadicamente più spassoso.
Bulma era in lacrime.
Schifato e indignato da quella sua troppo umana tristezza per quegli indegni esseri morti miseramente proprio come tali la mollò lasciandola per terra con le mani sugli occhi e una frenata voglia di vomitare.
-Sei una debole-
Avvertì la frase come un insulto davvero eccesso per una situazione del genere.
Di nuovo quel fremito, quella parziale coscienza di potersi riscattare, e compensare quella strage.
-Sei stato tu?-
Gli urlò con voce rotta.
Un sorriso detestabile e slargato, e capì che ci aveva pure goduto nel farlo.
Prima che potesse valutarsi pazza si avventò folle urlando come un'ossessa odiando, il pugno fu bloccato e contenuto dalla mano del Sayan puro.
Ritrovava sempre in lui quella goduria della sua superiorità, e ogni volta, la sua volontà si piegava nella profonda e orrenda consapevolezza di essere simile a lui, vincolata dal sangue a un dovere destestabile che lui assolveva...stimolato dal male.
Si ritrovò di nuovo a terra, indenne, sporca e col fiatone.
Un pestone le oppresse la schiena nella polvere.
-Se la vuoi mettere su questo piano…-
Pressò di più.
Bulma urlò all’insopportabile punizione.
Spiò la faccia al disopra di lei, il suo sadico divertimento la accompagno fino all’incoscienza.
Aveva capito, ora sapeva chi era, o meglio quel che doveva essere, la maledizione della sua prima luna piena si faceva più completa, meno nebulosa.
Quel trucidatore era un Sayan, il suo principe, lei tenuta a obbedire al suo sangue e a lui. 
Non voleva, rifiutava di prestarsi alla sua natura.

La trascinò via per i capelli.


 

***

 

 
-Non volevo guardare, non volevo guardare- ripetè convulsamente Lah.
Ricordava di essersi spostata su questo angolo commerciale perché suo figlio non vedesse… e conoscesse solo tutta la serenità e il suo amore…non poteva pensare che quelle sue cruente narrazioni sarebbero fermentate nella sua mente, sarebbero state i suoi incubi, oggetto di considerazioni più mature quando fosse stato grande, e lei da questo male non poteva difenderlo, tanto meno un ragazzino sveglio e ingenuo come lui.
Si strinse al morbido petto della madre lacrimoso, singhiozzando, mosso dall’umano dispiacere e dalla sensibilità di un bambino che non conosceva altro che la pace e il torpore  della loro vita reietta.
Maya lo avvolse nell’unico materno schermo che gli poteva offrire contro il dolore.
-Non l’ho trovata, non c’era, non c’era- sentendosi colpevole di cose più grandi di lui.
Lo fissò con i suoi occhi dell’innaturale blu alieno privo di irride, rivide come in uno specchio il suo sguardo sofferente e ansioso.
-La troveremo-
Pianse finche non ebbe esaurito la forza di versare lacrime, purtroppo non si addormentò, rimase aquattato su se stesso in un angolo della casa, respingendo Maya nelle sue attenzioni.
Si dondolava, ripeteva morboso “ Non c’è, cosa l’è successo? Non c’è… è colpa mia…non c’è…”.

  
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