Cari lettori rieccomi, sono
imperdonabile, ho avuto un periodo scolastico un po' travagliato ma ora
che la situazione si è poco o meno stabilizzata ho trovato
un secondino per competare questa schifezza.
Umpa_Lumpa, caso mai
passassi di quà ti ricordo che io non godo a svalutarmi ma
sottovalutare i miei limiti è un grosso sbaglio e io voglio
migliorare.
Non mi resta che
augurarvi buona lettura^^ by trullitrulli
Di tutto
ciò che si poteva trovare a pochi passi dal bosco quella era
forse la più
paradossale.
Una
capsula sferica con all’interno un sedile che al tatto pareva
confortevole
quanto bastava per un viaggio decente e una serie di pannelli in disuso
da
alcuni mesi. Ma la vegetazione proliferava con una velocità
impressionante in
quella sua nuova casa e l’interno era già stato
invaso da rampicanti e da uno
strano…rettile,che aveva dovuto scacciare non senza ripulso,
che ne aveva fatto
la propria tana.
Un Lah
saltellante ed eccitato per la scoperta la disturbava nelle sue
meditazione e
girava intorno al marchingegno strappando gli arbusti che si erano
spavaldamente spinti oltre la portiera spalancata.
La
ragazza aveva preso anche lei girarci intorno con una mano adagiata al
mento in
atteggiamento meditativo e aveva assestato un paio di calci alla
struttura
esterna per saggiarne la resistenza.
Era di un
metallo pallido e ammaccato dal travagliato atterraggio.
Nel poco
del pianeta che aveva conosciuto in quei giorni non aveva mai visto
niente di
simile, poteva
addirittura pensare che il mal funzionamento delle reti di
telecomunicazione, che aveva appreso ad utilizzare da Maya, fosse
dovuta a
qualche interferenza nel sistema di quell’aggeggio, oppure da
qualcosa a esso
direttamente collegabile.
Forse si
stava solo ingannando, ma quale altra eventualità avrebbe
potuto prendere in
considerazione?
Si sporse
nell’abitacolo, dopo aver fatto un altro giro attorno al
mezzo, diede un paio
di colpetti alla lamina interna con un’ aria competente che a
Lah non sfuggì.
-Tu sai
farlo funzionare?-
Senza
interrogarsi sul perché di quella sua apparente esperienza
nel campo della
robotica e della meccanica si adagiò sul sedile affondandoci
dentro e
sfregandosi le mani con soddisfazione.
Si chinò
sui comandi cercando e distinguendo quelli di accensione, il regolatore
di
velocità, il ricettore di messaggi, schedando le
funzionalità di ogni bottone
con un idoneità che presupponeva un grande talento e
conoscenza.
Lah la
osservava ammirato con gli occhi luccicanti di interesse, consapevole
di aver
fatto due scoperte.
-Ma come
fai?-
Sollevò
gli occhi azzurri dalla tastiera non capendo la domanda.
-Cosa?-
-Questo!-
disse allargando le braccia –Sei un meccanico-
Bulma
sussultò.
In
realtà, non si era posta il problema, aveva una naturale
predisposizione nel
maneggiare circuiti e macchinari, ma sul momento aveva trovato la
struttura
della navicella elementare e supponeva che anche Lah avrebbe potuto
giocarvi
senza far troppi danni.
Confidando
nell’assoluta normalità delle sue conoscenze aveva
dato fondo a queste sue abilità
senza riflettere, spinta dalla sua sopita passione ed attitudine.
Realizzò
solo al momento di aver in mano i fili del meccanismo di una consolle
estremamente complicata.
-Come?Tu
non lo sai fare? Eppure è così semplice, guarda!-
Lah
guardava e quello che vedeva era lei, e un sacco di fili rossi, gialli,
blu,
viti, bulloni, cip…
Bulma
aveva cominciato ad elargire le sue conoscenze mentre abilitava il
circuito di
avvio e lui si era perso a “è estremamente
semplice non bisogna far altro che
prendere questi due fili collegarli con il generatore inserire il cip
blablablablabla......Ehi
Lah? Mi stai ascoltando-
Sussultò.
-Eh?-
-Non mi
stavi ascoltando!?-
Ammiccando
un sorriso a disagio Lah si passò una mano dietro la nuca.
-Ehm…ho
perso il filo del discorso-
Esasperata
appuntò i gomiti appoggiandoli sui comandi e spingendo
inavvertitamente il
bottone rosso.
Il
portellone le si chiude davanti sotto gli occhi di Lah e la consolle
cominciò a
emettere segnali luminosi preoccupanti.
Ci fu una
lieve scossa e poi percepì la mancanza del suolo sotto il
velivolo che stabile
si librava di pochi centimetri.
Cominciò
ad armeggiare affannosamente con i comandi tentando di sfuggire alla
situazione.
Lah si
dimenava non con minor foga dietro il vetro
dell’oblò, ormai distante.
L’ambiente
ovattato isolava i rumori all’esterno lasciandola fisicamente
del tutto sola.
Si
allacciò alla cintura il più velocemente che
potè per evitare almeno di ferirsi
e visto che ormai la partenza era stabilita doveva impartire al
computer le
coordinate.
Scelse
quelle più vicine che le vennero in mente per scampare a
viaggi interplanetari.
Si sentì
compressa sulla poltrona della cabina dalla velocità.
Sfrecciò
tuffandosi nelle nubi e mantenendosi ben salda ai braccioli del sedile
trovando,
tra se e se, il tempo per pregare.
Si chiuse
gli occhi non appena vide riavvicinarsi il verde del pianeta, sentiva
il sibilo
del vuoto che la navicella lasciava dietro di se tagliando
l’aria con la sua
velocità.
Era
evidente che l’eccesso stava procurando danni
all’interno perché i bulloni
cominciarono a cedere e una sottile linea fumosa ad invadere
l’abitacolo.
Ma Bulma
era troppo occupata per pensarci.
Uno
schianto dall’intensità e rumore direttamente
proporzionale all’indicatore di
velocità sul piccolo schermo laterale fece cedere la sua
presa sui braccioli e
la cintura e si ritrovò a testa in giù.
Cercò di
ricomporsi come poteva, si sistemò i capelli, si
lisciò inutilmente le pieghe del
kimono rosa, si diede un occhiata allo specchiante schermo incrinato e
fumante.
Poi
provvide a guardarsi intorno e non darsi pena per il suo aspetto
scomposto e
lievemente corrotto.
Appurò
che il portellone era bloccato: uno sbilancio durante
l’atterraggio aveva
capovolto la navicella e l’aveva fatta atterrare frontalmente.
Lo spinse,
lo tempestò di deboli pugni, disperata, poi vista
l’utopia del suo tentativo si
accasciò sconsolata sul sedile, sistemandosi come poteva
nonostante fosse
ribaltato, cercando un comodo incastro per la sua figura.
Soffiò
via aria e chiedendosi perché capitassero a lei tutte le
disgrazie di questo
mondo picchiò la parete con un pugno.
Si rivelò
una pessima idea perché lo schianto le restituì
un dolore lancinante alle
nocche.
Mentre si
soffiava sulle dita come se potesse soffiare via la sofferenza la
struttura
interna scricchiolò pericolosamente.
Notò una
crepa delle dimensioni di non più di tre pollici.
La
osservò curiosa del fatto che si trovasse proprio dove aveva
punito la navicella
per essere un inutile pezzo di rottame mal funzionante.
Possibile
che l’impatto con il suolo erboso avesse provocato una
rottura della lamina
interna.
Scartò
l’ipotesi; il materiale doveva essere stato concepito e
lavorato proprio per
evitare disastri del genere.
Ma come
se fosse bastato guardarla venne innescata la propagazione del danno.
La crepa
si allungò, ne apparvero altre con rumorosi cigolii mentre
il guscio interno si
sfaldava; la parete si
frammentò implodendo su se stessa con un pesante polverone
e uno scoppio sonoro.
Bulma si
ritirò per evitare i contaminare ulteriormente la sua
persona di danni.
Si
ritrovò ugualmente con il polverone nella cabina e addosso
una strana
sensazione di dejavù.
Si
spolverò con il palmo della mano e uscì dal
rudere stellare.
Tossì
convulsamente per espellere l’accumulo di polvere dal naso e
dalla bocca.
In un
secondo momento, quando la sua vanità fu esaudita e si fu
ripulita assimilò
quel che era successo.
Si guardò
le mani come a volerle interrogare.
Non conosceva
la sua forza.
“Ma
che vado a pensare” disse con un gesto della mano scacciando
l’ipotesi come una
mosca fastidiosa e un sorriso di scherno verso se stessa.
“Una
ragazza giovane e carina come
me…ahahahah….figurarsi se sono in grado
di…”
Tutta la
struttura del velivolo franò al suolo senza troppe cerimonie.
Con la
mascella molle Bulma osservò la navicella disfatta.
Questo
non poteva ignorarlo.
Doveva
ammettere che nell’ultimo periodo le stavano accadendo
stranezze simili,
collegabili.
Una
volta, mentre si esercitava nella levitazione, quando era ancora ai
primi
rudimenti della tecnica ed era ansiosa di riuscire ad eguagliare il
mocciosetto
di otto anni, Lah la continuava a disturbare, intuendo il disagio
dell’amica
nella sua provvisoria inferiorità.
Pervasa
dal nervoso aveva interrotto gli esercizi appositamente per assestargli
un
calcio nelle natiche, che lo spedì molto più in
alto e lontano di quanto non
avesse calcolato.
Era una
giornata molto ventosa e ipotizzò si fosse trattato di un
potente spiffero
ascensionale sul sedentario.
Teoria dubbia,
ma bastò sedare i sospetti.
La
seconda volta, in un' uscita mattiniera e tempestosa, una decina di
alberi aveva “casualmente” preso fuoco invasi dalle
fiamme di
un’energia silenziosa e potente che si era sentita strisciare
in corpo
rapidamente ed esplodere all’esterno frammentando anche i
vetri della casa e
qualche sassolino quando Lah le aveva fatto uno sgambetto facendola
finire
dritta nella poltigliosa fanghiglia accanto.
“Incredibile cosa accada durante i temporali su questo
pianeta” pensò
attribuendo i meriti del disastro ad un altro ignoto fenomeno fisico.
Ora non
poteva nascondere le sue doti dietro ricercate spiegazioni.
Aveva
pure notato che, col passare dei giorni e il susseguirsi dei disastri,
Majia
spifferava a Lah qualcosa nell’orecchio con
l’indice in alto autoritario e
serio sempre più di frequente.
Aveva
preso a trattarla con una mielosa e fasulla gentilezza ricreata con
enorme
sforzo anche quando rompeva qualcosa in modo volontario.
Ad ogni
modo si trovava sola, lontana chilometri dalla casa dei suoi
soccorritori, e
neanche alzandosi in volo riusciva ad arrivare con lo sguardo fino al
bosco
dove avevano sostato a bere prima lei e quella piccola peste.
“Chissà,
forse ha toccato la
navetta dove non
doveva quel mostriciattolo alto un metro e uno sputo”.
Il
bollore non le si era ancora spento.
Si voltò
per esaminare quale altro possibile panorama le offrisse il pesaggio,
ma quel
che trovò servì a tutt’altro che a
infonderle sicurezza.
Una
collina oltre la quale i corvi descrivevano cerchi ampi in un chiaro
messaggio
di morte.
Le si
indurì la coda sotto la veste.
Timorosa
scalò l’ostacolo non troppo sicura di voler
assistere mentre i corvi scendevano
in picchiata.
Non
avevano mai assaggiato civili.
Spiò
oltre l’erba e poi si issò lentamente, del tutto
dritta, rapita da uno
spettacolo opera di selvaggia distruzione.
Le
lacrime cominciarono la risalita insieme al pranzo, la scena era troppo
cruda
per essere sostenuta rimanendo indenne.
Caddè di
nuovo in ginocchio, piegata dalla paurosa consapevolezza della morte, e
dell’addio
di quella gente.
Il vento
che si portava via quel poco che rimaneva della città, pezzo
per volta
disperdeva ciò che i corvi avevano lasciato, coinvolgeva
nella corrente anche
le azzurre ciocche di capelli libere.
Ora che
ci pensava, quel paesaggio aveva qualcosa di sconvolgente, negativo
è vero… ma
di nuovo faceva capolino nelle sue membra quella scarica, vibrante e
viscerale
del silenzioso risveglio di un potere strano, di una rabbiosa voglia di
distruggere espressa al massimo nella spinta trascinante dei Sayan
trasformati
nei feroci gorilla della luna piena.
Alimentato
dalla rabbia
Odiava la
vista di quei resti butterati gli uni sugli altri, la miseria di quella
gente,
con lo sguardo disperso nel niente, era avvilente.
Più si
sforzava di non guardarli più si rendeva conto che non
c’era altro da guardare
li.
Odiava
soprattutto essere costretta a osservarli lo odiava perché
in un certo qual
modo le ispirava di nuovo quell’orribile sensazione di
dejavù.
-Come ci
sei arrivata qui?-
Quell’energia
si dissipò, gelata insieme al sangue.
Si voltò
verso un accumulo di sangue raggrumato e secco sulla pelle del suo
tormentatore.
I sogni
la notte si stavano delineando, e specchiavano Vegeta come il carnefice
che
era.
Nelle sue
paure, il suo.
Incapace
di parlare o pensare, per un momento credette si trattasse di un
cadavere
tornato alla vita tanto era lordo della sporcizia, le ci volle un
po’ per
capire che sotto tutta quella rappresa e maleodorante sudiceria di
origine
viscerale non c’erano ferite.
Si figurò
a dire qualcosa di davvero offensivo, ma non si accorse che invece
della
risposta elaborata le uscirono una serie di suoni disarticolati senza
alcun
senso.
Vegeta alzò
lievemente il mento in un espressione composita di interrogativo e
beffeggiamento e un sorrisino sghembo.
-Vedo che
ti piace il panorama…-
La
afferrò senza attendere che si accorgesse della magra figura
e per il braccio
la trascinò ad osservare il resto.
Bulma
prese nuovamente possesso delle sue facoltà e
strepitò imperiosa senza riuscire
a mantener fermo il tono.
- Vedi?Schifosa
mezzosangue vedi? Vedi!!!!!?- Le urlò direzionando
violentemente il suo sguardo
con uno schiaffo verso l’estensione cittadina di morti.
Bulma si
dibatteva strizzava gli occhi, le debordavano lacrime di impotente
sofferenza.
-Lasciami!-
-No!-
-Lasciami…-
-Apri
quegli occhi bastarda. Cos’è? Hai paura del tuo
compito?-
Bulma non
comprese fino in fondo il senso.
La colpì sul fianco con un calcio- Guarda!-
Lo ripugnava dover educare una
sciocca
mezzosangue alla sopportazione e successivamente
all’indifferenza a queste
cose, avrebbe preferito costringerla a ficcarsi in bocca le membra
putrefatte,
sarebbe stato più facile, e sadicamente più
spassoso.
Bulma era
in lacrime.
Schifato
e indignato da quella sua troppo umana tristezza per quegli indegni
esseri
morti miseramente proprio come tali la mollò lasciandola per
terra con le mani
sugli occhi e una frenata voglia di vomitare.
-Sei una
debole-
Avvertì
la frase come un insulto davvero eccesso per una situazione del genere.
Di nuovo
quel fremito, quella parziale coscienza di potersi riscattare, e
compensare
quella strage.
-Sei
stato tu?-
Gli urlò
con voce rotta.
Un
sorriso detestabile e slargato, e capì che ci aveva pure
goduto nel farlo.
Prima che potesse valutarsi pazza si avventò folle urlando
come un'ossessa odiando, il pugno fu bloccato e contenuto dalla mano
del Sayan puro.
Ritrovava sempre in lui quella goduria della sua
superiorità, e ogni volta, la sua volontà si
piegava nella profonda e orrenda consapevolezza di essere simile a lui,
vincolata dal sangue a un dovere destestabile che lui
assolveva...stimolato dal male.
Si
ritrovò di nuovo a terra, indenne, sporca e col fiatone.
Un
pestone le oppresse la schiena nella polvere.
-Se la
vuoi mettere su questo piano…-
Pressò di
più.
Bulma
urlò all’insopportabile punizione.
Spiò la faccia
al disopra di lei, il suo sadico divertimento la accompagno fino
all’incoscienza.
Aveva capito, ora sapeva chi era, o meglio quel che doveva essere, la
maledizione della sua prima luna piena si faceva più
completa, meno nebulosa.
Quel trucidatore era un Sayan, il suo principe, lei tenuta a obbedire
al suo sangue e a lui.
Non voleva, rifiutava di prestarsi alla sua natura.
La trascinò via per i capelli.
***
-Non
volevo guardare, non volevo guardare- ripetè convulsamente
Lah.
Ricordava
di essersi spostata su questo angolo commerciale perché suo
figlio non vedesse…
e conoscesse solo tutta la serenità e il suo
amore…non poteva pensare che
quelle sue cruente narrazioni sarebbero fermentate nella sua mente,
sarebbero
state i suoi incubi, oggetto di considerazioni più mature
quando fosse stato
grande, e lei da questo male non poteva difenderlo, tanto meno un
ragazzino
sveglio e ingenuo come lui.
Si
strinse al morbido petto della madre lacrimoso, singhiozzando, mosso
dall’umano
dispiacere e dalla sensibilità di un bambino che non
conosceva altro che la
pace e il torpore della
loro vita reietta.
Maya lo
avvolse nell’unico materno schermo che gli poteva offrire
contro il dolore.
-Non l’ho
trovata, non c’era, non c’era- sentendosi colpevole
di cose più grandi di lui.
Lo fissò
con i suoi occhi dell’innaturale blu alieno privo di irride,
rivide come in uno
specchio il suo sguardo sofferente e ansioso.
-La
troveremo-
Pianse
finche non ebbe esaurito la forza di versare lacrime, purtroppo non si
addormentò, rimase aquattato su se stesso in un angolo della
casa, respingendo
Maya nelle sue attenzioni.
Si
dondolava, ripeteva morboso “ Non c’è,
cosa l’è successo? Non
c’è… è colpa
mia…non c’è…”.