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Autore: Cara_Sconosciuta    29/11/2008    14 recensioni
“Nome.”
“Kevin Jonas. Dove sono i miei fratelli?”
“Età.”
“Ventisei. Mi dice dove cazzo sono finiti i miei fratelli?”
“Non si agiti, il suo braccio è fratturato.”
“Me ne fotto del mio braccio! Voglio vedere i miei fratelli!”
“Potrà vederlo quando arriveremo in ospedale.”
“Vederlo?”
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caspita che accoglienza per questa nuova storia!!! Mi credete se dico che non me l’aspettavo proprio, visti gli argomenti? Pensavo che ne rimaneste scoraggiate, e invece... già 13 preferizzazioni!!!

Prima di passare a ringraziare tutte una per una, vi avverto che questo capitolo è molto statico, molto di analisi, spiega qualcosa di più della vita dei due fratelli, l’azione inizierà nel prossimo, dove entrerà in scena qualcuno, né, socia?

E ora i ringraziamenti!!!

 

Socia: Beh beh, si lo so che tu il capitolo lo avevi già letto...e so anche che questo lo aspettavi da morire, quindi eccolo qui! Amo i Kevin e Joe di questa storia, volevo crearli in un certo modo, ovviamente mi sono sfuggiti di mano e fanno per conto loro, come fanno sempre i personaggi di vitto, eh, sore, ma adoro la piega che stanno prendendo...quindi aspetta e vedrai!

 

Ka i: sono sempre felice quando una non fan ama le mie storie, perché vuol dire che le legge proprio perché ama come scrivo e le mie trame, quindi continua a seguirmi, mi raccomando, perché anche io sono una fan un po’anomala, sìsì

 

Beautiful_disaster: Intanto grazie per il romanzo che hai lasciato a JoBros, l’ho apprezzato molto, visto e considerato che adoro le recensioni lunghe e psicologiche..e questa fic ti farà un bel da fare sotto quel punto di vista! Kevin e Joe sono cambiati, è vero, e sono fatti apposta per comunicare dolore...quindi lieta che tu ti sia commossa!

 

Fefy88: Grazie mille davvero per tutti questi complimenti! Dimostrate talmente tanto affetto che tra un po’sarò io a dover piangere!!! E giuro che non scriverò mai di fagioli...o forse sì? Sai che mi hai dato un’idea? Muhuahuahua

 

Sweet Doll: ecco qui, più presto del presto! Mi raccomando, continua a seguirmi!!!

 

Maybe: niente scuse, anzi, scusati se ne farai di più brevi! Come ho detto a beautiful_disaster, adoro le analisi psicologiche e tu ci hai azzeccato in pieno su tutti, come vedrai in questo capitolo! Grazie a te per aver letto! E sì, Eliza è proprio lei!!!

 

Jollina la verde: ti dico subito il mio perché, anzi, mi faccia piacere che l’abbia chiesto. Io amo i racconti drammatici, molto più delle commedie, amo scriverli e leggerli, ma non sono mai riuscita a mettere insieme una long drammatica. Ora credo di aver trovato il fandom giusto e mi ci sono buttata a capofitto!

 

Heilig fur immer: beh, l’importante è che tu abbia deciso di recensire ora, in questa storia che per me è una grandissima sfida! Ti aspetto!!

 

La Fitto: sai cosa? È davvero difficile far raccontare la storia da Nick... è un punto di vista diverso, per niente impersonale, e si sente terribilmente in colpa. Però mi piace. E mi piace che tu sia tornata a commentare!

 

Sbrodolina: grazie mille per questa dimostrazione d’affetto che mi dai... lo so di averti giocato un colpo basso, ma il tuo Nick sarà tutt’altro che assente, stai tranquilla.

 

Razu_91: sapevo che avrei shockato qualcuno con questa scelta! E aspetta di vedere Kevin e Joe nei prossimi capitoli....

 

Pretty_Odd: guarda, solo perché hai recensito anche da ammalata ti do uno spoiler: tutti e tre avranno un ruolo più che fondamentale... insieme a due altre personcine...

 

Aya chan: Come ho detto, Martha arriverà nel prossimo capitolo. Per il resto, sono felice che ci sia almeno qualcuno dalla parte mia e di Marta per la storia del voto...sì, era indispensabile che Kevin lo spezzasse e in questo capitolo capirai perché.

 

Agatha: non hai ancora recensito, ma so che lo farai e lo farai alla grande, come sempre, quindi ti ringrazio già!!!

 

Temperance

-Capitolo Due-

 

Un pomeriggio della vita ad aspettare che qualcosa voli

Tornare indietro un anno, un giorno

Per vedere se per caso c’eri

E sentire in fondo al cuore un suono di cemento

Come si cambia per non morire

Come si cambia per ricominciare

 

Joe Jonas girò la chiave nella serratura della porta d’ingresso del piccolo appartamento in centro a Princeton che condivide con Kevin da quando io me ne sono andato.

È strano, sapete, pensare a quello che un tempo erano i Jonas Brothers, pensare ai soldi, alle fan, al lusso sfrenato e compararli con quel tugurio in un quartiere povero, semplice ma, per lo meno, non malfamato. Non penso che vi piacerebbe scoprire come tutto quel denaro è stato scialacquato, credetemi. Vorrei non saperlo nemmeno io... io che ero lì ogni sacrosanto minuto a guardare i miei fratelli chi si rovinavano solo perché io me n’ero andato.

Che cosa devo dirvi? La vita a volte è così, gioca brutti scherzi e non tutti sanno reagire.

Il soggiorno era scuro, tutte le luci spente e dalla camera da letto proveniva una melodia jazz sparata a tutto volume.

Joe roteò gli occhi, mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso amaro.

Sempre così, ogni santo giorno.

Si chiedeva quando sarebbe finita, quando suo fratello avrebbe avuto la forza di superare quel momento che durava ormai da anni e, francamente, a quell’epoca me lo chiedevo anche io.

Con un sospiro, si chiuse la porta alle spalle e si rintanò in cucina, sfregando tra loro le mani per riscaldarle.

Settembre... metà settembre ed era già maledettamente freddo.

Soffiandosi una ciocca arricciata da davanti agli occhi, attaccò il bollitore alla corrente, scelse una tazza dalla credenza e un infuso dalla collezione di suo fratello.

Non se ne sarebbe accorto di certo e poi quel tè gli serviva proprio.

In silenzio, si sedette davanti al vecchio tavolo di legno chiaro, lasciando che la sua schiena si appoggiasse completamente all’imbottitura di una delle sedie che mamma gli aveva praticamente tirato dietro quando si era trasferito.

Sedie barocche in un appartamento più lineare di un dipinto di Mondrian.

Grottesche, ma nessuno dei due ci aveva mai fatto caso più di tanto.

Rimase lì, per un tempo indefinitamente lungo ed incalcolabilmente breve, fissando il vuoto, senza chiudere gli occhi per paura di rivivere l’orrore di quel giorno, quello che lo tormentava con il senso di colpa in ogni minuto della sua esistenza, il borbottio del bollitore e la musica, mista a sospiri, proveniente dalla stanza accanto unici suoi compagni.

Svogliatamente, prese in mano il telecomando e lo puntò verso il piccolo televisore sistemato in posizione strategica, il più in alto possibile, sopra al forno a microonde ma, come al solito, il segnale non riusciva a raggiungere l’antenna. Magari ci avrebbe dato una controllata quando avesse smesso di fare così freddo.

Verso maggio, più o meno.

Tanto i programmi televisivi lo annoiavano.

Come i libri e i giochi del computer.

Come la vita stessa.

Quella vita sempre uguale, sempre triste, monotona ed indesiderabile, in cui ogni giorno era uguale al successivo e al precedente, mai niente di speciale, mai qualcosa in cui valesse davvero la pena di mettere in gioco tutto se stesso.

Non lo invidiavo affatto e non so che avrei fatto io al suo posto, ma di certo non avrei reagito molto meglio.

Passandosi una mano tra i capelli versò il tè nella tazza e si alzò in piedi, avviandosi verso la porta, diretto in soggiorno, dove avrebbe potuto andare avanti a fare niente, ma sprofondato nella sua poltrona preferita.

Uscì dalla cucina sorseggiando il tè proprio mentre Kevin chiudeva la porta d’ingresso alle spalle dell’ennesima ragazza senza nome e, come al solito, una rabbia cieca ed insensata prese lentamente a montargli dentro.

“Potreste anche fare un po’più piano, sai?” Domandò, tagliente, mentre Kevin si voltava verso di lui con aria scocciata. “Ogni tanto, magari, mi farebbe piacere ascoltare un po’di televisione, invece delle tue performance, fratellino.”

“Che problemi hai, Joe? Quella televisione nemmeno si vede.”

“Non è questo il punto.”

“Dio!” Esclamò Kevin, facendo un giro su se stesso per calmarsi un minimo, preparandosi ad affrontare l’ennesima quasi-lite con il fratello minore.

E Joe può essere davvero difficile da gestire, credetemi, lo conosco fin troppo.

“Sentiamo, quale sarebbe il punto?”

“Sarebbe che ti porti a casa una diversa ogni sera e spendi i nostri soldi per questo. Lo capisci che ti stai rovinando la vita, Kev, te ne rendi conto?”

“Almeno io non la rovino agli altri.”

Diretto. Crudo. Cattivo.

Davvero, a quell’epoca facevo una gran fatica a ritrovare qualcosa di mio fratello nell’uomo che portava il nome di Kevin Jonas.

“Io sono nessuno per te?”

“Andiamo, la tua vita fa già schifo così, non sarei in grado di peggiorare la situazione nemmeno se lo volessi! Eliza, invece...”

“Lascia Eliza fuori da questa storia, lei non c’entra nulla con le tue puttane!” Ringhiò Joe, avvicinandosi con aria minacciosa al fratello maggiore.

“No, hai ragione, ma non c’entra niente nemmeno con le tue manie di autodistruzione. Pensaci.”

E, in un attimo, fu fuori dall’appartamento.

 

         E dentro un taxi nella notte

Avere freddo e non sapere dove

Sopra a un letto di bottiglie rotte strapazzarsi il cuore

E giocare a innamorarsi come prima

Quante luci dentro hai già spento

Quante volte gli occhi hanno pianto

Come si cambia per non soffrire

(Fiorella Mannoia, Come si cambia)

 

“Taxi!” Gridò Kevin in direzione dell’automobile gialla che si stava avvicinando a lui a lentezza esasperante a causa del traffico che sempre intasava Princeton nell’ora di punta.

Per questo non voleva prendere la sua macchina, così se fosse rimasto imbottigliato troppo a lungo avrebbe sempre potuto scendere ed andare a piedi.

“Dove ti porto?” Domandò il tassista, senza smettere di ruminare la sua gomma, il berretto dei New York Yankees ben calato sugli occhi.

“Dove le pare, ma lontano da qui.”

“Problemi di cuore, capo?”

Kevin sorrise amaramente, stringendosi nel maglione che, senza l’ausilio di una giacca, nulla poteva contro il freddo quasi invernale che impregnava quell’autunno grigio.

“Più in famiglia, direi.”

“Ah... la famiglia può essere un gran bel problema, a volte, ma le gioie che dà lei non le dà nient’altro.”

Kevin sospirò, lanciando uno sguardo sconsolato alla città che scorreva al rallentatore fuori dal finestrino ingrigito dallo smog.

“Sì... sì, ci credevo anche io, una volta.”

“Parli come se avessi cent’anni, ragazzo...”

“È come se li avessi, si fidi.”

“Sai, mi ricordi qualcuno...” Considerò l’uomo, sbirciando il volto del suo passeggero riflesso nello specchietto. “Ti ho già visto, per caso? Sei mai stato in tv?”

“Solo un paio di volte, ma l’ultima volta è stato tanto tempo fa.”

“Capisco... e dove...”

“Senta, io scendo qui, tenga il resto.”

Basta.

Non ce la faceva più a rispondere alle domande che tutti gli ponevano, dai suoi genitori ad un tassista mai visto prima che andava a rivangare il suo passato come la terra in un campo da coltivare.

Per questo pagava quelle ragazze, per questo aveva buttato al vento vent’anni e passa di voto di castità senza mai davvero essersi innamorato.

Loro non chiedevano nulla, se non i soldi e quelli non erano mai stati un problema.

Certo, presto sarebbero finiti, ma la sua regola, da quattro anni a quella parte, era carpe diem, vivi alla giornata. Avrebbe pensato ai problemi finanziari quando si fossero presentati, non era il caso di fasciarsi la testa prima di romperla, checché ne dicesse Joe.

Joe...

Era perfettamente cosciente che il fratello non aveva assolutamente torto riguardo al distruggere la propria vita, ma ehi, era la sua esistenza e lui non si doveva intromettere.

Non quando la sua attività principale era starsene seduto per ore a guardare il vuoto senza concludere nulla né darsi da fare per trovare un lavoro.

Lavoro, ecco, quello era stato l’unico lato positivo dell’ultima estate. I corsi di pedagogia che aveva frequentato negli ultimi due anni avevano finalmente dato i loro frutti e il liceo musicale di Princeton l’aveva assunto come insegnante di musica moderna.

Un colpo di fortuna, niente da dire, anche se non era proprio certo di essere la persona più adatta per avere a che fare con dei ragazzi di quell’età, con la loro voglia di vivere e tutto quanto.

Io, però, ero sicuro che qualcosa di buono da quella scuola sarebbe venuto. Non chiedetemi come, ma lo sapevo con certezza, per quando Kevin non ne fosse esattamente quel che si suol dire convinto.

Ciò che contava, in quel momento, era che almeno uno dei miei fratelli avesse deciso di rimettersi in gioco, di ricominciare a vivere o, almeno, di provarci.

Concedendosi, per la prima volta da parecchio, un sorriso sincero, Kevin rabbrividì e, le mani infilate nelle tasche dei jeans, si avviò verso casa, sperando che Joe non avesse, nel frattempo, combinato qualche idiozia delle sue, mentre il sole iniziava a tramontare dietro le cime dei grattacieli.

 

Continua...

 

 

   
 
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