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Autore: mividam    03/02/2015    1 recensioni
Erano molti i nomi con cui era stato chiamato nel tempo.
Guerriero. Pirata. Ladro. Infedele.
Uno soltanto, però, era quello che gli sarebbe rimasto per sempre addosso... Assassino.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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L'ASSASSINO

§

Gerusalemme, 1313
 

C’era una storia strana, che veniva raccontata nelle taverne di Gerusalemme.
Di solito, gli uomini attendevano che calasse l’oscurità e che gli stranieri se ne andassero per poterla narrare. Parlava di una nave da guerra francese e del tesoro che il suo capitano era stato incaricato di difendere a costo della sua stessa vita; un tesoro di dimensioni ridotte, ma prezioso quanto un segreto. Erano tempi difficili. I pirati che vagavano per mare si stavano moltiplicando e gli uomini che potevano dirsi “ricchi” erano sempre meno. Le navi mercantili cercavano nuovi percorsi, stremate dalle razzie e spaventate dalla peste che stava invadendo il mondo che tutti conoscevano. Eppure, per quanto allettante, l’idea di quel tesoro così unico e consistente, anziché fargli venire voglia di inseguirlo, gli metteva una paura dannata.
Hasan si mise a sedere sul letto con un sospiro, lasciandosi alle spalle la sinuosa figura di Fatima. Era stata lei, dopo avergli offerto il proprio corpo all’interno di uno dei tanti bordelli di Gerusalemme, a raccontargli quella storia. Le era stata sufficiente una parola per catturare la sua attenzione e fargli mancare il respiro, anche se poi erano state le sue morbide labbra a restituirglielo.
Un brivido leggero gli increspò la pelle delle braccia nude. I muscoli della schiena si tesero, mentre alla luce delle candele i serpenti che si era fatto tatuare su tutto il lato sinistro del corpo parevano quasi prendere vita e strisciare sulla sua pelle scura, frutto dell’incrocio di due nature diverse. Hasan era un contraddizione vivente, e lo sapeva. Era figlio di uno schiavo e di una donna bianca che non avrebbe mai visto. Era cresciuto da solo, tra i vicoli di pietra di Gerusalemme e le morbide dune del Negev. Era stato molte cose contrastanti nella propria vita: guerriero, ladro, traditore, giustiziere e persino pirata. Aveva seguito molte strade, per terra e per mare, ma non avrebbe mai smesso di avvertire una profonda spaccatura dentro di sé; una ferita destinata a ricordargli per sempre che ciò che doveva fare, non sarebbe mai stato ciò che voleva fare.
Avvertì Fatima muoversi alle sue spalle ed inarcare la schiena per trovare una posizione più comoda. Non si voltò, ma riuscì ugualmente a percepire il calore della candela che le accarezzava la curva piatta del ventre e la carne docile dei seni nudi, tesi e pronti ad essere stretti ancora dalle sue mani. Deciso a non cedere nuovamente alla tentazione si alzò in piedi e si avvicinò all’incenso che stava bruciando sul tavolo accanto al letto. Fatima l’aveva sistemato in una ciotola di legno, così che il suo profumo perdurasse più a lungo all’interno della stanza.
Per un istante l’odore dei fiori di loto lo portò indietro nel tempo, ricordandogli che anche se due anni prima aveva scelto di solcare il mare a bordo di una nave pirata, la sua natura era molto più affine al sangue, che al sale. Strinse i pugni, ma non chiuse gli occhi. Mentre le tende d’organza danzavano leggere, accarezzate dalla brezza della sera, il passato tornò a tormentarlo. Davanti a lui una falce di luna illuminava il deserto del Negev ed oltre ad esso luoghi che conosceva fin troppo bene, destinati a ricordargli sempre che in un tempo non troppo distante era stato anche assassino.



§

Fortezza di Alamut, cinque anni prima
 
I piaceri che la vita offriva erano molti. Uno di questi era il giardino che il Vecchio della Montagna concedeva come premio a coloro che credevano. Si trattava di un luogo incantevole, protetto dalle solide pareti di una fortezza inespugnabile, all’interno del quale splendide donne velate accoglievano gli uomini in mezzo a fontane d’acqua e a profumatissimi fiori. Lì, dove i fumi dell’oppio rendevano tutto più leggero, non esisteva un solo istante in cui i liuti e le rababah cessassero di allietare gli spiriti ed i sensi. Si trattava di un giardino magico, più vicino al Paradiso che alla terra; un luogo destinato soltanto ai più fedeli di Allah.
Hasan gettò il capo all’indietro, mentre una splendida odalisca gli spalmava le braccia e le spalle con degli olii profumati. L’odore dell’incenso era così intenso da togliere il respiro e da fargli dimenticare ciascuna delle colpe che gli segnavano il petto. Una per ogni vita che si era ritrovato a strappare; una per ogni scaglia di serpente che si era fatto incidere sulla parte sinistra del viso. Sospirò, mentre accanto a lui Farouq intonava una vecchia nenia.
Anche se era soltanto un ragazzo, quel giorno era stato lui a far calare la lama sull’uomo che il Vecchio della Montagna aveva ordinato loro di uccidere. Potendo scegliere, aveva scartato il veleno ed aveva preferito la scimitarra. Vestito di una tunica bianca come l’innocenza perduta, aveva portato a termine la prova che gli era stata assegnata ed ora era uno di loro: un assassino.
Lungo il viaggio che li aveva condotti oltre il deserto ed al compimento della missione, Hasan lo aveva ammonito a lungo. “Una volta divenuto assassino lo resterai per sempre”, gli aveva detto. Anziché preoccuparsi, Farouq aveva alzato le spalle con la leggerezza che contraddistingueva la sua giovane età ed aveva risposto semplicemente “Inshallah”. Se Dio vuole. La verità, però, era che non sapeva a cosa stava andando incontro.
Entrare a far parte della temuta Setta degli Assassini era qualcosa che ti cambiava per sempre la vita; che ti si radicava dentro e che nemmeno il tempo o la morte avrebbero mai potuto cancellare. Quando eliminavi un uomo per il Vecchio della Montagna non era vendetta; era giustizia. Uccidere non era un obbligo, né un piacere: era un atto di fede. Era l’unico modo che veniva concesso ai vivi per meritarsi un premio dopo la morte. Era la cosa giusta, Hasan lo sapeva. Ciononostante, un dubbio si era insinuato in lui da diverso tempo, avvelenandogli il sangue così come il profumo dell’incenso gli stava intossicando il respiro.
Seppure annebbiato dai fumi dell’oppio e dai piaceri, trovò la forza di voltarsi verso Farouq e di chiedersi quanto a lungo un giovane come lui avrebbe potuto sopportare quella vita di silenzio e obbedienza. Lui sorrideva sereno, ignaro. Cantava, fiducioso del fatto che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto cambiare il proprio destino mille volte ancora. Illuso. Era nel pieno della vita. Aveva i capelli cosparsi d’olio, il gilet aperto in modo da mostrare il torace glabro e gli occhi più neri di tutta la Persia. Non sapeva ancora che il nome che aveva conquistato quel giorno – assassino – gli sarebbe rimasto addosso per sempre, qualsiasi strada avesse scelto da lì in avanti.
Seppure annebbiato dai fumi e stremato dal sangue, Hasan trovò la forza di alzare gli occhi verso il soffitto di roccia che lo separava dal cielo. I campanelli appesi alle caviglie delle odalische condussero la sua mente lontano, anche se prima di assopirsi non poté fare a meno di chiedersi quanto a lungo ancora sarebbe durata tutta quella pace.



§

Furono le mani di Fatima a riportarlo al presente; i suoi seni nudi a contatto con la sua schiena a ricordargli che una notte soltanto non sarebbe mai stata sufficiente a far tacere il desiderio che aveva di lei. Fatima lo abbracciò incurante del fatto che riusciva a stento a cingergli il torace. Hasan era un uomo imponente. Ogni volta che giacevano insieme rischiava di farle del male. Credeva che fosse per questo che era solito domandare sempre di lei; poiché ormai sapeva come trattarlo. Non immaginava certamente quali sentimenti albergavano nel cuore di quello che non sarebbe mai stato un uomo come tanti; un uomo sulla cui schiena e sulle cui mani sarebbero rimasti per sempre segni profondi e tatuaggi incancellabili.
D’un tratto lui si voltò e la sollevò prendendola per la vita. Prima che potesse aspettarselo, Fatima si ritrovò con la schiena premuta contro al materasso e con il corpo del guerriero addosso. Si preparò ad accoglierlo, ma con sua grande sorpresa Hasan non la fece sua ed anzi prese a guardarla in maniera così intensa da farla sentire a disagio. La luce della luna che filtrava dalla finestra giocava strani scherzi. Era così pallida da illuminare soltanto metà del volto e del corpo dell’uomo che chiedeva di lei ogni volta che tornava a Gerusalemme, che la voleva per tutta la notte e che, anche quando era sazio, non la lasciava mai andare prima del sorgere del sole. Fatima tremò, mentre il cuore prendeva a batterle più forte. Ora che tutta la parte sinistra del suo corpo era in ombra, Hasan pareva un uomo come tanti. Non c’era alcun tatuaggio a segnargli il corpo, né alcun orecchino d’avorio o alcuna cicatrice a deturpargli il viso. I suoi occhi erano sinceri, la piega delle sue labbra tormentata.
Persa in un sentimento inspiegabile, Fatima gli accarezzò i contorni della bocca, ma si ritrovò costretta a ritrarre le mani non appena lo sentì sussultare. Si dominarono entrambi. Hasan era un pirata ed un traditore; un uomo che non avrebbe mai avuto nulla da offrirle. Fatima, invece, era la puttana di un bordello e gli aveva già dato tutto quello che avrebbe mai potuto donargli. Nel presente di entrambi non c’era spazio per i sentimenti, né per i rimpianti. Il futuro, però… Quello era ancora tutto da decidere.
«Hai detto che sai qualcosa sul tesoro della Petite Marguerite.»
La voce del pirata fu come una carezza violenta sul viso. Era chiaro ad entrambi: se glielo stava chiedendo, era perché le puttane erano sempre le prime a sapere le cose. Gli occhi di Fatima ebbero un sussulto. Appoggiò le mani sulle braccia di Hasan, come a voler trovare sostegno. I suoi muscoli erano tesi, pronti a scattare nel momento in cui gli fosse stato richiesto. Quando era con lui, sapeva che non doveva avere paura di nulla, tranne che di mentirgli. Si inumidì le labbra, tentando di scegliere le parole più adatte per non contrariarlo.
«Qualche notte fa è venuto da me un uomo.» Il volto di Hasan fu attraversato da un’ombra. Gelosia. Forse fu soltanto una sensazione, ma Fatima sentì ugualmente il proprio cuore venire stretto da una morsa. Deglutì, prima di continuare. «Era ubriaco. Diceva di essere stato a bordo della Petite Marguerite e di avere un conto in sospeso con il suo capitano, che l’aveva prima frustato e poi scaricato in mezzo al mare. Diceva che sperava che i pirati gli strappassero il tesoro che nascondeva dalle mani… Lui…»
Fu costretta ad interrompersi. Hasan le aveva preso i polsi e glieli aveva portati sopra alla testa. Lo faceva spesso, soprattutto quando voleva ribadire il potere che aveva su di lei e sul suo corpo. Anziché opporsi, Fatima inarcò il petto alla ricerca d’aria, ma si fermò non appena sentì il suo respiro scivolarle addosso. Nonostante fosse abituata a mentire ed ingannare, si rese conto che con Hasan non le sarebbe mai servita nessuna delle sue arti, poiché l’attrazione tra di loro era sincera; a tratti dolorosa.
«Continua» lo ordinò, ricevendo in cambio un sussulto.
Fatima si morse le labbra. Ignorò il languore al ventre che le provocava la sensazione di quel corpo così massiccio addosso ed obbedì.
«Se quello che mi ha detto quell’uomo è vero, so dove si trova la Petite Marguerite e so che vi sarà un momento in cui sarà… esposta
Gli occhi del guerriero furono attraversati di nuovo da un bagliore strano, sinistro. Ma allettante. Accadeva spesso che le parole che scivolavano via dalla bocca di Fatima volessero dire altro. L’invito a possederla nascondeva il desiderio di sentirlo vicino, così come l’offerta di quell’informazione stava celando qualcosa di ben diverso. Un gioco. Una provocazione. O forse una sfida.
Il corpo di Hasan si fece pesante sul suo, tuttavia Fatima non si lamentò. Era una tortura piacevole, quella a cui la stava sottoponendo. A tenerla inchiodata al letto, infatti, non erano i muscoli del guerriero, né le sue mani intorno ai polsi o il fatto che avesse pagato profumatamente per quella notte insieme, ma soltanto i suoi occhi. La brezza della notte le inturgidì i seni. Si mosse languida sotto di lui, non soltanto per mettersi in una posizione più comoda, ma anche perché l’idea di provocarlo a propria volta con quel lieve sfregarsi di pelli e di respiri non le dispiaceva affatto.
«Ciò che la Petite Marguerite cerca è un tipo di legno molto pregiato: il cedro rosso del Libano» spiegò con voce bassa, impalpabile. Si fermò e si passò la lingua sulle labbra per il solo gusto di vedere l’espressione di Hasan farsi truce e le sue mani stringerla più forte. Ansimò eccitata, prima di continuare. «So che si fermeranno a Tripoli e che ne caricheranno quanto più possibile, anche a costo di lasciare a terra qualche cannone, dopo di che se ne andranno via. Pesanti. E sguarniti.»
Di nuovo, Hasan sentì un brivido corrergli lungo la pelle, anche se il contatto con il morbido corpo di Fatima era caldo, oltre che dolce. Si costrinse a dominarsi e a ragionare come aveva sempre fatto. Le labbra di Fatima lo invitavano ad appropriarsi di un tesoro che nessuno aveva mai visto e di cui non si sapeva nulla; di qualcosa che avrebbe benissimo potuto non esistere. Lo sfidavano ad attaccare una nave da guerra, guidata da un uomo che aveva i mezzi e l’esperienza per catturarli tutti ed impiccarli. Scosse la testa, trovando in quel pensiero un’insana follia.
«Non esiste un solo uomo, in tutta Gerusalemme, così pazzo da guidare un attacco ad una nave da guerra francese, seppur povera di cannoni.»
Fatima gli sorrise, inclinando la testa di lato. Dai suoi capelli sparsi sul cuscino si innalzava un gradevole odore di rose. Le tende d’organza danzavano leggere, coprendo e svelando il paesaggio insieme ai sospiri del vento. Tutto taceva, tranne quel desiderio di avere di più che entrambi cullavano in corpo.
«Io dico che esiste, invece, e che tu lo conosci piuttosto bene.»
Hasan serrò le labbra. I suoi occhi si fecero più cupi.
Fatima non mentiva. Un individuo del genere esisteva davvero: si trattava di un uomo che aveva guardato in faccia la morte, che l’aveva desiderata al punto di ricercarla, ma che alla fine era risorto dalle ceneri di se stesso in nome della vendetta. Un uomo che aveva incontrato ben due anni, che era stato incaricato di assassinare, ma che da allora non era più stato in grado di dimenticare.



§

Vicoli di Gerusalemme, due anni prima
 
Se c’era una cosa di cui Hasan era sicuro, era che ciascun uomo rivelava se stesso in due momenti soltanto della propria vita: quando aveva così tanto alcol in corpo da mettere a tacere la ragione ed un istante prima di morire. Era la Morte, più di ogni altra cosa, a svelare il modo in cui si era vissuto, forse per questo, mentre sfregava il dorso della scimitarra contro alla gola dell’uomo che gli era stato ordinato di uccidere, si ritrovò ad esitare.
Di lui sapeva ben poco, ma anche questo “poco” strideva a confronto con ciò che gli stavano mostrando gli occhi. A quanto pareva lo straniero era un nobile decaduto, che aveva combattuto anche in Terra Santa. Era un guerriero sanguinario e crudele, dicevano. Un uomo che era svanito nel nulla per una manciata d’anni, ma che nel momento in cui aveva rimesso piede a Gerusalemme qualcuno aveva voluto morto. Lo avevano avvertito di guardarsi da lui, eppure in quel momento, mentre la lama gli segnava la gola e la mano di Hasan gli imprigionava i polsi dietro la schiena, tutto pareva fuorché un individuo capace di esercitare violenze o architettare inganni. Lo sentì incespicare, incapace di sorreggersi da solo in piedi. Puzzava d’alcol; ne era così pieno da non avere nemmeno capito che stava per morire.
Con un gesto rabbioso lo gettò a terra davanti a sé. La sola idea di uccidere un uomo come quello gli dava la nausea. Incastrò la scimitarra nella fascia che gli stringeva la vita e si massaggiò il volto, indeciso sul da farsi. Aveva obbedito agli ordini del Vecchio della Montagna molte volte. Lo aveva fatto anche quando li aveva trovati ingiusti, eppure in quell’occasione qualcosa lo aveva costretto a ritirare la mano. Pur avendo in pugno un uomo colpevole e chiaramente infedele, si era ritrovato ad esitare. Lo guardò mentre si contorceva sulla nuda terra. Era basso, sporco, con i capelli ricci incrostati ed i vestiti logori. Per la prima volta si ritrovò a mettere in discussione gli ordini che aveva ricevuto e a chiedersi chi volesse morto un uomo come quello; se un Vecchio o se il suo Dio, poiché, se per il secondo era disposto a fare qualsiasi cosa, sul primo stava iniziando a nutrire dei seri dubbi. In fondo, non sarebbe stata la prima volta che il Signore di Alamut e degli Assassini si serviva dei propri seguaci per scopi personali e Hasan era tutto, fuorché un uomo votato alle vendette degli altri.
Il vento gli portò all’orecchio le grida di alcuni uomini che stavano brindando all’interno di una locanda. La musica dei flauti gli accarezzò la pelle scura, ma non cancellò la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in quello che stava facendo. Voltò le spalle all’uomo che doveva uccidere e quando tornò lo fece in compagnia di una botte ricolma d’acqua, che appoggiò poco distante dai suoi piedi con un tonfo sordo. In pochi avrebbero saputo sollevare un peso del genere senza un aiuto, ma la natura aveva dotato Hasan di un fisico imponente e di un aspetto ancor più terribile.
Senza troppi preamboli afferrò lo straniero per il colletto e gli immerse completamente il viso all’interno della botte. Affiorarono diverse bolle in superficie. Hasan lo vide appoggiare le mani sulla fascetta che teneva unite le assi di legno, ma stranamente non lo sentì lottare per uscire e riprendere fiato. Trattenne il respiro a propria volta, tentando di capire perché non tentasse di salvarsi. Si trattava di un istinto del tutto naturale, in fondo. Nessuno poteva desiderare coscientemente di morire, nemmeno un uomo completamente ubriaco che era finito sulla lista nera della Setta degli Assassini.
Lo sollevò, consentendogli di respirare nuovamente. L’acqua gli aveva ripulito il volto, ed ora che gli era possibile guardarlo meglio lo trovava gracile con quelle guance un po’ scavate e quel colore della pelle così pallido. Incapace di provare rimorso, gli immerse nuovamente il viso nella botte, questa volta più a lungo. Quando lo sollevò lo vide finalmente reagire e cercare aria con la bocca completamente spalancata. Lo gettò a terra, poi gli puntò la scimitarra alla gola. Non era mai stato un tipo particolarmente paziente e tutta quella situazione così strana lo stava cominciando ad irritare.
«Perché ti vogliono morto?»
Sperava che lo straniero gli spiegasse come stavano le cose o che invocasse perdono. Si aspettava che tentasse di corromperlo per salvarsi o che chiedesse clemenza. Non credeva che avrebbe avuto il coraggio di minacciarlo, anche se era probabile che lo maledisse o che gli ricordasse che presto o tardi qualcuno l’avrebbe vendicato. Però, ancora una volta, quell’uomo fece qualcosa che lo sorprese.
Se era vero che ogni uomo mostrava se stesso prima di morire, ciò che gli rivelò un istante prima della fine furono gli occhi distrutti di un uomo completamente perduto; un uomo che non pareva assolutamente vittima dei fumi dell’alcol, ma che stava coscientemente e pazientemente attendendo di morire. Un uomo colpevole di qualche crimine innominabile, giudicò Hasan. Ma ancora una volta sbagliava, e quando poco dopo sentì dei passi alle proprie spalle ne ebbe conferma.
Approfittando del fatto che era impegnato a scoprire la verità, un manipolo di uomini lo aveva circondato. I suoi occhi furono attraversati da un lampo di consapevolezza. Era per questo che l’uomo che doveva uccidere era così tranquillo, non poiché voleva morire, ma poiché aveva visto altri uomini come lui – altri infedeli – muoversi alle sue spalle ed estrarre le spade che ora ciascuno di loro gli stava puntando addosso. Accadde tutto nel giro di un istante. Lo scontro fu inevitabile, così come la consapevolezza di non avere alcuna speranza. Hasan aveva commesso un errore imperdonabile: aveva esitato, e per questa sua debolezza quella notte avrebbe pagato con la vita. Sollevò la scimitarra intenzionato a vendere cara la pelle. Si difese dai fendenti quanto più possibile. Mentre il cuore ed il respiro si muovevano insieme alle mani fece quanto era in suo potere per salvarsi.
Il rumore del metallo che cozzava contro altro metallo gli riempì le orecchie. Gettò a terra uno, due uomini. Un dolore bruciante alla coscia lo obbligò a piegare un ginocchio verso il terreno. Era stato ferito. Altri due uomini gli saltarono addosso. La spada di uno si infranse contro alla scimitarra. Nello stesso istante il corpo dell’altro cadde a terra, ma non perché Hasan lo aveva colpito. Qualcuno era intervenuto appena in tempo e gli aveva salvato la vita. Senza smettere di combattere cercò di capire chi lo avesse aiutato, e quello che vide lo lasciò sgomento. Era stato lo straniero che avrebbe dovuto uccidere ad atterrare gli uomini che lo avevano circondato. Si era alzato in piedi, aveva raccolto da terra una spada e gli si era avvicinato così da affiancarlo nel duello. Dopo qualche istante di smarrimento il manipolo di uomini si disperse, forse temendo uno scontro più equo o magari per soccorrere i compagni feriti.
Hasan e lo straniero rimasero soli, immobili, l’uno accanto all’altro. Quando l’assassino si voltò con uno scatto e lo immobilizzò mettendogli un braccio intorno al collo, lui non fece nulla per ostacolarlo. La punta della scimitarra gli accarezzò il petto fino a soffermarsi proprio al di sopra del cuore.
«Perché lo hai fatto?» gli domandò a quel punto.
Perché mi hai aiutato.
«E tu perché non lo hai fatto?»
Perché non mi hai ucciso.
Hasan serrò la presa sull’elsa della scimitarra. La sua voce si fece bassa, impalpabile. Era la voce di un assassino.
«Potrei farlo in qualsiasi istante, potrei farlo ora.»
Lo straniero mosse appena il polso, quel tanto che gli fu sufficiente per far sentire al suo assalitore che non era indifeso come credeva. La mano sinistra serrava un coltello e glielo stava puntando dritto all’incrocio tra l’inguine e la gamba, là dove la vena femorale era maggiormente esposta. Un taglio, pochi minuti, e sarebbe stata la fine di entrambi.
«Potremmo morire entrambi stanotte, o potrebbe non morire nessuno» suggerì senza comunque provare a divincolarsi dalla presa del gigante. L’altro rise di lui e delle sue folli parole.
«Non esiste premio migliore della morte per coloro che hanno obbedito alla parola del Profeta.»
«Certo» concesse tranquillo. «Così come non esiste schiavo che non abbia desidero di tornare libero, o uomo che voglia ripagare l’uomo che l’ha salvato con qualcosa di altrettanto prezioso...»
«Io non ti devo nulla» sputò amaro, risentito. Sapevano entrambi che se lo straniero non fosse intervenuto quella notte Hasan sarebbe morto, eppure c’era ancora qualcosa che non gli era chiaro in quel voltafaccia improvviso: qualcosa di folle ed inspiegabile. Qualcosa che lo costrinse a serrare i denti e mentire.
«Tu non hai fatto nulla. Quegli uomini erano esattamente come te: deboli e ubriachi.»
«Forse è vero, ma tu non sei come loro. Tu non sei un assassino
L’inflessione della sua voce costrinse Hasan a credere che sapesse perfettamente di cosa stavano parlando e questo diede un senso tutto nuovo a quel discorso che nessuno dei due avrebbe mai dovuto intraprendere.
«Cosa te lo fa credere?»
Lo straniero si mosse appena, senza comunque ribellarsi.
«Hai avuto la tua occasione e l’hai sprecata. Non mi hai ucciso, così come non lo farai ora.»
«Perché?»
Vi fu un istante di silenzio, poi lo straniero lasciò cadere il coltello.
«Perché sto per offrirti esattamente ciò che vuoi e perché so per certo che tu lo accetterai.»
Fu allora che Hasan si rese conto che il Vecchio della Montagna non gli aveva mentito. L’uomo che era stato incaricato di uccidere era davvero un uomo pericoloso, anche se non per il motivo che avrebbe potuto pensare. Non era un uomo abile con le armi, né un cospiratore. Era semplicemente un uomo capace di comprendere con una sola occhiata l’indole segreta di ciascuno; di rivoltarla con una parola e di dare corpo ai desideri più nascosti che possedeva.
Il vento della sera accarezzò il volto di entrambi, portando con sé l’odore del mare. Hasan non lo sapeva ancora, ma da lì a poco avrebbe realmente seguito quello stesso uomo – quel folle uomo – sulla nave che aveva lasciato ancorata a Gaza: una nave dal nome cristiano, Eva, destinata ad offrire loro un nuovo futuro.



§

«Il capitano Croix non è il folle che tutti pensano» chiarì aspro Hasan, stringendo i polsi di Fatima così forte da farle male.
Erano due anni che navigava insieme a lui, come pirata e come suo primo timoniere. Era a conoscenza delle voci che giravano sul conto di quell’uomo dal passato nebuloso. Lo definivano un folle; un uomo votato unicamente alla vendetta, che attaccava le navi dello Stato della Chiesa per il solo piacere di vederle bruciare e che dai suoi uomini pretendeva una fedeltà a dir poco assoluta. Un uomo senza perdono, scomunicato da qualsiasi Dio, ma che era ugualmente riuscito ad ottenere la più completa fiducia di tutti coloro che avevano scelto il mare insieme a lui.
«Io non so quanto c’è di vero nelle voci che ho sentito» ansimò Fatima, stringendo i denti e ricacciando indietro il dolore che le mani di Hasan – le mani di un assassino – le stavano provocando. «Però sono sicura che, se c’è un uomo capace di attaccare la Petite Marguerite senza fallire, quello è lui.»
Non mentiva. Il capitano che Hasan aveva giurato di seguire due anni prima aveva molti difetti, ma era al contempo un uomo perfettamente capace di studiare un piano arguto e di impossessarsi di una nave da guerra capitanata da un uomo con ben più esperienza di lui. Era già accaduto, in effetti. Ed in più di una occasione.
«Hasan…» Il suo nome era dolce, se era la puttana più bella di tutta Gerusalemme a pronunciarlo. «Sappiamo entrambi che Croix vuole vendicarsi di coloro che l’hanno tradito. Ebbene, se entrerà in possesso del tesoro della Petite Marguerite, ti assicuro che potrà farlo.»
«Perché dovrei crederti?»
Il rischio era elevato, così come la posta in gioco. Era giusto che Hasan dubitasse. Erano occorsi tre anni di incontri soltanto perché si decidesse a parlarle, mentre ora Fatima gli stava chiedendo molto di più: gli stava chiedendo di ascoltarla. Usò le gambe nude per cingere la vita del pirata e portarlo ancora più vicino a sé, tanto da scacciare l’odore dell’incenso e da sostituirlo con quello dell’acqua di rose in cui si era immersa prima di incontrarlo. Gli sorrise, affascinandolo con il suo calore e con la morbidezza delle sue dita che lo accarezzavano.
«Talvolta le meraviglie più grandi si nascondono negli oggetti più piccoli» sussurrò. E piccolo, difatti, era il corpo che Hasan stava stringendo tra le mani. Piccolo, morbido, ma perfettamente capace di sollecitare e successivamente placare il piacere di un uomo le cui mani sarebbero sempre state sporche di sangue e menzogne, e che comunque non se ne sarebbe mai pentito.
“L’uomo è quello che sceglie” era solito ripetergli Croix. Se anche c’era stato un tempo in cui aveva creduto che parlasse per se stesso, successivamente aveva capito che ciò che il capitano voleva dirgli era semplicemente di non tirarsi mai indietro; di vivere e di scegliere senza curarsi delle conseguenze poiché la vita era troppo breve e perché nessuno era al sicuro dai sui sconvolgimenti.
Hasan violò il corpo di Fatima con un unico, languido affondo. La prese. La scelse, poiché era lei che sceglieva ciascuna delle notti in cui tornava a Gerusalemme. E perché, se avesse potuto, l’avrebbe scelta all’infinito e l’avrebbe portata lontano dal bordello a cui qualche folle l’aveva venduta. Era una donna splendida; l’unica capace di incantarlo e di fargli dimenticare qualsiasi cosa si celasse nei nomi del suo passato.
Guerriero. Pirata. Ladro. Infedele. Assassino.
Con lei non era nulla di tutto questo. Con lei era se stesso.
Quando molte ore dopo il sole si affacciò oltre la linea dell’orizzonte ed i suoi raggi si infransero sull’oro della Cupola della Roccia, Fatima e Hasan erano ancora nudi, avvinghiati, ben protetti dalle tende d’organza che circondavano il letto in cui avevano condiviso tutto ciò che avrebbero mai potuto avere dall’altro.
Fatima gli baciava il petto. I suoi occhi vivaci lo fissavano con un misto di curiosità e malizia. Sotto alle proprie dita, sentiva il cuore del gigante mulatto battere lento, sereno. Per un istante fu tentata di accostare anche le orecchie alla sua pelle, così da lasciarsi avvolgere da quel suono così unico e profondo. Poi, però, si disse che era un gesto troppo intimo e che, se lo avesse fatto, non avrebbe più potuto fare a meno di ripeterlo e di sognarlo fino alla fine dei propri giorni. E una puttana come lei, questo, non poteva assolutamente permetterselo.
Si morse le labbra e si mise a sedere così da lasciarlo libero di riprendere la propria strada. Lo osservò in silenzio mentre si rivestiva. I suoi abiti si erano impregnati dell’odore dei fiori di loto, mentre la sua pelle avrebbe portato ancora a lungo i segni – e i profumi – di quella notte che avevano condiviso insieme. Quando lo vide afferrare la scimitarra che aveva riposto in un angolo, Fatima sentì un brivido correrle lungo le braccia. Si coprì il corpo con uno dei veli che la circondavano, ma nemmeno questo servì a placare l’emozione che la travolse non appena lo vide avvicinarsi alla porta.
«Hasan. Non dimentichi niente?»
Lui si fermò, poi si voltò a guardarla. Il suo volto era cambiato, adesso. Il piacere che gli aveva regalato quella notte era del tutto svanito. Il sole era sorto. Aveva dismesso i panni di chi voleva essere ed era tornato chi doveva essere. Un uomo senza sentimenti e senza rimpianti. Un pirata e un assassino.
Fece per estrarre qualche moneta, poiché per le informazioni le puttane erano solite chiedere un extra. Fatima, però, lo raggiunse e gli avvolse uno dei suoi veli intorno al collo, così da attirarlo a sé.
«Ho già avuto le monete che mi spettano» disse sorridendo. «Da te ora voglio qualcosa di diverso.»
Hasan lanciò un’occhiata veloce oltre le tende d’organza e verso l’orizzonte. Il sole era alto. Il tempo dei piaceri era ormai concluso, e così quello in cui Fatima era prigioniera dell’uomo che gestiva il bordello in cui si trovavano. Ora era una donna “libera” e da tale stava parlando.
«Voglio un tuo segreto» sussurrò piano, così che soltanto lui potesse sentirla. «Voglio che tu mi dica qualcosa che non hai mai detto a nessun altro.»
Le dita di lei corsero veloci ad accarezzargli il viso. Per un istante parvero seguire le linee delle scaglie di serpente che occupavano il lato sinistro del suo volto, ma poi deviarono verso le spalle e qui si posarono fino a circondarle in un abbraccio. I suoi occhi si fecero mesti, supplici. La sua voce si incrinò appena, come accadeva soltanto un istante prima che raggiungesse il piacere insieme a lui.
«Dimmi chi sei.»
Hasan esitò. Avrebbe potuto rispondere in molti modi a quella domanda senza mentire. Era un pirata, un ladro, un guerriero e persino un assassino. Qualcosa dentro di lui, però, gli suggeriva che nessuna di queste risposte avrebbe accontentato una donna come Fatima. In quel momento, con la mente resa leggera dalla lunga notte d’amore, sentì quindi le proprie labbra piegarsi fino a incidere una nuova verità nel corpo di quella che non sarebbe mai stata una delle tante puttane di Gerusalemme; non per lui. Si piegò su di lei, così da poterle accarezzare l’orecchio con la voce e sussurrarle parole che una donna bella come lei si era sentita rivolgere in molte altre occasioni, ma che per la prima volta le scaldarono il cuore.
«Sono un uomo che troverà sempre il modo di tornare da te» le disse.
Fatima avvertì nitidamente il proprio respiro fermarsi in gola. Spalancò gli occhi incredula, incapace di comprendere se avesse realmente avvertito il sentimento nascosto in quella risposta, o se lo avesse soltanto sognato. Era una donna di mondo; una puttana. Gli uomini erano soliti cercarla per appagare i propri istinti. Hasan non era mai stato da meno degli altri, anche se durante ognuna delle loro notti aveva percepito qualcosa di diverso da tutte le altre della sua vita; qualcosa che l’aveva spinta a sperare che nessuno, nemmeno il passato di cui non le aveva mai parlato, sarebbe mai arrivato a portarlo via da lei.
«Davvero tornerai ancora?»
Hasan le sorrise, prendendole le mani. La magia della notte era completamente svanita. Il sole aveva riportato alla luce i tatuaggi che gli segnavano tutto il lato sinistro del corpo, spaccandolo a metà il suo aspetto e la sua anima. Era un uomo terribile; capace di staccare la testa ad un uomo con le stesse mani con cui si ancorava ai fianchi di Fatima un istante prima di affondare in lei e nel suo amore. Esitò a risponderle, non perché non volesse, ma perché quando il mare ed il passato chiamavano a nessun uomo era dato sottrarsi al loro canto fatale. Quando però tornò a guardarla, quello che provò di rimando fu così intenso e così folle da scacciare qualsiasi dubbio dalla sua mente.
«Inshallah» rispose semplicemente. Se Dio vuole. Ed intanto il suo cuore cullava un desiderio soltanto: quello di tornare al più presto da lei, a casa.
 






FINE





Questo racconto breve è nato dalla richiesta di diverse lettrici di sapere qualcosa di più su uno dei personaggi de “La Chiave d’Oro”: Hasan, appunto.
Se, al contrario, foste interessati a saperne di più sul romanzo a cui appartiene vi lascio link e sinossi per completezza.
Alla prossima, Mivi ^^
 

La Chiave d'Oro
Mar Mediterraneo, 1314
Quando il crudele capitano Croix assalta la maestosa Arcadia, l'ultima cosa che si aspetta è di trovare la sua stiva vuota. La famiglia a cui appartiene, quella dei Chillemi, è infatti una delle più ricche di Roma. Sarà l'intuito a guidarlo verso il segreto che nasconde e che accomuna due individui all'apparenza inconciliabili.
L'amuleto al collo della giovane Evelina, figlia dell'uomo a cui è stato dato l'incarico di ripulire le acque del Mediterraneo dai pirati, è infatti perfettamente identico ad uno che Croix ha già visto addosso al capitano di una nave da guerra francese. Un uomo, le cui ultime parole sono state "Je n’ai pas parlé".
Non ho parlato.


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