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Autore: ___scream    03/02/2015    2 recensioni
[Sherlock(BBC)!AU] [Raccolta di One-Shots]
Johnny Seward è un medico militare appena congedato dalla guerra in Iraq. Ritorna in Inghilterra, la sua patria, e rischia di cadere nel baratro della depressione. Quando incontra James Sullivan, un "consulente investigativo", la sua vita cambia radicalmente.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johnny Christ, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: It's not over 'till you're underground. 
Raiting: Verde (potrebbe variare ma okay). 
Avvertenze: Movieverse; OOC; AU (terribilmente). 
Note: Okay, ci siamo. E' tipo la prima volta che pubblico qualcosa su questa sezione anche se ascolto gli Avenged Sevenfold da taaanto tempo. Ho deciso di non pubblicare tutte le altre scemenze depresse e nosense, ma di pubblicare questa cazzata. Ho praticamente unito due delle cose che amo di più al mondo: gli Avenged e Sherlock (diciamo tutto l'universo di Sherlock Holmes, anche se c'è un big love per la serie della BBC). Per chi non conosce la serie tv, Sherlock è una serie della BBC, che adatta i romanzi di Sir. Arthur Conan Doyle di Sherlock Holmes, ai giorni nostri. Detta proprio brevemente, okay. E boh, spero che a qualcuno piaccia questa idea (cioè a nessuno vbb okay me ne farò una ragione). Anche se la Johnlock è la OTP preferita, sono seriamente indecisa se farla diventare una slash o no, e questo dubbio esistenziale me lo porterò per tutta la vita (??) però boh, pensiamo al presente e basta, stop. 
DISCLAIMER: NON MI APPARTENGONO, NON SCRIVO A SCOPO DI LUCRO. I PERSONAGGI DI SHERLOCK APPARTENGONO A SIR ARTHUR CONAN DOYLE (IN PRIMIS (?)) ED A GATISS E MOFFAT PER LA SERIE TV DELLA BBC. MENTE GLI AVENGED .. BEH, PENSO A LORO STESSI! (cwc)

 
 
 
 
IT'S NOT OVER 'TILL YOU'RE UNDERGROUND


A Study in Avenged Sevenfold 





 

Si sdraiò sul materasso, chiudendo gli occhi.
Bam.
Bam.
Seward!
Riaprì gli occhi, sedendosi di scatto e portandosi una mano alla spalla, d’istinto.
Deglutì, mentre cercava di regolarizzare il respiro. Non si era nemmeno addormentato, quello non era neppure un incubo.
Richiuse le palpebre, sdraiandosi di nuovo. Passò una mano sul viso, prima di girarsi su un fianco e cercare di dormire.
Era tornato da pochi mesi dall’Iraq, ma i rumori degli spari, le urla, il sangue .. la guerra, tormentavano ancora il suo sonno.
Forse era più esatto dire ‘la sua vita’.
Johnny Seward, medico militare appena congedato per una ferita da arma da fuoco alla spalla, era incredibilmente annoiato.
Magari anche depresso, la sua terapista continuava ad insinuarlo e l’aveva vista scriverlo sul suo taccuino. Leggere al contrario non era difficile, e Johnny aveva una buona vista – oltre ad avere una precisione invidiabile.
Si addormentò in pochi minuti, stringendo inconsapevolmente le coperte quando vede Steve venire colpito e cadere a terra con un fiotto di sangue al seguito.
Voleva svegliarsi, voleva dimenticare tutto.
Non voleva più chiudere gli occhi e rivedere i suoi compagni morire uno dopo l’altro. Era stato l’unico a sopravvivere in quella missione, e avrebbe preferito di gran lunga morire dissanguato.
Doveva ringraziare l’arrivo dei soccorsi medici, o sarebbe sotto terra.
Per questo, non si considerava un depresso; era anche vero che la sua vita non la viveva poi così tanto appieno, che non avesse più quella vitalità e allegria che aveva prima della guerra.
Anni vittoriosi, pieni di gloria che l’hanno solamente fatto arrivare ad un grado più alto nell’esercito.
Era un Capitano, veniva rispettato dai suoi soldati. Eppure, quando si erano resi conto che era diventato un Capitano difettoso, l’avevano congedato all’istante, mandandolo a casa con un alloggio e una pensione dell’esercito. Come per ripagare tutti gli anni passati nella sabbia, nel sangue e sudore.
Ce l’aveva appiccicato addosso, il sangue.
Suo, dei suoi soldati. Dei suoi fratelli, compagni.
Non erano solamente soldati. Ci conviveva con quei bastardi, giorno e notte, in quegli accampamenti che venivano solamente bombardati e basta, mai lasciati in pace.
Quante cose aveva visto? Quanta crudeltà?
Bambini soldato, donne decapitate e messe su un paletto, soldati – esseri umani – uccisi come se stessero giocando ad un videogame. Era tutto terribilmente vero, lì.
Una cosa che la sua stupida terapista – allegata alla pensione e all’alloggio come Confezione Famiglia – non riusciva a comprendere, e non avrebbe mai potuto.
A saperlo, non avrebbe mai scelto quella strada. Ma gli era – tuttavia – piaciuto il suo lavoro. Fare il medico era sempre stato il suo sogno.
Nei suoi stupidi desideri da adolescente, si vedeva tornare a casa con la valigetta, un paio di baffi e degli occhiali spessi, rotondi, stile Harry Potter. Vedeva una donna – bella, formosa – con un grembiule, che gli correva incontro e che lo baciava teneramente sulle labbra, mentre uno o due marmocchi urlavano ‘papà, papà!’, in un perfetto quadretto familiare e caloroso. Dopo che gli avevano sparato, otre ad aver sentito il sapore e l’odore della sabbia ancora più forte, aveva sentito la vita lasciare il suo corpo, prima di essere spinta con più forza all’interno di esso. Era come resuscitato, l’ultima cosa che voleva in quel momento.
E dopo quell’orribile esperienza, non vedeva più una donna e due bambini, ma una pistola, nera, lucida, irresistibile.
Quanto sarebbe stato facile afferrarla e spararsi un colpo alla tempia, spappolando il suo cervello contro la parete del muro? Troppo, in effetti.
Ma non voleva morire in un modo banale.
Cosa piuttosto stupida da pensare visto che, Johnny Seward, non desiderava altro che essere morto.
 
 




*  *  *
 
 



La terapista gli aveva chiesto come stava andando il suo blog.
Aveva mentito, rispondendo che andava bene. L’aveva sgamato lo stesso. Non si perdonava di essere stato così incauto nella risposta.
Aveva anche detto che non gli succedeva niente.
Aveva mentito anche quella volta. Ma la terapista non aveva infierito più a fondo, limitandosi a scrivere qualcos’altro sul suo taccuino ed a sorridergli.
Vomitevole.
 
Ci ripensava, Johnny, mentre zoppicava con il suo bastone, verso l’appartamento datogli dall’esercito.
“John? Johnny Seward!”, esclamò la voce di un uomo.
Johnny si girò, squadrando quel viso che nella sua mente non gli era nuovo.
“Sono Arin, Arin Ilejay!”, disse l’uomo, sorridendogli. “Lo so”, convenne poi. “Sono dimagrito!”.
Il medico si riscosse, stringendogli la mano. “No no”, mentì. Era anoressico. “Arin, sì. Ora mi ricordo! Frequentavamo il Barts insieme!”.
Arin annuì. “Ti va di prendere un caffè? Ho sentito che ti sei fatto sparare!”.
“Mi hanno sparato”.
L’uomo si ritrasse un po’ con il busto a quella affermazione, trasformando il suo sorriso in una smorfia confusa e vagamente preoccupata. 
 
 
Si sedettero al tavolino di un piccolo bar, ordinando due caffè doppi.
“Studi ancora al Barts?”, chiese Johnny, addentando la sua brioche alla marmellata.
“No, ora ci insegno. Quei bastardi, ah, li odio!”, scherzò, ridacchiando. “E tu?”, chiese, quando arrivarono i caffè.
“Oh, io sto .. bene, diciamo”, borbottò. “Tiro avanti”.
“E dai, John! Non penserai che io ci caschi anche questa volta! So quando stai mentendo o no, non scordartelo. Al college, quando ti trombavi qualcuna, io sapevo sempre sgamarti!”.
Risero entrambi, ricordando quei momenti che sembravano molto lontani – lo erano, infatti.
“Io .. è che odio stare fuori da Londra”.
“Abiti in periferia?”.
Johnny annuì. “L’appartamento che mi ha consegnato l’esercito è fuori città. Ma non mi piace”, confessò.
Arin sorseggiò il suo caffè, lentamente. Poi, s’illuminò. “Perché non ti trovi un coinquilino?”, suggerì.
L’ex soldato ridacchiò. “Un coinquilino?”, ripeté. “Andiamo, chi vorrebbe un coinquilino come me?”.
L’insegnante scosse la testa, affondando le labbra nella sua tazza di caffè. Lo guardò di sottecchi, trattenendo una risata e fissando poi la finestrata.
“Che c’è?”, richiese lui, notando quel comportamento.
“Sei la seconda persona che me lo dice, oggi”, rivelò, ridendo.
Johnny si fermò per qualche secondo.
Finì il suo caffè, mangiò gli ultimi residui della sua brioche, poi guardò il vecchio amico. “Chi era il primo?”.
 
 
 
*  *  *
 
 
 
Jimmy Sullivan voltò il cadavere, analizzando i lividi sul braccio e sulle gambe. “Direi che è morto da poco, ventisei ore e circa quaranta minuti, se i miei calcoli non sono errati”, disse. “Ha un colorito troppo chiaro per essere morto da più di cinquanta minuti”.
Zacky Baker annuì, prendendo in mano la sua cartellina e scorrendo fino al nome del paziente morto. “Jacob Nigel”, lesse. “Oh, era un mio ex”, si ricordò, poi. Non si scompose, alzando le spalle.  “Hai indovinato, Jimmy! Ventiquattro ore e quarantaquattro minuti dal decesso”.
Jimmy storse il naso. “Indovinato”, sputò. “Ho calcolato, Zachary. Sai che vuol dire?”, sbottò, poi. Proprio mentre stava per rimettersi ad osservare il cadavere, notò qualche particolare. “Vedo che la vita di coppia ti fa bene, Zachary. Hai messo su un chilo e mezzo”, disse, facendo una smorfia – che doveva essere un sorriso.
“Un chilo”, ribatté il patologo.
“Mh, non direi proprio”.
Il ragazzo sbuffò, grattandosi nervosamente i capelli, poi. “Che ne dici di prendere un caffè?”, propose, poi, con una nota di speranza nella voce.
Non che volesse farsi Jimmy Sullivan. Voleva solamente arrivare ad un livello superiore, per lui, smettere di essere Zacky Baker il patologo e diventare Zacky Baker l’amico. Ma niente.
“Sì, grazie. Due zollette di zucchero e un goccio di latte. Per favore, portamelo su in laboratorio, devo andare ad esaminare queste particelle di urina che ti sono sfuggite”.
Detto questo, si tirò indietro dal corpo morto, sorridendogli e uscendo dall’obitorio, salendo le scale per i laboratori.
“Okay ..”, sussurrò Zacky, richiudendo il cadavere e togliendosi i guanti.
 
Stava giusto esaminando quei campioni, quando Arin Ilejay e un altro uomo entrarono.
“Oh, è certamente cambiato da quando studiavo qui”, sospirò l’uomo.
Jimmy lo guardò con la coda dell’occhio.
In pochi secondi riuscì a racimolare tutte le informazioni necessarie e basilari sull’uomo.
“Arin, potresti passarmi il tuo telefono? Il mio l’ho lasciato all’obitorio,  e ho finito il credito”.
“Perché non usi quello fisso?”.
Jimmy lo fissò, freddandolo sul posto. “Preferisco gli SMS, e tu lo sai”.
Arin sospirò, tastandosi le tasche. “Scusa, mi sa che l’ho lasciato nell’armadietto”.
Sbuffò, roteando gli occhi.
“Tenga, usi il mio”.
Si girò lentamente verso l’uomo – un medico militare, ma Afghanistan o Iraq? –sibilando un ringraziamento ed afferrando il cellulare.
Scrisse velocemente il messaggio. Nel prendere il telefono osservò velocemente l’entrata per il caricatore, vedendo dei segni – un possibile alcolizzato? – e sentì un’incisione sulla batteria – Frank? Chi è Frank?
Quando finì, lo restituì. “Afghanistan o Iraq?”, chiese, a bruciapelo.
“Cosa?”, chiese Johnny Seward – Arin l’aveva presentato prima, ma non ci aveva badato molto -, destabilizzato.
“Dove ha combattuto, in Afghanistan o Iraq?”.
Il medico non disse niente per qualche millesimo di secondo – ferita ancora aperta, analizzò – prima di sospirare un “Iraq”.
“Sospettavo”, disse, sorridendo in modo felino e tornando ai suoi esperimenti. “Suono la batteria, il violino e la chitarra acustica, quando penso. Spero che non le dia fastidio. Ah, certe volte parlo interrottamente per giorni interi, ignorando la scarsa produzione di saliva che si presenta. Penso che due possibili coinquilini debbano sapere i difetti dell’uno  e dell’altro”.
“Arin .. gli hai parlato di me?”, chiese Johnny, sconcertato.
“E chi ha mai detto niente?”, fu la risposta dell’insegnante, che sorrideva.
“E allora chi ha parlato di coinquilini?”.
“Io”, rispose Jimmy, afferrando il suo chiodo ed indossandolo. “Ho confessato ad Arin che non sono il tipo adatto per essere un coinquilino, ma ho ammesso che me ne servirebbe uno, e lui si è presentato con un altro uomo, due ore e trentacinque minuti dopo, che è stato congedato dall’Iraq e che necessita di un appartamento. Non è stato poi così difficile trarre le mie conclusioni”.
Johnny rimase a bocca aperta.
“Ho adocchiato un appartamento in centro Londra, non molto distante da qui”, continuò. “Ora, scusatemi, ma devo recuperare il mio telefono all’obitorio e non ho proprio tempo per fermarmi a parlare”, sospirò, sorridendo e facendo per andarsene.
“Tutto qui?”, domandò Johnny.
“Tutto qui, cosa?”.
“Non so neppure il suo nome e lei ha appena detto che ha visto un appartamento in centro Londra da condividere con me. Non so dove dobbiamo incontrarci e non sappiamo niente l’uno dell’altro!”.
Jimmy ghignò, lasciando la presa della maniglia e girandosi verso l’ex soldato.
“Io so che lei è un medico militare, congedato da una  guerra  in Iraq, per colpa di una ferita da arma da fuoco. Ha un disturbo alla gamba sinistra, psicosomatico, temo. So che ha un fratello alcolizzato, e che non vuole chiedergli aiuto, poiché è appena uscito di galera dopo aver avuto dei problemi con la moglie. Magari violenza fisica, forse hanno addirittura chiesto il divorzio”, snocciolò, con la voce piena di orgoglio per se stesso. “Direi che basta per condividere un appartamento, o sbaglio?”. Sorrise. “Ah, il mio nome è James Sullivan, e l’indirizzo è il 7x, Avenged Street. Buona mattina!”.
Dopo quelle rivelazioni, che avevano lasciato Johnny con un senso amarognolo in bocca, se ne andò con passo spedito.
Fece per aprire bocca, ma Ilejay lo precedette.
“Sì, fa sempre così”, assicurò, sospirando, prima di scoppiare ridere.
 
 
Tornato a casa, controllò i messaggi.
 
Se il fratello ha un coltello laccato di verde, nel cassetto in cucina, arresta il fratello.
-JS
 
 
Quando scrisse ‘James Sullivan’ sulla barra di ricerca di Google, si aspettava di tutto, ma non un blog chiamato ‘The Science of Deduction’, in cui elencava i vari tipi di tabacco e le sue strambe ricerche sugli atomi.
Più che ricerche, sembravano saggi.
Chiuse il portatile, esasperato.
Ma che cazzo era successo?
 
 
 
*  *  *
 
 
 
Uscì dall’appartamento – uno squallido, squallidissimo monolocale con le tubature del bagno che non funzionavano – con due profonde occhiaie sotto gli occhi.
Non era riuscito a dormire quella notte, dopo aver fatto un incubo che lo aveva praticamente scandalizzato al massimo. Verso le tre di notte aveva acceso il suo portatile, era andato sul suo blog e lo aveva aperto per scriverci qualcosa. Aveva tante cose da raccontare, si poteva dire.
Non voleva spendere neppure una parola sul suo passato in Iraq, anche se la sua bio ne utilizzava già molte.
Voleva parlare di quanto gli fosse sembrato strambo Jimmy Sullivan, di quanto aveva saputo dedurre solamente guardandolo.
Che dire, ci stava ancora pensando.
Afghanistan o Iraq?
Era bastata solamente quella domanda per fargli venire i brividi a fior di pelle. E Johnny sospettava che non fosse solamente per il ricordo della guerra.
Era stata la sua voce, che quando gliel’aveva chiesto era diventata profonda e i nomi di quei disperati e sanguinosi stati erano scivolati fuori da quelle labbra dalla forma strana, che – no, per carità! – Johnny non aveva fissato per niente. Poi, una volta fuori dall’osservazione della voce di Sullivan e delle sue labbra, era arrivato il ricordo della guerra, degli spari.
E rispondere era stato spontaneo.
Iraq.
Il nome di uno stato che racchiudeva tutti i suoi incubi peggiori.
Per quanto volesse buttar giù qualche parola su quello strambo di Sullivan, non riuscì a scrivere niente, quindi si limitò a chiudere di scatto il laptop ed a mettersi giù, cercando di addormentarsi.
Speranza vana.
Aveva deciso di non prendere un taxi ma la metro – la preferiva, comunque, perché non era solo con una persona ma ce n’erano molte, tutti diverse le une dalle altre -  e stava ascoltando qualche canzone a caso sul suo mp3, osservando la donna addormentata davanti a sé ed immaginando la sua vita.
Lo faceva sempre, fantasticare sulla vita degli altri. Era un vizio che non riusciva a togliersi,  ben sapendo che non fosse un gesto molto educato.
Quando arrivò la sua fermata scese dal mezzo, dirigendosi sulle scale del sottopassaggio ed arrivando all’indirizzo che Jimmy Sullivan gli aveva dato il giorno prima.
Aspettò qualche minuto, prima di vederlo scendere da un taxi. Aveva i capelli scompigliati e umidi di pioggia.
Johnny gli si avvicinò, salutandolo e stringendogli la mano.
“Jonathan, piacere di vederla”, lo salutò Sullivan, con la sua solita smorfia.
“Sullivan”, disse. “Come fa a sapere il mio nome per intero?”.
“Non è stato troppo difficile indovinarlo. E mi chiami pure James, lo fanno tutti. Anche se con dei soprannomi inopportuni e fastidiosi, per me”.
Johnny lo fissò, prima di sorridere. “Ma certo. James”.
L’uomo lasciò la presa della sua mano, bussando alla porta dell’appartamento.
Una donna sui sessant’anni era dietro la soglia, con un sorriso stampato sulle labbra. “Jimmy! Oh, caro, mi hai fatto preoccupare!”, esclamò, abbracciandolo stretto. Gli accarezzò la guancia, con fare materno.
“Signora Black! Non si deve più preoccupare, va bene? E’ totalmente inutile sprecare energie in questo modo”, disse, serio. Poi, si girò verso l’altro uomo. “Le presento Jonathan Seward”.
“Oh, ciao, caro! Presto, entrate!”, esclamò ancora una volta, facendosi da parte per farli entrare. “L’appartamento è al piano di  sopra”.
Johnny contò uno per uno quei quattordici scalini, facendoli con il suo bastone e la sua gamba malandata.
Quando arrivò alla soglia dell’appartamento, si guardò intorno.
Beh, era bello, doveva ammetterlo.
“Oh, è carino”, sospirò, guardandosi intorno.
Jimmy era dietro di lui, che analizzava ogni sua mossa ed ogni suo sguardo. “Sì.. neppure eccessivamente grande, penso che sia perfetto per due”, convenne.
“Una volta tolta tutte queste cianfrusaglie ..”.
“Che sono mie”, intervenne, la voce venata di divertimento mal celato.
“Oh!”, esclamò Johnny, guardandolo. “Mi dispiace, non intendevo-“
“Jimmy! Guarda che casino!”, fu interrotto dalla Signora Black, che si guardò intorno con disappunto. “John, caro. C’è una camera al piano superiore, se vi serve ..”.
“Certo che ci serve”, disse Johnny, scuotendo la testa confuso.
“Oh, non vi dovete vergognare! Si vede di tutto in giro! La signora qua accanto preferisce le donne sposate”.
L’ex soldato arrossì, mandando uno sguardo d’aiuto all’altro uomo, che lo fissava ancora con curiosità. Non aveva negato niente?
“Cosa ne pensi di questi suicidi, caro?”, chiese la donna, sistemando in cucina il casino che aveva creato Sullivan.
“Che non sono suicidi, prima di tutto”, rispose. “Ce ne sono stati quattro ..”.
“Io avevo letto tre”, ribatté Johnny.
“Ce n’è stato un altro”, replicò, guardando fuori dalla finestra.
Proprio mentre finiva la frase, la porta si aprì.
“Ispettore Sanders. Mi dica”, lo accolse con tono annoiato, Sullivan.
“Ci serve il tuo aiuto”, esordì. “Non riusciamo a venirne a capo, e ce n’è stato un altro”.
Ci? Andiamo, Sanders, lo ammetta. E’ lei che ha bisogno di me, perché proprio non riesce a fare a meno della mia presenza e delle mie deduzioni”, ghignò. “Diverso, in qualche modo, se non erro”, riprese il discorso, notando la faccia impassibile dell’Ispettore.
“Sì. Allora? Viene?”.
Jimmy parve pensarci su. “Chi c’è della scientifica?”.
“Way2”.
“Argh, non lavoro bene con Way. E’ talmente .. stupido”.
L’Ispettore Sanders roteò gli occhi. “Allora? Viene?”, richiese.
“Verrò con un taxi, aspettatemi sulla scena del crimine”.
Sanders salutò e se ne andò.
Dopo che uscì dall’appartamento, Jimmy scoppiò a ridere e fece una giravolta su sé stesso. “Quattro omicidi che paiono suicidi! Sembra Halloween!”, gridò, fuori di sé dalla felicità. “John, si sieda pure e prenda una tazza di tè. Io vado, non aspettatemi alzati!”.
La signora Black scosse la testa. “E’ sempre su di giri quando succedono queste cose! Ma lei mi sembra una persona tranquilla”, commentò, posandogli una mano sulla spalla. “Che ne dice di una tazza di tè? Tanto per aspettare il suo uomo!”.
“Signora Black, io e Sull- James, non stiamo insieme”, negò.
La donna fece una faccia come di chi ne sa lunga. “Vado a preparare il tè”, disse poi, ridacchiando.
Prese il giornale sul tavolo, sfogliandolo. Lesse il caso, interessandosi.
“Lei è un medico militare appena congedato”.
Si voltò verso James, che lo fissava appoggiato allo stipite della porta.
Annuì.
“Ha curato tante persone e visto .. tante morti sanguinolente e crudeli”, continuò l’uomo.
“Molte. Che bastano per una vita o anche più”.
Ci fu qualche secondo di silenzio. “Ne vuole vedere altre?”.
“Oh mio Dio, sì”, gemette, alzandosi di slancio dalla poltrona su cui era seduto e fiondandosi fuori dalla porta insieme a Sullivan.
“Niente tè, signora Black. Temo che dovremmo rimandare”.
“Come, andate tutti e due?”.
“Quattro omicidi che paiono suicidi, signora Black!”, ripeté James, prendendole il viso tra le mani e schioccandole un bacio sulla guancia. “Non me lo perderei per nulla al mondo!”.
La donna rise, dandogli un colpetto sulla spalla. “Non bisognerebbe essere così felici, James. Non è .. educato”.
“Al diavolo la decenza!”, esclamò Jimmy, ridendo. “Il gioco, signora Black, è iniziato!”.
Johnny lo seguì, ripetendo quella frase nella testa e sentendosi, per la prima volta, libero.
 
 
 
 


* * *
 
 




“Come ha fatto ad indovinare sul fatto dell’Iraq?”, chiese, Johnny, sedendosi accanto all’uomo, sul taxi.
Jimmy sospirò. “La curiosità ha colpito anche lei, vedo”, notò. “Prima di tutto, dal taglio di capelli”, esordì. “E’ il tipico taglio dei soldati. Anche il suo atteggiamento. Poi, ha detto che ha studiato al Barts, con la frase ‘è diverso dai miei tempi’. Medico militare, quindi”, continuò.
“Ma come ha fatto ad indovinare dell’Iraq?”, richiese, impaziente.
“L’abbronzatura, John. E’ abbronzato sulle mani e sul viso, ma il colorito leggermente scuro non supera i polsi, quindi è evidente che non è andato in uno stato Mediterraneo per una vacanza. E’ in corso una guerra in Afghanistan e in Iraq, entrambi stati decisamente assolati, quindi è ovvio che avesse combattuto in uno di questi due”.
Johnny rimase in silenzio per qualche secondo. “E del disturbo psicosomatico?”.
“Ha il bastone e zoppica, quindi ha un problema alla gamba. Ma non ha chiesto una sedia ed ha preferito rimanere in piedi, segno che se n’è dimenticato. Quindi, è in parte psicosomatico”.
“E come ha fatto a sapere che ho una terapista?”.
“Se ha un disturbo psicosomatico è ovvio che ce ne abbia una”, replicò Jimmy, digitando qualcosa sul suo iPhone.
“E di mio fratello e di sua moglie?”.
Sembrava più un interrogatorio, ormai.
Il tassista li fissava dallo specchietto retrovisore, confuso.
“Il suo telefono”. Tese la mano. Johnny lo tirò fuori dalla giacca e glielo posò sul palmo. Jimmy lo strinse con le dita, girandolo ed osservandolo.
“La dedica, sulla batteria. Lei non si chiama Frank ma Jonathan, e anche se fosse un secondo nome, non lo scriverebbero. E’ come se mi chiamassero Owen, non avrebbe senso”, disse. “Oltre a questo, è anche il valore del telefono. Non è un genere che si può trovare ad un prezzo economico, anzi. Quindi, non è suo. Lei cerca un coinquilino, non si può mica permettere un telefono del genere”, disse. “Poi, Andrea. Ovvio che è un regalo da parte di qualcuno d’importante. Non una fidanzata, ma una moglie, come indicano le tre x sotto il nome. Però, il telefono lo ha dato a lei. Segno che tra loro due è finita. Tra marito e moglie, di solito, non finisce per una litigata comune. Quindi, è successo qualcosa di molto grave. Il telefono è scheggiato, l’entrata per il caricabatterie pure. Magari beveva, e non è riuscito a fermare il suo vizio”. Prese un respiro. “E’ un po’ una deduzione avventata, ma credo che sia giusta. Questi segni non li vedrai mai sul telefono di una persona sobria, ma non mancheranno su quelli di un alcolista. Problemi con la moglie, più problemi con l’alcool, risultato: un divorzio e un regalo, da parte della ex che vuole dimenticare, dato al fratello, che tuttavia non vuole chiedergli aiuto. Forse perché ha paura o perché non accetta la sua scelta”, concluse.
Johnny rimase zitto, fissando fuori dal finestrino.
All’apparenza sembrava calmo, ma non lo era veramente.
Uno sconosciuto gli aveva appena rivelato buona parte della sua vita, senza neppure dargli il tempo di prendere fiato e metabolizzare il tutto.
“Si sente bene?”, chiese Jimmy, analizzandolo con lo sguardo.
“Penso solamente che tutto questo sia stato fottutamente mostruoso”, rispose Johnny. “Ma fantastico. Straordinario. Insomma .. come fa?”.
“Io .. osservo e basta,  John”, disse Jimmy. “E’ la prima persona che dice questo”.
“Perché, le altre cosa dicono, di solito?”.
“Vaffanculo”.
Si guardarono, prima di sorridersi a vicenda e distogliere lo sguardo, arrossendo impercettibilmente.
 
 
 
 
Gli era toccato andare a cercarsi un taxi.
Jimmy lo aveva lasciato all’improvviso sulla scena del crimine, andandosene per i conti proprio per andare ad indagare in giro, seguendo il filo logico delle sue deduzioni – brillanti.
Stava giusto camminando accanto ad una cabina telefonica – vuota, per giunta – quando il telefono all’interno di essa cominciò a squillare.
Lo fissò con malcelata curiosità. Fece per entrare, quando scosse la testa, si girò, e camminò avanti, verso il centro.
“Taxi!”, urlò, facendo segno con una mano. Questi lo ignorò, sorpassandolo. Sbuffò, seccato.
Un altro telefono cominciò a squillare. Era quello all’interno del salone di parrucchieri davanti al quale stava camminando; lo fissò di nuovo, quando uno dei parrucchieri si fece avanti e rispose.
Johnny, stai impazzendo, si disse, ridacchiando.
Passò davanti ad un’altra cabina e, come a farlo apposta, il telefono cominciò a squillare.
Spazientito, entrò dentro la cabina rossa, alzando la cornetta.
“Sì?”, rispose.
E’ circondato da telecamere che osservano ogni suo movimento. Riesce a vederle?”.
Johnny s’irrigidì. “Con chi parlo?”.
Si giri alla sua sinistra, dottor Seward. C’è giusto una telecamera che la sta riprendendo”.
L’ex soldato fece come gli era stato detto.
Allora, riesce a vederla?”.
“Sì”, affermò.
Ce ne sono altre due alla sua destra e un’altra davanti a lei”, continuò la voce dell’uomo.
“Scusi, sto per caso parlando con uno stalker?”.
L’uomo al telefono sbuffò. “Voi gente comune pensate solamente alle cose più banali che avete solamente visto nei film che danno la sera tardi”.
Johnny tacque, non sapendo cosa replicare.
Un’auto nera sta accostando davanti alla cabina in cui si trova, in questo momento. Le consiglierei di salire”.
Squadrò l’auto nera. Poi, fece la scelta più sbagliata della sua vita.
Uscì dalla cabina e salì.
 
 
“Chi è lei?”, chiese, con la voce incolore.
Un uomo sulla quarantina, se ne stava ritto in piedi, con un sorriso vagamente inquietante dipinto sulle labbra. “Dottor Seward. Prego, si siedi”, disse quello, indicando la sedia che era posizionata davanti a lui.
“Perché mi trovo qui?”.
“La gamba deve fargli male. Forza, si siedi, si metta comodo”, insistette l’uomo.
“Non voglio sedermi”, specificò Johnny, sorridendo in modo molto finto. “Ora, la prego di rispondere alle mie domande”.
L’uomo sospirò. “Ho sentito che lei è diventato incredibilmente .. vicino a Jimmy Sullivan. Cos’è, un suo amico?”, chiese, girandosi il bastone tra le mani.
“Sono .. un conoscente, suppongo”.
“Un conoscente, ovviamente. Quando lo ha incontrato, di preciso?”.
“Ieri”, rispose.
“Oh. E in un solo giorno lei è andato a convivere con lui e adesso risolvete crimini insieme, giusto?”.
“Ma chi è lei, scusa?”.
L’uomo ridacchiò. “Sono quello più vicino ad un amico che Jimmy ha”.
“Ossia?”.
“Un nemico”, sospirò.
Johnny rise. “Un nemico? Beh, wow”, commentò.
“Le vorrei fare una proposta”.
“Non accetto nessuna delle sue proposte”.
L’uomo lo ignorò. “Voglio offrirle del denaro. Una somma discreta, non c’è che dire. Farò spedire una busta ogni mese contenente i soldi al .. 7x Avenged Street? E’ giusto?”.
“In cambio di cosa?”.
Non era interessato. Voleva girarsi e tornarsene a casa all’istante.
“In cambio di .. informazioni. Su Jimmy. Niente d’imbarazzante o dettagliato, le assicuro. Solo .. sapere con cos’è in ballo”.
Johnny rise di nuovo. “Non penso che siano affari suoi”.
“Invece sì”, replicò l’uomo. “Mi preoccupo .. costantemente di lui”.
“Oh, carino da parte sua”, disse l’ex soldato, girandosene e facendo per incamminarsi verso l’auto.
Voleva andarsene.
“Qui dice .. problemi di fiducia. Mh. E ha deciso di fidarsi proprio di Jimmy Sullivan. Come mai?”.
“Che .. che cosa sta dicendo?”, domandò Johnny, girandosi di scatto.
L’uomo mostrò un taccuino. “La sua terapista ha segnato tutto qua dentro”.
Sbiancò. “Lei chi è?!”, strillò, infuriato. Come si permetteva di mettere mano a delle cose personali, importanti, della sua persona?
“Dica alla sua terapista di cambiare lavoro. Non ha capito niente di lei”.
“Ah, perché lei sì?”.
“Posso dedurre tutto dalla sua mano, dottor Seward. Posso dirle con fermezza che lei non ha paura della guerra”, disse.
Johnny chiuse gli occhi.
“A lei manca. E ha trovato il suo campo di battaglia con Jimmy. Corre per le strade ed analizza cadaveri mentre lui .. fa le sue deduzioni. Beh, non mi resta altro che darle il bentornato, dottore”.
Johnny lo fissò ancora una volta, prima di voltarsi e raggiungere l’auto zoppicando.
 
 
 



*  *  *
 
 
 
 
 
“Quindi .. lei ha una ragazza?”, chiese Johnny, punzecchiando la pasta con la forchetta.
Jimmy si girò verso di lui, uno sguardo confuso e vagamente terrorizzato in faccia. “No, certo che no!”, esclamò, tornando poi ad osservare fuori dalla vetrata. “Non è propriamente la mia area”.
“Un ragazzo, allora?”, incalzò. Il detective si girò di nuovo verso di lui. “Non ci sarebbe nulla di male”, si affrettò ad aggiungere l’ex soldato. “E’ totalmente normale, secondo me ..”.
Jimmy sospirò. “John. Per quanto il suo interesse verso di me mi lusinghi, deve sapere che io mi ritengo sposato con il mio lavoro, e che nessuna relazione amorosa potrebbe mai-“
“No! No no, James, ha capito male! Io non .. argh, io non .. intendevo .. flirtare con lei. Era solo pura e semplice curiosità”, spiegò, farfugliando.
Jimmy non replicò niente, guardandosi le mani per poi spostare di nuovo lo sguardo da fuori la finestrata.
 
 
Aveva semplicemente premuto il grilletto.
Aveva visto Jimmy tendere quella pillola verso l’alto ed arrivare ad appoggiarla alle labbra. Era bastata quella scena a farlo tremare di paura dalla radice dei capelli fino alla punta dei piedi.
Quindi aveva afferrato la pistola, aveva mirato alla spalla dell’uomo, ed aveva premuto il grilletto tanto mancato.
Si era trattenuto abbastanza da vedere l’uomo cadere all’indietro, a terra, con uno spruzzo di sangue.
Poi, se n’era andato.
Non usava più il bastone. Anzi, era dimenticato in salotto, appoggiato alla sua poltrona.
Non sapeva chi ringraziare. Jimmy? Se stesso? Il criminale tassista?
L’unica cosa che sapeva, era che era di sicuro merito di quel pazzo di Sullivan.
 
 
Lo trovò lì, seduto vicino all’Ispettore Sanders, con una coperta sulle spalle.
Gli stava dicendo qualcosa, prima di notarlo e bloccarsi.
A passi lenti  e misurati era arrivato davanti a lui, sorridendo veramente.
“Penso di doverla ringraziare, John. Senza di lei .. penso che sarei comunque sopravvissuto, ma la ringrazio lo stesso”.
Johnny scosse la testa. Sia mai che Sullivan ammettesse i suoi errori.
“Penso che possa ringraziarmi con una cena, James. Che ne dice?”.
“Beh, conosco un ristorante cinese aperto anche a quest’ora della notte”.
Il medico sorrise. “Andata. Mi faccia strada”.
Jimmy sorrise. “Sa, si può capire la qualità di un ristorante cinese dalla sua porta. Sta tutto su come sistemano le tendin- oh diamine, non tu!”, esclamò all’improvviso.
Johnny si ghiacciò sul posto, quando vide lo stesso uomo che l’aveva sequestrato.
“Ho seguito la maggior parte delle tue mosse, Jimmy”, disse l’uomo, con la stessa faccia annoiata. “Non riesci a non farti ammazzare per un solo giorno, vedo. Alla zia le si spezzerebbe il cuore, sapendoti sempre in pericolo”.
“Oh, sarei io la causa dell’infelicità della zia? Tua madre, per giunta, e non la mia? Stammi a sentire, Brian, pensa un po’ anche ai tuoi errori, al posto di starmi sempre col fiato sul collo!”.
“Aspettate .. zia?”, intervenne Johnny, confuso. “Voi siete .. cugini?”.
“Sì, purtroppo. La sorella di mia madre è sua madre”, rispose Jimmy, guardando il cugino in cagnesco.
“Non fare quella faccia, Jimmy. Sai che, per me, anche tu sei .. lento”.
“Sì .. senti, non ho voglia di stare a sentire tutte le tue critiche sulle mie azioni. Non hai qualche guerra da vincere o .. assassinare uno dei tuoi amici senatori? No, eh?”, ringhiò il detective, spazientito.
“Guerra da .. ma che ..?”.
Ogni minuto che passava, Johnny capiva sempre meno.
“E’ praticamente il governo britannico, ma a sentir lui, occupa solamente una posizione inferiore”.
“Oh”.
“Beh, buona serata, cugino mio”, lo salutò, prendendo per il polso Johnny e trascinandolo via.
Brian Haner si girò l’ombrello tra le mani, prima di fissare la sua assistente, Michelle.
“Michelle, aumenta il livello del loro status di sorveglianza .. al terzo grado, diciamo”.
“Scusi, di chi?”.
Brian sorrise, fissando i due che si stavano allontanando. “Di James Sullivan e del dottor Seward”.
 
 
 
  
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