Anime & Manga > Kuroko no Basket
Segui la storia  |       
Autore: Ortensia_    03/02/2015    2 recensioni
Io sono una persona e in quanto tale ho dei limiti.
Io sono uno scrittore e in quanto tale sarò giudicato per quello scrivo.

[...]
Chi sono io? Mayuzumi Chihiro. E cosa rimarrà di me? Un foglio di carta e una penna.
[...]
Se credessi nell'esistenza del Diavolo, sono sicuro che i suoi occhi sarebbero questi.
[ Vincitrice del contest "Ripopola Fandom" indetto da __Bad Apple__ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Chihiro Mayuzumi, Kiseki No Sedai, Ogiwara Shigehiro, Seijuro Akashi
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Gli occhi del Diavolo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo III

‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒ ‒



Dopo quel che mi è successo – ma l'ho visto davvero? L'ho incontrato davvero? – ho pensato di fare una pausa, ma è durata giusto il tempo della cena.
Ho scritto tutta la notte, terminando il secondo capitolo e cominciando il terzo.
Ho deciso che dedicherò un capitolo ad ognuno dei servitori, anche se non mi piace l'idea di dover lasciare da parte Akashi voglio parlare anche degli altri personaggi, dopotutto hanno un mostro leggendario da affrontare e non sarebbe giusto dedicare loro solo poche pagine.
Sento la testa incredibilmente pesante, ho bisogno di chiudere gli occhi e fermarmi un istante.
Respiro profondamente: è come se fossi rimasto in apnea da quando ho ricominciato a scrivere fino ad adesso.
Scosto le mani dalla tastiera, mi massaggio le tempie con le dita e apro gli occhi, guardo i fiori di ciliegio e mi soffermo su quello che ho trovato nel mio letto: non dovrebbe essere già appassito? Forse non ho immaginato soltanto Akashi, forse anche questi fiori sono frutto di una mia fantasticheria.
Ne sfioro uno con la punta di un dito, percepisco la consistenza morbida e fresca del petalo sulla pelle, lo vedo muoversi appena, sospinto dalla pressione che esercito col mio tocco.
Forse farei meglio a prendere questi fiori e buttarli via, ma sento che sarebbe un grosso errore se lo facessi. Vengono da Akashi, li terrò finché non saranno appassiti e sbriciolati dal tempo.
Sospiro sommessamente e rivolgo la mia attenzione alla pagina scritta per metà che campeggia sullo schermo del computer, sollevo lentamente la mano e mi sfioro la guancia per un istante, lì dove Akashi mi ha toccato.
Ho sentito realmente le sue dita sulla mia guancia, il suo tocco placido, morbido e freddo. Lo voglio vedere di nuovo, ora, e sarebbe possibile solo se fosse frutto della mia immaginazione.
«Akashi Seijuurou.» continuo a toccarmi la guancia e pronuncio il suo nome: mi piace il suo suono, è elegante e forte proprio come lui, ripeterlo mi fa sentire meglio, è una sorta di scossa che dà energia al mio corpo e mi ricorda che lui esiste, e forse non solo all'interno del mio romanzo.
Akashi Seijuurou.
Diventerà il mio mantra.
Rileggo le ultime parole scritte e poi mi alzo dalla sedia, mi sollevo in punta di piedi, inarco la schiena e tendo le braccia, mi sgranchisco le ossa e ne approfitto per chiudere di nuovo gli occhi, trattenendo a fatica uno sbadiglio: sono stanco, ma un tè caldo sarà sufficiente per farmi recuperare qualche energia e mi permetterà di tirare avanti per almeno un altro paio d'ore.


Il suono del campanello squarcia bruscamente il mio sonno, mi metto immediatamente a sedere e mi afferro il viso fra le mani, sfrego il dorso contro gli occhi chiusi e affondo le dita nei capelli, cerco di riordinarli alla bene meglio.
All'improvviso mi ricordo che è mercoledì e il suono del campanello non mi appare così strano, so addirittura chi c'è dietro la mia porta. A questo punto posso anche smetterla di cercare di rendermi presentabile.
Mi alzo dal letto, cerco di eliminare le pieghe che il peso del mio corpo ha lasciato sul materasso e mi dirigo in fretta alla porta, aprendola immediatamente.
«Buongiorno!» il solito tono di voce alto e forte, il solito sorriso cortese.
«Ciao.» lo saluto a voce bassa e mi faccio da parte, richiudendo la porta soltanto dopo che il mio ospite varca la soglia.
Questo è Ogiwara Shigehiro e ci vediamo ogni mercoledì mattina per discutere dei nostri progetti letterari. Ci siamo conosciuti da piccoli, ma lui ha cominciato a scrivere soltanto un paio di anni fa e quindi siamo un po' come l'allievo e il maestro.
È l'unico coetaneo con cui parlo e che frequento regolarmente, ma ha un carattere così diverso dal mio che non riesco davvero a considerarlo un mio amico.
Assomiglia molto a mia madre, si ostina ad avere sempre grandi aspettative e speranze, sorride alla vita come se si aspettasse una benedizione in cambio, ma non ha ancora capito che viviamo in una realtà triste, una realtà in cui tutti sono soli.
Non mi piacciono le persone ottimiste e ingenue come Ogiwara, affatto, ma so di per certo che lui è una brava persona e lo conosco da tanto tempo, per cui non ho problemi a riceverlo a casa mia una volta alla settimana e a renderlo partecipe delle mie idee – ogni tanto uno scrittore ha bisogno di essere elogiato, ha bisogno che gli altri lo rassicurino, quindi la sua presenza in casa mia non può essere altro che gradita –.
Ogiwara si ferma e mi rivolge un'occhiata silenziosa, io cerco immediatamente di sfuggire al suo sguardo curioso, soprattutto perché sembra sul punto di dirmi qualcosa che sicuramente non mi piacerà.
«Sembri molto stanco, Mayuzumi.»
Ecco, appunto.
È già capitato che mi abbia costretto a lasciare da parte la stesura dei miei romanzi per qualche giorno di riposo o che abbia insistito per portarmi a prendere un po' di aria fresca, ma questa volta l'apprensione se la può anche ficcare in quel posto, io devo assolutamente finire di scrivere il terzo capitolo.
«No, sto bene.» mormoro una bugia.
«Hai già cominciato un nuovo romanzo?» si dirige in cucina ancor prima di me – ormai fa come se fosse a casa sua – e io indugio un istante.
Non so spiegarmi le ragioni ma improvvisamente l'idea di raccontare del mio nuovo romanzo ad Ogiwara non mi sembra più così allettante, soprattutto dal momento in cui ho incontrato la copia sputata del mio protagonista in un vicolo cieco mai esistito.
«A dire il vero sto solo prendendo in considerazione alcune idee, ma pare proprio che l'ispirazione non voglia palesarsi.» mento ancora e distendo le labbra in un'espressione di sollievo quando Ogiwara resta in silenzio e si siede a tavola con estrema calma.
«Che vuoi?» questa è la “domanda di rito” che gli faccio ogni volta che lui si siede al mio tavolo, ma ormai non serve più, perché conosco già la risposta.
«Cioccolata calda.» ho già il barattolo del cacao fra le mani quando mi risponde.
«Devi avere molte idee per esserti ridotto così.» mi mordo il labbro quando lo sento tirare nuovamente in ballo il mio aspetto «avremo un bel po' di cose di cui parlare, oggi!»
«Veramente no.» mi affretto a rispondere e continuo non appena, sbirciandolo con la coda dell'occhio, scorgo il suo sguardo stranito.
«Sono idee molto stupide, non voglio parlarne.»
«Non importa.» Ogiwara si stringe nelle spalle e io traggo un sospiro di sollievo: questa è una delle cose che mi piacciono di lui, non cerca mai di costringermi a fare o dire qualcosa che non voglio.
«Piuttosto, come sta andando il tuo romanzo?» preferisco cambiare discorso e approfitto di un momento di silenzio.
La fiammella blu divora il fondo della scodella e la cioccolata comincia a rassodarsi e a porre resistenza al passaggio circolare del cucchiaio, io insisto e finisco per ignorare completamente Ogiwara.
«Credo di essere a metà! Stavo pensando che potrei fare una revisione, per vedere come appare nel complesso.»
Ogiwara ha scritto soltanto un romanzo fino ad adesso e ora è alle prese con qualcosa di nuovo, non è uno scrittore molto conosciuto ma semplicemente il mio “apprendista”.
«Forse dovresti.» mormoro e spengo il fuoco «la revisione ti sarà sicuramente utile per quando dovrai scrivere l'ultima metà.»
«Sì, lo penso anche io.» con la coda dell'occhio mi sembra di vederlo annuire energicamente, ma comunque non ci faccio caso e verso la cioccolata calda nella tazza, porgendogliela in fretta.
«Il titolo lo hai ancora deciso?» chiedo.
Ogiwara mugugna sonoramente: ha sempre avuto problemi con i titoli, anche quando doveva preparare temi e saggi a scuola.
«Sai, non credo riuscirò a trovare un titolo decente, sarebbe meglio se la leggessi anche tu, sicuramente mi sapresti dare un buon consiglio.»
Vorrei dirgli di non fidarsi così tanto delle persone, di non far leggere mai a nessuno in anteprima ciò che scrive se non vuole rischiare che le idee gli vengano rubate, ma io non sono così disperato dall'estorcere trame altrui, per cui lo lascio libero di parlare e sfogarsi.
«E penso che farò morire Yoko.»
Sollevo lo sguardo e gli rivolgo un'occhiata stupita: credo che la sua prima pubblicazione sia dovuta in parte alla fortuna, in parte a me, ma ormai ero dell'idea che avesse acquisito un po' di esperienza e che non avesse più bisogno di consigli simili.
«Priveresti la storia di un grande potenziale. Dai pochi capitoli che ho avuto modo di leggere, mi è parso di capire che Yoko è uno dei personaggi meglio caratterizzati e dove si riscontra un approfondimento psicologico maggiore, in più è molto apprezzabile rispetto alle altre due protagoniste.»
Ogiwara mi segue senza togliermi gli occhi di dosso, è come una spugna impaziente di assorbire la mia esperienza. Mi lusinga e mi infastidisce allo stesso tempo.
«Se è funzionale alla trama e non puoi proprio farne a meno d'accordo, ma se è semplicemente per far piangere i lettori non ucciderla a metà, uccidila alla fine. Se fai morire una delle protagoniste a metà, per giunta quella che occupa la maggior parte delle pagine, i lettori potrebbero perdere interesse e non riuscire ad arrivare fino alla fine.» a meno che il suo stile di scrittura non sia così entusiasmante da meritare di essere letto anche quando tutto sembra perduto e i personaggi migliori muoiono, ma io lo so che non è così. Ogiwara è una bella persona, ma il suo stile di scrittura è scarso e mediocre, per questo deve stare molto attento a quello che fa e alle decisioni che prende.
«Terrò in considerazione quel che mi hai detto, ti ringrazio.»
Un'altra cosa bella di Ogiwara è la modestia: sa di avere poca esperienza ed è sempre disposto ad ascoltare – e molto spesso a mettere in pratica – i miei consigli, non ha mai considerato le sue idee migliori delle mie e non ha mai preteso di sbaragliare la concorrenza per competere con me.
«Hai altro da chiedermi?» pronuncio con estrema calma, ma muovo nervosamente le gambe sotto al tavolo: ora che mi ha svegliato non vedo l'ora di ricominciare a scrivere.
«No, a dire il vero pensavo che anche tu avessi qualcosa da dire.» accenna un sorriso e io nego con un lento movimento del capo.
Non voglio parlarne con lui, non voglio parlarne con nessuno.
Non conosco la ragione, ma so che tutto ciò che sto scrivendo ora deve restare segreto, deve rimanere mio fino a che non verrà pubblicato.
«Mayuzumi, martedì prossimo partirò per Kyoto e starò via una settimana, quindi ti dispiacerebbe se venissi lunedì? Ti porterò gli ultimi capitoli che ho scritto.»
Si alza e capisco che è arrivata l'ora di riaccompagnarlo alla porta.
«Nessun disturbo.» borbotto sommessamente e questa volta sono io il primo ad uscire dalla cucina e il primo a giungere all'ingresso.
«Mi raccomando, riposa.»
Annuisco appena, ma a dire il vero non so neppure che cosa mi ha detto, la mia testa è già altrove, mi trovo nei pressi della grotta lavica di Ethyl, lì dove dorme il Drago Rosso.
«Dovresti andare in vacanza.»
«Non mi serve una vacanza.» faccio eco e apro la porta, lui varca la soglia e si volta ancora un istante verso di me.
«Allora ci vediamo lunedì.»
«A lunedì, ciao.»
Aspetto di vederlo imboccare le scale e poi chiudo la porta, resto fermo in corridoio per un istante e prendo una grande boccata d'aria: finalmente posso tornare a scrivere.
Ho appena varcato la soglia di camera mia quando il suono assordante del campanello squarcia nuovamente il silenzio.
«Merda.» brontolo nervosamente e torno indietro di corsa, con passo pesante: quell'idiota di Ogiwara deve aver dimenticato di dirmi qualcosa.
Apro la porta e fermo appena in tempo l'imprecazione che mi sta per uscire di bocca.
«Buongiorno.» mi sorride «qualcosa non va, Chihiro? Sembri nervoso.»
«Akashi ...» mi mordo il labbro inferiore e distolgo lo sguardo: non sono sicuro di poterlo chiamare così e i suoi occhi mi mettono a disagio, sembrano quelli di un serpente, sembrano scavarmi dentro ogni volta che incontrano i miei.
«Posso entrare?»
Traggo un sospiro di sollievo: pare che “Akashi” vada bene.
Non dico nulla e gli faccio spazio, lo guardo entrare e poi richiudo la porta, ben conscio di dover nuovamente rinunciare alla stesura del terzo capitolo.
«Come hai fatto a trovarmi?» forse è una domanda stupida, ma io non so niente di lui e lui sembra sapere tutto di me.
«Io so molte cose, Chihiro.» parla con calma, si guarda intorno esattamente come potrebbe fare una persona normale che entra in una casa sconosciuta.
Lui non può essere reale.
Volta lentamente il viso, guarda oltre la sua spalla e accenna un sorriso vagamente divertito.
«Io esisto davvero, Chihiro.»
Sembra quasi che sappia tutto ciò che penso, e la cosa non mi piace per niente.
«Non ricordi? Ti ho toccato e tu mi hai sentito.»
Non so più che cosa fare, che cosa dire, che cosa pensare. Forse dovrei semplicemente accettare la sua presenza e comportarmi come se fosse una persona normale, forse dovrei smetterla di avere paura e di sentirmi, allo stesso tempo, così attratto dai suoi occhi.
«Dovresti far entrare un po' di luce.»
Spalanco appena gli occhi e resto a guardarlo mentre indugia verso camera mia.
All'improvviso la luce illumina il corridoio e mi graffia con ferocia le pupille, Akashi torna indietro e i suoi occhi, trafitti da un raggio di sole, mi paiono di un colore ancora più intenso, come se nelle sue iridi fossero stati iniettati sangue e oro liquido.
«Non pranzi?» lui continua a parlarmi, ma io sono incantato sulle pupille sottili come cune di spillo, verticali come quelle di un gatto. Se credessi nell'esistenza del Diavolo, sono sicuro che i suoi occhi sarebbero questi.
«Che ore sono?» mi sento incredibilmente stupido. Completamente in balia dei suoi occhi.
«Sono quasi le tredici.»
Sì, forse dovrei pranzare, ma ultimamente sono così tanto impegnato nella scrittura che mangio soltanto quando sento di averne assolutamente bisogno. E poi non mi posso mettere di preparare il pranzo se lui è qui, a meno che …
«Vuoi … pranzare?» non è possibile che quello che nel mio libro ricopre il ruolo dell'imperatore e dell'uomo perfetto voglia pranzare con me, ma ha un modo di parlare diverso rispetto al romanzo e oggi non indossa il kimono bianco, ha abiti all'occidentale esattamente come i miei.
«Sono fonte di disturbo?»
«No.» e questa volta sono sincero.
Inspiro appena e muovo i primi passi in direzione della cucina, poi mi volto verso di lui e attiro la sua attenzione con un piccolo cenno della mano.
«Seguimi.»


«Tornerò a trovarti.» resta fermo sulla porta e tende la mano chiusa a pugno verso di me.
Resto in silenzio e tendo la mano spalancata, vedo il suo pugno adagiarsi sul mio palmo e mi soffermo per un istante sulla sua pelle, ancora fredda ma decisamente meno rispetto a ieri.
Il pugno di Akashi si incastra perfettamente nel mio palmo, ho quasi la tentazione di avvolgerlo con le dita, ma resisto.
Si scosta, fa un paio di passi indietro e quando rivolgo i miei occhi al fiore realizzo che quando li rialzerò lui non ci sarà più.
«Ti ringrazio per il pranzo.» ma non è così. Akashi sembra molto più reale di ieri, è davanti a me che mi sorride educatamente.
«Non c'è di che ...» mormoro e lo guardo percorrere il pianerottolo con estrema calma, chiudo la porta lentamente e cerco di riordinare le idee.
Lui esiste davvero.
Lui è un mio coetaneo che vive qui a Tokyo e gestisce una delle multinazionali del padre. È come se fosse l'immagine del mio imperatore traslata nella realtà.
Sono rimasto di nuovo solo e questa volta sento l'amaro in bocca, mi dispiace che Akashi se ne sia andato così presto.
Resto fermo all'ingresso per un po', forse perché mi aspetto di essere interrotto un'altra volta dal suono del campanello, ma c'è di nuovo un grande silenzio, sono chiuso in una bolla oltre le cui spesse pareti non trapassa alcun suono.
Finalmente posso tornare a scrivere, così mi fiondo al computer e ricomincio a digitare, il documento viene colmato da una valanga di parole: l'incontro con Akashi mi ha ispirato.


― Ryouta schiuse le labbra in un sospiro sommesso, il fiato tremò e stridette a contatto col vapore bollente. Sentiva il viso tirare, graffiato dalle lingue di calore.
La casacca bagnata di sudore era divenuta la sua seconda pelle, i capelli avevano perso il colore lucente, incupiti dalla cenere.
Il drago sfiatò e Ryouta affondò la spada nel terreno, aggrappandosi all'elsa per non essere spazzato via.
Il suo respiro era così caldo che per un attimo credette di essere circondato dal fuoco, non riusciva più a respirare.
Tetsuya gli aveva detto di stare molto attento, gli aveva spiegato che con il Drago Rosso di Ethyl servivano velocità e astuzia, una strategia ben precisa, per cui Ryouta aveva chiesto all'imperatore il permesso di portare con sé alcuni servitori di grado inferiore da usare come esca.
Usare alcuni servitori come muro di carne era un metodo contestabile, ma l'imperatore era disposto a tutti pur di raggiungere la perfezione e gli aveva detto di portare con sé tutti gli uomini che voleva.
Ryouta era rimasto in disparte e aveva osservato il combattimento, ne aveva approfittato per carpire più informazioni possibili sul drago e osservare le sue mosse.
Ryouta era uno dei cinque servitori migliori dell'imperatore per la sua abilità di mutare forma: poteva trasformarsi in qualunque creatura avesse visto con i propri occhi e ne assumeva le abilità. Quando le fauci del drago si chiusero sull'ultimo crocchio di servitori, Ryouta lasciò la spada e balzò in avanti, sentì una grande forza pervadere le braccia e le gambe, la gola ardere e la schiena strapparsi.
All'improvviso la terra non fu più sotto ai piedi e tutto divenne molto più grande, si avventò sul Drago Rosso e gli squarciò il fianco con gli artigli, sbatté le ali con forza e sentì il fuoco pervadergli la bocca.
Il Drago Rosso fu più veloce e affondò i denti aguzzi nella carne, Ryouta si sentì percuotere da una scossa di dolore acuto e pur non avendo ancora una completa confidenza con il suo corpo di drago capì che l'altro doveva avergli frantumato la spalla.
Ryouta cercò di volare più in alto e colpì il Drago Rosso con un respiro di fuoco, ma la creatura leggendaria conosceva meglio di lui i segreti dei draghi, la grotta lavica in cui stavano combattendo e, soprattutto, aveva una conoscenza millenaria sulla profezia dell'uomo perfetto, sapeva che un giorno avrebbero reclamato la sua testa e quelle di altre quattro creature leggendarie. In passato aveva già avuto modo di scontrarsi con altri soldati capaci di tramutarsi in drago e sapeva perfettamente come sconfiggerli, aveva l'esperienza dalla sua parte.
Ryouta apparteneva ad un'antica famiglia di guerrieri che avevano sviluppato una particolare abilità legata all'osservazione, la loro forza stava nei loro occhi.
Il Drago Rosso sputò una grossa quantità di fuoco, ma le scaglie dorate di Ryouta resistettero all'urto e gli diedero modo di avventarsi una seconda volta sul nemico.
Ryouta affondò i denti aguzzi nel collo del Drago Rosso, che strepitò rabbiosamente e cominciò a dimenarsi finché non riuscì a liberarsi e a squarciare il volto dell'altro.
Ryouta sentì le forze venire meno e non riuscì più a vedere, all'improvviso avvertì la durezza della terra contro le ginocchia e un urlo umano si sprigionò dalla sua bocca.
Si chinò su se stesso e continuò a urlare, le dita arrancarono sulle braccia nude e le ginocchia raschiarono ancora contro la terra dura.
Era nudo, sentiva il viso bruciare e la bocca continuamente invasa dal gusto metallico del sangue.
«I … i miei occhi ...» aveva la voce deformata dal dolore e dalla paura, dal terrore di aver perso per sempre la sua abilità.
Il danno che il Drago Rosso aveva fatto al suo corpo umano era disastroso e irreparabile.
Ryouta ebbe soltanto il tempo di sentire il fiato caldo del drago sulla sua pelle. I denti aguzzi lo infilzarono e lo strinsero con forza, e dentro la bocca della creatura esalò il suo ultimo respiro. ―

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Kuroko no Basket / Vai alla pagina dell'autore: Ortensia_