Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: draconisfirebolt    03/02/2015    1 recensioni
Raccolta di flashfic con gravi crisi di identità: tendono ora alla drabble e ora alla one-shot, rifiutano categoricamente un'unica classificazione.
Genere e rating specificati per ogni storia.
Scritte per i drabblevent del gruppo facebook "We are out for prompt".
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Di metropolvere e Ardemonio 

Per DonnieTZ, e chissà che un giorno non mi decida a esaudire il tuo desiderio e trasformare questa storia in una (mini) long!

Prompt: HP!AU, un Mangiamorte redento e una studentessa.

Genere: crossover, generale.
Rating: verde.

734 parole.

Quella NON era Diagon Alley, non c'era bisogno di essere dei Corvonero per capirlo.
Una ragnatela di vicoli bui e sinistri si dipanava senza una logica precisa intorno a Sansa Stark, risputata lì dalla metropolvere.
"Stupido camino, cos'è che non hai capito nel nome 'Diagon Alley'?" inveì nervosamente tra sé e sé.
Possibile che le andasse sempre tutto storto? Doveva trovarsi al Ghirigoro con Margaery Tyrell, la sua migliore amica, per acquistare i libri per l'anno scolastico, e invece era finita in quel posto così inquietante.

«Tutta sola, bambolina?» ghignò un mago lurido e sdentato, con l’alito puzzolente d’aglio, materializzatosi accanto a lei con un sonoro 'crack'. Sansa balzò all'indietro, si cacciò la mano in tasca e istintivamente si aggrappò alla bacchetta. Non le era permesso fare magie fuori da Hogwarts, certo, ma in situazioni come quella...
Un altro 'crack' e una strega con un occhio solo le sbarrò la strada dall'altra parte. «Scommetto che sotto quel bel mantello nascondi un bel gruzzoletto di galeoni, dolcezza. Perché non ne dai un po' a zia Phillys?» chiese, allungando le dita violacee verso di lei con fare minaccioso.
«Lasciatemi stare!» gridò la ragazza con quanto fiato aveva in corpo.
Prima che potesse estrarre la mano di tasca, quelle dita si erano già serrate attorno al suo polso, mentre una mano sudicia era corsa a tapparle la bocca.
Prese a scalciare e dimenarsi convulsamente, ma tutto ciò che ottenne furono una bacchetta putata alla gola e una minaccia di farle saltare in aria la testa se non avesse collaborato.
Poi tutto si fece confuso.

Il mago dall’alito puzzolente d’aglio si contorceva a terra in una pozza di sangue, il corpo costellato da una miriade di macchie rosse via via sempre più ampie. La strega era sparita – fuggita, forse.
Un’ombra massiccia emerse da un angolo, una mano diversa, più poderosa, la sollevò, aiutandola a rimettersi in piedi. Sansa non ricordava nemmeno di essere caduta.
«Cosa ci fa un Uccellino come te in un postaccio come questo?» una voce profonda, gutturale, il rantolo di un ubriaco.
“Non sono un uccellino – avrebbe voluto rispondergli – sono una Tassorosso.” Ma non se la sentì: tremava ancora troppo per lo spavento per farsi valere.
Sansa si costrinse ad alzare gli occhi sul suo salvatore. Se non fosse stato per la morsa ferrea in cui le stringeva ancora la piccola mano, la ragazza si sarebbe nuovamente accasciata sulle pietre fredde del selciato. Il viso duro di lui era devastato per metà da una massa di cicatrici contorte, un labirinto di carne squagliata, disseminata di crateri, di fenditure che a ogni movimento parevano vive, rosse, pulsanti. Ma la cosa peggiore erano gli occhi, due diamanti grigi che illuminavano d’odio il resto del volto.
Il mago rise di una risata metallica e graffiante, carica della nota infuocata del Whiskey Incendiario. «Ti faccio davvero così paura, Uccellino?»
Da qualche parte dentro di sé, trovò il coraggio di rispondergli, in un unico, flebile soffio. «Mi chiamo Sansa, signore.»
«Non sono un signore.» ribatté, secco. «Me ne fotto, io, di questi cerimoniosi appellativi. Tienili da parte per quei rincoglioniti dei tuoi professori su ad Hogwarts.» rise di nuovo. «Anche se, a dirla tutta, non ti basterà pigolare qualche ‘signore’ quando Voldemort spedirà all’altro mondo quel vostro caro, vecchio rudere di Silente.»
Aveva pronunciato quel nome.
«Il professor Silente lo fermerà.» asserì Sansa, rendendosi conto troppo tardi di non suonare per nulla convincente.
«Ah sì, Uccellino?» la schernì lui. «Hai mai visto in faccia in Signore Oscuro?»
Sansa non rispose, pietrificata da quello sguardo d’acciaio.
«Beh, io sì.» grugnì il mago, scoprendosi in un unico gesto, rapido e violento, l’avambraccio, su cui campeggiava, inconfondibile, il Marchio Nero.
Il respiro le si mozzò in gola.
«E credi che lui non l’abbia vista la mia, di faccia?» proseguì, alludendo allo sfregio. Doveva essere stato il frutto di qualcosa di molto, molto grave.
«Non può rimanere qui.» si sorprese a dire Sansa. «La troverà.»
La bocca di lui si deformò in un ghigno divertito. «E cosa intenderesti fare, in merito, Uccellino?»
«Salvarvi la vita, possibilmente. Voi avete salvato la mia.» Non faceva una grinza.
 
Forse per tutto l’alcool che aveva in corpo, forse per il ricordo ancora troppo vivido dell’Ardemonio che gli divorava la carne, forse per lo strano effetto che quella ragazzina piagnucolosa aveva su di lui, il mago accettò.
«Mi chiamo Sandor Clegane, Uccellino. Farai bene a non dirlo in giro.»  
 

 

  
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