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Autore: sam89    30/11/2008    7 recensioni
Tributo ad una coppia poco considerata nel libro... Carlisle ed Esme... la mia personale interpretazione della loro storia d'amore! ^__^ E' la prima volta che scrivo su Twilight... spero di aver saputo rendere giustizia ai personaggi. Buona lettura!
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer:I personaggi della serie "Twilight" non mi appartengono, tutti i diritti dell'opera sono di Stephanie Meyer, la mia storia vuole essere un tributo a ciò che lei a scritto e nulla di più. Inoltre specifico che quanto è qui raccontato è frutto unicamente delle mie sensazioni e delle mie idee, perciò ogni riferimento ad altre storie e scritti è puramente casuale.



Down in amber





1. Carlisle


Controllai più volte la caviglia della bambina, per essere certo di non commettere errori.
Tuttavia quella era senza alcun dubbio una banale distorsione. Nulla di preoccupante.
“Può stare tranquillo signor Ditrick, la piccola ha una distorsione e nulla di più”
Sentii l’uomo rilassarsi, anche se non del tutto.
“Sono davvero sollevato, dottor Cullen. Quanto ci vorrà prima che si riprenda? Sa, Brenda tiene molto alla danza ed è preoccupata per il saggio”
Brenda mi sorrise, imbarazzata.
Ricambiai. Dare sollievo ai miei pazienti era ciò che mi rendeva migliore la mia esistenza.
E per fortuna il mio aspetto contribuiva.
“Ora ti metto a posto la caviglia Brenda, ma non sono sicuro che non ti farà male. Sei pronta?”
La bambina annuì di scatto e la sentii trattenere il fiato, concentrata.
Decisi di fare il più in fretta possibile, per non complicare le cose. Uno schiocco e uno scatto.
Brenda inspiro profondamente, trattenendo il dolore.
“Visto? Abbiamo fatto presto. Prova a muovere la caviglia, lentamente”
“Non mi fa più tanto male… ma ho ancora fastidio” disse lei in un sussurro.
“Perché passi del tutto, dovrai tenere la fasciatura che ti sto praticando ora per due giorni al massimo” dissi mentre completavo il lavoro.
“Siamo davvero fortunati ad avere un dottore così bravo ad Ashland, vero Brenda?”
Lei mi sorrise di nuovo, poi timidamente disse “Grazie dottor Cullen”.
“Ecco fatto. Buona fortuna per il saggio, Brenda” dissi mentre uscivano dal mio studio.
Il mio turno serale era appena iniziato, e avevo già dovuto curare tre persone.
Per essere notte, l’ospedale era insolitamente affollato.
Senza star lì ad aspettare il prossimo paziente, decisi che avrei potuto fare un giro di controllo nelle altre sale.
E mentre ripensavo a Brenda e al suo sollievo nel vedere che la caviglia guariva, non potei impedirmi di ricordare. Mi era ritornata alla mente una giornata ventosa del 1911, quando lavoravo a Columbus.
Una paziente sedicenne, con una gamba rotta ma una grande forza di volontà.
Il viso a forma di cuore, i luminosi occhi verdi e i morbidi riccioli color caramello.
Anche se fisicamente non si somigliavano, Brenda mi aveva riportato alla mente un’altra ragazza.
E perché proprio lei?
Non riuscivo a capire perché mai avrei dovuto pensare ad una persona in particolare.
Ricordavo chiaramente i suoi occhi, la sua espressione di gioia e di sollievo e l’entusiasmo per la vita che solo una ragazza di sedici anni poteva avere.
Chissà se ora è felice…
Rividi il suo sorriso, e così capii perché anche dopo dieci anni non ero riuscito a dimenticarla.
Mi aveva regalato un sorriso autentico, forse per la prima volta nella mia esistenza.


“La tua mano… è fredda”
“Si. Io ho sempre le mani fredde. Mi dispiace molto Esme, ma temo dovrai sopportarlo finché ti visito”
“No…”
“No?”
“No… voglio dire… è piacevole. La mia gamba brucia… il freddo è un sollievo per me. E poi anche io ho sempre le mani fredde”


Nelle altre sale molti dei pazienti dormivano tranquilli, mentre altri incapaci di riposare cercavano un po’ di distrazione nei libri.
Mi informai sulle loro condizioni di salute, e con mio sollievo nessuno era peggiorato.
E tuttavia c’era qualcosa… qualcosa di strano.
Sentii il battito accelerato di un’infermiera. Correva ed era ansiosa.
Sembra quasi disperata… cos’è successo?
Mi girai istintivamente, il mio volto teso per la preoccupazione. Non ero ancora capace di mantenere la serenità quando sentivo tanta ansia in un cuore umano.
E avevo ragione. Il viso dell’assistente era sconvolto dalla paura e dal dolore.
“Dottor… dottor Cullen”
“Cos’è successo Riza?”
Anche le altre infermiere si avvicinarono, curiose e preoccupate allo stesso tempo.
“Hanno portato qui una ragazza… l’hanno portata direttamente nella sala che fa da obitorio. Ha provato a suicidarsi gettandosi da uno scoglio”
Le altre donne mormorarono parole tristi, turbate dall’accaduto.
“Perché dici che ha provato a suicidarsi? Se l’hanno portata all’obitorio…”
“E’ proprio questo. Mentre stavo per andarmene l’ho vista… mi è sembrato che muovesse la testa. Mi sono avvicinata e ho… ho visto che muoveva davvero le labbra! Così ho pensato che se c’era qualcuno che poteva…”
“Devo vederla, accompagnami da lei” dissi risoluto, mentre le donne trattenevano il fiato.
Se davvero c’era qualche possibilità di salvare quella vita, l’avrei fatto certamente.
Ma se fosse stato troppo tardi, non avrei dovuto fare di più.
Dovevo rispettare la vita umana.
Ma prima di entrare nell’obitorio, Riza si fermò.
“Dottore… la lascio solo. Io…”
“Non preoccuparti Riza, ti ringrazio per avermi accompagnato”
“Se le serve qualcosa, dottor Cullen…”
Entrai e un profumo come di miele e giacinti, soffocato da quello di salsedine, mi colpì.
Poi la vidi.
Se il mio cuore fosse stato ancora capace di battere, si sarebbe fermato.
“Esme…” riuscii solo a sussurrare.
Era lei, non c’era dubbio.
Nell’istante in cui la riconobbi provai una sensazione nuova, terrificante.
Gli stessi capelli color caramello, ora aggrovigliati e fradici.
Le braccia e le gambe, segnate qua e la da cicatrici e piccole ustioni.
Il suo viso contratto in una smorfia di dolore.
Si era gettata da uno scoglio. Aveva cercato la morte.
Lei, che avrebbe dovuto essere soltanto una giovane donna, felice della sua vita e della sua famiglia.
Cosa poteva esserle successo da poter farle desiderare la morte?
E pensai alla coincidenza di averla ricordata pochi minuti prima.
Non avrei mai voluto vedere questa risposta…
Stavo soffrendo, forse? Sì, provavo dolore. Un tipo di dolore diverso da qualsiasi altro. Soffrivo per lei e per me stesso. Perché? Tesi l’orecchio, in ascolto.
Debole, affaticato. Il suo cuore. Riza aveva ragione.
Sarebbe stato capace di resistere ancora per poco, prima di soccombere alla morte.
Cosa dovevo fare?
“Esme…”
Sentii di essere un vero egoista. La compassione era solo la maschera di ciò che io ero veramente. Un egoista e nient’altro. L’avrei condannata ad un’eternità maledetta… ma cosa potevo fare?
Non volevo che morisse.
L’avrei…
…persa.
La sollevai il più delicatamente possibile. Dovevo andarmene di lì immediatamente.
“Dottor Cullen?”
Riza era ancora lì fuori, ad aspettarmi.
“Avevi ragione. Devo portarla immediatamente da uno specialista che conosco. Ho praticato alcune misure di precauzione, ma devo fare presto. Avvisa per favore che sono costretto ad andarmene prima dall’ospedale stasera” dissi, cercando di non far percepire nulla del mio dolore e della mia ansia.
“Certamente dottor Cullen… buona fortuna”
Non appena fui in macchina, agii.
Dovevo restare concentrato.
Le morsi il collo e i polsi, iniettando nel sangue il veleno.
Com’era dolce il suo sapore… ma ero controllato, ce l’avrei fatta.
Il cuore batteva ancora.
Fra poco lei non ne avrebbe più avuto uno.
E anche il suo profumo svanirà… miele e giacinti.
Con uno scatto mi ritirai.
Probabilmente lei non ricordava nulla di me, ma non mi importava.
L’unica cosa che volevo veramente era salvarla.
“Esme… mi dispiace. Non potevo… non potevo davvero lasciare che tu morissi”
Sapevo che quelle scuse lei non le avrebbe sentite, ma per un breve istante mi fecero pesare meno la mia mostruosa, egoistica azione.
E mi diressi senza esitare verso casa, dove sapevo che avrei trovato Edward ad aspettarmi.

  
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