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Autore: pierre    04/02/2015    1 recensioni
Spencer Reid sarà coinvolto in una delle indagini più pericolose e dolorose della sua vita.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Spencer Reid
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Martedì
 
La presenza del pubblico al Congresso era notevole.
Un vero incubo per Ghideon e compagni che certo non potevano sondare in mezzo a quella bolgia la presenza del possibile seriale.
“Controlliamo soprattutto le prime file, di solito questo genere di assassino ama essere molto vicino alla sua futura vittima…JJ sai dirmi dove è Spencer?”
La poliziotta aveva un foglio in mano.
“E’ dietro le quinte del palco, i professori Allen, Fuente e Diotallevi debbono esporre i loro lavori e sono con Reid: non ci dovrebbero essere problemi, pensa lui a controllarli, ma è il caso che Derek lo sostituisca quando dovrà parlare alla platea… Cristo quanta gente! Se il seriale è qui, sarà impossibile individuarlo!”
JJ era veramente frustrata ma la voce calma e fredda di Hotchner la risollevò.
“Abbiamo poliziotti ovunque, tra il pubblico e in mezzo agli studenti e agli assistenti… quel tecnico audio è uno di noi, vedrai che non succederà nulla di brutto”.
Sarebbe già stato un successo, pensò Ghideon guardando Spencer che si dirigeva con passo elegante e un po’ timido verso il centro del palco: toccava a lui.
La sera prima, sul tardi, lo aveva raggiunto nella sua stanza e insieme, sorseggiando una cioccolata calda, avevano parlato: le loro solite quattro chiacchiere.
All’inizio del killer, ma poi dopo un po’ che ci girava in torno, il ragazzo si era confidato intimamente.
“Mi ha detto di essere un gay… Diotallevi… e io ho fatto una figura da scemo!”
“Perché, cosa gli hai detto?”
“Coglionerie, ma dopo tra di noi si è creata una maggiore complicità, Alberto si aspettava che io mi allontanassi e invece gli sono rimasto sempre accanto, fino a dieci minuti fa.”
Ghideon lo aveva guardato di traverso.
“E’ il tuo compito, non lo devi mai perdere di vista, sei tu che lo devi proteggere, dove è il problema?”
“Io non lo voglio semplicemente proteggere, io lo voglio abbracciare, accarezzare, ho voglia di baciarlo! Oddio Ghideon, non mi era mai successa una cosa del genere!”
Aveva lo sguardo smarrito “sono coinvolto emotivamente e quindi sono inaffidabile!”
Reid si era preso una cotta, per la prima volta nella sua brevissima vita, il ragazzo faceva i conti con l’irrazionalità dei sentimenti: i propri.
Sarebbe stato veramente un cambiamento, una svolta per la crescita emotiva di Spencer, uomo o donna poco importavano. Ghideon era da una parte contento che il suo protetto cominciasse a schiudersi, ma accidenti, aveva scelto il momento meno adatto e il soggetto dei suoi desideri poteva essere una possibile preda del seriale!
Qualora Spencer si fosse trovato a doverlo affrontare, con che spirito lo avrebbe fatto?
“Ascoltami, se adesso io andassi da Hotchner e gli dicessi che tu vuoi occuparti di un altro professore, gli creeremmo un tale casino! Lui è un ottimo poliziotto e ci sta dirigendo in maniera esemplare, siamo una squadra formidabile per merito suo ma in un momento come questo, dirgli che ti sei innamorato del professor Diotallevi…”.
Reid aveva subito analizzato dentro di se l’espressione innamorato che, con naturalezza, il suo miglior amico aveva usato: Ghideon era un profiler eccezionale, aveva immediatamente capito la profondità del sentimento che lo stava destabilizzando.
Probabilmente aveva osservato la dilatazione delle sue pupille e la colorazione delle sue guance di solito esangui… e non gli era sfuggita neanche la vena che gli pulsava veloce sul collo e l’impercettibile cambiamento di tono quando pronunciava il nome Alberto.
Maledizione!
Non gli piaceva stare in quella condizione, si sentiva sempre scoperto e in debito di ossigeno e quando Ghideon era andato via, si era osservato a lungo allo specchio del bagno e si era visto per la prima volta.
Un bambino affamato di carezze, un adolescente gelido e presuntuoso che allontanava tutto e tutti da se, un ragazzo risoluto e geniale, un disperato vincente e solo.
Era stato più forte di lui, lo aveva chiamato nella sua stanza.
“Professor Reid!” Alberto sembrava veramente contento di sentirlo, era un uomo di quaranta anni ma aveva lo spirito e la freschezza di un ragazzino.
“Ciao, tutto bene?”
“Vieni da me…”.
La proposta, così veloce e senza mezzi termini lo aveva fulminato.
“Alberto, Alberto… io, io non posso!”
La voce di Diotallevi era sembrata improvvisamente stanca.
“Hai ragione, scusami, non farci caso, sono uno stronzo e ti ho messo in imbarazzo, grazie per la telefonatina della buona notte, ciao!” E aveva attaccato.
Spencer, travolto da una rabbia che non credeva di poter provare, lo aveva richiamato immediatamente.
“Non lo fare mai più! Non valutarmi secondo i tuoi parametri… se ti ho detto che io non posso è perché temo di buttarmi a capofitto in una storia da fine settimana, da rappresentante di commercio, da congressista annoiato… chi ti conosce a te? Io ho ventiquattro anni e non sono mai stato con un uomo, tu invece? Quanti studenti ti sarai fatto? Hai detto di essere solo… cosa sono io per te, un regolatore ormonale? E dopo, come ti dovrò classificare? Come l’uomo che mi ha sverginato, il bel professore che mi ha aperto le porte del sesso gay occasionale da camera di albergo o da bagno pubblico? ” Aveva il fiatone.
“Smettila…” Alberto invece, aveva una voce così calda “scusami, mi sono comportato male, hai ragione ma al contrario di te, io sono un istintivo. Comunque non faccio sesso occasionale e tanto meno con i miei studenti! Non volevo saltarti addosso ma abbracciarti e darti tanti baci, quello si! L’ho capito benissimo che non sei mai stato con un uomo e sono pazzo di te, non faccio che pensarti continuamente, t’ immagino…”.
Spencer si sentiva liquido: braccia, gambe e collo avevano perso la capacità di sostenerlo nella sua solita posizione rigida, si doveva sedere.
“Alberto, quando sarà finita questo congresso” si era fermato un attimo “tu ed io potremmo valutare meglio i nostri sentimenti”.
Era un tentativo di allontanarsi da lui, e invece si era appena dichiarato, maledizione! Gli stava cadendo tra le braccia come un quattordicenne.
Invece Diotallevi gli rispose:
“Hai ragione, se questo può allontanare da te, almeno in parte, il timore che io sia un lupo famelico a caccia di verginelle, sono disposto ad aspettare che questo congresso abbia una fine, e poi ti faccio la corte!”
Un dolcissimo sospiro, la voce incrinata: ”io vorrei avere una storia con te, non potrei mai saziarmi con una botta e via, tu sei stupendo Spencer, di te ci si innamora: buona notte piccolo, a domani!”
 
Reid aveva terminato la sua esposizione e un notevole scroscio di applausi lo aveva soddisfatto, si era diretto verso le quintane e i suoi occhi si erano fusi con quelli di Alberto: adesso toccava a lui.
L’intervento del professor Diotallevi non fu semplicemente brillante, il suo fu un vero spettacolo: arguto, divertente, non perse mai l’occasione per aggredire in maniera a volte velata altre volte diretta le multinazionali responsabili del baratro che sempre più si allargava tra i Paesi così detti industrializzati e il Terzo Mondo:
“La fame è un affare colossale amici miei, produce ricchezze incalcolabili!” Era una agitatore di folle e si stava divertendo come un matto: alla fine del suo intervento fu salutato da un vero boato di applausi.
“Il solito stronzo!” Gli aveva detto in faccia Tim ”sai adesso che cosa gli fotte ai tuoi no-Global da salotto del problema mondiale degli afidi nella patata rossa?” E come un martire si era incamminato al centro del palco ben conscio della noia mortale che avrebbe suscitato.
“Sei stato fantastico!” Aveva esclamato Spencer e Alberto era diventato rosso, quel ragazzino aveva la capacità di emozionarlo.
“No, tu sei fantastico” gli aveva bisbigliato ad un orecchio “ti va un boccone in un ristorantino del Bronx? Va molto di moda adesso!”
“E gli altri?”
“Sopravvivranno!”
Brutta espressione… Alberto fraintese: “va bene, ce li portiamo dietro!”
Dopo l’intervento di Tim, salutato con sollievo da una sala che non ne poteva più di larve, con Margherita Wais, che avrebbe parlato nel primo pomeriggio, si accinsero a cercare un taxi.
Dopo un quarto d’ora riuscirono ad acchiapparne uno ma erano in quattro e il conducente un po’ protestò.
“Non si può stare davanti, o tutti dietro o tutti a piedi!”
Si erano inscatolati sul sedile posteriore con Tim che protestava.
“Margherita, hai messo su un culo!”
“Stronzo, tu sei pronto per diventare un prosciutto” aveva replicato ridendo la Wais mentre Alberto stranamente silenzioso si era attaccato al corpo di Spencer.
Il contatto non voluto ma inevitabile e tanto desiderato produsse il cortocircuito temuto: il ragazzo era seduto di taglio, appoggiato a Diotallevi che aveva fatto scivolare un braccio intorno alla sua vita, tra il maglione e la giacca e lo aveva delicatamente stretto a se.
Margherita e Tim, che sapevano tutto, giacché la sera prima avevano dovuto consolare un amico in lacrime, guardavano fuori dal finestrino continuando a stuzzicarsi.
Una frenata li aveva ulteriormente incollati l’uno all’altro, si erano guardati mentre le mani non riuscivano a stare ferme e si s’intrecciavano: “hai gli occhi stanchi…” aveva sussurrato Alberto e poi lo aveva delicatamente baciato sulle labbra.
Per un secondo New York si era capovolta, poi Spencer incapace di opporsi a tanta emozione si era lascito andare.
 
Lo aveva osservato a lungo.
Seduto in sala, terza fila, posto 47 leggermente spostato sulla sinistra, aveva scrutato uno ad uno i vari scienziati, presuntuosi professoroni che sapevano soltanto riempirsi la bocca di merda.
Lui gliela chiudeva per sempre, ma prima, oh quanto li faceva urlare!
Avrebbe voluto studiare ma era nato con una strana malattia, no, non era una malattia piuttosto una peculiarità del suo cervello: era dislessico, una forma piuttosto grave e quindi non poteva leggere.
E neanche scrivere.
Ma aveva una memoria prodigiosa e gli era servita per rendersi la vita meno complicata, perché la sua esistenza a un certo punto era diventata piuttosto difficile. a scuola lo prendevano in giro e a casa la madre si dannava perché il figlio non riusciva a distinguere lettere e segni, aveva tentato di tutto per fargli entrare in quella zucca malata un paio di nozioni base: niente da fare.
Lo aveva sgridato, blandito, aveva cercato di stuzzicarlo con dolcetti e giocattolini, niente, la cosa era andata avanti per anni ma lui non era riuscito a progredire.
Poi verso gli undici anni era entrato nella sua vita il professor Moore.
La madre lo lasciava a casa del pedagogo tre volte alla settimana per due ore circa.
Il sistema Moore aveva funzionato, dopo sei mesi il ragazzino non sapeva ancora scrivere ma riusciva a memorizzare qualsiasi cosa gli fosse detto o letto, gli bastava sentire un racconto una sola volta e poi sapeva ripetere tutto alla perfezione.
Poi, il professor Moore, un bellissimo giorno di un rigido autunno, era morto cadendo dalle scale di casa sua.
Lo aveva spinto lui… dopo l’ennesimo stupro si era finalmente liberato del grande pedagogo che lo aveva addestrato tra una pratica sessuale e l’altra.
Aveva una memoria prodigiosa e adesso la usava per confondersi tra i vari docenti, discutere con loro e carpire la loro fiducia.
Poi quando la cosa succedeva, quando la punizione era stata applicata, eseguita scrupolosamente, lui spariva, ingoiato dalla sua vita anonima e comune.
Impossibile individuarlo, impossibile.
Il professor Diotallevi lo aveva veramente colpito ma era stato Spencer Reid a fulminarlo, così giovane, innocente… lo aveva ammirato subito, perché rappresentava ciò che avrebbe voluto essere: bello e geniale.
Invece quell’insopportabile Fuente, l’economista, aveva parlato per un’ora battendo fastidiosamente la mano sul leggio, producendo un ticchettio continuo con la fede.
Meritava di morire.
Dove stava andando il suo Spencer? Eccolo lì, con il professor Diotallevi e poi c’erano quegli altri insopportabili esseri, tutti sembravano allegri, stavano prendendo un taxi, chissà dove sarebbero andati… Spencer… si doveva intrufolare tra loro.
 
 
Come succede sempre agli innamorati, Spencer e Alberto si erano guardati molto negli occhi ma avevano mangiato pochissimo.
Quel bacio un po’ rubato aveva destabilizzato definitivamente il giovane detective, non tanto per il difficile ruolo che doveva continuare a recitare ma perché il suo mondo fatto solo di nozioni e di riti semplici e continuamente ripetuti era andato a farsi benedire.
Stava tremando perché il cervello non gli dava pace.
“E adesso? Che succederà, che ne sarà del mio equilibrio?”
Era stato così difficile dare una sequenza logica alla sua testa strana: c’erano sempre tante nozioni da catalogare e lui diligentemente sapeva mettere tutto a posto, ma adesso era letteralmente travolto da un sentimento che non aveva un senso.
Si era innamorato e basta.
Alberto lo stava osservando.
”Piccolo, ma che ti sto facendo?”
Seduti l’uno accanto all’altro, a Diotallevi non era sfuggito lo stato di agitazione di Spencer, Dio quanto era bello!
“Io, io... noi dobbiamo parlare, ci sono delle cose che vanno subito chiarite, io non sono quello che tu credi!”
Ad Alberto il cuore era caduto per terra: “hai una moglie e quattro figli?”
“No! Semplicemente non sono soltanto il professor Reid”
“Sei il figlio di un agente segreto Russo allora” mentre gli parlava Diotallevi aveva preso la mano del ragazzo e l’aveva stretta tra le sue, un movimento discreto e nascosto alla curiosità morbosa di chi avevano accanto.
“No, non sono un agente segreto ma ti devo delle spiegazioni, questa sera se non ti dispiace…”
Per un attimo la fantasia di Alberto si era scatenata: si era visto abbracciato a lui, nudi dentro un letto mentre si bisbigliavano i loro segreti.
“Tutto quello che vuoi piccolo, basta che posso starti vicino!”
Dovevano tornare, Margherita avrebbe parlato alle 16 ed erano già le 14 e 30, i quattro si alzarono mal volentieri dal tavolo del ristorante Italiano dove avevano mangiato.
Erano stati così bene!
Decisero di fare una passeggiata e durante il ritorno Tim si accostò a lui, anzi lo prese sotto braccio.
“E’ uno stronzo ma non me lo far soffrire, ti prego… un’altra botta me lo ridurrebbe in pezzi!”
Spencer lo guardò incuriosito.
“Perché, che gli è successo?”
“L’uomo con cui è stato dieci anni ad un certo punto ha deciso che era arrivato il momento di sposarsi e fare dei figli. Io lo avevo avvertito, era un tira e molla straziante… sono passati tre anni e adesso lo rivedo con quella sua espressione da triglia! Se sei poco convinto, fammi un piacere, levati subito dai coglioni!”
 
Il pomeriggio era passato in un lampo e dopo la conferenza, tutti i docenti si erano nuovamente ritrovati al Regency per partecipare al rinfresco a loro dedicato dove non avevano trovato un attimo di pace e, come tutti, sia Reid sia Diotallevi erano stati spesso raggiunti e interrotti da studenti e assistenti che volevano spiegazioni e confronti.
Alcuni giornalisti li avevano intervistati e uno era stato particolarmente tedioso e pesante con Spencer mentre una bella donna aveva fatto una corte spietata ad Alberto facendogli scivolare tra le mani un bigliettino da visita con nome, cognome e mail.
A un certo punto Diotallevi aveva visto un gran bell’uomo, un caraibico probabilmente, parlare con Reid e una fitta di gelosia gli aveva dilatato lo stomaco, anche perché sembrava che i due si conoscessero! La tensione amorosa lo stava facendo diventare patetico!
I due si erano velocemente allontanati l’uno dall’altro e Derek aveva raggiunto Aaron Hotchner che stava osservando attentamente la folla di gente presente nella grande sala del Regency .
“Spencer mi ha detto di controllare una giovane donna bionda che ha tentato di sedurre il professor Diotallevi e di controllare se è venuta da sola o se era con un uomo.”
Le intuizioni di Spencer erano incredibili: ”JJ?” L’auricolare nascosto nell’orecchio della detective la fece immediatamente allertare “si , sono in ascolto!”
La voce di Hotchner era chiara e fredda:” Bionda, trent’anni, cinquanta chili, tailleur blu… si sta dirigendo verso di te a ore dieci, controlla se è accompagnata!”
JJ l’individuò subito: tranquillamente e con un bicchiere di analcolico in mano, sorridendo a destra e a sinistra la seguì fino a individuare un uomo che si stava dirigendo verso di lei.
Il soggetto la prese sotto braccio e la spintonò verso l’uscita.
“Quando la finirai di fare la troia…” furono le dolci parole che la ragazza riuscì a percepire, poi i due uscirono definitivamente di scena.
JJ si diresse di nuovo verso Derek.
“Non penso siano i possibili seriali, ma non si sa mai, dove è Spencer?” Gli chiese con un sorriso d’intesa, il suo collega fece un leggero cenno con il capo.
“E’ lì che sta prendendo un’aranciata, è con Diotallevi, se quell’uomo non fosse assolutamente insospettabile direi che è piuttosto insistente con Spencer, non lo molla un secondo… e gli lancia certi sguardi!”
JJ osservò Reid che sorrideva gentile a un cameriere che lo stava servendo: non disse nulla, ma anche lei aveva notato una certa tensione tra Spencer e il professor Diotallevi e la sua sensibilità femminile gli aveva fatto formulare il pensiero un po’ imbarazzato che il suo giovane collega stesse rimandando gli stessi sguardi.
Anche Ghideon era presente e mentre osservava il suo giovanissimo amico, fu aggredito da uno strano malessere e da ottimo profiler qual era capì immediatamente che il suo istinto aveva notato qualcosa.
Ma cosa? Una sensazione di dejà vu…
Dunque: Spencer che parla con Diotallevi, poi il giornalista, un cameriere con le bevande, un professore lo urta e si scusa, una ragazza gli lancia un’occhiata dal significato chiarissimo, uno studente gli fa firmare un invito con programma del Congresso, il cameriere ripassa e riprende il bicchiere vuoto, anche il giornalista ritorna e gli fa una battuta, Diotallevi lo raggiunge e cerca di portarselo via… no, no, no… cosa cazzo gli stava sfuggendo?
Ghideon sospirò rumorosamente e continuò a osservare.
 
Finalmente la serata si avviò alla sua conclusione, Spencer scambiò uno sguardo d’intesa con Alberto e gli disse: “andiamo?” ottenendo come risposta un dolcissimo sorriso.
Presero l’ascensore e una prima serie di piani li fecero in silenzio insieme a un’altra decina di clienti: salutarono un paio di colleghi e Reid fece un distratto cenno di saluto a Ghideon che era salito con loro.
Poi restarono soli e mentre l’ascensore proseguiva verso il piano di Spencer, Alberto gli prese la mano e le loro dita s’intrecciarono.
“Ci vieni in Italia con me? Un viaggetto a Roma, quindici giorni, non di più: ti presento ai miei. Poi ritorniamo, ci troviamo una casetta nel Maine e andiamo a vivere insieme e magari ci sposiamo… che ne dici, vado di corsa vero?”
A Spencer venne da ridere e per la prima volta in vita sua si abbandonò a una crisi d’ilarità irrefrenabile, rise di gusto e con le lacrime agli occhi: “Oddio Alberto, sei incredibile!”.
La porta dell’ascensore si aprì e in pochissimi secondi il giovane detective riprese il controllo del suo raziocinio: c’era troppo buio lungo il corridoio ed ebbe la netta sensazione di una presenza.
L’ottimo addestramento lo indusse immediatamente a coprire con il proprio corpo quello del suo protetto e quindi appoggiò la sua schiena al busto di Diotallevi costringendolo a sua volta ad appoggiarsi conto il muro metallico e freddo dell’ascensore.
L’uomo fraintese e inanellò con entrambe le braccia, la vita del ragazzo cominciando a baciarlo tra la nuca e il collo: “piccolo hai un odore che mi fa diventare matto!”
“Sta zitto…” sussurrò Reid tirando fuori la Colt dal marsupio che si portava sempre dietro.
Uscì dall’ascensore e dopo un primo rapido controllo, seguito da un Alberto sconcertato, fece rasente il muro, con la pistola ben puntata davanti al viso leggermente reclinato sul mirino, tutto il corridoio fino alla porta della sua stanza.
“Ho la tessera magnetica dentro la tasca destra” bisbigliò di nuovo “prendila e apri la porta, entra per primo, ok, va bene così”.
Finalmente al sicuro Spencer accostò l’orecchio all’uscio e avvertì chiaramente il rumore felpato dei passi di qualcuno che si allontanava velocemente, si girò e i suoi occhi si piantarono in quelli del suo ospite che lo guardò sconvolto.
“Ma tu chi cazzo sei?” Si sentì domandare. 
   
 
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