Lì dove
regnano gli incubi
Erano quasi le cinque di
uno splendido
martedì pomeriggio e la cittadina di Shingashina era avvolta
negli ancora caldi
raggi del sole settembrino. Il bambino poteva chiaramente osservare il
via vai
di gente che affollava i marciapiedi del Distretto e per un attimo
pensò a
quanto sarebbe stato bello poter uscire fuori e andare a divertirsi al
parco
giochi insieme ai suoi coetanei.
Seduto scompostamente al tavolo della
cucina, il piccolo Eren Jaeger stava finendo gli odiosi compiti di
matematica;
sebbene la scuola fosse iniziata solo da due settimane, la maestra
aveva deciso
di tartassare i propri alunni con una lunga serie di esercizi che,
secondo il
modesto parere del bambino, non sarebbero serviti a un bel niente,
visto che
aveva imparato a contare fino a trenta da un bel pezzo. Spiò
ancora per qualche
minuto dalla finestra e poi tornò a numerare le mele
radunate in tanti, piccoli
insiemi disegnati sulla fotocopia che gli era stata fornita
dall’insegnante.
Eren e sua sorella Mikasa erano tornati
a casa intorno all’una; come ogni giorno erano scesi
dall’autobus che li
accompagnava a Trost – la scuola elementare di Shingashina
aveva chiuso i
battenti da ormai parecchi anni, complice la bassa qualità
del corpo docente –
e avevano suonato al campanello per farsi aprire dalla madre, casalinga
a tempo
pieno. Subito dopo aver pranzato, avevano accompagnato la donna a fare
spesa
presso un minimarket aperto ventiquatt’ore su ventiquattro,
non molto distante
da casa loro, ed erano rientrati completamente zuppi di sudore. Eren
era stato
il primo a chiudersi in bagno per una doccia, ma solo per non ascoltare
un
minuto di più i rimproveri di sua madre; ora, solo nella
cucina, aspettava con
ansia il ritorno del padre, che da due giorni era fuori di casa per
lavoro. Eren
pensò che l’ambulatorio doveva proprio dargli un
gran da fare, se non gli
consentiva nemmeno di tornare dalla famiglia.
Scrisse con difficoltà il numero otto
sotto un insieme di mele – ma quanto era difficile scrivere
quel numero? Forse gli
sarebbe convenuto disegnare due cerchietti sovrapposti, la prossima
volta – e passò
al disegno successivo. Uno,
due, tre, quattro…
La serratura del portoncino d’ingresso
scattò due volte e il meccanismo cedette. Il bambino
drizzò le orecchie e sentì
tintinnare un portachiavi, al cui rumore seguì quello di
suole di scarpe che
strusciano contro il tappeto posto all’entrata di casa.
-Eren, sono tornato! Guarda cosa ti ha
portato papà!-.
Con un
sorriso a diciannove denti – aveva recentemente perso uno
degli incisivi
laterali superiori – il piccolo
corse alla porta di casa, lì dove il genitore se ne stava
tranquillamente in
piedi con un sorrisone sul volto. Teneva le mani dietro la schiena e
osservava
il figlio con uno strano scintillio negli occhi.
-Cosa
nascondi, papà?-, gli domandò il bambino,
avvicinandosi e provando a spiare
dietro le spalle dell'uomo.
-Una sorpresa
per te e Mikasa. A proposito, dov'è...?-.
-Mamma la sta
aiutando a regolare l'acqua per farsi una doccia-, rispose prontamente
Eren.
-Sai, siamo andati a fare la spesa insieme, ma fuori fa così
caldo che abbiamo
sudato un sacco. Allora? Posso vedere il regalo?-.
-Aspettiamola,
dai. Ci rimarrà male se aprirai il pacchetto senza di lei-.
Grisha Jaeger
fece l'occhiolino al figlio e lo accompagnò in salotto.
Poggiò sul tavolo il
parallelepipedo incartato e sedette, mentre Eren non smetteva di
osservare la
sorpresa.
-Si mangia?-,
domandò dopo poco più di un minuto di silenzio.
-No-.
-Ci possiamo
giocare?-.
-Tecnicamente
no. Però vi farà divertire un mondo, ne sono
certo-.
-Su, papà, mi
dici che cos'è?-.
-Porta un po'
di pazienza. Oh, ecco tua madre-.
Carla Jaeger
entrò in salotto, il viso arrossato dal vapore della doccia
e la fronte madida
di sudore. Mosse qualche passo verso il marito e si abbassò
per baciarlo,
mentre Eren, attento osservatore, si voltava dalla parte opposta
sbuffando un
infastidito "Bleah, che schifo!".
-Arriverà un
giorno in cui non vorrai mai smettere di stare con la donna che ami-,
gli disse
il padre, sorridendo nella sua direzione e lanciando uno sguardo
complice alla
moglie.
-È un po'
presto per parlare di certe cose, non credi?-, lo rimproverò
Carla. -Il nostro
ometto ha solo sei anni, ci vorrà ancora parecchio tempo
prima che sviluppi
certi interessi-.
-Mamma!-, il
bambino si voltò di scatto, le orecchie a fuoco e le guance
vagamente colorite.
-Cosa abbiamo
qui?-, continuò la donna, accorgendosi solo in quel momento
del pacchetto
lasciato in bella vista sul tavolo. Lo prese con delicatezza e lo
esaminò da vicino,
scuotendolo leggermente per carpire che sorta di rumore producesse il
contenuto.
-Carla, non
troppo forte-, le suggerì il marito, prendendole dalle mani
la confezione. -Si
potrebbe rompere qualche componente interno-.
-Che cos'è,
che cos'è?-, Eren riprese ad assillare il padre,
saltellandogli davanti agli
occhi come un forsennato. -Voglio aprirlo, per favore!-.
-Non appena
Mikasa avrà fatto la doccia...-.
-Vado a vedere
se ha finito-, intervenne Carla, uscendo dalla stanza e preparandosi a
rituffarsi nella nuvola di vapore che l'aspettava in bagno.
Grisha rimase
in silenzio. Spostò un paio di volte lo sguardo dal regalo
al figlio e poi,
inspirando ed espirando come se fosse sul punto di prendere una
decisione molto
importante, si rivolse al bambino: -Eren, devi promettermi una cosa-.
Il piccolo
annuì, gli occhi improvvisamente seri.
-Quando avrai
aperto il pacchetto, non dovrai dare in escandescenze come tuo solito-.
-Papà...-.
-Altrimenti
sarò costretto ad usare questa-.
Estrasse dal
colletto della camicia che indossava la catenina a cui teneva appesa
una
piccola chiave di ottone e la fece oscillare davanti agli occhi del
figlio.
-La chiave
della cantina?-, domandò stupito Eren, senza capire che cosa
intendesse dire
suo padre.
-Esattamente.
C'è un motivo se non ti ho mai permesso di entrarci e
l'ultima cosa che voglio
è farti scoprire il perché proprio oggi-.
-Papà, mi stai
spaventando...-.
-Tu promettimi
che ti comporterai bene e ti giuro che non succederà niente
di male. Hai
capito?-.
Il piccolo
annuì di nuovo, stavolta con occhi colmi di paura.
-Mikasa, c'è
una sorpresa per te e Eren. Vieni qui in salotto-.
Sentirono la
voce di Carla risuonare all'esterno della stanza e finalmente Mikasa
apparve
sulla soglia. Aveva i capelli leggermente arruffati e gonfiati a causa
del
phon, ma non per questo era meno carina del solito.
-Sembri uno di
quegli spaventapasseri che abbiamo visto alla casa in campagna del
nonno di
Armin-, le disse Eren, soffocando una risata. La piccola lo
guardò con sguardo
impassibile e avanzò verso di lui, evitando di mollargli uno
schiaffo dietro
alla nuca.
-Allora-,
Grisha Jaeger si strofinò le mani, -ora potete scartare il
pacchetto. Mi
raccomando, non litigate-.
Troppo tardi.
I due bambini strattonarono ora da una parte ora dall'altra l'innocente
regalo,
al centro dell'ennesima disputa che avrebbe decretato chi dei due era
più
forte. Alla fine, come sempre accadeva, fu Mikasa ad avere la meglio e
dunque
si arrogò il diritto di strappare via la carta.
-Non è giusto,
però!-, si lamentò Eren. -Sei sleale. Io non
posso mostrare tutta la mia forza
ad una femmina come te-.
La piccola
scosse la testa e prese a staccare lo scotch che teneva assicurata la
carta. Lo
fece con una lentezza esasperante, al solo scopo di far arrabbiare
ulteriormente Eren.
-Tieni-, gli
disse ad un certo punto, dopo aver semplicemente dato un'occhiata
all'interno.
-Finisci tu di togliere la carta-.
Il bambino non
se lo fece ripetere una seconda volta: le strappò di mano il
pacchetto e
artigliò l'involucro, scoprendo finalmente il contenuto.
-È una
cassetta!-, gridò trionfante, alzandola sulla testa come un
trofeo.
-Non una
qualsiasi-, gli fece notare il padre, rivolgendogli un altro occhiolino.
-È il cartono
animato di "Hercules"! Il
più forte di tutti!-.
Eren era in
preda ad una gioia selvaggia. Coccolò amorevolmente la
cassetta e ammirò il
mitico eroe che sorrideva sulla copertina, sorreggendo
l’ovale che racchiudeva
il titolo mentre al suo fianco lo guardava adorante quella che il bimbo
dedusse
essere la sua fidanzata. O forse era semplicemente una sua ammiratrice.
Ecco,
quella era l'opzione più probabile. D'altra parte, anche lui
gli avrebbe
rivolto quello sguardo, se avesse avuto la possibilità di
incontrarlo nella
realtà.
-Posso vederlo
subito?-, domandò Eren, continuando a saltellare di qua e di
là sotto gli occhi
addolciti dei genitori e l'espressione invariata di Mikasa. -No,
aspetta...
Posso invitare Armin qui a casa? Neanche lui ha ancora visto "Hercules" e sono sicuro che gli
piacerebbe da matti-.
-Come
preferisci-, gli rispose sua madre. -Allora sarà meglio
chiamare suo nonno per
sapere se...-.
Il trillo del
campanello di casa interruppe il loro discorso. Grisha Jaeger
andò ad aprire
alla porta e si ritrovò davanti un frugoletto
biondo dai grandi occhi
azzurri.
-Buon
pomeriggio, signor Jaeger-, lo salutò cortesemente Armin
Arlert, l'unico
bambino con cui suo figlio era riuscito a stringere amicizia.
-Ciao, Armin.
Vieni, entra pure. Stavamo parlando proprio di te-.
Il piccolo si
lasciò accompagnare in salotto. Vi trovò Mikasa,
che stava trafficando con il
videoregistratore, e un Eren ancora saltellante per la contentezza.
-Armin!-, gli
corse incontro, nascondendo dietro alla schiena la cassetta come poco
prima
aveva fatto suo padre. -Indovina cosa mi ha riportato
papà?-.
L'amico non
rispose, in attesa di sapere tutto.
-Guarda qui!-.
Gli mostrò il
regalo e glielo porse. Armin non espresse a parole il suo entusiasmo,
ma gli
occhi parlarono al posto della bocca.
-"Hercules"... Quando vuoi...?-.
-Vediamolo
adesso!-, esclamò Eren, trascinando il compagno verso il
divano e facendolo
accomodare proprio di fronte al televisore. -Stavo dicendo a mamma che
mi
avrebbe fatto piacere guardarlo insieme a te, ma per fortuna sei
arrivato
subito e così adesso ce lo vediamo tutti insieme-.
-Ma mio
nonno...-.
-Mamma, puoi
telefonare al nonno di Armin e dirgli che rimane qui un po' di
più per guardare
il cartone animato con me e Mikasa?-, chiese Eren, mettendosi in
ginocchio
sulla seduta del divano e affacciandosi da dietro lo schienale.
Non recepì la
risposta di sua madre, ma immaginò che sarebbe comunque
andata ad informare
l'anziano signor Arlert.
-Eren, passami
la cassetta-, ordinò Mikasa, che aveva appena finito di
collegare i cavi alla
presa della corrente.
-Tieni-, le
rispose lui, tendendole il supporto ed esaminando la copertina con
sguardo
devoto.
-Vorrei essere
forte come Hercules-, disse Armin con tono timido. -Almeno me la
caverei contro
quei bulli che stanno a scuola-.
-Non
preoccuparti-, replicò Eren, battendogli una mano sulla
spalla, -ti proteggerò
io. Diventerò tanto forte da mostrare i muscoli, proprio
come fa lui-, disse,
indicando la copertina.
-Secondo me,
il padre di Mikasa era proprio Hercules-, Armin abbassò la
voce, ma la bambina
riuscì comunque a sentirlo, senza però commentare.
-Ehi, io sono
più forte di Mikasa. Solo che non lo posso far vedere, visto
che lei è femmina.
I maschi non possono fare le risse con le femmine, no? Altrimenti sarei
un
vigliacco-.
-Ma...-.
-Guarda! C'è anche
quel muso lungo di Jean Kirschtein sulla copertina!-, rise Eren,
puntando il
dito verso un cavallo alato che si vedeva sullo sfondo. -Prima non ci
avevo
fatto caso!-.
-Un po' si
somigliano, è vero-, concordò Armin, pensando per
un secondo al loro compagno
di scuola e unendosi subito dopo alle risate dell'amico.
-Smettetela,
voi due. Sta iniziando-, disse Mikasa con fare sbrigativo, mettendo
fine alle
chiacchiere dei due bambini. Si allontanò dal televisore e
andò a sedersi alla
destra di Eren senza aggiungere una parola.
Nella stanza
cadde un religioso silenzio. Gli occhi dei tre spettatori si riempirono
di
entusiasmo non appena comparve il logo della Disney, poi lo schermo si
oscurò
un'ultima volta e il film ebbe inizio.
Tempo fa, in una lontana terra
dell’antica Grecia, ci fu
un’epoca d’oro di Dei potenti e di eroi
straordinari. E il più grande e il più
forte di tutti questi eroi era il possente Ercole.
Eren
annuiva
ad ogni parola pronunciata dal narratore. Si trattenne dal battere le
mani,
anche perché non voleva perdersi nemmeno una singola battuta
dei vari
personaggi.
-La dea grassa deve mangiare più di Sasha...-, si
azzardò a dire Mikasa, provando a
fare una battuta. Ma il suo tentativo di far ridere gli altri due fu
vanificato
da Eren, che la zittì con un deciso "Shhh!".
La nostra storia in effetti comincia molto prima di
Ercole, milioni di anni fa…
Fu tanto tempo fa, per il pianeta erano guai, e
imperversava
bruta dei Titani la follia.
Fu
un secondo.
Eren scattò in
piedi, urlando e battendo i piedi per terra. Le sue pupille erano
dilatate, gli
occhi iniettati di sangue, un rivolo di bava gli colava a lato della
bocca. Si
lasciò cadere sul pavimento e cominciò a rotolare
sul tappeto, battendo i pugni
e scalciando in un impeto di pazzia.
-Che cosa sta
succedendo?-, gridò allarmata Carla Jaeger, entrando di
corsa nella stanza e
osservando il figlio comportarsi come un indemoniato.
-N-noi stavamo
semplicemente guardando il film e poi...-, provò a spiegare
Armin, balbettando
a causa della paura. -N-non so cosa gli è preso, stava
bene...-.
-Carla, cos'è
capitato?-, anche Grisha Jaeger s'introdusse nel salotto, correndo dal
figlio e
inginocchiandosi per controllare le sue condizioni.
-Ha avuto uno
dei suoi attacchi-, esalò debolmente la moglie, sollevando
la testa del
bambino, ancora tremante e scosso da convulsioni.
-Lo sapevo.
Eppure mi ero raccomandato...-.
Grisha scosse
la testa, prese tra le braccia il bambino e guardò la donna,
che gli chiese: -E
adesso? Cosa facciamo?-.
-Quello che lo
psicologo mi ha detto di non fare-,
replicò lui di rimando, mentre Mikasa e Armin non riuscivano
a capire cosa
stessero blaterando i due adulti. -Devo portarlo in cantina-.
-No, ti
prego!-, Carla gli si aggrappò a un braccio. -Non
lì sotto!-.
-Devo. Starà
meglio, vedrai-.
-Ma lo
psicologo...-.
-So cosa ha detto
quello strizzacervelli, ma se continuiamo a dargli retta Eren non
riuscirà mai
a superare le sue crisi. È l'unico modo che abbiamo per
farlo sentire meglio.
La cantina lo aiuterà-.
Grisha uscì
dal salotto sorreggendo il figlio. Carla lo vide aprire una porticina e
scendere nel sottoscala, lì dove avrebbe spalancato un'altra
porta che lo
avrebbe condotto direttamente allo scantinato.
-Armin, torna
a casa-, gli consigliò la donna, rivolgendogli uno sguardo
preoccupato.
-Signora, ma
Eren...-.
-Domani non
potrà venire a scuola. Tra un paio di giorni
starà bene-.
-Però...-.
-Mikasa,
accompagna il tuo amico, per favore-.
La bambina
obbedì in silenzio, scortando Armin fuori di casa. Non
proferì parola finché il
compagno non insistette per sapere cosa fosse preso a Eren.
-Non lo so-,
rispose lei. -Non capisco quale sia il suo problema-.
-Ma il dottor
Jaeger ha parlato di attacchi-, insistette il piccolo, -quindi gli
capita
spesso di...-.
-Armin, non ne
so niente. Davvero-.
***
Quando
tornò a
casa, trovò Grisha in salotto. L'uomo aveva fatto sputare al
videoregistratore
la cassetta incriminata e adesso la stava riponendo nella custodia di
plastica.
-È stata quella parola,
vero?-, domandò
Mikasa.
Il dottore non
rispose.
-Cosa faremo
con quella?-, chiese di nuovo, riferendosi al cartone animato.
-La faremo
sparire-, dichiarò Grisha. -Come se non l'avessi mai portata
a casa. Se solo
avessi saputo della presenza di quelle creature in questo film...-.
-Nessuno lo
sapeva-.
-Pensavo che
sarebbe stato contento di vedere "Hercules"-,
continuò l'uomo. -Ne parlava da settimane, ormai... E oggi,
quando sono passato
al negozio di elettronica, ho visto la cassetta. Prima che scartasse il
regalo,
mi sono anche raccomandato di non dare in escandescenze...-.
-Adesso come
sta?-.
-Si è calmato.
La cantina ha funzionato di nuovo-.
-È in camera
sua?-.
-Sì, Carla è
con lui. Si risveglierà domani mattina e non
ricorderà niente. Meglio così-.
Mikasa annuì
con un debole cenno della testa. Uscì dal salotto e si
diresse verso le scale,
salendo lentamente al piano superiore. Spiò dalla porta
della stanza di Eren e
vide la madre seduta al suo capezzale; incerta sul da farsi, alla fine
la
bambina decise di entrare.
-Hai accompagnato
Armin come ti avevo chiesto?-, le domandò Carla.
-Sì. Voleva
sapere cosa è successo a Eren-.
-E tu cosa gli
hai detto?-.
-Niente. Ho
risposto che non so nulla-.
Carla le tese
la mano e le fece segno di avvicinarsi. Mikasa si pose al suo fianco e
sentì le
dita della donna sfiorarle la lunga frangia che le copriva parzialmente
lo
sguardo.
-Sei una brava
bambina, Mikasa. Eren avrà bisogno di te. Mi prometti che
gli starai sempre
accanto?-.
La piccola
asserì in silenzio.
-Quegli incubi
finiranno mai?-, domandò, volgendo lo sguardo al coetaneo
disteso privo di
sensi sul letto.
-Nessuno può
dirlo-, ammise Carla con un sospiro. -Lo psicologo dice che i suoi
sogni lo
hanno traumatizzato; pare proprio che di notte il suo inconscio viva
un'altra
vita. Una vita in cui a trionfare sono solo morte e disperazione-.
-E quelle
creature-, aggiunse Mikasa.
-Esatto-,
concordò la donna. -Quelle creature-.
Il silenzio
che seguì divenne insostenibile. Fu spezzato solo quando
Grisha entrò di
soppiatto nella stanza.
-La cassetta è
distrutta-, annunciò, mentre Carla tirava un sospiro di
sollievo. -D'ora in poi
saremo costretti a tenere sotto stretta sorveglianza perfino i cartoni
animati
che vede in TV. La situazione si fa sempre più difficile-.
-Parlerai con
lo psicologo di questo nuovo attacco?-, gli chiese la moglie.
-Sarò
costretto a farlo. Di certo non sarà felice di sentirmi dire
che ho utilizzato
un sedativo per calmarlo, ma gli spiegherò che era l'unico
modo per farlo stare
meglio. Se Armin non fosse stato in casa, probabilmente avrei agito
diversamente. Mikasa-, si rivolse alla piccola, -gli hai confidato il
problema
di Eren?-.
-No. So che
non devo farlo-.
-Saggia
decisione. Nessuno deve sapere-.
Grisha sedette
sul letto, accanto al figlio, e osservò il suo viso, adesso
rasserenato.
-Finché
useremo i farmaci che ho ideato in laboratorio, Eren dormirà
sonni tranquilli.
Il punto cruciale sarà non esporlo a stimoli che potrebbero
risvegliare i
ricordi che ha dei suoi incubi-.
-Ma se i
ricordi non riaffiorano, non potrà mai liberarsene del
tutto-, obiettò Carla,
bianca come un lenzuolo. -Così facendo, Eren sarà
costretto ad assumere
costantemente i farmaci che nascondi giù in cantina. E
quando noi saremo morti
cosa succederà? Comincerà a confondere la
realtà con il luogo in cui regnano gli incubi, impazzirà
e verrà rinchiuso in una clinica per malati
psichiatrici, ecco cosa accadrà!-.
-Ci sarà
Mikasa con lui-, continuò Grisha. -Si assicurerà
che Eren prenda i medicinali.
E se si presentasse una crisi come quella di oggi, allora
ricorrerà al
sedativo. Lo farai, Mikasa? Sei pronta ad occuparti di lui?-.
La bambina
annuì per l'ennesima volta, consapevole di quanto fosse
grave la situazione e
di quanto fosse importante il compito a cui avrebbe dovuto sacrificare
l'intera
vita.
-Dirò allo
psicologo che smetteremo di consultarlo-, annunciò Grisha.
-Gli dirò che
metteremo un freno agli incubi di Eren-. Accarezzò la fronte
sudata del bambino
e sussurrò: -Mio figlio non dovrà più
temere un attacco dei Titani-.
Note
dell’Autrice
Per la
prima volta da quando pubblico
fiction sento il dovere di spiegare cosa è successo nella
storia.
Inizio dicendo che la OS è nata come
una commedia, perché sarebbe dovuta finire con Eren in preda
ai suoi attacchi
causati dall’ossessione per i Titani. Ma come spiegare la
reazione del bambino,
visto che questa è una AU ambientata nel 1997?
Ed ecco che le cose mi sono sfuggite
di mano e l’atmosfera si è fatta inquietante.
La spiegazione è una sola: prendendo
spunto dai primi minuti del primo episodio di SNK, ho immaginato che
Eren
avesse degli incubi in cui vive una vita alternativa, quella che
abbiamo visto
e vediamo nell’anime/manga. Al risveglio, il trauma
è così forte che i
genitori, non riconoscendolo più, si vedono costretti a
consultare uno
psicologo, che trae informazioni dai ricordi sfocati che il piccolo ha
dei
propri incubi. Il problema è che quando sente parole o vive
episodi che gli
riportano alla mente le vicende vissute nel sonno, inizia a dare di
matto,
proprio come accade nella OS che avete appena letto. Il padre, medico
ricercatore, riesce a elaborare dei farmaci che aiutano il figlio a
calmarsi,
ma gli causano ogni volta la perdita della memoria relativa solo agli
incubi. I
sogni dunque non vengono cancellati, come obietta anche Carla Jaeger al
termine
della OS, ma sono solo nascosti per effetto dei medicinali. Ogni volta
che la
loro azione termina o quando, appunto, Eren è esposto a
stimoli rischiosi,
riaffiorano i ricordi che gli provocano un’autentica crisi di
nervi.
Insomma, mi sono lasciata ispirare dal
fatto che, tra le tante, possibili conclusioni ipotizzate per SNK, ci
sia anche
quella secondo cui la vicenda non è altro che un incubo di
Eren, proprio come
si vede all’inizio del primo episodio della serie.
Perdonate se sono stata poco chiara e
se la OS vi è parsa priva di senso; considerate
però di aver brevemente assistito
al delirio di un soggetto con disturbi psichiatrici.
Grazie a chiunque si sia spinto a
leggere fin quaggiù e a chiunque sia tanto matto da lasciare
un commento,
positivo o negativo.
Amor31