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Autore: Floffy_95    05/02/2015    1 recensioni
Un principe valoroso che cerca di proteggere la sua famiglia e un astuto Signore di Doni intenzionato a dominare l'intera Arda. Chi è Angmar? dov'è nato, qual'è la sua storia? ma soprattutto: cosa lo ha reso quello che è divenuto famoso per essere il grande Re Stregone temuto da tutti? Questa è la storia di un uomo chiamato Isilmo, fratello della regina di Númenor, che per spezzare il suo destino finì per decretarlo, per liberarsi dal peso della morte finì per diventare parte di essa, per salvare la sua famiglia finì per condannarla.
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fic.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nazgul, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo II:

Telperiën

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Il vento sibila da oriente fra i merli delle spettrali mura di Minas Morgul, portando con sé il fetore del Vulcano.

Poso un guanto sul ventre della mia cavalcatura.

La bestia freme sotto le mie dita, scuotendo il capo e lanciando deboli strepitii.

Ammiro il suo collo sinuoso, la pelle spessa e pallida solcata da innumerevoli grinze.

Odo il suo respiro affannoso.

Schiocca il becco dentellato, impaziente.

«Vuoi nutrirti, non è così? Presto assaggerai le tenere carni dei servi di Gondor.

Dobbiamo solo attendere il segnale del Padrone.»

La creatura strepita agitando il capo, sbattendo debolmente le ali e facendo dondolare le

escrescenze adipose che le ornano il collo.

Fra me e me sorrido.

Fiera di morte, flagello degli uomini, presto voleremo insieme sui cieli di Minas Tirith

per portare a compimento il piano del nostro signore.”

Contemplo la lividezza della sua pelle glabra, i riflessi opachi dei suoi occhi cerulei.

Questo mi fa venire in mente mio padre.”

Mio padre.

 

 

Quando morì sembrava proprio così, come un vecchio uccello avvizzito dal collo rugoso e pallido,

niente più che un guscio vuoto di quello che era stato il Re di Númenor.

Ripensandoci mi tornano alla memoria altri dettagli.

Il colore nero e argento delle tende del baldacchino, la corte riunita al capezzale del loro re...

Ci sono candele accese ovunque.

L'aria è pesante, gravida di attesa.

Sono vestito così come sono uscito dalla camera della mia sposa, il mantello logoro,

gli stivali ancora macchiati di fango.

Me li tolgo sull'uscio.

Punto gli occhi su mio padre.

Tar-Súrion giace nel suo letto avvolto da molte coperte.

Nonostante il camino sia acceso, vengo scosso da un fremito.

La sua testa canuta è poggiata su numerosi cuscini ricamati di velluto nero, i capelli sparsi come cera liquida.

Il suo volto emaciato e ceruleo è coperto da un velo di sudore.

Si aggrappa spasmodicamente alle coperte di pelliccia con le mani ossute e pallide.

Il suo respiro è debole.

I suoi occhi acquosi fissano il vuoto.

Emette un rantolo.

Sospiro profondamente, tanto che alcuni dei cortigiani si voltano verso di me.

«Maestà» sussurra il ciambellano «vostro figlio è qui.»

Mia sorella mi scruta preoccupata.

Il suo viso altero è pallido e solcato da cupe occhiaie ad incorniciargli gli occhi color del mare in tempesta.

Porta le trecce dorate raccolte in una crocchia, fermata sulla nuca da un velo nero.

Muovo incerto qualche passo verso il letto.

«Padre...» La mia voce è roca.

Il Re viene colpito da un accesso di tosse.

Biascica qualcosa di incomprensibile.

Ormai sono al suo capezzale.

Gli stringo la mano.

È terribilmente fredda e sudaticcia.

Con gli occhi cerco mia sorella.

I nostri sguardi si incrociano.

Tento di aprire la bocca ma non ne esce alcun suono.

Deglutisco.

Mia sorella sospira.

«Telperiën.» La mia voce trema.

La principessa viene scossa da un fremito che presto estingue stringendosi le mani in grembo.

Abbassa lo sguardo.

Mio padre mi stringe forte la mano.

Emette un altro rantolo.

Mi chino su di lui.

«Padre?» sussurro.

Tar-Súrion si agita fra le coperte.

Scuote il capo.

Ansima.

Viene colto da un altro accesso di tosse.

Un altro rantolo.

Mi sembra che abbia detto qualcosa.

Gli passo una mano sulla fronte imperlata di sudore.

Scotta.

«Cosa avete detto, Padre?»

Tar-Súrion emette un suono gutturale.

Ansima ancora, stringendo più forte la mia mano.

«...Eriën.»

Mi acciglio, fissandolo sconcertato.

«Come?»

Mio padre emette un suono strozzato.

Mi attira a sé, avvicinando le labbra al mio orecchio.

Trema vistosamente.

I cortigiani mi fissano incuriositi, con uno sguardo a metà fra il sorpreso e il preoccupato.

Il Re borbotta qualcosa di incomprensibile.

Il ciambellano guarda il medico di corte, sconvolto.

«Cosa dice? Che dice?» ma le sue parole sono rivolte a me.

Cerco con lo sguardo mia sorella.

Con sollievo la trovo accanto a me.

È sbiancata e i suoi occhi sono velati dalle lacrime.

Fissa mio padre, immobile.

Tar-Súrion emette un rantolo ancora più forte di prima.

Mi stringe spasmodicamente.

«...Eri-ën... Tel-peri... ën!»

Mia sorella corre al suo capezzale.

«Attû6

Le lascio la mano di nostro padre, ancora tremante.

Lei la bacia, stringendola forte sulla guancia.

Le sue gote sono rigate di lacrime.

Tar-Súrion sospira debolmente. È quasi un soffio.

Ormai non manca più molto.

Stringo i pugni.

Dèi salvatelo! Eru, ti supplico.”

Lentamente, il Re allontana la mano dalla guancia di Telperiën, stringendosela in grembo.

Tremando si sfila l'anello di mithril che porta all'indice destro.

Afferra la mano di mia sorella.

Telperiën rimane col fiato mozzo.

Il Re le infila l'anello nell'indice destro.

Emette un debole rantolo.

«Ti... affido... il regno... ora... tu... sei... regina.»

Reclina la testa sui cuscini.

Mia sorella si guarda la mano, tremante, quasi incapace di accettare quello che sta succedendo.

Tar-Súrion ansima quasi impercettibilmente.

Stringe convulsamente la mano di Telperiën.

«Ti do la mia... be-ne-dizione. Possa il tuo... regno, essere... lungo e pacifico... e...

che il tuo dominio possa conoscere... la... la...»

Tira il fiato, pronunciando la parola in un colpo solo.

«Saggezza.»

Il Re emette un lungo e roco rantolo.

Lancia un lungo sospiro.

Il suo corpo si distende, come se potesse adesso riposare per la prima volta.

Sui suoi occhi opachi è sceso un velo.

Mio padre guarda mia sorella senza vederla.

La sua mano scivola via da quella di Telperiën, inerte.

La bocca dischiusa.

Il medico di corte si china lentamente sul suo re, posandogli le dita alla base del collo.

Il suo volto non sembra far trasparire nessuna emozione.

Si irrigidisce.

«È finita» sospira «Il Re è morto.»

Il ciambellano si inchina frettolosamente davanti a mia sorella, scuotendo la piuma del suo cappello.

«Il Re è morto, viva la Regina!»

Tutti i cortigiani si inchinano a loro volta, ripetendo il ciambellano con voce stentorea.

«Il Re è morto, viva la Regina!»

Dopo aver dato un'occhiata fugace a mio padre accenno ad un inchino.

«Il Re è morto, viva la Regina!» ripeto.

Il medico chiude gli occhi al suo Re e vi distende sopra un lembo di coperta.

Telperiën fissa l'anello di mithril quasi sbigottita, suo malgrado alzandolo al cielo perché tutti possano vederlo.

I cortigiani applaudono, gridando con voci fiere.

I servi accorrono nella camere del Re e si inginocchiano a loro volta, unendosi al coro.

«Viva la Regina! Viva Tar-Telperiën!»

 

 

Le falde del Minul-Târik ci abbracciano da ogni lato, inghiottendoci con le sue lunghe ombre.

Noirinan, la Valle delle Tombe, ci circonda con le sue cripte e camere funerarie scavate

direttamente dentro la roccia della Montagna.

La strada silente è ora gremita di gente.

In silenzio, il corteo si dirige verso le Tombe dei Re, dove riposano Tar-Anárion, padre di mio padre e le sue figlie.

Sia io sia Anariën siamo riccamente vestiti, ornati con diademi argentati alla maniera di Númenor.

Mi volto verso la mia sposa.

Anariën ha insistito per tenere fra le braccia il bambino, nonostante la nutrice volessero il contrario.

La mia sposa tiene lo sguardo fisso sulla bara del Re.

Telperiën marcia in testa, l'abito di broccato nero ricamato con il simbolo argentato dell'Albero Bianco.

Molti di noi sorreggono candele accese di cera purissima.

La marcia si interrompe.

Siamo arrivati.

Telperiën si dirige a passo ritmato verso un altare di pietra serena,

coperto di rune elfiche e infestato da macchie fiorite di gelsomini.

Una volta posizionatasi di fronte all'altare, si inginocchia aiutata dalle ancelle che le reggono lo strascico.

Il sacerdote avanza fra la folla impettita agitando un incensiere e salmodiando nella lingua degli Alti Elfi dell'Ovest.

La sua stola di bisso verdemare che reca ricamati in oro i Due Alberi ondeggia al vento.

Giunto dietro l'altare il sacerdote alza le braccia al cielo ed esclama con voce stentorea:

«Êru! Ti affidiamo questo tuo figlio, nostro signore e Re di Númenor!

Che le Bianche Sponde lo accolgano alla fine del suo viaggio!»

Il corteo grida in risposta:

«Salute, Tar-Súrion, Re dei Re, possa il tuo viaggio condurti sicuro alla Casa del Padre!»

Osservo la bara bianca di mio padre farsi strada fra la folla, sorretta da sei giovani della capitale.

È scoperchiata, così che tutti possano vederla.

Aiutato da dei giovani, il sacerdote accatasta dei rametti sbucciati di cedro sull'altare e vi versa dell'olio.

Con una pietra focaia inizia a spigionare delle scintille

azzurre che si depositano sui legni scatenando una fiamma arancione

che inghiotte presto la piccola catasta e si alza in spire scarlatte verso il cielo.

Il sacerdote unisce le mani aperte davanti la viso, socchiudendo gli occhi e rivolgendo una preghiera silenziosa agli Dèi.

La bara di mio padre viene condotta fin sotto l'altare, circondato da crisantemi dipinti di nero e di oro.

Mia sorella si alza e fa spazio mentre i ragazzi posano la bara a terra.

Il sacerdote allarga nuovamente le braccia e sparge grani d'incenso sulle fiamme che crepitano

diffondendo zaffe di fumo dall'odore stordente.

Il sacerdote guarda mia sorella, che si inchina leggermente davanti all'altare e poi gli si mette a fianco.

«Che il Re riposi nelle Case Senza Tempo, finché il mondo non sia rinnovato!»

Tutti noi chiniamo il capo mentre il sacerdote rivolge un'altra preghiera silenziosa al Valar.

Il sacerdote si inchina a sua volta e dopo aver preso una brocca argentata

rovescia dell'acqua marina sul fuocherello, estinguendolo.

«Che la sua carne non si distrugga mai, che possa essere ancora splendido nella Dagor Dagorath7

Il sacerdote si avvicina a mia sorella, accennandomi di fare lo stesso.

«Siete pronti? Ora potete dare l'ultimo saluto a vostro padre.»

Telperiën si china sulla bara e fissa mio padre, immobile.

Allunga una mano sul viso di nostro padre.

Lo carezza lievemente.

Posa le labbra sulla sua fronte fredda.

Sospirando si rialza, annuendomi.

Mi volto verso Anariën.

La mia sposa mi sorride debolmente.

Mi chino su mio padre.

Per sette giorni è stato chiuso nelle Sale di Passaggio, 

per sette giorni gli imbalsamatori hanno cosparso il suo corpo di strani intrugli e

hanno operato sulla sua salma, affinché potesse tornare bello come un tempo.

Sbatto le palpebre, ammirato.

Tar-Súrion appare fiero e sereno nel sonno eterno, la barba ben spazzolata,

i capelli in ordine tagliati alle spalle, 

candidi come la neve e rigidi come fili metallici.

«Addio... padre.»

Poso le labbra sulla sua fronte.

È amara e gelida, dura come il freddo marmo, come se fosse una statua scolpita.

Mi volto verso il sacerdote, annuendo.

Il sacerdote ricambia, facendo un cenno ai suoi aiutanti.

Mia sorella ordina alla fanfara di cominciare.

I suonatori impugnano i lunghi corni e iniziano a soffiare.

La melodia che ne esce è cupa e roca, come gli abissi immoti del mare.

Un coro di voci bianche attacca alla seconda strofa, innalzandosi in gorgheggi acuti e malinconici.

I giovani che sorreggevano la bara ora la sollevano di nuovo e la calano per mezzo di funi in un sarcofago più grande,

di pietra.

Vi viene posto sopra un coperchio di cristallo sfaccettato che viene benedetto dal sacerdote.

Il sepolcro viene quindi fissato a dei buoi e trascinato sopra dei tronchi mondati,

strisciando fino alla camera mortuaria, sempre sotto le acute note funebri.

Per un istante mi perdo nei miei pensieri, seguendo con lo sguardo il sarcofago che si allontana,

mentre un'aria soave si diffonde fra i templi.

Osservo Telperiën china sull'altare, le mani in grembo.

Le porte della cripta reale vengono sigillate e la musica sfuma nelle note dolci e

malinconiche dei liuti e delle arpe fino a concludersi.

Tutti si inchinano davanti alla tomba e poi davanti a Telperiën.

Io e Anariën facciamo lo stesso.

Il sacerdote si china davanti alla sua regina e la conduce per mano davanti all'altare.

Telperiën si inginocchia e congiunge le mani.

Tiene gli occhi bassi, il viso pallido.

Un paggetto porge al sacerdote un vasetto bianco.

Il prete intinge le dita e unge la Regina con l'olio sacro, disegnando sulla sua fronte il simbolo elfico per “re”.

Un altro paggio si accosta, inchinandosi, reggendo un cuscino con uno scrigno dai listelli dorati.

Il sacerdote lo apre ed estrae una cordicella di mithril sfavillate con la centro incastonata una gemma bianca.

Alza le braccia al cielo e girda:

«In nome Êru Ilúvatar e delle Potenze che siedono nel Máhanaxar8,

io ti incorono Tar-Telperiën, decimo sovrano e seconda Regina Reggente di Númenor!»

La folla applaude, lanciando grida di gioia.

Un sorriso mi affiora dalle labbra mentre mi unisco ai festeggiamenti.

Il sacerdote aggiunge con voce stentorea:

«Sia lode a Tar-Telperiën, prima del suo nobile nome, Regina dei Dúnedain,

Signora di Arminalêth e Protettrice del Reame!»

Il sacerdote eleva la corona sul capo dorato di mia sorella e le cinge le tempie.

Il corteo grida a pieni polmoni.

«Lode a Tar-Telperiën!»

Mia sorella sorride amabilmente alla folla, ma il suo è più un sorriso di circostanza.

Telperiën si volta e il sacerdote si inchina davanti alla sua regina e si fa da parte.

La Regina si gira verso il corteo e alza le mani in segno di benedizione, sempre sorridendo.

Tiene alto l'anello di Elros, così che tutti possano vederlo.

Il sacerdote si fa nuovamente a fianco di mia sorella.

«Ecco lo scettro Arminalêth.» Le dice, porgendole una verga d'oro finemente lavorata.

«Ecco la Spada dei Re.»

Telperiën afferra una spada lunga, di fattura elfica.

È Aranruth, la spada di Thingol, Re del Doriath e uno dei più antichi cimeli del regno, simbolo dei re.

Quando gli applausi si spengono, Telperiën posa dinnanzi a sé la spada e lo scettro,

posando la mano destra sul petto, mentre eleva l'altra.

Il pubblico resta immobile, in silenzio.

Telperiën Apre le morbide e chiare labbra, gli occhi limpidi che scrutano lontano.

La voce che ne esce, chiara e malinconica, ammalia la folla silenziosa.

«Et Endorëllo Andorenna utúlien. Sinome maruvan ar Hildinyar tenn’ Ambar-Metta!»

Così canta Telperiën, intonando il Giuramento di Indilzar ai piedi del Minul-Târik,

mentre le sue ancelle saturano l'aria con i petali dei fiori di Nimloth,

l'Albero Bianco di Númenor e dei liuti e delle arpe accompagnano dolcemente la melodia.

La Regina reclina il capo, portandosi ambe due le mani al petto, con un singulto.

La canzone è finita.

La folla resta per qualche istante in silenzio, come stregata dalle parole della Regina.

Inizio a battere le mani, seguito da mia moglie e da tutti gli altri.

Gli araldi sventolano la bandiera della casa reale di Númenor, campo nero con l'Albero Bianco ricamato in oro, 

mentre le trombe squillano e la folla prorompe con forti grida:

«Viva la Regina di Númenor! Viva Tar-Telperiën!»

Le mie labbra si piegano in un sorriso di soddisfazione e mi volto verso mia moglie.

Anariën mi stringe la mano, sorridendo anch'essa.

Sembra una bambina nel giorno del suo compleanno.

I miei occhi si posano con un sospiro su quelli grigio mare di Telperiën.

«Viva la Regina.» sussurro senza smettere di battere le mani.

 

 

Entro nella stanza con incedere malsicuro.

Non mi sento a mio agio nelle sale del palazzo, ampie e maestose, scolpite per il volere degli antichi re.

Sono passati alcuni mesi dall'incoronazione di mia sorella.

I miei passi mi conducono nella sala del trono, debolmente illuminata da bracieri d'oro sospesi.

Punto il mio sguardo oltre le colonne cesellate e il pavimento intarsiato di mille colori,

aldilà della cortina di fumo profumato d'incenso,

verso il trono innalzato su sette gradini, verso la Regina.

Sospiro.

Tar-Telperiën siede rigida sopra un lungo mantello di velluto nero fuori e purpureo dentro,

cinto di ermellino che ricopre il trono di marmo.

La sua toga le ricade morbida sulle spalle e sui fianchi, chiusa in vita da una cintura d'argento e perle.

I suoi occhi grigi sono spenti e annoiati, circondati da occhiaie scure,

tuttavia il suo viso ovale appare luminoso sebbene pallido.

Raggiungo il trono e mi inginocchio.

Tar-Telperiën muove una gamba per sedersi in maniera più comoda,

scostando lo strascico della gonna plissettata verde rame.

«Salve, fratello.»

La sua voce mi pare stanca, come se un grande peso fosse calato su di lei da quando è ascesa al trono.

Abbasso lo sguardo.

«Regina.»

Sento un debole risolino farsi strada da sopra di me.

Alzo gli occhi, tenendo una mano stretta sul petto.

Incontro gli occhi di Telperiën.

Nonostante l'evidente stanchezza si è illuminata in viso e mi sorride amabilmente.

Con sguardo attento scruta la sala alla ricerca di possibili incomodi.

«Fra noi non c'è bisogno di queste formalità, almeno nel privato.»

Annuisco e sospiro ancora.

«Mi hai chiamato, sorella?»

questo appellativo pare soddisfarla e Telperiën arriccia le labbra,

tamburellando con le dita affusolate sui braccioli intarsiati.

«Ci sono novità dalle Grandi Terre. Ereinion, signore di Lindon,

che tutti chiamano Gil-Galad richiede il nostro intervento.»

Aggrotto la fronte, perplesso.

«Di che si tratta?»

Telperiën si appoggia allo schienale di marmo nero e bianco, coperto di bassorilievi d'oro e d'argento.

«Apparentemente, il Re è preoccupato circa l'intervento di un certo elfo fabbro

che sembra appartenere alla schietta dei vanyar.

Sembra che questo elfo, che si fa chiamare Artano9 e Mairon10 conduca degli affari non molto

chiari nel paese di Eregion, abitato dal principe noldor Celebrimbor.»

Scuoto la testa.

«Cosa importa a noi degli affari degli elfi?

Della Terra di Mezzo poi, neppure fossero i nostri amici dell'isola di Eressëa.»

Telperiën lascia un lungo sospiro.

«Non ne ho idea. Sinceramente non so cosa pensare.»

Mi mordo un labbro.

«Comunque il fatto che usi dei titoli piuttosto che il suo vero nome lo rende un poco misterioso.»

Telperiën sbuffa.

«Oppure è simbolo del suo smisurato ego. Sai come sono fatti gli elfi, credono di essere superiori a tutto e tutti.»

«Forse hai ragione. Che cosa hai intenzione di fare?»

La Regina si scosta un poco dallo schienale.

«Credo che la cosa migliore sia quella di lasciare che gli elfi se la sbrighino fra di loro.»

Mi fa cenno di alzarmi.

«Avevi qualcosa da dirmi?»

Mi rialzo con un ghigno sulle labbra.

«Non hai i tuoi consiglieri per questo? Perché hai chiamato proprio me?»

Telperiën scrolla le spalle.

«È un nido di serpi.»

«Il ciambellano Îbal ha servito per molti anni nostro padre.»

«Lui è il peggiore di tutti.»

La tensione si è fatta un po' troppo forte.

Mi tormento la catena d'oro che porto al collo.

«Comunque c'è una cosa di cui vorrei parlarti...»

Telperiën stringe nel grembo lo scettro.

«Ti ascolto.»

«Vorrei chiederti il permesso di trasferirmi in Emerië, nella Bianca Casa di Erendis.»

Telperiën si mordicchia il labbro.

«Il motivo?»

Deglutisco.

«Ecco... la vita di palazzo mi ha stancato, sorella. 

Sento il peso del mio rango ad ogni sospiro e non sono mai libero di comportarmi come vorrei. 

E poi ho una famiglia, adesso. Devo prendermi cura di lei e tenerla lontano dal caos della capitale.»

«Fratello... vuoi forse dunque abbandonarmi con questi avvoltoi? E come crescerà il principe Minastir? 

Camuffato da pastorello ignorante come la regina Ancalimë?»

scuoto il capo. Telperiën non capisce.

«No, sorella. Minastir crescerà come un principe degno del suo lignaggio, mi occuperò io stesso della sua istruzione, 

come fece nostro padre con noi ma cercherò di tenerlo lontano dagli intrighi di palazzo.»

Telperiën incrocia le dita, squadrandomi con aria truce.

«Cosa dovrei fare io? Dovrei forse lasciarti partire per vivere come un signore di campagna mentre io sono bloccata qui, 

priva del tuo aiuto, tartassata da cortigiani arrivisti?»

Sospiro.

«Telperiën io...»

«Sono vostra altezza la Regina Tar-Telperiën per te.»

Il suo volto si indurisce un attimo, fissandomi meditabonda.

Poi il suo viso si distende tornando sereno.

Sorride debolmente, abbandonandosi sul trono con un sospiro.

Sembra molto stanca.

Forse è delusa da me.”

Telperiën si passa una mano sugli occhi.

«Permesso accordato. Puoi andare. Va' pure a mungere capre nell'Emerië.»

Mi passo una mano sulla barba bionda, cercando di mascherare un sorriso.

«Grazie, altezza.»

Mi inchino e faccio tre passi indietro.

Faccio per voltarmi quando la voce di mia sorella mi richiama indietro.

«Sì, altezza?»

Telperiën sorride amaramente.

«Vedi di farmi vedere mio nipote, qualche volta, intesi?»

«Sì, vostra maestà.»

«E non chiamarmi più “vostra maestà”!»

Rido sonoramente mentre lascio la sala e il rumore dei miei stivali echeggia dietro di me.

Grazie, sorella”.

 

 


6Adûnaic, padre

7Sindarin, Battaglia delle Battaglie, Battaglia Finale

8Quenya, Anello della Sorte

9Quenya, Alto Fabbro

10Quenya, Ammirevole


Angolo dell'Autore:

In questo capitolo ho condensato alcuni avvenimenti storici a scopo narrativo.

La regina Tar-Telperiën ascese al trono nell'anno S.E. 1556, quando il re Tar-Súrion abdicò

e questi morì dunque sedici anni dopo, non già all'incoronazione della figlia primogenita.

   
 
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