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Autore: Elly Priest    05/02/2015    1 recensioni
"Alya, non devi temere quello che viene dall' esterno, ma temi quello che può venire da dentro di te."
In quel momento che cosa doveva temere?
Di combattere? No di certo.
Il dolore? No.
Aveva il terrore di diventare un' assassina, per la seconda volta.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Stava calando la sera, nella cella faceva sempre più freddo.
Il respiro di quaranta ragazze formava una continua nuvola di vapore. Tremanti si avvolgevano nelle loro coperte, ognuna per conto proprio, come sempre era e sempre sarebbe stato. Raramente qualcuna parlava, non c'era molto da dirsi vivendo ventiquattro ore su ventiquattro con le stesse persone.
Ognuno pensava a se stesso, non c'era posto per gli altri: la solita legge del sopravvive il più forte.
"Alya, la prigione é un posto duro, ma é anche la prova decisiva per scegliere chi vuoi essere. Se sei debole non solo troverai la morte, la bramerai. Se sei forte, ne uscirai da vincitore. Sappi, però, che dovrai farci i conti per tutta la vita."
Le parole di Nonno Kuja le si erano impresse a fuoco nella testa. Si chiedeva in che modo poteva essere decisiva per lei, ma non voleva neanche ammettere di avere paura della risposta.
La luce fioca della sera illuminava a malapena la cella, sottolineava i lineamenti scarni delle detenute. Alya era alla finestra, osservava la parete di cemento che copriva la visuale: il reparto maschile. Gagarin era lì da qualche parte, ma non ne era certa e questo la deprimeva, non sapeva nemmeno se fosse ancora vivo.
Si intravedeva solo una piccola parte del cortile interno e notò che stava succedendo qualcosa, ma non sapeva cosa. Luci, qualche guardia che passava e tornava indietro, clangori metallici.
Alya si passava la statuina della Madonna tra le dita, la durezza del legno la rassicurava.
Katja diede uno sguardo fuori dalla finestra.
-Allora?
Alya continuò a guardare il cortile.
-Nulla di concreto per ora.. Ma non mi piace per niente.
"Pagherai cara la tua resistenza, Siberiana. Tutti pagheranno per colpa tua. Il controllo é un' arte per sopprimere il caos, se l' equilibrio viene spezzato si crea l' anarchia. Allora sí che le persone hanno bisogno di essere domate: l' anello debole si congiunge alla catena, quello forte verrà spezzato in un modo o nell' altro."
Le parole del Direttore del carcere non le aveva capite, ma non erano nulla di buono e questo lo sapeva molto bene. Non sapeva perché, ma era sicura che stava per succedere qualcosa, qualcosa di brutto. Il suo istinto non si sbagliava mai, ma questa volta pregò che non fosse così infallibile.
La porta della cella si aprì di violenza ed entrò lui: i capelli neri, il pizzetto e la divisa da ufficiale, Bugarov.
Tutte le ragazze scattarono in piedi all' unisono, erano rigide come il legno. Alya invece trattenne la voglia di saltargli addosso per strozzarlo. Davanti a lei c'era la ragazzina che le aveva regalato la statua, tremava visibilmente di paura. Da dietro vedeva quanto era piccola e scarna, i capelli biondi erano spettinati, ma sarebbe stata bellissima in un' altra vita. Gli enormi occhi azzurri erano spalancati per la paura.
Bugarov fece qualche passo nella cella, le ragazze si ritrassero automaticamente. Alya capí quanto terrore incuteva quest uomo, ma lei non lo temeva.
Il naso dell' ufficiale era un po' storto e violaceo, Alya sorrise compiaciuta.
Bugarov passò in rassegna l' intera cella con i suoi occhi scuri e ambigui, fissó lo sguardo su Alya e la ragazza fu certa di essere il suo prossimo passatempo. Senza cambiare obiettivo lui prese ad avvicinarsi a grandi passi, così tempestoso che Alya indietreggió un poco. Bugarov era vicino, tanto vicino, allungò il braccio, ma nemmeno sfioró Alya: con gran stupore di tutte afferró la ragazzina bionda per i capelli senza staccare lo sguardo da Alya. La ragazzina prese ad agitarsi disperata, mentre lui la trascinava via senza dire nulla. Gli occhi azzurri erano sbarrati dal terrore, continuava a gridare, ma nessuna muoveva un dito: circondata da persone egoiste, nessun alleato, nemmeno un aiuto.
Bugarov la strattonava violentemente mentre lei cercava di buttarsi a terra, consapevole di quello che la aspettava. Alya strinse la Madonna di legno nel pugno, la ragazzina non avrebbe superato la notte: troppo debole, indifesa. Una bambina, aveva a malapena quattordici anni.
Non poteva permetterlo.
"-Cos' hai fatto per meritarti questo?"
Alya afferró la ragazza dalle spalle e la staccó improvvisamente dalla morsa dell' ufficiale.
"-Ho ricevuto un' educazione Siberiana."
L' ufficiale non ebbe il tempo di dire nulla che Alya si gettó tra loro.
-Lasciala stare!
La ragazzina guardó Alya confusa, le lacrime le rigavano il viso.
Katja aiutó la bionda a rialzarsi, anche lei era interdetta: coraggio o idiozia?
Bugarov guardò Alya con il suo sguardo spietato e glaciale.
-Abbiamo una Siberiana coraggiosa, tra noi. Se la ragazzina non viene, tocca a qualcun'altra.
Alya sapeva che cosa comportava la scelta che stava per fare, ma ormai aveva deciso. Se Nonno Kuja fosse stato lí, l' avrebbe guardata con il suo classico sorriso enigmatico.
"Benfatto, bambina mia. Sono fiero di te: solo una persona forte si fa carico del fardello altrui."
Questa immagine diede forza alle parole che Alya stava per dire.
-Prendi me al suo posto.
Non si riconosceva nel gesto che stava compiendo, ma sapeva che era la cosa giusta da fare.
La ragazzina non poteva credere ai suoi occhi, era la prima volta che qualcuno faceva un gesto così altruista per lei. L' espressione di Bugarov non trasmetteva alcuna emozione, era cinico. Forse era per questo che incuteva tanto terrore.
Katja osservava tutta la scena e temeva per l' incolumità della sua compagna Siberiana. Bugarov afferró Alya per il braccio, puntó il suo sguardo negli occhi castani della ragazza. Lasciò la presa, Alya sentiva ancora la pressione della sua mano sul braccio.
-Tutte fuori.
Bugarov uscí per primo, arrivarono altre guardie ed iniziò il grande esodo della cella.
Le ragazze si guardavano, i loro sguardi facevano mille domande, ma nessuno pareva conoscere le risposte.
Alya procedeva a passo sostenuto dietro l' ufficiale. Notò con stupore che anche le altre celle erano vuote e non le ci volle molto per capire che c'era qualcosa di strano. Il percorso continuò nel silenzio, tra le strette pareti di cemento risuonavano solo i passi strascicati delle detenute.
L' ambiente era male illuminato, le luci sfarfallavano rumorose. Alya si affiancò a Katja senza dare troppo nell' occhio.
-Katja, cosa sta succedendo?
-Non ne ho idea, ma non é nulla di buono..
Girarono l' angolo, si stavano dirigendo verso il cortile interno. Katja toccò col gomito il braccio dell' amica.
-Ehy Alya.. Non so come dirlo, ma.. nessuno ha mai fatto una cosa simile.
Alya la guardò perplessa.
-Simile a cosa?
-Offrirsi volontaria per andare al macello.
Alya le rivolse uno sguardo d' intesa, ma non rispose. Il tragitto sembrò durare in eterno, ma finalmente varcarono l' ultima porta, ora erano nel cortile interno. Era molto spazioso, tanto da permettere al vento di passare tranquillamente tra le mura e congelare i detenuti.
C'erano guardie ovunque, erano più di un centinaio solo alle entrate del cortile.
La rete elettrificata era stata tolta, al centro dello spiazzo c'era una pedana rialzata di un paio di metri. Tutt' intorno i detenuti stavano seduti su delle panche di legno.
Katja era sbiancata visibilmente.
-Oh mio Dio...
Alya aveva un orrendo presagio.
-Cosa succede?
Katja guardò l' amica, era la prima volta che Alya la vedeva con quell' espressione ed iniziò a temere la risposta.
-Siamo all' Inferno.
Alya sentí un brivido su per la schiena.
-Cosa vuoi dire?
Katja fissó la pedana che veniva chiusa da una grande gabbia metallica.
-Sunkasha.
-Sunkasha...?
Katja le strinse un braccio e deglutí saliva che non c'era, tutta la sua spavalderia era svanita come polvere al vento.
-Combattimenti all' ultimo sangue, sono anni che non si fanno... Due persone per volta, in teoria.. solo uno può uscirne vincitore.
-E l' altro?
Katja socchiuse gli occhi.
-L' altro muore.
Alya osservò la scena che aveva davanti e realizzò con orrore quello che stava per succedere: stava per lottare con uno sconosciuto, fino alla morte.
-Katja, che succede se nessuno dei due muore?
-Impossibile. Il perdente non riesce mai a sopravvivere dopo uno scontro del genere. O comunque, in un modo o nell' altro, viene ucciso.
Alya iniziò ad avere veramente paura.
No, non di nuovo! Non voglio farlo, tutto ma non questo!
All' improvviso fu tutto silenzio.
Un' altoparlante gracchiò per poi trasmettere una voce fredda e femminile: il Direttore.
-Detenuto 45 dell' area 18, raggiungi l' arena.
Alya sentí i sudori freddi che colavano lungo la schiena: era tutto calcolato, il suo nome era già scritto per i combattimenti. Quella della cella era stata una sceneggiata per attirarla e lei aveva abboccato.
Ora le parole del Direttore avevano un senso, la ragazza si diede della stupida per non averle capite prima.
Alya iniziò a camminare, ma le gambe sembravano essersi irrigidite. Vide di sfuggita L' ufficiale che sorrideva sotto i baffi mentre la guardava andare al patibolo.
Attraversò il corridoio che c'era tra le panche, i carcerati la guardavano in silenzio. I loro sguardi esprimevano più emozioni simultaneamente: paura, compassione, pietà.
Sembravano tutti uguali: rasati, scarni, tristi. Centinaia di occhi estranei che la seguivano in ogni suo movimento. Alya cercava di mantenere la calma mentre camminava, ma il suo cuore accelerava, il respiro si faceva corto.
"Alya, non devi temere quello che viene dall' esterno ma temi quello che può venire da dentro di te."
In quel momento che cosa doveva temere? Di combattere? No di certo. Il dolore? No. Aveva il terrore di diventare un' assassina, per la seconda volta.
Salí la pedana, dopo un tragitto che sembrò durare in eterno. Sentiva tutti gli sguardi puntati addosso e pregò di non sembrare terrorizzata. Sentiva però lo sguardo di una persona che conosceva, quegli occhi scuri che le erano mancati: Gagarin. Era lí, era vivo.
Alya abbozzó un mezzo sorriso, non ci sperava più. Notó quanto era dimagrito e vide il suo sguardo, rassegnato, triste. Terrorizzato. La felicità si spense quando guardò i suoi occhi che la osservavano in modo vacuo. Un livido nero gli macchiava la mandibola, questo le fece perdere un colpo al cuore. Sembrava quasi che non la riconoscesse.
Alya aveva voglia di lasciare perdere tutto e correre da lui, voleva farlo, però il corpo non rispondeva ai comandi. Era paralizzata, aveva l' angoscia di trasformarsi in quel che non voleva essere. E questa sensazione la assorbiva fino ai limiti dell' apatia.
Alya notó a malapena che dall' altra parte della pedana c'era un' altra persona: un ragazzo, era molto alto e ben piazzato. Un gigante in confronto a lei, minuta e bassa.
Aveva uno sguardo concentrato, Alya si chiese se anche lui avesse i suoi stessi pensieri. All' improvviso l' altoparlante gracchiò di nuovo e questo la riscosse.
-Combattenti in posizione, che i Sunkasha abbiano inizio.
La gabbia della piccola arena si chiuse con un secco clangore metallico.
Alya si rese conto che non c'era via d' uscita. L' unico modo era combattere per vincere o essere vinta. Si mise in posizione e lottó per non cedere alla preoccupazione che la stava pervadendo.
Si preparò per diventare di nuovo un' assassina.
Rinnegó completamente il suo essere e si trasformó in quell' animale che gli aveva fornito la capacità di sopravvivenza , uno scopo che cancellava ogni debolezza umana trasformandola in una perfetta macchina per uccidere.
Niente spazio per l' umanità, niente più spazio per l' autocontrollo.
Quando si lasciava andare non era più capace di provare né pieta né dolore né rimpianto. Il suo fato era portare la morte, come non avesse scelta, ricongiungersi a questo destino di violenza a cui non riusciva a sottrarsi che si perpetrava senza fine nella sua vita.
Chiuse gli occhi.
Il mondo intorno a lei rallentò. Il respiro era calmo, il battito del cuore era veloce, ma lei doveva rimanere concentrata.
Il vento baciava il sudore sul collo e la schiena, le dita formicolavano. I suoi movimenti erano perfetti, fendevano l' aria con archi calcolati e precisi, si mise in posizione di difesa.
Non sentiva alcun rumore al di fuori delle sue ossa che si muovevano, del sangue che pompava nei muscoli. Alya sentiva il respiro rumoroso dell' avversario: aveva lo sguardo spavaldo di chi non sa in quale profondo baratro stava per cadere.
Alya aspettava che si facesse avanti, non era così vigliacca da non lasciare agli altri la prima mossa.
Non era terrorizzata, né arrabbiata. A dominarla era il sangue freddo che aveva dovuto imparare a mantenere in combattimento.
L' ira era troppo facile da raggirare, così tempestosa ed effimera. La paura era solo il blocco mentale che impediva di agire. Quella che lei provava era la concentrazione assoluta, la calma per azionare l' intero meccanismo che si attivava ogni volta nella lotta per sopravvivere.
Un' acuta percezione del mondo circostante, questa era la salvezza.
Una sensazione le pizzicó la nuca, Alya aprì gli occhi di scatto. Con il gomito devió il pugno diretto alla faccia, un movimento fulmineo e Alya piantò una ginocchiata nello stomaco del ragazzo. Un gancio alla cieca e Alya schivó di lato, questa volta gli colpí la mascella. Pugno alle costole, schiaffo di piatto sul collo e leva sul gomito che si spezzó con un rumore secco. Il ragazzo cadde a terra per l' impeto dei colpi, Alya gli si gettò contro, ma l'altro si rialzó all'istante con un colpo di reni. Alya percepì un sibilo da dietro, si abbassó all' istante evitando un colpo alla nuca. Alya si giró all' istante e caricó il colpo: il calcio arrivo dritto sul naso dell' avversario, poi un secondo colpo di tacco al rene. L' altro si riprese troppo velocemente e riuscì ad assestarle una gomitata al fianco. Alya assorbì il colpo che le tolse un attimo il fiato, ma rispose con un montante deciso sotto la mascella, per impeto il ragazzo perse l' equilibrio. Alya lo aggiró con un gioco di gambe e gli afferró le braccia appoggiando una gamba sulla schiena del combattente. Tirava sempre di più mente spingeva con il piede. Il ragazzo gridava, una lenta e dolorosa agonia finché il ragazzo si liberó dalla morsa con un calcio all' indietro che la colpì all'inguine. Il ragazzo cadde in avanti, ma con un balzo si rimise in piedi, barcollando un attimo. Alya non fece appena in tempo a raddrizzarsi che le arrivò un pugno da sinistra. Percepì il gusto ferroso del sangue e lo sputò a terra assieme alla saliva e il sudore. Ricevette anche un calcio al fianco, ma con un movimento veloce Alya riuscì ad uscire dalla linea di tiro dell' avversario.
Alya analizzò la situazione del suo avversario: giovane, molto veloce, tattica e gioco d' astuzia. Molto simile a lei.
Alya si leccó le labbra salate di sudore, il respiro caldo si rinfrangeva sui pugni stretti davanti a sé.
L' avversario partí all' attacco con una serie di colpi ben calcolati: gancio, gancio e montante, calcio e colpo di tacco. Alya schivó tutta la serie senza problemi, mentre valutava il ragazzo, che era aveva un' ottima tecnica, ma era troppo prevedibile.
La ragazza stava cercando il suo punto debole mentre veniva tempestata da colpi veloci e difficili da parare. L' unico modo per scoprirlo era lasciarsi colpire di nuovo. Un attimo di finta distrazione e ricevette una ginocchiata ben assestata allo stomaco.
Tra il dolore e l' offuscamento degli occhi, Alya notó un particolare: il lottatore teneva il fianco scoperto mentre attaccava. Alya sputó sangue sul ginocchio dell' avversario e si raddrizzó all' istante in posizione di difesa.
In un attimo riprese il respiro regolare, ma dovette aspettare un attimo per riprendersi, la ginocchiata si faceva ancora sentire. Il ragazzo parve soddisfatto lasciando intravedere un sorriso. Alya aveva già vinto: la superbia era facile da raggirare.
L' arroganza in combattimento distoglieva la concentrazione, faceva la differenza tra la sconfitta e la vittoria.
L'avversario abbassó impercettibilmente la guardia e cominciò a giocare con Alya, finte, false partenze: si stava firmando la propria condanna a morte. Il ragazzo lanciò un pugno con poca convinzione e si sporse troppo in avanti. Alya viró di lato, caricó il colpo e gli piazzó un potentissimo calcio di tacco al fianco. Alya percepì ogni costola che si incrinava, si spezzava e strideva sotto il suo piede.
Il ragazzo perse l' equilibrio cadendo a terra. In un secondo, Alya afferró il suo ginocchio con una mano, con l' altra teneva il polpaccio. Premendo con tremenda forza, il ginocchio del lottatore cedette subito, la gamba ora era spezzata e difficilmente avrebbe camminato come prima. Purtroppo per lui non ci sarebbe stato un "come prima", perché l' angelo con la falce gli stava già sussurrando il suo destino all' orecchio.
Ora era arrivato il punto cruciale del combattimento. Il lottatore cercava di rimettersi in piedi, ma gridava ogni volta che ci provava. Sembrava un animale in trappola, che si aggrappava a qualunque cosa pur di sopravvivere.
Una guardia aprì la gabbia e lanciò un oggetto lungo e luccicante: un coltello.
Alya lo prese da terra, era pesante e freddo. Sapeva cosa andava fatto, lo guardò: piangeva come un bambino, senza alcuna dignità.
Vigliacco.
Alya gli salí sopra mentre l' altro cercava di sottrarsi dalla sua morsa.
La ragazza lo guardava con occhi vuoti, non provava nulla per quel ragazzo che la pregava di farlo vivere. Alya strinse il manico dell' arma e lo affondò nella gola del lottatore. Il sangue usciva a fiotti, la macchia rossa si allargava sempre di più come un fiume in piena.
Gli occhi spalancati la guardavano, dalla bocca uscivano solo gorgoglii indistinti mentre afferrava la canottiera bagnata di Alya.
La presa si fece subito più lenta, finché l' avversario non esalò il suo ultimo respiro.
Alya si alzó in piedi ed arretrò di qualche passo.
Il silenzio era assoluto, nessuno osava parlare. Il mondo sembrava essersi fermato, gli sguardi scolpiti nel buio della sera. Alya prese lentamente coscienza di ciò che aveva fatto.
Guardò le sue mani che tremavano convulse: sangue. La canottiera bianca, era macchiata di sangue. I pantaloni erano macchiati di sangue. Guardava il corpo del ragazzo, senza vita, freddo di morte. Le sua mani avevano fatto questo. Chiuse gli occhi, ma aveva l' immagine del ragazzo che la guardava implorando pietà.
Alya aveva paura di sè stessa, di ciò che aveva fatto. Si rese conto che quella era la vera lei, un animale violento senz'anima.
Non si era accorta che i detenuti aveva alzato il pugno come segno di solidarietà, o come accusa. A lei non importava più di nulla.
Sentiva i rumori come ovattati, distanti. Si rese conto di essere solo una marionetta nelle mani del Direttore, per puro divertimento.
Sentí una mano sulla spalla, ma Alya reagí di violenza contro la guardia. Gli si avventó addosso per disperazione, mentre lasciava cadere le lacrime che non aveva versato. Riempí di pugni la guardia che non riusciva a placarla, gridava a tutto fiato. Doveva sfogarsi in un qualunque modo. Un pugno: era colpa loro se lei era stata costretta ad uccidere. Due pugni: era una persona innocente. Tre pugni: odiava tutti, ma soprattutto se stessa per quello che aveva fatto.
Prima che potesse fare altro, vennero in tre a placarla. La tenevano per le braccia e quasi non ce la facevano a fermarla. Alya non gridava per la paura, non gridava per il dolore. Gridava perché l'aveva fatto di nuovo: aveva ucciso una persona.
Era un' assassina, per la seconda volta.
Questo, però, non era stato un incidente, lo aveva fatto a mente fredda. Era stata costretta per soddisfare la sete di sangue di questo sistema corrotto.
Sentí un altro pezzo della sua anima che veniva strappato. Un atto imperdonabile che l' avrebbe tormentata per sempre.
Le sue urla spaventarono a morte le guardie, finché Alya si accasciò a terra perdendosi nell' oblio dell' incoscienza.


Altri racconti del Ciclo Siberiano, disponibili sul mio profilo.
Della stessa raccolta: Educazione Siberiana, Solo la Morte ci Avrebbe Divisi, Perchè Nulla Vada Perduto, Il Volo della Colomba, Neve e Sangue.
   
 
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