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Autore: Lux in Tenebra    05/02/2015    4 recensioni
[-Creepypasta-]
(Volevo raccontare la storia di uno Slenderman diverso dal solito, ispirata da alcune fan art e racconti che si trovano sul web (e non intendo le solite ficcy xD). Se siete fan della versione crudele dello Slender vi consiglierei comunque di leggere questa fic perché offre una visione differente sul personaggio. Tutta la storia è incentrata dal punto di vista del nostro protagonista maschile.)
La vita era una lunga routine, piena di mal di testa, rose invadenti, vestiti alla moda e pois multicolore che apparivano misteriosamente sulle sue cravatte.
Slender voleva fuggire via da quel caos, ma non poteva lasciare i suoi fratelli senza una guida.
Probabilmente si sarebbero autodistrutti.
Nel profondo c'era qualcosa che gli diceva che doveva restare e che, forse, prima o poi ci sarebbe stato un cambiamento, uno spacco in quel circolo vizioso:
Una tempesta si approccia impetuosa, scaraventando via tutte le barriere che proteggono il cuore e l'anima di quella creatura chiamata mostro.
Solo una cosa è certa, niente sarà più come prima.
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Offenderman, Slenderman, Splendorman, Trendorman
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le disavventure degli Slenders'
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18. Broken.



Riaprii gli occhi con fatica, sentendomi senza forze. Sforzandomi per mettermi seduto, cercai di focalizzare l’ambiente circostante per capire dov’ero finito: mi trovavo nell’ora spoglia e grigia camera di Splendor. Un leggero odore di fumo arrivò al mio apparato olfattivo, portando i miei lineamenti a contrarsi per il disgusto, mettendo la mano sul viso per cercare di bloccare quella puzza insopportabile.
Una figura abbastanza alta andava sotto e sopra per la stanza, fermandosi a volte verso la finestra e buttandoci infine qualcosa che non riuscii a definire. Non potendo visualizzarla bene, dato che la mia vista era ancora tutta sfuocata, mi strofinai il volto per cercare in qualche modo di stabilizzarla. Piano piano i miei sensi ritornarono in me, permettendomi di distinguere bene gli oggetti circostanti.
Vidi i contorni di una sedia su cui era stato posato un cappello che mi parve assai familiare e un posacenere sul comodino, nel cui interno vi erano ben più di una ventina di mozziconi bruciacchiati.
Offender, poiché di lui si trattava, si fermò di botto, rendendosi conto che avevo ripreso conoscenza. Irrigidito peggio di un tronco congelato, mi fissò in volto per qualche secondo: vidi disperazione, sollievo e infine rabbia, passargli su quei pochi tratti del viso con una velocità impressionante.
“Accidenti a te!” esclamò poi, totalmente indeciso su come avesse dovuto sentirsi e comportarsi in quel momento, accomodandosi sulla sedia e schiacciando il cappello senza rendersene conto tanto era nervoso. Puzzava così tanto di fumo da farmi credere che avesse passato tutto il tempo a fumare come una ciminiera.
Lo fissai con un’espressione interrogativa, non riuscendo a comprendere perché si comportasse in quel modo così differente dal suo solito io menefreghista e noncurante:
“Come?” ebbi l’ardore di chiedere, ancora confuso e con i ricordi annebbiati. Avevo la gola terribilmente secca e le lettere mi uscirono tutte distorte, ma lui diede ad intendere che avesse comunque capito.
“Come come?! Stai scherzando vero?! E poi l’imbecille sarei io?!? Tsk!” mi rimproverò, frugando nelle tasche e tirando fuori un ultimo pacchetto di sigarette che risultò essere totalmente vuoto appena lo aprì. Guardò la confezione con dispiacere, permettendomi di realizzare che aveva due grosse occhiaie nere. Da quanto tempo non dormiva?
 “Non capisco” dissi piano, mettendomi le mani sul viso, mentre una fitta di dolore mi attraversò il cervello.
“Allora ti sei proprio ammattito! Sono tre giorni che sei in quel letto, tre lunghissimi giorni!” esclamò, alzandosi e dirigendosi fuori, spalancando la porta con rabbia. “E tutto per un’umana senza valore!” concluse, ritornando nella stanza per prendere il suo cappello che si era appiattito a causa del suo peso, riaggiustandolo con cura e posandolo sul capo. Si appoggiò allo stipite della finestra, fissando il paesaggio fuori e prendendo una boccata d’aria gelida.
Non compresi immediatamente le sue parole, mentre il mio cervello faceva ancora fatica ad elaborare tutte le informazioni che il mondo esterno mi stava inviando.
“Tre giorni…” sussurrai incredulo quando il mio cervello ricominciò finalmente a funzionare come si deve.

“E tutto per un’umana senza valore!”

Le sue parole rimbombarono nella mia testa, richiedendo la mia completa attenzione, mentre qualcosa dentro di me premeva per uscire fuori.

Un’umana?

Di chi sta parlando?

Io non conosco nessun…

I ricordi riaffiorarono dalle tenebre che mi offuscavano la mente con prepotenza, riportando alla luce del sole tutto ciò che era accaduto. Mi rannicchiai su me stesso, sopportando un’altra scossa di dolore. I suoi capelli rossi, gli occhi penetranti e il suo sorriso mi ritornarono in mente, mentre le sue mani mi toccavano il collo e le sue labbra si avvicinavano alle mie.

Aliaga…

Mi alzai dal letto di scatto, senza pensarci due volte, rendendomi conto che una flebo mi era stata applicata al braccio destro, impedendomi di andare oltre. Offender si riscosse, sorpreso dal mio gesto improvviso:
“Slender, che diamine?! Sta giù!” esclamò, cercando di fermarmi e di riportarmi indietro.
“No!!” dissi con estrema fermezza, nonostante le mie gambe tremassero e mi reggessi in piedi a malapena.
“Accidenti a te! Perché vuoi farti del male?! Cosa stai cercando di ottenere?!” dichiarò irato, riuscendo a rimettermi a sedere. Estrassi la flebo dalla pelle nonostante la mia mano fosse alquanto inferma, rabbrividendo non appena scorsi l’ago, rimembrandomi di esperienze passate che non riuscivo a dimenticare. Deglutii con fatica, mentre un nodo mi si formò in gola:
“E’ ancora…?” chiesi, non riuscendo a completare la domanda, terrorizzato dalla possibile risposta. Ciò che avevo ricordato non era stato confortante, mentre mi sembrò quasi come se l’odore del suo sangue penetrasse nuovamente le mie narici, creando in me un terribile senso di angoscia. Volevo sapere, ma avevo paura di una verità troppo difficile da accettare.
Lui mi fissò incredulo, tirò un sospiro seccato, buttando il pacchetto vuoto in un angolo della stanza, e si accomodò accanto a me: “Sì…”
Il peso sul mio cuore diminuì sensibilmente e, sollevato, gioii in silenzio per quella notizia.
“Ma ha rischiato di non farcela, il mezzo baffo sapientone ha detto che è un miracolo se respira ancora” disse, fissando il contenitore bianco che aveva mancato di poco il cestino.
Persi un battito, rendendomi conto di ciò che in quel preciso istante sarebbe potuto non essere più al mio fianco: avevo rischiato di perderla, avevo rischiato che morisse e non ero stato con lei in quei momenti cruciali. Ero rimasto svenuto per tutto il tempo mentre lei soffriva. Certo, non per mia volontà, ma non riuscii a fare a meno di pensare che avrei dovuto stare al suo fianco e non in quel letto per tutto il tempo.
“I-io devo vederla… ti prego, ne ho bisogno. Morirò se non lo faccio” mi ritrovai a supplicarlo, stringendo debolmente la manica del suo cappotto, mentre qualcosa di caldo mi attraversò il volto, scivolando via con estrema facilità.
“Slender…” sussurrò piano, completamente attonito, fissando le lacrime che mi bagnavano il volto, senza sapere cosa fare, colto alla sprovvista. “Va bene… ma non puoi farti vedere ridotto così, dato che sei in mutande” concluse sogghignando per smorzare il clima pesante che si era creato in quel momento.
Guardai in basso, notando che aveva ragione. Un po’ imbarazzato, mi rivestii, accettando il suo aiuto. Non riuscivo a capire perché lui si stesse comportando in quel modo, era così insolito da sorprendermi. Sembrava quasi come se fossimo tornati bambini, quando ancora non fioccavano parolacce e i litigi erano scarsi, quando non aveva ancora quel vizio tanto deprecabile. Mi portò persino un bicchiere d’acqua per ristorare la mia bocca che si era alquanto rinsecchita.
Scossi la testa: non era il momento adatto per farsi e fare domande del genere sul conto di mio fratello. La mia mente era troppo turbata e concentrata su qualcun altro per essere disposta a capire le meccaniche celate dietro tanta gentilezza inaspettata.
Appena fui pronto, mi accompagnò fino alla porta dove stava riposando la rossa.
Mi bloccai poco prima, fissando l’entrata con incertezza, non sapendo cosa dovevo aspettarmi di preciso. Com’era il suo stato? Cosa dovevo dirle? Potevo fare qualcosa?
Ero confuso e spaurito, cercando di trovare le parole adatte, parole che sfuggivano via come pesci guizzanti che seguono la corrente di un fiume infinito.
“Sicuro di essere pronto per vederla?” chiese la voce di Offender, riscuotendomi dai miei pensieri, mentre mi fissava con apprensione. (Mai avrei sospettato che una tale espressione apparisse sul suo volto.)
“Sì” risposi dopo qualche secondo di attenta riflessione, sospirando. Dovevo vederla, ne avevo bisogno e non potevo farne a meno: se avessi perso altro tempo, il mio cuore ne avrebbe pagato ancor di più le conseguenze. Lui bussò sulla porta due volte con fermezza, dandomi poi una pacca sulla spalla per rassicurarmi. Lo fissai sorpreso.
“Avanti!” esclamò con fermezza la voce di Vender da dentro la stanza.
Offender si assicurò che potessi andare avanti da solo e si congedò, dichiarando di aver bisogno di nuove sigarette, dato che le aveva finite tutte in quel lasso di tempo.
“Era davvero molto preoccupato per te” esordì lui quando fummo soli.
“Fatico a crederlo…” dissi incerto, entrando nella vasta stanza degli ospiti rettangolare e richiudendo la porta dietro di me. Il pavimento era stato ripulito egregiamente e da poco tempo, data la leggera traccia di candeggina nell’aria. Quest’ultimo e i muri erano di un color crema spento, con tutti i mobili di un chiaro legno di pino. C’era un letto ad una piazza e mezza da slender posto a sinistra della stanza, un piccolo divanetto, un armadio e un separé di legno. Un’unica grande finestra copriva l’intero muro destro della stanza, illuminandola parzialmente, dato che mezza tenda era stata abbassata per impedire che i raggi del sole potessero dare fastidio al dottore durante il suo lavoro.
Lui ora sedeva su una sedia, fissando con sguardo vago e mani giunte la persona che era stata posta nel letto.
“Insomma, la solita vecchia storia di due fratelli che si odiano a morte e si scannerebbero per idiozie, giusto?” chiese con una punta di sarcasmo, arricciando l’unico baffo che gli era rimasto. Anche lui non aveva dormito e probabilmente non aveva nemmeno avuto il tempo per prendersi una pausa.
“Esattamente” risposi piatto. Il vecchio diede ad intendere che non voleva impicciarsi e si alzò dalla sedia, cercando di non barcollare per l’evidente stanchezza.
Mi avvicinai al letto, osservando la figura che vi era assopita. Il viso ancora pallido come la luna, tumefatto in alcuni punti e fasciato in altri per coprire le cicatrici, permettendo a quest'ultime di guarire senza infettarsi. I suoi occhi erano chiusi, cerchiati di nero, immobili nell'abbraccio di Morfeo che aveva accolto quel corpo ora così fragile.
"Non ha dormito per giorni, tanto che il dolore era forte... oltretutto continuava ad insistere di voler toccare il mio baffo... proprio una tipetta testarda. Cerca di non svegliarla, è ancora molto debole e provata dalle sofferenze. Ha bisogno di molto riposo" disse il dottore, dandomi una pacca sulla spalla, sbadigliando sonoramente e uscendo fuori dalla stanza, lasciandomi così completamente solo con lei.
Un respiratore era stato posto sul suo viso: purtroppo uno dei viticci del mostro, che orami rifiutavo categoricamente di chiamare zia, le aveva perforato un polmone, rendendole impossibile respirare regolarmente. Mi sedetti accanto a lei sulla sedia dove prima sedeva il vecchio slender, appoggiandomi con le braccia sul letto e nascondendo la testa tra le mani per la vergogna e il rimpianto di non aver potuto impedire una tale violenza su colei a cui tenevo più di quanto mai avessi realizzato. Era così vicina a me che potevo toccarla, accarezzarla, abbracciarla, ma avevo remore, non volevo provocarle altro male. In quel momento la rabbia, che sembrava essersi sopita dentro di me, si risvegliò, bruciando come fiamma viva. Cercai qualcuno da incolpare dell'accaduto, trovandolo in me stesso. Ero stato io ad avvicinarmi a lei, nonostante le leggi e il pericolo incombente, io l'avevo trascinata in quel pasticcio e avevo messo a repentaglio la sua incolumità molteplici volte, fino a ridurla in quello stato. Non potevo fare a meno di sentirmi colpevole per ciò che era accaduto, avevo intrapreso una strada e non avevo prestato attenzione ai possibili inconvenienti. Ero stato capace di un egoismo senza pari, noncurante per la sua salvezza e me ne pentivo, torturando nervosamente le mie dita che andarono subito dopo sul letto dove giaceva immobile, mentre il suo petto si sollevava con una cadenza così irregolare da preoccuparmi.
Strinsi il lembo della coperta con rabbia e frustrazione, sentendomi un totale incapace buono a nulla, rimpiangendo di non aver avuto il potere necessario per cambiare ciò che era successo.
In quel momento di totale sconforto, qualcosa mi toccò la mano irrequieta con delicatezza, sfiorandola teneramente e riempiendola di un'amorevole calore, il cui unico scopo era quello di calmare il mio animo turbato. Mi riscossi all'improvviso, alzando la testa ed incontrando due occhi ambrati che mi guardavano con dolcezza, cercando di rassicurami e di farmi capire che non c'era bisogno di preoccuparsi.
Una lacrima solitaria attraversò il mio viso, scendendo prepotente senza chiedere il mio consenso, mostrando tutto il dolore che volevo solo seppellire sotto venti metri di fredda terra, finendo diritta sulla sua mano che si ritrasse leggermente appena entrò in contatto con la pelle, ma che poi ritornò imperterrita al suo posto, quasi come una sposa fedele che ritorna dal suo amato dopo un’assenza che, seppur breve, sembrava fosse durata secoli.
"Slender..." sussurrò piano con uno sforzo estremo, faticando a malapena a trattenere un ghigno di dolore, inarcando leggermente la schiena per cercare di alzarsi.
"Ferma, Aliaga! Ti farai solo del male se ti sforzi!" la rimproverai, avvicinandomi di più a lei, appoggiando le mani sulle sue spalle con delicatezza, riportandola giù e costringendola a distendersi.
"S-si... mamma" proclamò con voce flebile e rauca, mentre un altro ghigno di sofferenza si dipinse sul suo volto.
All'inizio rimasi allibito da quanta sfacciataggine ci volesse per fare ironia in un momento come quello, ma poi un'emozione irrazionale prese il posto dello stupore, facendomi reagire come mai avrei voluto, brandendomi il cuore senza possibilità di replica:
"Non scherzare, idiota! Non ti rendi conto di come sei ridotta?!? Pazza! Perché l'hai fatto?! Perché volevi buttare via la tua vita così?!" gridai irato, non riuscendo più a contenere la rabbia e la disperazione. Mi alzai di scatto, facendo cadere la sedia a terra, e battei il pugno sul muro con foga, sentendo un pezzo di parete sgretolarsi sotto il mio diretto, smorzando un po' della mia furia che sembrava essere uscita fuori dal mio controllo.
"Perché io ti amo..." sussurrò piano, lo sguardo corrucciato e pieno di dispiacere, gli occhi diretti verso di me, con la stessa espressione di una madre che cerca di consolare il figlio per la sua cocente delusione.
In quel preciso istante mi fermai, pochi secondi prima che un altro pugno aprisse definitivamente un varco per passare dall'altra parte, bloccandosi a mezz'aria.

Io ti amo...

Ipotizzai di aver avuto un'allucinazione uditiva sulle prime ma, a giudicare dal suo sguardo, avevo sentito il vero. Mi amava. Me, un mostro che il suo genere odia! Molti della sua specie avrebbero voluto la mia morte, date le voci terrificanti sul mio conto, ma lei no, lei mi amava! Volevo esultare e far festa per giorni, finché le miei stanche membra si fossero rifiutate di andare oltre, baciando le sue labbra fino allo sfinimento e gioendo perché era tutto vero! Non era uno di quei sogni così belli che, quando ci si risveglia, si cerca con tutte le proprie forze di richiudere gli occhi e dormire di nuovo, desiderando solo di ritornare indietro per viverlo ancora e ancora, poiché la realtà è troppo dura da accettare! Volevo assaporare nuovamente la sua bocca e finalmente sentirla vicina a me come non mai, stringendo il suo corpo al mio e magari, se natura permette, farsi una famiglia.
Ma, purtroppo, tutti i bei sogni si infrangono, rimanendo solo sogni, quando si scagliano contro la verità e l’immutabilità dei fatti:

Lei era un'umana, io uno slender, e questo nessuno lo poteva cambiare.

Questa realizzazione mi fece capire quanto tutto ciò fosse impossibile da realizzare e non avevo la minima intenzione di rendere la sua vita un inferno nuovamente per il mio mero egoismo. Il tempo era passato così velocemente che non avevo potuto godere appieno della sua presenza, né ero riuscito a fare chiarezza nella mia mente. Non sapevo ancora se ciò che provavo per lei fosse stato amore o solo una semplice cotta dettata dalla mancanza di una compagna per un periodo così lungo della mia vita. Potevo anche aver frainteso il tutto, alla fine dei conti, data la mia scarsa esperienza sull’argomento. L'unica cosa che sapevo per certo era che non volevo vederla mai più ridotta in quello stato, anche se questo mi fosse costato un sacrificio enorme.
Mi avvicinai a lei, poggiando la mia fronte sulla sua con rammarico per ciò che le avevo appena detto, guidato dalla rabbia:
"Mi dispiace... non volevo arrabbiarmi con te" le sussurrai, spostando la testa nell'incavo del suo collo, una delle poche parti illese del suo corpo. Aprii la bocca, sfiorandolo con le labbra, baciandolo amorevolmente.
"E’ solo che ho avuto tanta paura di perderti. Non dovevi farlo o almeno trovare qualcosa di più sicuro e che soprattutto non ti riducesse in questo stato. Ti voglio bene… non sopporterei che qualcuno ti potesse fare di nuovo del male… ma ora risparmia le forze, ti prego, le ferite potrebbero riaprirsi" conclusi, rialzandomi e accarezzandole le guancia con il dorso delle dita.
Lei chiuse gli occhi, beandosi del contatto con la mia pelle, ispirando a fondo:
"Va bene..." disse infine, sfiorandomi la guancia con la mano.

Growl!

Aliaga accennò un piccolo sorriso, io arrossì, completamente imbarazzato a causa del rumore che aveva fatto il mio stomaco vuoto in quel momento così intimo. Tutta la tensione che si era accumulata dentro di me mi aveva chiuso lo stomaco e non mi ero reso conto di aver fame.
“Eheh… credo proprio di aver bisogno di mettere qualcosa sotto i denti” dichiarai, alquanto a disagio, riaggiustandomi la cravatta.
Lei mosse la testa in segno di assenso, guardandomi con tenerezza, senza mai smettere di sorridere.
“Vado in cucina, torno subito” dissi, baciandole la fronte con delicatezza, rammaricandomi quando mi sembrò che il mio gesto le avesse provocato dolore a causa delle ferite recenti.
“S-scusa… non volevo” pronunciai con tristezza, chinando lo sguardo verso il pavimento e girando la testa dall’altro lato, vergognandomi per la mia inadeguatezza.
La sua mano si posò nuovamente sulla mia guancia, costringendomi a guardarla negli occhi.
“Non fa niente” sussurrò piano, cercando di non sforzarsi o mostrare dolore per non farmi preoccupare un’altra volta. “Non fa poi così male e, ora che sei qui, mi sento già un po’ meglio… ora, prima di scioglierci nella melassa e scadere nel romanticismo più basso, va a mangiare qualcosa, non vorrei mi morissi di fame… sarebbe a dir poco terrificante!” concluse con la massima calma, sospirando impercettibilmente e chiudendo gli occhi.
La fissai per un po’ prima di risponderle:
“Spero tu non mi stia mentendo per farmi piacere, non ho intenzione di farti soffrire di nuovo” dissi serio, fissandola nei suoi occhi che si riaprirono sorpresi nell’istante in cui pronunciai quelle parole. Il suo sguardo acquistò sicurezza e decisione.
“Assolutamente no. Ora vai, abbiamo bisogno tutti e due di riposo-“

Growl!!

“E tu hai bisogno di riempirti lo stomaco. Non vorrai mica che mi alzi per costringerti a farlo?” chiese con sfida, alzando il sopracciglio e fissandomi con gli occhi socchiusi.
“No, no! Vado subito, anzi, mi ci fiondo!!” esclamai, spaventato dall’idea che potesse farsi del male da sola, alzandomi e facendo rovesciare di nuovo la sedia, fiondandomi letteralmente fuori dalla stanza.
“Bravo e attento al-“

Swish!

Sbeng!

“-pavimento bagnato…” concluse senza che io avessi potuto sentirla.
Andai a finire direttamente di testa contro il muro, lasciando un perfetto segno tondo nella parete adiacente alle scale. Mi ritenni fortunato di non essere caduto giù come un imbecille, tastando il bernoccolone che mi era spuntato in testa, mentre una piccola gocciolina d’acqua uscì dall’incavo dell’occhio.

Poke!

“Ahia!”
Devo dire che avevo trovato assai bizzarro il piccolo cartello giallo che era stato messo sul pavimento, ma sul momento non gli avevo dato alcuna importanza. Ripensandoci, avrei dovuto prestare più attenzione a quel cartello.
Non ci misi molto a mettere qualcosa sotto i denti e ritornai al piano di sopra in un tempo che trovai abbastanza ragionevole. Mi fermai all’entrata della mia stanza, dove attualmente doveva esserci Splendor. Ero ancora molto preoccupato per lui e ciò che era accaduto ad Aliaga non aveva fatto altro che aumentare considerevolmente le mie preoccupazioni: dovevamo trovare qualcuno in grado di farlo stare meglio, una strega, e il nostro tempo era alquanto limitato.
L’idea non mi piaceva per niente, data l’estrema pericolosità di quest’ultime e l’impossibilità di controllarne ogni minimo movimento senza provocare una reazione violenta da parte loro. Sospirai e bussai alla porta: non ci potevo fare niente, avevamo bisogno di una strega, lagnarmi non avrebbe contribuito a migliorare le cose.
“Slender!” esclamò qualcuno dall’interno della stanza con allegria.
“Cosa…? Voglio una flebo! Muoio!!” disse all’inizio confusa e poi con estrema enfasi un’altra voce a me estremamente familiare.
Aprii la porta, mentre Splendor mi saltò addosso tutto felice, anche se la sua pelle era ancora grigia per la “malattia” e non stava bene. La sua presa era incredibilmente salda nonostante tutto ciò che gli era successo.
“S-Splendor… bast… soffoc… di… nuov!” esclamai balbettando, cercando di liberarmi per respirare l’essenziale ossigeno che mi serviva per vivere.
“Nessuno che pensa a me! E sia! Morirò qui, dimenticato da tutto e da tutti! Il mio genio rimarrà sconosciuto al mondo e questa perdita non verrà notata da nessuno! Buahhhh!!” gridò nuovamente Trender, agitando la mano con fare drammatico, versando lacrime come un rubinetto aperto, rischiando di allagare il pavimento.
Splendor mi lasciò andare, afflosciandosi sul letto come un palloncino sgonfio:
“Mi sento tanto floscio…” disse lui senza forze, “ma sto bene!” concluse riacquistando inspiegabilmente parte delle sue energie, alzando il pollice.
Lo aiutai a risistemarsi a letto, coprendolo per bene con lo coperte.
“Tu sta qui e non muoverti, Splender. Dovresti riguardarti” lo rimproverai scuotendo il dito.
“O-ok…” rispose lui, infilando la testa sotto le coperte.
In quel momento una terza voce mi colse di sorpresa:
“Sono solo gli effetti della malattia, è normale abbia sbalzi d’energia a questo stadio.”
Una mano si posò sulla mia spalla, facendomi sobbalzare leggermente.
“Ho bisogno di parlarti ragazzo…” disse grave lo slender che riconobbi come Vender. Notai che il suo baffo era scomparso e adesso era conciato un po’ meglio, nonostante fosse ancora molto provato dalla lunga operazione.
“Non può aspettare a-“
“No” dichiarò torvo, non ammettendo alcuna possibilità di replica, tranciando di netto il mio discorso con le sue parole.
“Sigh… se è proprio necessario!” sospirai seccato dalla sua improvvisa inflessibilità.
Ci trasferimmo nella sala da pranzo e appena arrivati, lui si assicurò che nessuno ci avesse seguito, chiudendo tutte le tende e le porte.
“Che succede? Come mai tutta questa segretezza?” chiesi senza perdere la calma, rimanendo freddo ed impassibile mentre lui accendeva un’unica candela nella stanza.
“Per sicurezza” minimizzò abbozzando un sorriso che nascondeva un nervosismo sospetto.
Dopo un po’ di tempo, quando fu soddisfatto del suo operato e io stavo per perdere la pazienza, parlò: “Sa… signor Slender, si dice che altri slenders vivano sulla Terra oltre alla sua famiglia…” esordì, massaggiandosi la mascella.
“Si, lo so… cosa-“
“Molti di loro sono qui perché hanno commesso atti deprecabili contro famiglie dell’alta nobiltà…” continuò imperterrito, interrompendomi per la seconda volta.
“Ne sono a conoscenza e-“
“Alcuni cercano vendetta…” e quella fu la terza volta che mi interruppe.
Alquanto stizzito dal suo comportamento irrispettoso, mi girai e mi diressi verso la porta. Non avevo intenzione di perdere la calma per qualcuno che non mi faceva nemmeno parlare e continuare ad ascoltarlo non avrebbe fatto che aumentare la mia irritazione.

Tap, tap, tap…

“Quella donna è pericolosa” disse con semplicità, inclinando la testa verso di me.
Mi bloccai improvvisamente, sentendomi congelare le membra, la mano ferma a mezz’aria intenta ad afferrare la maniglia di quella porta.
Girai lentamente la testa, fissando torvo la figura in piedi davanti a me. In quel momento, tutto quello che sentivo dentro era vuoto, un vuoto che teneva a bada le tenebre sopite. Il mio fastidio aumentava secondo per secondo, portandomi a stringere con forza il pugno destro.
“…” lo fissai in silenzio, senza sapere cosa dire o ribattere.
“Signor Slender, lei lo sa con chi ha a che fare? E chi si è portato in casa? O è stata così brava da ingannare anche lei?” chiese, appoggiando il volto sulla mano, con un’espressione che mi parve al limite del compiacimento: mi stava deridendo. Stava deridendo la mia figura, quasi come se fossi stato un povero bambino ingenuo.
“Lo sa della cicatrice sulla sua mano?” proclamò, facendo un’ultima, lunghissima e pesantissima pausa.
“E infine lo sa che quella donna non è nient’altro che un’assassina mandata qui ad eliminarvi tutti?” il suo sguardo si fece sottile.
Mi sentii come se un ago fosse stato infilato nel mio cuore. Il vuoto lasciò spazio a rabbia e incredulità, stringendo il pugno fino a farlo sanguinare.
“Che diavolo significa tutto questo, Vender?!?” gridai, deciso a non credere a nessuna delle sue parole.
“Non mi crede? Allora controlli il marchio sulla sua mano. Quella è una prova più che sufficiente a dissolvere tutti i suoi dubbi.” Si mosse, avvicinandosi a me e mettendomi la mano sulla spalla, “Si ricordi che, solo perché si è innamorato di lei, questo non vuol dire che lo sia lo stesso anche per lei.” Concluse togliendo la mano e uscendo fuori dalla stanza.
Rimasi congelato lì, senza sapere cosa fare o pensare. Ci volle un po’ prima che mi riscuotessi, ma quando lo feci ero deciso a verificare di persona tutto ciò che quel vecchio mi aveva riferito.

Le sue sono solo bugie… sono solo tutte bugie…

Pensai, dirigendomi al piano di sopra. Appena arrivato, fissai la rossa che ora si era assopita nel letto. Era così fragile in quell’istante, così indifesa…
La sua figura era avvolta dalle tenebre notturne, i raggi della luna che filtravano dalla finestra sembravano evitarla, probabili segni premonitori di una verità a lungo nascosta.

Eh se… no, non è possibile.

Mi chinai, prendendo la sua mano con delicatezza, avendo in me l’insensata certezza che tutto ciò che avevo sentito era solo una mera bufala.
Se volevo scoprire la verità, dovevo provare a marchiarla come un mio Emissario (o Proxy). Il processo non era irreversibile quindi, a parte un po’ di dolore, non ci sarebbero stati problemi a rimuoverlo subito. Le avrei spiegato tutto poi, non avevo tempo, né la voglia per svegliarla. Doveva stare a riposo dopotutto e, anche se mi doleva terribilmente farle del male, dovevo per avere certezze.
Aprii la bocca concentrando le mie energie per creare il marchio, pronto a morderla con i miei denti affilati, ma poco prima che potessero toccare la sua pelle qualcosa mi respinse.
Un semplice disegno luminescente, dai toni viola scuro, apparve sulla sua carne.
Le lasciai andare immediatamente la mano, indietreggiando terrorizzato e senza parole, mentre tutto ciò che mi rimaneva era un immenso senso di vuoto e ogni certezza stava crollando inesorabilmente.


Era tutto vero: lei era un Emissario di un altro slender e io ero cascato nella sua trappola come un pollo.


Ma nonostante tutto, il mio cuore non riusciva ancora ad accettarlo. Nemmeno in quell’istante smise di volerle bene.
 
°°°°
 
   
 
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