Tutti per uno, uno per tutti
2.Di feste in maschera e dinamitardi
Era ormai sera, e Gilbert aveva finito il vino.
“Possiamo andare.” Decise, alzandosi pigramente. “Il cambio di pattuglia dovrebbe arrivare a momenti.”
“Lovinito non è ancora tornato.” Era più di un’ora che lo spagnolo stava scrutando il parco nella direzione in cui Lovino era sparito, cercando di non farsi notare troppo dai compagni.
“Sarà tornato a casa.” Francis allungò le braccia sopra la testa. “Non c’è da preoccuparsi, Antoine.”
Forse era così, tuttavia Antonio non era convinto: possibile che Lovino fosse tornato a casa senza preoccuparsi delle conseguenze dell’aver abbandonato il posto di guardia?
“E’ possibile.” Gilbert sembrò leggergli nel pensiero. “Stiamo parlando di Lovino, dopotutto.”
“E se si fosse perso?”
“Nei giardini del Palazzo? A quest’ora chiunque, tra giardinieri e scorta del re, lo avrebbe riportato in lacrime da noi.” Gilbert fissò un punto oltre la loro visuale. “Sta arrivando il cambio. Muoviamoci.”
“Controlliamo a Palazzo.” Insistette l’altro. “Potrebbe aver cercato le cucine ed essere rimasto lì.”
Francis e Gilbert sospirarono. “Ricordami di darti una botta in testa la prossima volta che qualcuno si allontana.”
“Questo posto è un manicomio.” Arthur Kirkland osservava con profondo disgusto la festa al suo culmine. Il salone era talmente pieno di coppie danzanti e di ubriachi che pareva sul punto di scoppiare. E in tutto questo, sua Altezza il re di Francia sedeva sul suo trono con una mano sotto il mento, con un ghigno che prometteva male.
“Non dite così, capitano. Qualcuno potrebbe pensare che non amiate le feste organizzate dal re.” Il cardinale comparve all’improvviso alle sue spalle.
“Ho detto questo?” Tentò di abbaiare il capitano dei moschettieri. “Non mettete nella mia bocca parole che non penso.”
Il cardinale sorrise. “Non sia mai, capitano, che io vi metta in bocca cose che non desiderate.” Arthur rabbrividì.
“Purtroppo vi devo salutare, capitano: il mio ruolo poco si confà alle feste mondane.” Si scusò il cardinale, congedandosi con un cenno del capo. “Ma vedo che i vostri moschettieri non esitano a lanciarsi nelle danze: i loro compiti quotidiani devono lasciare loro molte energie.” E con queste parole indicò il fondo della sala, dove tre moschettieri stavano attraversando il salone a tutta velocità.
“Te l’avevo detto di non infastidire la cuoca!” Urlò Antonio, schivando elegantemente una dama di mezza età, che subito dopo cadde a terra, colpita da una gomitata di Gilbert.
“Ho solo fatto un paio di complimenti alle cameriere!” Si difese Francis, impegnato a fare il baciamano a quante più persone possibili senza rallentare la sua andatura.
“VOI TRE!” La voce del capitano Kirkland sovrastò la musica e il baccano. I tre malcapitati si fermarono di colpo.
“Mon capitaine, posso avere l’onore…”
“E’ stato bello conoscervi.” Sussurrò Antonio.
“E’ un’idea assolutamente splendida!” Il re di Francia si era alzato ed intervenne prima che le mani di Arthur spezzassero il collo di Francis. “Un ballo mascherato! Non è una trovata geniale, Toris?” Il fedele segretario del re assentì sospirando. “Stavo tipo pensando a quanto monotona fosse la serata, ma grazie a voi ora so come renderla assolutamente fantastica.” Sua Maestà Feliks XIII batté le mani. “Toris, dove abbiamo messo i costumi dello scorso Carnevale? Io voglio fare la pastorella!”
“Vostra Maestà, non mi sembra il caso…” Provò a fermarlo Kirkland.
“Capitano, non siate noioso.” Alcuni valletti giunsero con una pila di maschere. “Ecco, indossate questo.” E Feliks scaraventò sulla testa di Arthur un copricapo a forma di unicorno. Rosa. “Non è assolutamente perfetto?”
“E voi.” Il re passò ai moschettieri. “Non ho assolutamente idea di chi voi siate, ma i vostri costumi sono splendidi, per cui potete andare. Toris, aiutami a distribuire le maschere!”
“Il rosa vi si addice, mon capitaine.” Sogghignò Francis.
“TU TACI!”
Gilbert stava per dire qualcosa di potenzialmente offensivo, quando la sua attenzione fu deviata altrove: nella folla scorse dei lunghi capelli castani, una figura snella e un viso coperto da una maschera. Tutto questo pacchetto si muoveva con discrezione tra gli invitati, cercando di allontanarsi.
“Torno subito.”
Lovino Vargas non aveva intenzione di svegliarsi.
Davanti a lui una tavola imbandita di tutte le leccornie possibili e immaginabili gli stava chiedendo con dolcezza di mangiare tutto fino all’ultima briciola.
“Coraggio, mi amor, non essere timido: ingoia tutto.”
All’improvviso la tavola si era trasformata in quel bastardo spagnolo, coperto solo da ciuffi di panna nelle zone cruciali.
“Esci dal mio sogno, bastardo!” Si sgolò Lovino, cercando di fuggire, ma stranamente più tentava di scappare più si avvicinava all’altro, fino a che non si ritrovò praticamente sopra di lui.
“Non ti piace la panna, Lovinito?” Ora erano entrambi nel parco di quella mattina, e di nuovo Lovino si ritrovò sorretto dalle braccia forti di Antonio. Perché quel maledetto bastardo riusciva a sconvolgerlo pure in sogno? “Esatto, è solo un sogno. Dovresti proprio svegliarti, mi amor.”
Antonio si allungò fino a sfiorargli le labbra con le sue. “Ti assicuro che, nella realtà, la panna è ancora più buona.”
Lovino aprì gli occhi, ansimando. “Bastardo.” Mormorò, prima di accorgersi di essere strettamente imbavagliato e legato.
Dove si trovava? Questo non avrebbe saputo dirlo: nella penombra il moschettiere riusciva a distinguere solo calcinacci, pareti spoglie e travi. Guardando meglio, gli parve di essere sopra un’impalcatura addossata ad una parete in costruzione. Un cantiere, ma dove? E perché Eliza aveva deciso di lasciarlo lì pur sapendo che lui era a conoscenza del suo piano?
Tastando le corde con i polpastrelli, Lovino capì che i nodi erano troppo stretti per essere allentati: avrebbe dovuto tagliarli. Lentamente, strisciando centimetro dopo centimetro, il ragazzo scivolò fino ad una trave sporgente e, per la prima volta nella sua vita, si apprestò ad usare pazienza e olio di gomito per segare quelle dannate corde.
Eliza era riuscita ad allontanarsi con successo dal salone della festa, ed ora stava correndo lungo i sentieri del parco, cercando di allontanarsi il più possibile da ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Anche se, in fin dei conti, non era soddisfatta.
Il piano iniziale era semplice: la situazione tra Inghilterra e Francia era già tesa, sarebbe bastato un solo incidente a far scoppiare la guerra tanto desiderata dal cardinale. E quale incidente migliore di un’esplosione che avrebbe distrutto il nuovo monumento celebrativo ideato dal re di Francia? Ma poi si era intromesso quel moschettiere, ed erano sorte le complicazioni.
Perché Eliza poteva essere una ladra, una cospiratrice, una pedina nelle mani del cardinale e della sua sete di potere, ma non era un’assassina.
Non più.
La giovane deglutì, stringendo la maschera sul viso. Il cardinale era stato chiaro: Lovino doveva essere eliminato. Fin dove si sarebbe dovuta spingere per assecondare il cardinale?
Si fermò.
Quando riprese la sua corsa, fu nella direzione opposta, di nuovo verso il Palazzo. Qualunque cosa fosse successa, non sarebbe diventata l’anima nera del cardinale.
Una mano calda e forte le afferrò il polso, scaraventandola contro un albero.
“Qual è il tuo gioco, Eliza?” Era strano come quella mano, così bianca da sembrare ghiaccio vivo, possedesse in realtà un tocco in grado di bruciare come le fiamme che si riflettevano negli occhi del suo possessore. Gilbert le immobilizzò entrambe le braccia dietro la schiena, spingendola così contro di lui. “Fino a dove arriverai per allontanarti da me?”
“Voilà! Eccoti, finalmente!” La voce di Francis interruppe il momento. “Pensavo di aver perso anche te. Ma che cosa… Nom d’un nom d’un nom!” Si bloccò il biondo, sbalordito, alla vista di Eliza. “Che cosa sta succedendo oggi?”
“Non c’è più tempo per spiegare.” Con uno strattone, Eliza si liberò dalla presa di Gilbert. “Se volete rivedere vivo il vostro amico, venite con me.”
“E chi mi assicura che questo non sia un altro trucco?” Domandò Gilbert. “Dovrei bermi la storia della tua improvvisa conversione?”
La ragazza sospirò. “Nessuna conversione: chiamiamolo stallo.” E si diresse verso il Palazzo.
“Venite?”
Lovino aveva abbandonato ogni tentativo di liberarsi dopo circa cinque minuti di duro sforzo. Dopotutto, quei tre deficienti avevano il dovere di salvarlo, no?
“Che cazzo stanno aspettando?” Bofonchiò, digrignando i denti contro il bavaglio. Forse erano tornati a casa alla fine del turno, senza pensare che Lovino poteva trovarsi nei guai. In tal caso avrebbe dovuto aspettare il giorno dopo, quando gli operai di quella specie di cantiere sarebbero tornati al lavoro. Il pensiero di dover passare la notte lì dentro lo demoralizzò, e con un sospiro lasciò cadere la schiena contro le travi, provocando un ondeggiamento di tutta la struttura.
Fu così che il congegno nascosto da Eliza sulla sommità dell’impalcatura gli cadde proprio davanti alle gambe legate.
In giovane età, quando era ancora un marmocchio sotto tutela di un certo bastardo, il piccolo Lovino si era dilettato nella costruzione di ordigni esplosivi. Niente di troppo complicato, semplicemente qualcosa di abbastanza rumoroso da far spaventare il malcapitato che dormiva invece di preparargli la colazione.
Quella cosa che era appena piovuta invece aveva un aspetto che prometteva morte e distruzione, se quella lunga miccia fosse stata accesa... Il ragazzo si accorse allora della scintilla rossa che scendeva dall’alto, seguendo la via segnata dal sottile filo incatramato.
Lovino iniziò a dimenarsi.
Angolo dell’autrice (assolutamente non necessario)
Andiamo, a chi non piacerebbe un Spagna ricoperto di panna per San Valentino? (schiva elegantemente una raffica di pomodori) Riuscirete a sostenere la tensione fino al prossimo capitolo, dove NON scoprirete perché Prussia e Ungheria si comportano come i protagonisti di un feutillon di terza categoria, come mai Feliks è diventato re E regina di Francia, e perché gli unicorni rosa sono il sogno erotico (non tanto) segreto di Francis.
(Esce scivolando sui pomodori)