A chi ha sofferto per l'amore. 
A chi è caduto ma sa che si rialzerà. 
A te che stai leggendo ora.
 

Impossible.

Labbra conto labbra. Labbra affamate, irruenti e avide. Labbra contro labbra. Ma non le mie labbra.
Le mani nei suoi capelli scuri, ma non le mie mani.
E poi le lacrime, il vento che mi sferza le guance, le urla soffocate contro il cuscino e la musica ad alto volume, così alto che non riesco a sentire neanche il battito del mio cuore, ammesso che ancora batta.
L’immagine vivida nella mia testa che quando chiudo gli occhi mi tormente. Ma mi tormenta anche quando li tengo spalancati a fissar il soffitto.
La gola mi brucia e il cuore, anche.
Le mani tremano e il cellulare vibra. Vibra da due ore. Vibra senza sosta ma non voglio rispondere.
Sono le otto e mezza e io e Calum saremmo dovuti andare al cinema. Il mio Calum che forse non è neanche più mio, che forse mio non lo era mai stato. Il mio Calum che baciava una ragazza che non ero io nello stesso posto dove ha baciato me la prima volta. La porta si apre e non la sento, ma la vedo con la coda dell’occhio. Tolgo le cuffie e mi volto verso mia madre, il suo sguardo è confuso e si sofferma sul mio naso arrossato, gli occhi gonfi e le gote umide.
“Cos’è successo?” chiede sedendosi accanto a me sul letto.
“Cose.”
“Non vuoi parlarne con me?”
“Non voglio parlarne con nessuno” sussurro.
“Neanche con Calum? È di sotto, mi ha detto che dovevate uscire assieme stasera.”
“Mandalo via.” Fisso ancora il soffitto mentre frammenti della mia storia con Calum mi tormentano. Non siamo mai stati perfetti insieme, non siamo mai piaciuti a tutti. O meglio, io non sono mai piaciuta a tutti.
 “Calum Hood e la redattrice del giornalino scolastico, patetico.”
I primi mesi ce n’era sempre una. Poi tutti si erano rassegnati e tutto andava bene.
“Ti ha fatto qualcosa?” Guardo il volto preoccupato e stanco della donna che mi ha cresciuta.
“Mi ha distrutto.”

Ho saltato la scuola per due giorni. Non sarei riuscita a reggere lo sguardo di colui che amo, che non ama me. O forse sì, ma non sono abbastanza.

Ho la tracolla blu poggiata sulle gambe, mentre aspetto i miei amici sul muretto di fronte la scuola. Fisso la tracolla che in questi cinque anni si è un po’ rovinata e scolorita. Ci sono delle frasi scritte col bianchetto, memorie di anni passati e sentimenti condivisi. “Ti vogliamo bene Hel”, “Hel è una pera” , “Sei il mio sorriso. Ti amo.”
Io sono, ero il suo sorriso e lui, il mio, me l’ha tolto.
“Puoi dirmi che succede?”  Mi chiede la voce che mi ha sussurrato frasi dolci mentre facevamo l’amore la prima volta.
Lo guardo. Ha i capelli arruffati dal vento e un cipiglio corrucciato.
Lo guardo.
Mi guarda.
Schiudo le labbra per dir qualcosa ma non riesco a far uscire un suono ‘ché sento le lacrime minacciar d’uscire e parlare mi farebbe scoppiar a piangere e non voglio che lui mi veda debole, non più.
“Ho passato gli ultimi due giorni a chiamarti senza mai ricevere risposta! Dovevamo uscire lunedì e mi fai mandar via da tua madre senza nemmeno una spiegazione!” è  adirato e infastidito e la ruga tra le sue sopracciglia è l’inconfutabile prova.
Mi alzo dal muretto e cammino verso la scuola, senza guardarmi indietro. Senza ascoltare Calum che mi richiama.
“Sto scappando” penso. Eppure mi avevano avvertiti, tutti. Su Calum, sull’amore, sull’amare Calum. “Fa attenzione – mi dicevano – è bello ma può far male” e io, stupida, non ci avevo mai creduto. Come può l’amore far male?
Ho la risposta ora.
Una presa ferrea mi blocca il braccio facendomi voltar di scatto e facendomi trovare degli occhi scuri e così belli, maledetti e belli.
“Allora?”
“Devo davvero dirtelo io, Calum? Non ha la coscienza sporca, tu?”
E la consapevolezza si fa strada sul suo volto . E le lacrime sul mio.
E ci guardiamo, come per dirci addio. Io lo guardo per dirgli addio. Lui mi guarda per chiedermi di restare. Ma restare sarebbe difficile e l’amore non basta.
“Posso spiegare.”
“Non puoi.”
“Davvero se mi lasci spiegare io…”
“Non ti lascio spiegare Calum.”
E nei suoi occhi c’è il mio riflesso, il riflesso di una ragazza distrutta da chi un tempo l’aveva aggiustata.
“Spero che lei possa amarti come ti amavo io e che tu possa amare lei come ti amo io.”
“No. Non mi stai lasciando – e le sue mani corrono ai suoi capelli – tutto ciò che noi siamo non può svanire per un solo, misero errore. Noi siamo felici, io ti rendo felice.” Porto le mani al collo, sganciando il ciondolo che mi ha regalato per il nostro primo anno assieme. Gli prendo una mano e lo poso sul suo palmo aperto e tremolante.
“Io ero felice, ora il mio cuore si è spezzato”
 

 

NdA: Allora rieccoci con una OS ispirata a Impossible di Shontelle (trovate una strofa del testo sopra)
e ho apprezzato molto la cover di James Arthur che mi ha quasi strappato le lacrime :'). Anyway sto scrivendo il capitolo di "Forget the Past" (trovate la storia nel mio profilo) e conto di aggiornare prima di Domenica. 
Se vi può far piacere passate anche in "Thinking out loud" (sempre nel mio profilo). 
Adesso mi ri-dedico alla lettura di "Città di Carta". 
Fatemi sapere cosa pensate di questo scritto con una recensione. 
Ogni recensione un biscottino. 

Vi abbraccio. 
East.