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Autore: rossella0806    06/02/2015    2 recensioni
Piemonte, inizi del 1900.
Adele ha appena vent'anni quando è costretta a sposare il visconte Malgari di Pierre Robin, di quindici anni più vecchio, scelto in circostanze non chiarite dal padre di lei, dopo la chiusura in convento di Umberto, il ragazzo amato da Adele.
I genitori del giovane, infatti, in seguito ad una promessa fatta a Dio per risparmiarlo dalla tubercolosi, non ebbero alcun dubbio a sacrificare il figlio ad una vita di clausura, impedendogli di scegliere una strada alternativa.
Sono passati due anni dal matrimonio e dall'allontanamento forzato da Umberto, e Adele si è in parte rassegnata a condurre quell'esistenza tra Italia e Francia, circondata da persone che non significano nulla per lei, in balia di un marito che non ama, fino a quando, una sera di marzo, giunge a palazzo una lettera di Umberto, che le confessa di essere scappato dal convento di monaci e che presto la raggiungerà per portarla via.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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Umberto scese dal calesse che gli aveva prestato Maria, la sorella del priore, che in quei quasi centoventi giorni gli aveva aperto le porte della sua umile abitazione.
Una sensazione di indecisione e di ansia s’impadronì di lui non appena alzò lo sguardo, in direzione dell’immensa facciata in stile neoclassico che si stagliava altezzosa davanti a lui, oltre il pesante cancello di ferro.
Erano esattamente due anni che non metteva più piede in quel posto, nella sua casa: dopo i sei mesi di malattia, dopo che la tubercolosi lo aveva graziato, i genitori –vedendo la guarigione come un miracolo divino- lo avevano obbligato ad entrare in convento per farsi monaco, in una piccola certosa ad oltre venti chilometri di distanza.
Non avrebbe mai creduto, fino a quattro mesi prima quando aveva abbandonato l’Ordine e aveva raggiunto il rifugio sicuro della stiratrice, di poter ritornare nello stesso posto dove era stato forzatamente allontanato, dove solo il ricordo dei fratelli gli faceva nascere un po’ di affetto nel cuore, non appena pensava alla vita precedente.
Tuttavia, quando sua cugina Anna aveva finalmente risposto all’ennesima lettera in cui le implorava l’indirizzo di Adele, la rabbia assopita al pensiero di dover ritornare dai genitori, ritornò a farsi sentire, additando loro l’intera colpa di una decisione che gli aveva procurato solo infelicità.
Di lì a pochi istanti si sarebbe umiliato davanti a suo padre solo per Adele, per la ragazza che aveva sempre amato e che continuava ad amare.
Il giorno prima, quando si erano dati appuntamento alla radura di querce, davanti alla casa della sorella del priore, la giovane gli era apparsa disperata e in preda alla follia: l’aveva infatti supplicato di non mandarla più a palazzo dal marito, perché voleva rimanere –da quel momento in poi- insieme a lui per sempre.
“Guarda” gli disse tremante di gioia, esibendo il bottino che aveva trafugato dallo studio di Francesco, senza nemmeno un briciolo di circospezione nello sguardo o nelle parole pronunciate con insana sicurezza “ho preso anche dal denaro, così per un po’ di tempo non dovremo pensare a come mantenerci! Mi basta la tua approvazione, nient’altro!”
Ad Umberto tutto quello gli era subito sembrata una vera e propria pazzia: la sua dolce Adele era diventata una … ladra! Ecco, non poteva definirla in altro modo.
Aveva cercato di farla ragionare, convincendola alla fine a restituire quel denaro, perché loro non erano dei malfattori, si sarebbero guadagnati da vivere con “il sudore della fronte, con il mio lavoro!” aveva cercato di farla ragionare Umberto.
In convento, infatti, gli avevano insegnato a ferrare i cavalli, a riparare scarpe e stivali, ad usare chiodi e martello, una buona base per un uomo che doveva e voleva lavorare.
“Se mi farai rimanere” continuava ad implorarlo la giovane “potrò aiutare la stiratrice, imparerò a lavare, a tenere in ordine la casa, a cucinare, a  pascolare le capre, a fare qualsiasi cosa! Ma ti prego, non rimandarmi da mio marito, non lo voglio più rivedere! Voglio stare solo con te, sempre e solo con te!”
Umberto aveva cercato di sapere il motivo di quell’improvvisa angoscia che l’attanagliava, ma lei aveva semplicemente risposto che era stanca di aspettare, di fingere di amare quell’uomo che i suoi genitori, due anni addietro, l’avevano costretta a sposare.
Per questo adesso, la mattina successiva il loro incontro, dopo aver convinto la ragazza a ritornare ancora per un paio di notti a palazzo, il giovane era davanti alla casa in cui era cresciuto, a quella tenuta che tanto amava, ma che si era rivelata un nido freddo e pieno d’insidie.
 
 
 
“Padre …”
Umberto, il cappello di feltro nero tra le mani, gli stivali che erano stati del secondogenito di Maria e un vecchio completo di panno scuro dell’altro figlio della donna, era in piedi nell’anticamera dello studio del padre.
Si sentì in imbarazzo, percependo l’approvazione paterna alla sua visita, alla stregua di come si è soliti fare con un portalettere o un fattorino un po’ più importante della categoria a cui appartiene, ma di cui subito –soprattutto se è ambasciatore di cattive novelle- ci si vuole liberare.
L’uomo che aveva di fronte, un sessantenne alto e molto magro, i capelli neri striati di grigio alle tempie e dietro la nuca, aveva fatto attendere il figlio per quasi mezz’ora prima di riceverlo, e solo le suppliche della moglie –che però non aveva avuto il permesso di assistere alla conversazione- erano riuscite a convincerlo ad affrontare il giovane.
“Cosa ci fai qui? Perché non sei in convento?” la voce profonda risuonava minacciosa e sospettosa.
Dopo lo stupore iniziale, dettato dalle parole asettiche del maggiordomo che gli comunicavano la presenza del figlio all’ingresso, il marchese aveva avuto la conferma dei suoi sospetti, nati  dalla lettera del priore della certosa in cui aveva rinchiuso il figlio, in cui scriveva della sua “fuga improvvisa e per nulla celata grazie all’abbietta condotta satanesca di padre Romualdo che, come immagino ben saprete dalla vox populi, mi ha sostituito durante il mio periodo di assenza dovuto all’infermità che mi ha improvvisamente colpito”.
Quando aveva terminato di leggerla, aveva subito bruciato la missiva, disgustato e profondamente offeso dal comportamento insano che aveva tenuto il suo stesso sangue: per questo non aveva confessato il filiale tradimento alla moglie, per questo lo aveva fatto attendere prima di riceverlo e, sempre per lo stesso motivo, lo stava ricevendo in quel limbo angusto, pensando invano alle parole che avrebbe usato per ferirlo. 
“Sono ormai quasi quattro mesi che non vivo più lì” riprese Umberto, distogliendo il marchese dai suoi pensieri “quella non era la mia vita, padre, voi lo avete sempre saputo”
“Sì che lo era!” il tono dell’uomo si fece più alto, mentre la rabbia a lungo repressa, si dipinse sul suo volto.
“Vi prego, non arrabbiatevi. Se è questo quello che volete, non mi rivedrete più dopo oggi. Sono qui solo per domandarvi quello che mi spetta”
“Quello che ti spetta?! E, sentiamo, cosa sarebbe?” un sorriso sardonico piegò le labbra sottili dell’uomo, la fronte segnata da numerose rughe di espressione.
“Denaro, padre, la parte di eredità che è giusto che riceva in quanto vostro figlio”
Il genitore scosse con evidenza il capo: a separarlo dal giovane non c’era visibilmente nulla, perché la stanza aveva pareti strette e allungate, tappezzate da elegante carta da parati verde e d’oro, un grande lampadario con le gocce di cristallo a metà tra le teste dei due, tanto opprimente come l’avvoltoio sulla carcassa, da far sentire Umberto un cetaceo in un piccolo lago artificiale,.
“Non sai quello che stai dicendo. Quando due anni fa sei entrato in convento, ho dovuto cancellarti dal mio testamento, designando al tuo posto i tuoi due fratelli. Pensavo che lo potessi facilmente intuire, dopo tutti gli studi che ti ho fatto fare …”
“L’ avevo immaginato, non sono stupido come credete …” ad Umberto vennero in mente le parole di Adele, la prima volta che si erano incontrati dopo quel lungo tempo trascorso lontani, quando lei gli aveva detto le stesse cose, riferendosi all’impossibilità di ricevere aiuto economico da parte del genitore.
“Dunque? Che altro vuoi?” continuò arrogante il marchese, distogliendo per un solo istante lo sguardo fiero e crudo.
“Ve lo ripeto, padre. Ho bisogno di denaro per andare il più lontano possibile da qui, così da non rivedervi mai più: necessito di liquidi, assegni bancari, monete d’oro … lascio a voi la scelta. Ma non me ne andrò via senza quello che vi ho chiesto, sappiatelo!”
“Sei un figlio e un cristiano ingrato! Non hai un briciolo di dignità!” sbottò ancora una volta l’uomo, poi, cercando di dominare la voce, domandò:
“Che cosa hai combinato? Perché sei fuggito dal convento?”
Un sorriso di beffa si dipinse sul bel volto glabro di Umberto.
“Credete veramente che possa aver combinato qualcosa?! Non ho fatto nulla, padre, ma come vi ho già risposto, quella non era e non sarà mai la mia vita. Per fortuna sono riuscito a capirlo abbastanza in fretta prima che fosse stato troppo tardi e rimanessi murato lì per sempre!”
Il genitore deglutì, un groppo nelle fauci che doveva sputare fuori:
“Non sai quello che stai dicendo. Dio ti ha salvato, ti ha guarito dalla tubercolosi, e come lo ringrazi?! Disertando la Sua parola, l’Ordine che ti ha accolto come un figlio, un fratello! Non posso darti quello che mi chiedi, non posso … non voglio”
Il giovane alzò ancora di più il volto verso l’uomo, le lacrime che premevano per uscirgli.
“E’ la vostra ultima risposta?”
“Sì …” la voce gli uscì come un sibilo, ma tanto bastava per far intendere il monosillabo al figlio.
“Molto bene, non supplicherò oltre quello che credevo fosse mio padre. Non mi rivedrete mai più! Addio!”
Non appena il ragazzo uscì dall’anticamera, un bruciore insistente agli occhi e alla gola prese il sopravvento su ogni altra emozione.
Stava ormai oltrepassando il grande portone d’entrata, quando sentì una donna chiamarlo:
“Umberto …”
Il giovane si voltò nella direzione da cui proveniva la voce:
“Madre! Perché vi nascondete?”
Una signora sui cinquant’anni, con un lungo abito color avorio e gli occhi castani, si avvicinò al ragazzo, abbracciandolo con forza e dolcezza insieme:
“Figlio mio, che gioia rivederti dopo tutto questo tempo! Come stai, perché non sei in convento?”
“Sto bene, madre, non preoccupatevi: mi sono finalmente reso conto che quella non era la mia vita. Ero venuto per reclamare quello che credevo sarebbe stato mio di diritto, ma vostro marito me lo ha impedito. E’ da lui che non volete essere vista?”
Lo sguardo di tenerezza che abitava il bel viso privo di rughe, lasciò il passo a un lieve imbarazzo che si diffuse sulle guancie della donna:
“Non è come pensi, Umberto. Per noi è stata una grande sofferenza doverti mandare in convento, e adesso che sei tornato, credo che tuo padre la viva come una sorta di sconfitta, una disobbedienza nei confronti del Signore e della Sua misericordia per averti salvato … caro, caro figlio! Mi sei mancato moltissimo! Le visite che potevo farti solo per le festività non erano mai abbastanza! Ma ora tutto è cambiato!”
La donna lo abbracciò nuovamente, cercando di stringere con tutta la felicità che provava il capo moro sul petto, proprio come era solita fare quando il figlio era più basso di una trentina di centimetri.
“Vostro marito non la pensava allo stesso modo evidentemente: quando venivate a trovarmi, lui rimaneva sempre in disparte, come fossi un appestato!”
“Non dire così! Adesso l’importante è che sei tornato da noi!” continuò lei accarezzando il volto del giovane “Dio saprà perdonarti, Umberto, saprà leggere nel tuo cuore che la scelta che ti ha portato fino a qui, non è stata fatta per cattiveria o per mancanza di rispetto! E’ meglio essere dei buoni cristiani nella vita di ogni giorno, che appartenere ad un Ordine e non rispettarne le regole!”
Un rumore di porte fece sobbalzare i due, così il giovane avvertì la donna:
“Ora devo andare, madre. Sono stato molto felice di rivedervi!”
“Aspetta, Umberto!” lo bloccò, la mano appoggiata al braccio del figlio, mentre qualche lacrima cominciava a caderle dagli occhi castani “ quando potremo rivederci?”
“Non credo a breve…”
“Dimmi almeno dove vivi, così potrò venire a trovarti!”
Un’inquietudine ben controllata, attraversò come un lampo lo sguardo del ragazzo che, non sopportando di vedere l’angoscia che divorava la madre, acconsentì a risponderle:
“A Lagoverde, nei pressi del grande querceto, poco dopo la fine del fiume. Chiedete di Maria, la stiratrice, lì tutti la conoscono”
La donna si avvicinò ancora una volta al figlio, abbracciandolo il più a lungo possibile:
“Tieni” continuò, tirando fuori dal corpetto un sacchetto di pelle con una cordicella rossa.
“E’ un po’ di denaro che potrà esserti utile in questi giorni, prima che venga a farti visita!”
“Non lo voglio, madre, siete molto gentile, ma non posso accettarlo …” rifiutò il giovane mentre respingeva il piccolo dono.
“Insisto, Umberto! Non è molto, solo la quota dedicata alla spesa di metà mese, ma ne troverò dell’altro da dare alla cuoca! Ora vai! A presto, figlio mio!”
I due si abbracciarono ancora una volta, proprio mentre avvertirono la voce maschile di poco prima chiamare la moglie, i passi degli stivali che si avvicinavano sempre più.
Appena uscito dall’alto cancello in ferro battuto, Umberto salì velocemente sul calesse e, solo in quel momento, gli venne in mente una cosa: suo padre, durante il sofferto colloquio concluso da qualche minuto, non lo aveva mai chiamato per nome, né lo aveva abbracciato o gli aveva confessato di essere contento di rivederlo.  E questa mancanza di affetto manifesto, indusse il ragazzo a spronare ancora più velocemente il ronzino che trainava il carretto, mettendo una distanza sempre più maggiore, tra lui e il genitore
   
 
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