Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: LyraB    01/12/2008    2 recensioni
Per salvare Narnia non basterà recuperare il Calice della Creazione: bisognerà distinguere gli amici dai nemici, scoprire di chi ci si può fidare, affrontare i propri sentimenti e sconfiggere le proprie paure... anche quelle inconfessabili.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Peter Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1
Aria di tempesta

 

 

 

 

 

 

La mattina successiva presi il treno assieme a mia sorella. Juliet non è mai stata esattamente 'adorabile': non è cattiva, è solo che ha sempre pensato che io vivessi in un mondo assurdo fatto di fate e magia invece che nella vita reale. Essendo più giovane di me di due anni e avendo già un fidanzato in aria di matrimonio, ripeteva continuamente che io sarei rimasta una credulona in eterno, sempre sola con i miei libri fatti di fantasie, chiusa in un mondo di pixie e folletti in cui non avrei ammesso nessun adulto, soprattutto se di genere maschile. Lo ripeteva spesso e con convinzione, sgridandomi spesso e ricevendo anche l'appoggio dei miei genitori, di mio padre in particolare. Io però sono sempre stata piuttosto ostinata e non le ho mai dato troppo peso: i miei libri e la mia immaginazione sono sempre stati il mondo perfetto che mi accoglieva a braccia aperte ogni volta che ne avevo bisogno e non ci avrei rinunciato per niente al mondo. Ho sempre creduto nel potere della fantasia, al punto di tentare spesso di coinvolgerla nelle mie letture… anche se sempre senza risultato.

Quando scendemmo del treno alla stazione vicino a scuola quasi ci scontrammo con la famiglia Pevensie al completo.

- Ciao! - Esclamai rivolgendomi a Susan e Lucy, incrociate spesso nei corridoi.

- Ciao! - Risposero loro con un sorriso.

Mia sorella mi guardò strabuzzando gli occhi, forse incredula del vedermi parlare con gente nuova, e poi mi salutò con un cenno del capo, raggiungendo le sue amiche.

Pensavo di fare la strada verso la scuola tra me e me, ma Lucy Pevensie mi si affiancò parlando con tanto entusiasmo della primavera che mi fu impossibile lasciar perdere: eravamo caratteri affini, quindi bastò un istante e una manciata di parole per trovarci a parlare della meravigliosa primavera che stava colorando i giardini e le strade con lo stesso entusiasmo, mentre alle nostre spalle sua sorella e i suoi fratelli camminavano chiacchierando tra loro.

Davanti a scuola, le nostre strade si divisero e la giornata si apprestò a trascorrere come sempre: alla fine delle lezioni riuscii a raggiungere la biblioteca al riparo da incontri indesiderati. Quando il quieto tepore della mia amata biblioteca mi avvolse, chiusi gli occhi e aspirai profondamente il profumo delle pagine e della carta stampata, che impregnava ogni singolo angolo di quell'immenso locale. Mi diressi al mio solito posto: nella saletta in cui si tenevano le raccolte di favole e i romanzi d'avventura c'erano degli ampi davanzali coperti di cuscini su cui la luce si riversava in cascate d'oro. Il giardino al di là del vetro sembrava appartenere a un mondo fantastico e rendeva ancora più incantato l'ambiente della biblioteca. Abbandonai la borsa e la giacca su una sedia vicina, mi arrampicai sul davanzale e mi immersi nella storia che stavo leggendo.

Quattro favole dei fratelli Grimm più tardi sentii i passi di qualcuno che si avvicinava.

- Ehi. - Il più grande dei Pevensie, quello che mi aveva aiutato il giorno prima, era vicino a me con in mano un grosso libro e un'aria sorpresa dipinta sul bel viso.

- E-ehi. Che ci fai qui? -

"Domanda idiota, Beth." Mi dissi un istante più tardi.

- Sono alla ricerca di un po' di pace. A casa mia hanno tutti una gran voglia di litigare. -

- Voi? Impossibile! -

- Mi piacerebbe avere una di quelle famiglie perfette che ci sono nei libri. - Rispose lui, indicando la raccolta di favole che stavo leggendo - Quelle in cui il re fa di tutto per rendere felice la sua regina… ma purtroppo siamo una famiglia normale. -

- A chi lo dici. - Mormorai, mordendomi la lingua un istante dopo, abbassando gli occhi per nascondere i miei pensieri cupi.

- Tutto a posto? - Domandò lui, facendo un passo verso di me.

Mi affrettai ad esclamare un "certo" con una voce che era tutto, tranne che certa. In quel momento un signore poco lontano ci gettò un'occhiataccia ed esclamò:

- Fate silenzio o no? Questa è una biblioteca, non una sala da tè! -

Ci zittimmo subito, ma non appena i nostri occhi si incrociarono un sorriso spuntò sulle labbra di entrambi. La voglia di ridere aumentava senza motivo, forse aumentata solo dall'obbligo del silenzio. Peter camuffò una risata con un sonoro colpo di tosse, tanto che il signore, scocciato, si alzò chiudendo il libro con un tonfo: ci lanciò un'occhiata feroce prima di andarsi a cercare un altro posto in cui leggere.

- A proposito, non ci siamo mai presentati davvero. - Disse il ragazzo, tendendomi una mano - Mi chiamo Peter Pevensie. -

- Elizabeth Graham. - Risposi.

- Stavo andando a casa, tu che fai? - Mi chiese lui.

Scoccai un'occhiata all'orologio del Big Ben, al di fuori della finestra e sospirai. Erano quasi le sei, il che implicava che la mia presenza era richiesta a casa: la cena non si sarebbe preparata da sola.

- Vengo anch'io. - Risposi infilando il libro nella tracolla.

Sulla strada verso la stazione la sua voce riempì di nuovo il tragitto. Mi piaceva sentirlo parlare: era intelligente e sensibile, oltre che piuttosto divertente. In sua presenza mi stavo sciogliendo e qualche volta intervenni nel discorso per più di una parola o due. Scoprii che aveva due anni più di me e che amava le stesse materie che amavo io, che era appassionato di romanzi d'avventura - Ivanhoe era il suo preferito - e che amava il teatro e i suoi fratelli più di ogni altra cosa. Mi sembrava un tipo responsabile e tranquillo, uno dei tanti "bravi ragazzi" che frequentavano il mio liceo e che mia mamma amava farmi notare quando andavamo in visita da qualche parente.

 

 

 

 

Due settimane più tardi il tempo pareva aver seguito le mie vicende familiari e volesse contribuire al mio stato d'animo grigio: pioveva forte, di quella pioggia spessa e uniforme che ama tanto Londra.

La sera prima i miei genitori avevano litigato furiosamente, rinfacciandosi sempre le solite cose e urlandosi contro senza starsi a sentire nemmeno per sbaglio. Avevo lavato i piatti cercando di fare finta di non esistere, ma il mio stato d'animo non mi aveva fatto venire voglia di aprire i libri, così non avevo studiato. La mia voglia di andare a scuola era sotto i piedi e per di più mia sorella aveva deciso di portarsi dietro il malumore dei miei sfoggiando un muso lungo che faceva spaventare. Mi avviai alla stazione con la sensazione del peso sul cuore che avevo ogni volta che i miei genitori decidevano di non parlarsi e con la voglia disperata di avere bisogno di una boccata di aria pura.

Dopo quattro giorni mi sentivo esplodere: ero una ragazza allegra, cercavo di vedere il bello e il buono in tutto e tutti e di far notare a tutti la meraviglia ancora nascosta nella città fumosa in cui abitavo… ma se c'era una cosa che mi abbatteva, quella era la mia situazione familiare. Di solito le cose non andavano troppo male, ma c'erano i periodi neri, e quelli mi distruggevano: non avevo voglia di studiare o di tornare a casa, non mi andava di parlare con nessuno né di vedere gente. L'unica cosa che mi piaceva fare era andare in biblioteca, nascondermi nel mio angolino solitario e farmi abbracciare dal libro che stavo leggendo.

Il venerdì le mie lezioni finivano presto e, complice il sole che aveva deciso di farsi vedere di nuovo dopo una settimana di pioggia, decisi di fermarmi a leggere per l'intero pomeriggio, rifiutandomi di tornare a casa per adempiere ai miei cosiddetti "doveri": il bucato, la spesa e il riordino della biancheria potevano aspettare l'ora di cena.

Potevano e dovevano.

Mi rifugiai in biblioteca appena finite le lezioni, ma il pensiero del mucchio di cose da fare a casa mi assillava, tornandomi in mente nei momenti più impensati e impedendomi di godermi davvero la lettura: dopo solo poche pagine avevo riposto tutto nella borsa ed ero fuori, nel tiepido pomeriggio di marzo. Raggiunsi il cortile davanti alla scuola e mi sedetti su una panchina del giardino: sapevo che Peter Pevensie mi sarebbe venuto a cercare in biblioteca, come faceva praticamente ogni venerdì, ma non avevo nessuna voglia di vederlo o di parlare di sciocchezze come libri, leggende o favole.

A dire la verità sapevo di dover andare in stazione, prendere il treno e tornare a casa. Sapevo che dovevo sistemare la casa, preparare la cena e pregare con tutte le mie forze che finalmente quella mattina mia madre e mio padre avessero chiarito le loro controversie, riportando così un po' di sereno sul versante casalingo.

Il pensiero dei miei genitori che ancora non si parlavano mi fecero salire le lacrime agli occhi: pensare al clima di casa quando i genitori non erano in pace mi stringeva sempre il cuore in una stretta feroce. Mio padre che mi sgridava per ogni minima cosa o se ne andava a letto senza nemmeno finire la cena e mia madre che si ostinava nel suo mutismo, ignorando qualunque tentativo di distendere il clima.

Non era giusto. Non era quella la vita che volevo. No, proprio no.

Inaspettatamente, sentii una lacrima scivolare sulla mia guancia sinistra. Mi rifiutai di asciugarle, sarebbe stato come dire che stavo piangendo. La lasciai scivolare fino al mento, dove cadde disegnando un tondino scuro sulla manica del mio cappotto grigio.

All'improvviso, qualcuno si sedette accanto a me e mi appoggiò una mano sui capelli.

- Adesso non dirmi che va tutto bene. - Disse Peter, serio.

Scoppiai in singhiozzi senza preavviso, senza dire niente, e nascosi il viso tra le mani. Lui non mi domandò nulla: mi passò un braccio attorno alle spalle e mi strinse forte in un abbraccio. Io mi limitai a nascondere il viso contro il suo cappotto scuro senza curarmi dei singhiozzi che spezzavano il silenzio del giardino semivuoto e senza chiedermi che figura stessi facendo, che cosa Peter stesse pensando di me o cosa io volessi dire con quell'improvvisa crisi di pianto.

Io, che mi sforzavo di non piangere mai.

E poi, improvvisamente, mi resi conto che qualcosa era cambiato.

Per prima cosa notai che la panchina su cui ero seduta era diventata all'improvviso molto bassa e molto scomoda, poi che non si sentiva il sottofondo confusionario del traffico di Londra, né lo sferragliare dei treni in lontananza: il cinguettio degli uccelli e il delicato frusciare delle foglie erano gli unici rumori attorno a me.

Istintivamente mi sciolsi dall'abbraccio di Peter e mi guardai attorno: con mio enorme, immenso stupore dovetti constatare che non ero più a Londra. Davanti a me si stendeva un prato smeraldino inondato dalla luce calda del sole e dietro di me un boschetto ombreggiava il tronco caduto su cui eravamo seduti. Peter allontanò il suo braccio dalle mie spalle, si alzò e uscì dall'ombra dell'albero sopra di noi guardandosi attorno.

La sua voce vibrava di gioia mentre diceva:

- Siamo… siamo a Narnia. -

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: LyraB