Ciao da NaruXHina! Questa fic è un po’ diversa dalle altre perché abbandono i
toni comici per passare a qualcosa di più serio e sentimentale.
Questa one-shot è nata da una domanda che
si pongono in tanti: “dove sono i genitori dei protagonisti di Naruto”? Non
sembrano neppure esistere: possibile che siano tutti i morti? Qualche accennino
Kishimoto lo poteva pur dare, no? In ogni caso, questa fic parla appunto di uno
dei fantomatici “genitori mai visti”.
Spero che venga almeno decente: è la prima
volta che scrivo qualcosa di non esplicitamente comico. Che dire, buona
lettura!
La residenza degli Hyuga era enorme. Un
grande e spazioso cortile interno, innumerevoli corridori, innumerevoli stanze,
addirittura un bel giardino sul retro della magione.
Lo spazio era enorme.
Enorme quanto lo spazio che c’era stato un
tempo tra gli abitanti di quella casa e che stava iniziando a dissolversi.
Il gelo e la quiete avevano sempre fatto da padrone in quella
casa. Una casa che nonostante fosse abitata da molti restava silenziosa; in cui
regnavano l’ordine e la disciplina, rigorosamente tenuti dal capofamiglia; una
casa in cui c’erano un mucchio di regole, e persone che stoicamente obbedivano
ad esse.
Una casa i cui abitanti sorridevano
raramente.
E poi c’era l’eccezione che conferma la
regola.
Il sole entra brusco dalla finestra dritto
sul suo volto, e ormai sveglia, sbuffando alza la testa dal cuscino mettendosi
seduta.
La piccola Hanabi Hyuga, di dieci anni:
una Hyuga decisamente fuori dalla norma.
Da chi avesse mai preso se lo chiedevano
in parecchi: come poteva un uragano di vitalità, spensieratezza e buon umore
come lei vivere in una casa abitata da un capofamiglia severo, un cugino impassibile
e glaciale e soprattutto… una sorella come di più diverse da lei non potevano
esistere.
Nessuno era disposto a credere che Hinata
e Hanabi fossero sorelle: quando glielo dicevano si mettevano a ridere pensando
a uno scherzo, e se si provava ad insistere, tutti sgranavano gli occhi
tentando di fare un confronto inesistente.
Hanabi non era assimilabile a nessun altro
della famiglia: innanzitutto se ne fregava altamente delle regole del clan,
apparendo quasi come una pericolosa sovversiva agli occhi del padre.
E poi il suo carattere: infinitamente
estroverso, radioso; il suo modo di guardare il mondo in positivo; la sua
allegria inattaccabile; il suo essere vispa, acuta e furba fino alla perfidia…
Difatti si chiedeva che avesse mai fatto
di male per capitare in una famiglia di musoni, fatalisti, e timidine…
Ma c’era un periodo dell’anno, che
culminava con un giorno in particolare, in cui la sua anormalità spariva, senza
lasciare traccia. Allora era irriconoscibile a chiunque non sapesse il motivo
per il quale, tutto a un tratto, la luce nei suoi occhi si spegneva, e, come
per una qualche orrenda magia, diventava la persona più triste in quell’enorme
casa mezza vuota.
Quel periodo era arrivato, quel giorno era
arrivato: in quella mattina in cui il potente sole d’estate l’aveva buttata giù
dal letto.
Uscì dalla sua stanza. Non si fiondò
correndo e ridacchiando in cucina per abbuffarsi con la colazione, come faceva
in ogni altro giorno dell’anno; non si stava neppure dirigendo lì. Attraverso
sola e pensosa gli ampi spazi vuoti di quella casa enorme e fredda, fino a
giungere all’ampio giardino sul retro.
Si perché casa Hyuga ha anche un giardino,
in cui però a nessuno piace andare troppo spesso.
Un giardino triste, nonostante
innumerevoli fiori fossero lì ad abbellirlo.
E lei, proprio la sorridente Hanabi si
trovava in quel giardino triste. In una bella giornata di sole d’estate in cui
si sarebbe potuta dare alla pazza gioia la prima cosa che aveva fatto era stata
andare nel posto più malinconico della villa.
Camminò lì nell’erba a capo chino. Fino a
raggiungere l’altarino completamente circondato da aiuole: era quello il suo
obiettivo.
Si fermò là in piedi. Testa ed occhi inesorabilmente
rivolti in basso. Si fece coraggio e diede un occhiata:
tanti fiori, qualche candela, la foto di
una donna, un nome.
Hisami Hyuga
-… Ciao, mamma.-
Anche il vento se ne andò, lasciandola
sola assieme al altare di sua madre. In tutta la sua casa, la foto
commemorativa in quel piccolo loculo era l’unica cosa che fosse in grado di
ricordarle che aveva avuto una madre, sebbene non l’avesse mai vista.
E non l’aveva mai neppure sfiorata, non
l’aveva mai stretta a se, non aveva mai ascoltato la sua voce…
In quell’aria senza vento irruppero tanti
acuti singhiozzi.
-Ciao Hanabi!-
-Hinata!-
Non si voltò se non dopo essersi asciugata
gli occhi: se la sua sorellona l’avesse scoperta a piangere che ne sarebbe
stato della sua immagine di tipa sveglia e allegra? Non poteva assolutamente
farsi vedere così.
-Anche quest’anno hai fatto prima di me.-
-Tu invece hai fatto prima del solito
sorellona, ti sei svegliata prima?-
La maggiore annuì. Si avvicinò, arrivando
anche lei di fronte all’altare. Ma lei, Hinata Hyuga, timida, incerta, quasi
triste a volte, si accostò all’altare sorridendo raggiante. Anche la sua voce
era serena:
-Ciao, mamma!-
Era la prima volta che in quel giorno si
ritrovavano in quel posto assieme. Di solito Hanabi si svegliava presto per
restare là davanti appena qualche attimo, scomparendo poi alla vista di tutti
gli altri che venivano uno dopo l’altro davanti all’altare della capofamiglia
scomparsa da 10 anni.
-Beh, visto che siamo qui tutte e due,
possiamo pregare insieme. Alla mamma farà certamente piacere.- disse Hinata.
Sua sorella fece uno sguardo strano, per così
dire… spaventato. Come se chissà cosa le avesse appena detto.
-Ehm… veramente. Io dovrei andare.-
Non fece in tempo a girarsi che già la
sorella era davanti a lei a sbarrarle la strada –Ma se sei appena arrivata! E
poi cos’è tutta questa fretta?-
Una volta tanto era Hanabi a trovarsi in
difficoltà davanti a Hinata. Quest’ultima, benché non fosse capace come Neji a
leggere i pensieri degli occhi degli altri, ci riuscì alla perfezione quella
volta.
-Hanabi, che cos’hai?-
Non la stava neppure guardando. La sua
sorellina, che ammirava per essere coraggiosa e spontanea con tutti non
riusciva a guardarla negli occhi? Da non credere.
-Ogni volta arriva il giorno della mamma
non sei più tu. Avrei dovuto domandartelo molto tempo prima, ma non l’ho mai
fatto; ma adesso ti prego, dimmi perché proprio nel giorno in cui salutiamo la
mamma ti comporti così!- disse mettendole le mani sulle spalle.
La piccola seguì lo sguardo di Hinata che
fissava ora la foto di Hisami.
Una donna dai capelli neri molto lunghi,
il viso esile dai tratti gentili, il sorriso timido, ma degli occhi carichi di
gioia ed energia.
-… È colpa mia…- la sua voce ridotta a un
filo.
-Colpa tua cosa?-
Stavolta alzò la voce e la riempì di
rabbia contro se stessa –È stata colpa mia! Se ora non c’è più la responsabile
sono io!-
Sconvolta dalle sue parole, fu Hinata
stavolta a tacere.
-È colpa mia se la mamma è morta.-
Hisami Hyuga era morta in quello stesso
giorno 10 anni prima: il giorno della nascita di Hanabi.
Si può essere felici anche senza festeggiare
mai il proprio compleanno, Hanabi ne era la prova. E come poteva? Come poteva
festeggiare il giorno in cui venendo al mondo aveva tolto la vita a sua madre?
Non di rado si era sentita un assassina
per questo. Ed era per questo che nonostante fosse sempre lì per prima, non
avesse mai pregato nemmeno una sola volta.
-Hinata… se io non fossi nata… mamma
sarebbe ancora qui con te, con papà, sareste ancora tutti insieme...- Era
davvero dura cercare di non piangere, anche se ce la stava mettendo tutta.
E Hinata la guardava struggersi,
addossandosi una colpa che non esisteva, e quel che era peggio era che non
sapeva proprio che dirle. Che razza di sorella maggiore era se non sapeva
aiutare la sua sorellina quando più aveva bisogno di parole azzeccate.
Cercando ancora le parole, posò di nuovo
gli occhi sulla foto.
-Hinata! Piccola mia, cosa c’è?-
Vedendo sua figlia seduta in lacrime la
madre accorse prontamente prendendola in braccio e stringendola a se. Era
attratta dal pianto: che si trattasse di Hinata o anche del piccolo Neji o di
chiunque altro, Hisami era lì a cercare di fare qualcosa.
-Papà… papà ha detto che sono una
buonanulla.- la piccola cercava di spiegare la situazione alla madre nonostante
i singhiozzi la interrompevano di continuo.
-Ha detto… che sono una delusione e poi,,,
mi ha guardato in modo cattivo!... Tutti mi guardano in modo cattivo… tutti
dicono che non sono… non sono… papà non mi vuole bene, nessuno mi vuole bene…
Solo tu mi vuoi bene mamma!-
E tornò a piangere disperata sulle spalle
di Hisami. Non era giusto, pensava, non era giusto che sua figlia, una bambina
di appena cinque anni, dovesse sentirsi così disprezzata. Ma ora non era il
momento di fare una solenne ramanzina a Hiashi, era il momento di consolare sua
figlia.
-Suvvia Hinata, adesso calmati. Ascoltami,
non è vero che papà non ti vuole bene.-
-Ma… ma lui…-
-Si, è vero, a volte papà sa essere severo
e cattivo; ma lui è il tuo papà, e anche se si comporta male, un papà vuole
sempre bene alla sua bimba. Asciugati le lacrime su. Vedrai, un giorno papà
capirà che anche se non sei come si aspettava, sei pur sempre una bambina
speciale con un sacco di pregi!-
-D-davvero?-
-Certo! Non dire mai che nessuno ti vuole
bene, perché intorno a te ci sono molte persone che ti amano: ci sono io, c’è
il nonno, c’è Neji, c’è papà… e tra poco ci sarà anche qualcun altro che ti
vorrà bene e a cui vorrai bene!-
-d-davvero? E… chi è?-
-La tua sorellina!- e si sfiorò la pancia.
La piccola spalancò gli occhi sorpresa e
poi meraviglia divenne tale da farla sorridere. Ancora una volta Hisami le
aveva tolto le lacrime dagli occhi. E ancora una volta la mamma gioiva nel
vedere il volto della figlia di nuovo illuminato dal sorriso.
Hinata ricambiò al sorriso che la madre
gli stava porgendo attraverso quella foto. Ora sapeva cosa dire alla sorellina.
-Hanabi, non è affatto colpa tua se la
mamma è morta: la colpa non è di nessuno. O se proprio vuoi un colpevole… è
proprio la mamma!-
Lei la guardò basita, credeva di non aver
capito bene.
-È stata la mamma a decidere di lasciarci:
papà mi ha detto che poteva decidere di non metterti al mondo… ma lei non ne
volle assolutamente sentir parlare.-
Ecco qualcosa che Hiashi non le aveva mai
detto.
Hanabi era a bocca aperta –È… È la verità?-
-Ma certo che lo è!-
-Ma… ma perché lo ha fatto se… se sapeva
che poteva morire?- fece lei sconvolta.
- Non ci arrivi? Lei ti amava. E per darti
la vita ha deciso spontaneamente di rinunciare alla sua.-
Hanabi sentì la sua voce andarsene, ma
comunque era troppo assorta nei suoi pensieri per dire qualsiasi cosa.
-Hanabi, non sentirti in colpa per ciò che
non hai fatto. Oggi è il tuo compleanno: vorremmo che tu fossi felice… e sono
certa che anche lei lo vuole!-
Fantastico, pensò Hanabi: aveva fatto
tanto per non piangere per il dolore e adesso rischiava seriamente di piangere
per la felicità! Ma riuscì ad esorcizzare il pianto in un largo sorriso.
-Dici… dici che la mamma mi vorrà ancora
bene… anche se non ho mai pregato per lei.- chiese lei, che in tanti anno era
ossessionata dal pensiero che la madre se ne fosse andata odiandola.
Hinata rise –Credo proprio di si!-
Alzò gli occhi al cielo, e Hanabi fece lo
stesso.
Sperando che i loro sorrisi la
raggiungessero rimasero col naso all’insù per parecchio tempo.
Si inginocchiarono una affianco all’altra
e pregarono assieme e a lungo.
Quello fu il compleanno più felice che la
piccola Hyuga avesse mai avuto, e non era ancora arrivato a metà. Da quel
momento si sarebbe finalmente sentita autorizzata a festeggiare i compleanni; e
avrebbe pregato molto più spesso per tutti gli anni in cui non lo aveva fatto.
Hinata aveva sentito la sua mancanza in
ogni momento dalla sua scomparsa. Fu da quel momento, che si mise in testa di
essere sola, senza nessuno a cui veramente importasse della sua esistenza. Era
stata malissimo, ma se in quegli anni si era sforzata di cambiare se stessa, lo
aveva fatto anche per lei. Affinché, guardandola, sua madre potesse essere
fiera di lei; pur sapendo che lo sarebbe stata comunque in ogni caso.
Le mancava parecchio, ma sapeva anche che
non se n’era realmente mai andata: quindi che motivo c’era di non sorridere
ogni volta che andava a salutarla?
Disgiunsero le mani in preghiera e si
rimisero entrambe in piedi.
-Beh, allora ciao mamma!- una volta tanto
Hanabi la salutò come si doveva!
Dopo che anche Hinata l’ebbe salutata, le
due sorelle Hyuga si avviarono assieme per il giardino, d’un tratto non più
inviso ai loro occhi.
Nella mente di Hanabi sorse però una
domanda: -Hinata? Noi due siamo venute, ma papà? Ora che ci penso, non l’ho mai
visto venire qui.-
Hinata scrollò le spalle –Ad essere
sincera, nemmeno io l’ho mai visto venire qui a pregare.-
-Ma verrà vero? Lui voleva bene alla
mamma?-
-Certo che le voleva bene… anche se non ne
dava mai l’impressione, sono certo di si! Forse verrà più tardi.-
Sul tardi quella stessa mattina, quando
tutti erano usciti, ognuno con i suoi impegni, quando quella casa vuota era
ancora più vuota del solito, solo allora lui si fece vivo tra quei fiori e
quell’erba.
Dopo essersi accertato che non vi fosse
più nessuno, nemmeno della servitù, Hiashi Hyuga a passi lenti raggiunse
l’altare della moglie.
Hiashi era un uomo forte, autoritario,
tutto d’un pezzo, fin troppo orgoglioso per compiere un gesto almeno simile
all’inginocchiarsi come stava facendo in quel momento.
Accese anche lui una candela, adagiandola
lentamente davanti alla quella fotografia che sembrava renderla ancora viva
dopo tanto tempo; depose anche lui un fiore per lei.
-Hi… Hiashi…-
-S-sono qui…-
Quel gelido blocco di marmo che era stava
ora tremando vistosamente nell’atto di stringere la mano gelida di sua moglie.
Gli occhi soffrivano come non mai
nell’ammirare il suo volto, pallido, in cui si riflettono stanchezza,
debolezza, morte.
-Non ci credo… stai piangendo?- rise
impercettibilmente, quasi non ne avesse la forza.
Hiashi strinse la mano di lei ancora di
più, ma continuò a percepire che Hisami si stava allontanando sempre di più, e
che l’avrebbe abbandonato a momenti.
-A-ascolta ti prego, Hiashi… Hinata è
molto più in gamba di quanto tu creda, un giorno lo vedrai anche tu: stalle...
stalle vicino:… ora che non ci sarò più… si sentirà molto più sola…-
-S-si…-
Lei gemette sofferente, ma c’era altro da
dire:
-Non… non odiare Hanabi… solo perché ho
voluto che nascesse ad ogni costo… Ti prego… ogni volta la guarderai… non
guardare anche me che muoio, ti prego!-
-Non… non lo farò!-
-… Hia…-
Non terminò.
In quell’unico caso della sua vita, Hiashi
si concesse di piangere in pubblico.
Ora invece era lì a piangere da solo, come
di consueto.
-Ciao… amore mio…-
Nessuno può amare più di una madre
Dedicato alle mamme, che anche quando non
ci sono più, ci sono ancora
Non mi sono mai commosso tanto a scrivere
come stavolta finora: sapevo di essere un tipo sensibile, ma non immaginavo sarei
arrivato a tanto!
Non so cosa vuol dire perdere una madre,
ma nel caso qualche lettore lo sappia, spero che la mia fic non abbia
rattristato, ma sia riuscita a dare lo stesso effetto di Hinata con Hanabi.
Beh, spero vi sia piaciuta, anche se era
un po’ triste. Ai lettori e ai loro commenti il giudizio.
NaruXHina