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Autore: TonyCocchi    01/12/2008    4 recensioni
La prima one-shot da me scritta! Stavolta però niente coppie o comicità. Questa storia nasce dal quesito: come mai alcuni dei genitori dei personaggi in Naruto non si fanno proprio vedere? Chi sono? Che fine hanno fatto? Ecco quindi una piccola storia sulle mamme ed il loro incommensurabile amore. Spero vi piaccia! ^__^ (Nota: il carattere di Hanabi è improvvisato e dipendente da un'altra mia fanfiction quindi credo sia da considerarsi OOC)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ciao Mamma

Ciao da NaruXHina! Questa fic è un po’ diversa dalle altre perché abbandono i toni comici per passare a qualcosa di più serio e sentimentale.

Questa one-shot è nata da una domanda che si pongono in tanti: “dove sono i genitori dei protagonisti di Naruto”? Non sembrano neppure esistere: possibile che siano tutti i morti? Qualche accennino Kishimoto lo poteva pur dare, no? In ogni caso, questa fic parla appunto di uno dei fantomatici “genitori mai visti”.

Spero che venga almeno decente: è la prima volta che scrivo qualcosa di non esplicitamente comico. Che dire, buona lettura!

 

 

 

La residenza degli Hyuga era enorme. Un grande e spazioso cortile interno, innumerevoli corridori, innumerevoli stanze, addirittura un bel giardino sul retro della magione.

Lo spazio era enorme.

Enorme quanto lo spazio che c’era stato un tempo tra gli abitanti di quella casa e che stava iniziando a dissolversi.

Il gelo e la quiete  avevano sempre fatto da padrone in quella casa. Una casa che nonostante fosse abitata da molti restava silenziosa; in cui regnavano l’ordine e la disciplina, rigorosamente tenuti dal capofamiglia; una casa in cui c’erano un mucchio di regole, e persone che stoicamente obbedivano ad esse.

Una casa i cui abitanti sorridevano raramente.

 

E poi c’era l’eccezione che conferma la regola.

Il sole entra brusco dalla finestra dritto sul suo volto, e ormai sveglia, sbuffando alza la testa dal cuscino mettendosi seduta.

La piccola Hanabi Hyuga, di dieci anni: una Hyuga decisamente fuori dalla norma.

Da chi avesse mai preso se lo chiedevano in parecchi: come poteva un uragano di vitalità, spensieratezza e buon umore come lei vivere in una casa abitata da un capofamiglia severo, un cugino impassibile e glaciale e soprattutto… una sorella come di più diverse da lei non potevano esistere.

Nessuno era disposto a credere che Hinata e Hanabi fossero sorelle: quando glielo dicevano si mettevano a ridere pensando a uno scherzo, e se si provava ad insistere, tutti sgranavano gli occhi tentando di fare un confronto inesistente.

Hanabi non era assimilabile a nessun altro della famiglia: innanzitutto se ne fregava altamente delle regole del clan, apparendo quasi come una pericolosa sovversiva agli occhi del padre.

E poi il suo carattere: infinitamente estroverso, radioso; il suo modo di guardare il mondo in positivo; la sua allegria inattaccabile; il suo essere vispa, acuta e furba fino alla perfidia…

Difatti si chiedeva che avesse mai fatto di male per capitare in una famiglia di musoni, fatalisti, e timidine…

 

Ma c’era un periodo dell’anno, che culminava con un giorno in particolare, in cui la sua anormalità spariva, senza lasciare traccia. Allora era irriconoscibile a chiunque non sapesse il motivo per il quale, tutto a un tratto, la luce nei suoi occhi si spegneva, e, come per una qualche orrenda magia, diventava la persona più triste in quell’enorme casa mezza vuota.

Quel periodo era arrivato, quel giorno era arrivato: in quella mattina in cui il potente sole d’estate l’aveva buttata giù dal letto.

 

Uscì dalla sua stanza. Non si fiondò correndo e ridacchiando in cucina per abbuffarsi con la colazione, come faceva in ogni altro giorno dell’anno; non si stava neppure dirigendo lì. Attraverso sola e pensosa gli ampi spazi vuoti di quella casa enorme e fredda, fino a giungere all’ampio giardino sul retro.

Si perché casa Hyuga ha anche un giardino, in cui però a nessuno piace andare troppo spesso.

Un giardino triste, nonostante innumerevoli fiori fossero lì ad abbellirlo.

E lei, proprio la sorridente Hanabi si trovava in quel giardino triste. In una bella giornata di sole d’estate in cui si sarebbe potuta dare alla pazza gioia la prima cosa che aveva fatto era stata andare nel posto più malinconico della villa.

 

Camminò lì nell’erba a capo chino. Fino a raggiungere l’altarino completamente circondato da aiuole: era quello il suo obiettivo.

 

Si fermò là in piedi. Testa ed occhi inesorabilmente rivolti in basso. Si fece coraggio e diede un occhiata:

tanti fiori, qualche candela, la foto di una donna, un nome.

 

Hisami Hyuga

 

-… Ciao, mamma.-

 

Anche il vento se ne andò, lasciandola sola assieme al altare di sua madre. In tutta la sua casa, la foto commemorativa in quel piccolo loculo era l’unica cosa che fosse in grado di ricordarle che aveva avuto una madre, sebbene non l’avesse mai vista.

 

E non l’aveva mai neppure sfiorata, non l’aveva mai stretta a se, non aveva mai ascoltato la sua voce…

 

In quell’aria senza vento irruppero tanti acuti singhiozzi.

 

-Ciao Hanabi!-

-Hinata!-

 

Non si voltò se non dopo essersi asciugata gli occhi: se la sua sorellona l’avesse scoperta a piangere che ne sarebbe stato della sua immagine di tipa sveglia e allegra? Non poteva assolutamente farsi vedere così.

 

-Anche quest’anno hai fatto prima di me.-

-Tu invece hai fatto prima del solito sorellona, ti sei svegliata prima?-

La maggiore annuì. Si avvicinò, arrivando anche lei di fronte all’altare. Ma lei, Hinata Hyuga, timida, incerta, quasi triste a volte, si accostò all’altare sorridendo raggiante. Anche la sua voce era serena:

-Ciao, mamma!-

 

Era la prima volta che in quel giorno si ritrovavano in quel posto assieme. Di solito Hanabi si svegliava presto per restare là davanti appena qualche attimo, scomparendo poi alla vista di tutti gli altri che venivano uno dopo l’altro davanti all’altare della capofamiglia scomparsa da 10 anni.

 

-Beh, visto che siamo qui tutte e due, possiamo pregare insieme. Alla mamma farà certamente piacere.- disse Hinata.

Sua sorella fece uno sguardo strano, per così dire… spaventato. Come se chissà cosa le avesse appena detto.

-Ehm… veramente. Io dovrei andare.-

Non fece in tempo a girarsi che già la sorella era davanti a lei a sbarrarle la strada –Ma se sei appena arrivata! E poi cos’è tutta questa fretta?-

Una volta tanto era Hanabi a trovarsi in difficoltà davanti a Hinata. Quest’ultima, benché non fosse capace come Neji a leggere i pensieri degli occhi degli altri, ci riuscì alla perfezione quella volta.

-Hanabi, che cos’hai?-

Non la stava neppure guardando. La sua sorellina, che ammirava per essere coraggiosa e spontanea con tutti non riusciva a guardarla negli occhi? Da non credere.

-Ogni volta arriva il giorno della mamma non sei più tu. Avrei dovuto domandartelo molto tempo prima, ma non l’ho mai fatto; ma adesso ti prego, dimmi perché proprio nel giorno in cui salutiamo la mamma ti comporti così!- disse mettendole le mani sulle spalle.

La piccola seguì lo sguardo di Hinata che fissava ora la foto di Hisami.

Una donna dai capelli neri molto lunghi, il viso esile dai tratti gentili, il sorriso timido, ma degli occhi carichi di gioia ed energia.

 

-… È colpa mia…- la sua voce ridotta a un filo.

-Colpa tua cosa?-

Stavolta alzò la voce e la riempì di rabbia contro se stessa –È stata colpa mia! Se ora non c’è più la responsabile sono io!-

Sconvolta dalle sue parole, fu Hinata stavolta a tacere.

-È colpa mia se la mamma è morta.-

 

Hisami Hyuga era morta in quello stesso giorno 10 anni prima: il giorno della nascita di Hanabi.

 

Si può essere felici anche senza festeggiare mai il proprio compleanno, Hanabi ne era la prova. E come poteva? Come poteva festeggiare il giorno in cui venendo al mondo aveva tolto la vita a sua madre?

Non di rado si era sentita un assassina per questo. Ed era per questo che nonostante fosse sempre lì per prima, non avesse mai pregato nemmeno una sola volta.

 

-Hinata… se io non fossi nata… mamma sarebbe ancora qui con te, con papà, sareste ancora tutti insieme...- Era davvero dura cercare di non piangere, anche se ce la stava mettendo tutta.

 

E Hinata la guardava struggersi, addossandosi una colpa che non esisteva, e quel che era peggio era che non sapeva proprio che dirle. Che razza di sorella maggiore era se non sapeva aiutare la sua sorellina quando più aveva bisogno di parole azzeccate.

Cercando ancora le parole, posò di nuovo gli occhi sulla foto.

 

 

-Hinata! Piccola mia, cosa c’è?-

Vedendo sua figlia seduta in lacrime la madre accorse prontamente prendendola in braccio e stringendola a se. Era attratta dal pianto: che si trattasse di Hinata o anche del piccolo Neji o di chiunque altro, Hisami era lì a cercare di fare qualcosa.

 

-Papà… papà ha detto che sono una buonanulla.- la piccola cercava di spiegare la situazione alla madre nonostante i singhiozzi la interrompevano di continuo.

-Ha detto… che sono una delusione e poi,,, mi ha guardato in modo cattivo!... Tutti mi guardano in modo cattivo… tutti dicono che non sono… non sono… papà non mi vuole bene, nessuno mi vuole bene… Solo tu mi vuoi bene mamma!-

E tornò a piangere disperata sulle spalle di Hisami. Non era giusto, pensava, non era giusto che sua figlia, una bambina di appena cinque anni, dovesse sentirsi così disprezzata. Ma ora non era il momento di fare una solenne ramanzina a Hiashi, era il momento di consolare sua figlia.

-Suvvia Hinata, adesso calmati. Ascoltami, non è vero che papà non ti vuole bene.-

-Ma… ma lui…-

-Si, è vero, a volte papà sa essere severo e cattivo; ma lui è il tuo papà, e anche se si comporta male, un papà vuole sempre bene alla sua bimba. Asciugati le lacrime su. Vedrai, un giorno papà capirà che anche se non sei come si aspettava, sei pur sempre una bambina speciale con un sacco di pregi!-

-D-davvero?-

-Certo! Non dire mai che nessuno ti vuole bene, perché intorno a te ci sono molte persone che ti amano: ci sono io, c’è il nonno, c’è Neji, c’è papà… e tra poco ci sarà anche qualcun altro che ti vorrà bene e a cui vorrai bene!-

-d-davvero? E… chi è?-

-La tua sorellina!- e si sfiorò la pancia.

La piccola spalancò gli occhi sorpresa e poi meraviglia divenne tale da farla sorridere. Ancora una volta Hisami le aveva tolto le lacrime dagli occhi. E ancora una volta la mamma gioiva nel vedere il volto della figlia di nuovo illuminato dal sorriso.

 

 

Hinata ricambiò al sorriso che la madre gli stava porgendo attraverso quella foto. Ora sapeva cosa dire alla sorellina.

-Hanabi, non è affatto colpa tua se la mamma è morta: la colpa non è di nessuno. O se proprio vuoi un colpevole… è proprio la mamma!-

Lei la guardò basita, credeva di non aver capito bene.

-È stata la mamma a decidere di lasciarci: papà mi ha detto che poteva decidere di non metterti al mondo… ma lei non ne volle assolutamente sentir parlare.-

Ecco qualcosa che Hiashi non le aveva mai detto.

Hanabi era a bocca aperta –È… È la verità?-

-Ma certo che lo è!-

-Ma… ma perché lo ha fatto se… se sapeva che poteva morire?- fece lei sconvolta.

- Non ci arrivi? Lei ti amava. E per darti la vita ha deciso spontaneamente di rinunciare alla sua.-

Hanabi sentì la sua voce andarsene, ma comunque era troppo assorta nei suoi pensieri per dire qualsiasi cosa.

-Hanabi, non sentirti in colpa per ciò che non hai fatto. Oggi è il tuo compleanno: vorremmo che tu fossi felice… e sono certa che anche lei lo vuole!-

 

Fantastico, pensò Hanabi: aveva fatto tanto per non piangere per il dolore e adesso rischiava seriamente di piangere per la felicità! Ma riuscì ad esorcizzare il pianto in un largo sorriso.

-Dici… dici che la mamma mi vorrà ancora bene… anche se non ho mai pregato per lei.- chiese lei, che in tanti anno era ossessionata dal pensiero che la madre se ne fosse andata odiandola.

Hinata rise –Credo proprio di si!-

Alzò gli occhi al cielo, e Hanabi fece lo stesso.

Sperando che i loro sorrisi la raggiungessero rimasero col naso all’insù per parecchio tempo.

 

Si inginocchiarono una affianco all’altra e pregarono assieme e a lungo.

Quello fu il compleanno più felice che la piccola Hyuga avesse mai avuto, e non era ancora arrivato a metà. Da quel momento si sarebbe finalmente sentita autorizzata a festeggiare i compleanni; e avrebbe pregato molto più spesso per tutti gli anni in cui non lo aveva fatto.

 

Hinata aveva sentito la sua mancanza in ogni momento dalla sua scomparsa. Fu da quel momento, che si mise in testa di essere sola, senza nessuno a cui veramente importasse della sua esistenza. Era stata malissimo, ma se in quegli anni si era sforzata di cambiare se stessa, lo aveva fatto anche per lei. Affinché, guardandola, sua madre potesse essere fiera di lei; pur sapendo che lo sarebbe stata comunque in ogni caso.

Le mancava parecchio, ma sapeva anche che non se n’era realmente mai andata: quindi che motivo c’era di non sorridere ogni volta che andava a salutarla?

 

 

Disgiunsero le mani in preghiera e si rimisero entrambe in piedi.

-Beh, allora ciao mamma!- una volta tanto Hanabi la salutò come si doveva!

Dopo che anche Hinata l’ebbe salutata, le due sorelle Hyuga si avviarono assieme per il giardino, d’un tratto non più inviso ai loro occhi.

 

Nella mente di Hanabi sorse però una domanda: -Hinata? Noi due siamo venute, ma papà? Ora che ci penso, non l’ho mai visto venire qui.-

Hinata scrollò le spalle –Ad essere sincera, nemmeno io l’ho mai visto venire qui a pregare.-

-Ma verrà vero? Lui voleva bene alla mamma?-

-Certo che le voleva bene… anche se non ne dava mai l’impressione, sono certo di si! Forse verrà più tardi.-

 

 

Sul tardi quella stessa mattina, quando tutti erano usciti, ognuno con i suoi impegni, quando quella casa vuota era ancora più vuota del solito, solo allora lui si fece vivo tra quei fiori e quell’erba.

Dopo essersi accertato che non vi fosse più nessuno, nemmeno della servitù, Hiashi Hyuga a passi lenti raggiunse l’altare della moglie.

Hiashi era un uomo forte, autoritario, tutto d’un pezzo, fin troppo orgoglioso per compiere un gesto almeno simile all’inginocchiarsi come stava facendo in quel momento.

 

Accese anche lui una candela, adagiandola lentamente davanti alla quella fotografia che sembrava renderla ancora viva dopo tanto tempo; depose anche lui un fiore per lei.

 

 

-Hi… Hiashi…-

-S-sono qui…-

Quel gelido blocco di marmo che era stava ora tremando vistosamente nell’atto di stringere la mano gelida di sua moglie.

Gli occhi soffrivano come non mai nell’ammirare il suo volto, pallido, in cui si riflettono stanchezza, debolezza, morte.

-Non ci credo… stai piangendo?- rise impercettibilmente, quasi non ne avesse la forza.

Hiashi strinse la mano di lei ancora di più, ma continuò a percepire che Hisami si stava allontanando sempre di più, e che l’avrebbe abbandonato a momenti.

-A-ascolta ti prego, Hiashi… Hinata è molto più in gamba di quanto tu creda, un giorno lo vedrai anche tu: stalle... stalle vicino:… ora che non ci sarò più… si sentirà molto più sola…-

-S-si…-

Lei gemette sofferente, ma c’era altro da dire:

 

-Non… non odiare Hanabi… solo perché ho voluto che nascesse ad ogni costo… Ti prego… ogni volta la guarderai… non guardare anche me che muoio, ti prego!-

-Non… non lo farò!-

-… Hia…-

Non terminò.

 

In quell’unico caso della sua vita, Hiashi si concesse di piangere in pubblico.

 

Ora invece era lì a piangere da solo, come di consueto.

 

-Ciao… amore mio…-

 

 

 

Nessuno può amare più di una madre

 

Dedicato alle mamme, che anche quando non ci sono più, ci sono ancora

 

 

 

Non mi sono mai commosso tanto a scrivere come stavolta finora: sapevo di essere un tipo sensibile, ma non immaginavo sarei arrivato a tanto!

Non so cosa vuol dire perdere una madre, ma nel caso qualche lettore lo sappia, spero che la mia fic non abbia rattristato, ma sia riuscita a dare lo stesso effetto di Hinata con Hanabi.

Beh, spero vi sia piaciuta, anche se era un po’ triste. Ai lettori e ai loro commenti il giudizio.

 

NaruXHina

  
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