Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: viktoris    07/02/2015    0 recensioni
Cullati dal mormorìo del torrente, illuminati a spazzi dalla luce dorata del sole estivo, due bambini si stringono la mano e stipulano un patto di sangue che li vincoli ad amicizia e alleanza eterna. Ma l'eterno non è amico della vita vera, che si riapproprierà di colpo dei finali che le spettano.
che le formiche possano mangiarsi vivo il traditore. Lo giuriamo.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Il freddo dell'estate-
 


La signora Sandra andava molto fiera del suo piccolo giardino, e ne aveva ben donde: era uno dei più curati del quartiere grazie al suo impegno incessante tra le aiuole. Quella mattina di inizio giugno stava inaffiando con delicatezza alcuni fiori che risentivano della siccità, quando vide con la coda dell'occhio un'ombra azzurrina sfrecciare fuori dal giardino di fianco al suo.
«Dove corri, Lesta?» chiamò bonariamente. Una figuretta tutta gambe infagottata in una grossa maglietta azzurra si fermò davanti al cancelletto, sprizzando eccitazione da tutti i porti.
«Vado al Rivo.» replicò, saltellando da un piede all'altro.
«Non dovresti essere a scuola?» chiese la signora Sandra con un sorriso. La ragazzina era la figlia dei suoi vicini, una coppia giovane e piena di problemi, che però non sembravano contagiare affatto l'esuberante Celeste, che animava il quartiere con le sue scorribande in bicicletta. Nessuno ricordava più chi aveva inventato il diminutivo Lesta, ma le calzava così bene che tutti avevano preso a chiamarla così, anche se non era quello il suo nomignolo preferito. L'altro era però riservato a una sola persona.
«La scuola è finita ieri. Oggi è il primo giorno di vacanza!» esclamò Lesta, continuando a saltellare.
«Chissà come sarete contenti tu e Angelo. Divertitevi!» la signora Sandra congedò la bambina, sapendo che non avrebbe retto una lunga conversazione in un momento così importante: tutti sapevano che il primo appuntamento delle vacanze al Rivo era qualcosa di sacro. Celeste salutò la vicina e sfrecciò via di corsa, giù per la stradina con le sue villette a schiera, verso la montagna boscosa che sovrastava la periferia. Quando imboccò il sentiero principale, però, non lo seguì a lungo: dopo cinque minuti di salita saltò tra gli alberi scomparendo alla vista. Il posto dove lei e Angelo si incontravano era una segretissima grotta lungo torrente Rivo, nascosta alla vista dalle robinie. Da lì organizzavano spedizioni avventurose per il bosco, lungo il torrente e in giro per il quartiere: non c'era angolo che non conoscessero come casa propria. Arrivavano alla fine delle vacanze coperti di graffi e di terra, ma felici come non mai, vivi, scattanti come caprioli. Mentre si districava tra i rami contorti, Celeste ripensò a quando, più di un anno prima, avevano fondato la loro alleanza.

 

Il profumo della primavera si mischiava a quello della neve ritardataria, ammassata negli angoli ombrosi. La Pasqua cadeva presto quell'anno, e così anche le vacanze. Celeste si addentrò nel bosco, curiosa, seguendo uno scoiattolo che saltava tra i rami. Ad un tratto le giunse il mormorio dell'acqua corrente, che la attirò come una fiamma fa con la falena. Non temeva di perdersi, per ritrovare il paese bastava andare sempre in basso, glielo diceva sempre suo papà. Dopo pochi minuti di strada incontrò il torrente che l'aveva attirata e cominciò a risalirlo scalza: si sentiva più salda a piedi nudi, anche se l'acqua era veramente gelida. Dopo una piccola ansa notò la grotta: nascosta tra le robinie, lambita dal torrentello, era un rifugio veramente perfetto. Appena entrò, però, si accorse che era già occupata: un bambino all'incirca della sua età era seduto su un masso vicino all'ingresso e sfrondava maldestramente un ramo, probabilmente per farne un'arma.
«Ciao.» disse Celeste guardinga e irritata dalla presenza di un occupante. «Come ti chiami?»
Il ragazzino le lanciò un'occhiata di superiorità e sbuffò. «Mi chiamo Gelo.»
Celeste assunse un cipiglio da saputella. «Gelo non è un nome, stupido. Questa grotta è tua?»
Gelo roteò gli occhi e si alzò in piedi per fronteggiarla, sentendo odore di scontro. «Stupida sarai tu. Mi chiamo Angelo, ma Gelo è il mio nome di battaglia. Questa è la mia grotta.»
«Io sono Celeste. Facciamo un patto?» gli propose, ispirata dalla vista dei molti rami e rametti sfrondati alla meglio che giacevano a terra. Angelo la guardò con diffidenza.
«Dipende. Cosa mi offri?»
Lesta si frugò nelle tasche dei pantaloni da montagna ed estrasse un bellissimo coltellino svizzero lucente. Glielo aveva regalato suo padre per il compleanno, quando ancora aveva un lavoro e la birra la beveva solo al sabato sera guardando la partita.
«Se diventiamo alleati posso aiutarti con questo.»
Inizialmente Angelo era riluttante a fare un'alleanza avventurosa con una femmina, ma dopo pochi giorni si era dovuto ricredere. Celeste, oltre ad avere un coltello, era bravissima a scalare gli alberi e aveva tantissimi libri sulla natura e sugli avventurieri che portava nel loro rifugio per leggerli insieme a lui. L'unica cosa che proprio non gli andava giù era il suo nome.
«Celeste non è un nome da esploratore.» diceva sempre storcendo il naso. Ma non riuscva a trovare una soluzione che piacesse a entrambi, almeno fino alla fine delle vacanze di Pasqua.
Erano in esplorazione lungo il Rivo: le scarpe li aspettavano alla grotta, i pantaloni erano arrotolati fino al ginocchio e nonostante ciò zuppi.
«Gelo.» chiamò sottovoce la bambina, intenzionata a indicargli uno scoiattolo grigio vicinissimo.
«Ma certo!» esclamò ad alta voce Angelo.
«Oh no, Gelo! L'hai spaventato ed è scappato!» lo rimproverò contrariata Celeste tirandogli un scappellotto, che lui ignorò stoicamente, esponendo il suo colpo di genio: «Ho avuto un'idea. Io sono Gelo e quindi tu sarai Neve! Saremo l'alleanza dell'Inverno.»
Celeste si grattò il mento, pensosa.
«Neve. Mi piace. Dovremmo surgelare il patto definitivamente.»
«Si dice suggellare, stupida.» Angelo roteò gli occhi, come faceva sempre quando voleva fare il saccente. Lesta aveva tanti libri, ma era lui a ricordarseli meglio.
Incassò senza fiatare un altro scappellotto. Gli faceva ancora male il braccio per quella volta in cui aveva ricambiato la botta e se le erano date di santa ragione, non voleva ripetere l'esperienza tanto presto.
«Facciamo un patto di sangue.» propose Lesta, ispirata, una volta che furono rientrati al loro quartier generale. L'idea piacque immensamente ad entrambi.
Avevano preparato tutto nei minimi dettagli: insieme avevano stabilito il rituale, Angelo aveva preparato il giuramento da imparare a memoria, Celeste aveva pulito per bene la lama del coltellino. Si erano accordati per celebrare il patto di sangue durante il primo weekend dopo la fine delle vacanze di Pasqua, perchè frequentavano due scuole diverse e il loro orario in settimana non coincideva. Dopo pranzo, quel sabato pomeriggio, avevano raggiunto trepidanti la grotta e, in piedi davanti all'ingresso, si erano incisi con una smorfia il palmo della mano destra e si erano presi per mano.

«Davanti al sacro torrente, all'ombra del bosco, noi stritoliamo oggi un'alleanza: l'alleanza dell'Inverno. Affronteremo con coraggio i nemici, conquisteremo senza paura la montagna e ci aiuteremo nel pericolo. Da oggi fino alla fine dei nostri giorni, le stelle sono testimoni, orroriamo questo patto di sangue. Che le formiche possano mangiarsi vivo il traditore. Lo giuriamo.»

Il giuramento non era proprio perfetto, ma a Celeste sembrò meraviglioso, anche se non ne aveva capito metà delle parole. Di imperfetta c'era stata sicuramente l'igiene della lama: era venuta a entrambi un'infezione ela cicatrice sulla mano era rimasta ben visibile, sfoggiata da entrambi con orgoglio infantile.
Da quel giorno erano diventati inseparabili, e ogni primo giorno di vacanza, in qualsiasi periodo dell'anno, fosse anche pieno inverno, compivano una spedizione "commemorativa" lungo il Rivo, come una specie di festa nazionale.

 

«Sei in ritardo, Neve.» la rimproverò Angelo quando la vide entrare scostando le robinie.
«Solo di un minuto. Ho salutato la signora Sandra.» replicò Celeste succhiandosi un dito che si era punta sulla "porta". Tirò giù lo zainetto dalle spalle e lo aprì, sapendo che il suo contenuto avrebbe steso un velo sul suo ritardo: una grossa fetta di torta al cioccolato avvolta nel cellophane, due panini al salame e due succhi di frutta. Ad Angelo si illuminarono gli occhi di fronte alle loro provviste.
«Partiamo?»
«Partiamo.»
Se il bosco che tanto amavano avesse avuto degli occhi avrebbe potuto constatare quanto erano cambiati i due ragazzini dal loro primo incontro: non più due discoli di quarta elementare, bensì due spilungoni tutt'ossa, pronti pronti per essere infornati alla scuola media. Ecco, a rendera ancora più magica quell'estate sarebbe stata senza dubbio la totale assenza di compiti delle vacanze. Avevano tutta l'intenzione di stare in casa il meno possibile e ubriacarsi di sole e aria pura, prima di iniziare un nuovo capitolo della loro carriera scolastica.
«Come va a casa?» chiese Angelo dopo qualche minuto di chiacchiere a proposito dei loro progetti di avventura. Celeste arricciò il naso, contrariata: non le piaceva parlare di quello.
«Tutto bene.» mentì spudoratamente. Di solito era un sollievo parlare con Angelo di quello che succedeva a casa sua, anche perchè le spiegava il significato di un sacco di parole che usavano i suoi genitori e che lei non conosceva, ma la spedizione del primo giorno di vacanza non poteva essere rovinata da pensieri e racconti tristi. L'amico decise di ignorare la sua bugia e cambiò in fretta argomento, raccontandole dell'ultimo scherzo ai danni di suo fratello Giuseppe.
Quando raggiunsero la parete di roccia da cui il Rivo si buttava giù a cascata era quasi ora di pranzo. Angelo tirò fuori dal proprio zainetto la coperta di plaid che sua madre insisteva per fargli portare alle spedizioni, anche se secondo lui gli esploratori non la usavano, e la stese in un angolino tranquillo, libero dai rovi e dalle felci. Grandi alberi li riparavano dal sole a picco mentre mangiavano il loro pranzo al sacco, allegri e piacevolmente stanchi. Una volta sparita anche l'ultima briciola di torta si sedettero comodamente una di fronte all'altro per giocare a carte.
«Lesta.» esclamò ad un tratto Angelo, risvegliando l'attenzione della ragazzina. La chiamava così solo quando doveva dirle qualcosa di veramente importante, come per segnalarle che non stavano giocando.
Quei pensieri, in particolare, gli ronzavano in testa da qualche settimana, per la precisione da quando la sua Neve gli aveva raccontato nel dettaglio e con grande entusiasmo la festa di compleanno della sua cara amica Gloria. Cara amica. Non riusciva a definire quel saporaccio amaro che gli saliva in bocca quando ci ripensava, né quella stretta allo stomaco, ma sapeva che non volevano dire niente di buono.
«Noi siamo alleati esploratori.» esordì, incerto. Sembrava non saper come fare per proseguire. Alzò gli occhi dal disegno del plaid e incontrò quelli scuri e attenti di Lesta, che lo invitavano a continuare. «Mentre Gloria è tua amica» continuò esitante. Lui che aveva sempre le parole per (quasi) tutto faticava a trovare quelle giuste per mantenere integra la sua dignità in costruzione e non sembrare un pappamolle. Insomma, aveva quasi undici anni, praticamente un uomo: e gli uomini sono dei duri.
«E tu le vuoi bene.» concluse, sperando disperatamente che Lesta capisse e non lo costringesse a trovare altre parole. Fu ricompensato dal sorriso luminoso, screziato di raggi di sole, che gli regalò la ragazzina.
«Anche tu sei mio amico, Ange.» usò anche lei il nome dei momenti seri, per infondergli sicurezza. «Ma Gloria è una femmina, e andiamo in classe insieme, è una cosa diversa. Però sei tu il mio migliore amico.»
Angelo le sorrise di rimando, sollevato.
«Ti voglio bene, Neve» dichiarò timidamente.
«Anche io, Gelo.»

Così trascorsero le prime settimane dell'estate, tra scorribande in bicicletta, nuotate nel fiume in cui confluiva il Rivo, passeggiate nei boschi a riconoscere gli alberi e gli uccelli. Sembrava in assoluto l'estate più bella che ci fosse mai stata: quando pioveva Celeste andava a casa di Angelo, ai margini della periferia, e giocavano alla PlayStation "come i bambini normali", diceva scherzosamente la mamma del ragazzino. La signora Nina era dolce, morbida, con i capelli grigio ferro sempre intrecciati ordinatamente, molto più anziana della madre di Lesta.
A volte Giuseppe, il fratello più grande di Angelo, se era di buon umore, raccontava loro dell'università e della vita in città, altre volte guardavano un film tutti insieme.
A casa di Celeste invece non andavano quasi mai, e lei continuava a praticare la politica del silenzio, perchè erano delle vacanze troppo belle per metterci in mezzo i suoi genitori. Quando era costretta a tornare a casa si chiudeva in camera sua e, se iniziavano le urla, si nascondeva sotto il lenzuolo e si premeva il cuscino sulle orecchie, nonostante il caldo tremendo. La dinamica era sempre la stessa: alle dieci di sera, a volte anche più tardi, sua madre rientrava distrutta dal lavoro al ristorante e trovava papà sdraiato sul divano a fissare il televisore, lo sguardo vuoto. Il più delle volte era ubriaco, Lesta trovava le bottiglie nascoste in giardino e provvedeva a farle sparire nei cassonetti in fondo alla strada. Aveva cominciato a bere quando ancora lavorava, un anno prima, anche se Celeste non aveva capito bene cosa stesse succedendo e aveva dovuto farsi spiegare da Angelo che cosa volesse dire esattamente “alcolizzato di merda”. Quando era stato licenziato per ubriachezza in servizio non si era più ripreso del tutto, alternava giornate buone, in cui si sbarbava, si vestiva bene e usciva a cercare lavoro, a intere settimane di depressione, apatia e alcolici che si procurava solo Dio sa come.
Lesta non lo sapeva di certo, stava solo bene attenta a tenersi alla larga da papà in quei periodi perchè lui a volte gliele dava di santa ragione senza motivo, salvo poi piangere come un bambino disperato quando se ne rendeva conto. Questo però la mamma non lo sapeva, e del resto Celeste era sempre così piena di lividi per via delle “esplorazioni” che uno o due in più non si notavano molto, e la mamma aveva già abbastanza a cui pensare, con tutti i conti da far quadrare e i doppi turni al lavoro.
Quella sera stavano litigando già da un po', perchè a quando pare quel “fallito nullafacente” di suo padre aveva chiesto alla “stronza insensibile” di fare qualcosa che a lei proprio non andava giù, anche se Celeste non aveva capito benissimo che cosa (“fesso”? Gli aveva chiesto di fare fesso qualcuno forse?). Almeno papà era abbastanza lucido da interagire.
Un sassolino colpì la sua finestra, accompagnato da un'approssimativa imitazione del verso del gufo che le strappò un sorriso. Corse alla finestra e l'aprì: Angelo le sorrideva dal vialetto, agitando una torcia elettrica.
«Stasera ci sono le stelle cadenti!» bisbigliò eccitato, «Vieni?»
«Io mi spacco le schiena tutto il giorno mentre tu non alzi il culo neanche per preparare da mangiare a tua figlia! Io me ne vado! Me ne vado! Me ne vado!» un suono di porte sbattute ripetutamente con forza folle scandì la frase. Celeste si affrettò a calarsi dalla finestra per non sentire altro: una bella fortuna avere la cameretta al pianterreno.
«Tutto bene?» chiese scioccamente Angelo.
«Non preoccuparti, fanno così sempre. Papà ne uscirà, un giorno.» dichiarò, più per convincere sé stessa che l'amico. «Seguimi, conosco un posto perfetto per osservare il cielo.»
Raggiunsero in pochi minuti uno spiazzo erboso vicino al punto in cui il Rivo confluiva nel fiume, fuori dal bosco ma abbastanza lontano dal paese per non essere disturbati dalle luci artificiali.
«Cioccolato?» Angelo le offrì una barretta di fondente che Celeste accettò con gratitudine, prima di sdraiarsi sull'onnipresente plaid a quadretti. Dopo pochi minuti avevano già avvistato tre stelle cadenti, anche se una di queste secondo Lesta era solo una lucciola che Angelo aveva visto con la coda dell'occhio.
«Tu ci sarai sempre, Ange?» esordì ad un tratto Celeste, di punto in bianco. Il ragazzino voltò la testa verso di lei, anche se era buio e non la vedeva chiaramente. Il suo tono di voce però gli diceva molto più di quanto gli avrebbe detto il suo viso, e seppe che la cosa giusta era rispondere con sicurezza, senza esitare, perchè quello che le serviva era avere una certezza a cui aggrapparsi mentre cresceva nella burrasca.
«Ma certo. Patto di sangue, le formiche mangiano vivo il traditore, siamo più che parenti ora. E poi sei la mia migliore amica.»
Celeste cercò a tentoni la sua mano e la strinse per un attimo, facendolo arrossire, anche se lei non poteva vederlo.
«Guarda, un'altra.» indicò rapida per dissipare l'imbarazzo.
Vorrei che i miei genitori rimanessero insieme, espresse tra sé.

Tre anni dopo

Celeste non potè fare a meno di ricordare ironicamente quella notte di San Lorenzo mentre chiudeva la valigia e controllava le borse dei libri. L'estate stava per finire, in tutti i sensi: non ce ne sarebbero state altre come un tempo. Ma non aveva ancora detto ad Angelo che sua madre aveva chiesto il divorzio e la stava per portare via con sé, per tornare nel paese dove era nata e dove vivevano ancora i suoi genitori a rifarsi una vita.
Erano state di nuovo delle vacanze speciali, come quelle degli undici anni: niente compiti, nuova scuola all'orizzonte, giornate meravigliose. E Lesta proprio non ce l'aveva fatta a incrinare quell'equilibrio, quella perfezione, con una notizia del genere. Non riusciva a dire a Gelo che non avrebbe più avuto la Neve.
Ma ormai era arrivato il momento. Con un sospiro prese il cellulare e inviò un sms ad Angelo.
“Rivo tra dieci minuti?”
La risposta non tardò ad arrivare.
“Punizione. Ho fatto uno scherzo alla zia Gilda.”
“È importante. Per favore.”
L'attesa sembrava strangolarla. Non poteva andarsene senza avergli spiegato, senza averlo salutato. Di colpo si pentì di avergli tenuto nascosta la notizia per un mese: come poteva, come, porre fine a un'amicizia che durava da più di cinque anni in un solo pomeriggio? Non era solo un'amicizia: Angelo aveva permeato ogni attimo della sua vita da quando avevano fatto quello stupido patto di sangue, era un'altra parte di lei, era un pezzo di lei. E proprio ora che stavano crescendo, che forse stavano per scoprirsi a vicenda in modo diverso, che forse stavano per...per...non sapeva nemmeno lei cosa, ma quei pensieri le erano insopportabili.
“Quindici minuti. Scappo dalla finestra. A tra poco!”
Lesse il messaggio con un sospiro di momentaneo sollievo, Angelo non la deludeva mai, e uscì di corsa. Non poteva più rimandare.
«Ciao, Neve.» la salutò allegramente Angelo con uno dei suoi sorrisi larghi e sghembi. Lesta lo guardò con tenerezza: l'adolescenza era stata impietosa con lui, massacrandolo con l'acne e facendolo crescere un pezzo alla volta, rendendolo impacciato e sproporzionato. Eppure lei, che lo conosceva da tanto tempo, intuiva nonostante il guscio della pubertà che sarebbe diventato un bel ragazzo, e ne era segretamente orgogliosa e forse un po' gelosa. Forse.
«C'è una cosa che devo dirti.» esordì subito Celeste per vincere la paura. Via il dente, via il dolore.
«Anche io.» replicò sorprendentemente Angelo, arrossendo violentemente sul collo. Lesta lo guardò interdetta, spiazzata dalla sua risposta, ma non lo lasciò continuare per timore che quel poco di coraggio che aveva le scivolasse tra le dita. Prese un grosso respiro e sputò fuori tutta la verità.
«Domani vado via. Mio padre ha perso di nuovo il lavoro e beve sempre e una sera ha preso a botte anche mia madre e lei non è mica una che ha paura e per poco non lo denunciava ma alla fine ha chiesto il divorzio e insomma torniamo dai miei nonni in Veneto.»
Inspirò profondamente per calmarsi. Aveva pensato mille volte a come dirlo, a cosa dirgli, aveva addirittura fatto delle prove davanti allo specchio senza sapere che una volta sua madre l'aveva sentita parlare in bagno e l'aveva ascoltata piangendo sommessamente; ma niente avrebbe potuto prepararla all'espressione che aveva Angelo in quel momento, mentre assimilava quello che gli aveva detto. Come se il mondo fosse crollato su sé stesso.
«Ma non puoi.» le rispose stupidamente con voce atona, «Noi... noi abbiamo fatto un patto di sangue! Non puoi andare via!»
«Avevamo nove o dieci anni, Ange...»
«Non chiamarmi Ange!» scattò il ragazzo, furioso. «Non chiamarmi così! Sono Gelo, e tu sei Neve! Siamo l'alleanza dell'Inverno, non puoi, non puoi, non puoi...»
Di colpo la prese con forza per le spalle e premette maldestramente le sue labbra contro quelle di Lesta, e lei pensò che erano labbra calde, rese pungenti da quei baffetti ridicoli che Angelo non si voleva tagliare.
Celeste non aveva mai avuto un ragazzo alle medie, a differenza delle sue amiche, e a volte si era chiesta se non era per caso una sfigata pazzesca. Ora però, con Angelo che la baciava disperatamente, le sembrava di avere
sempre avuto un ragazzo e non averlo mai saputo, e questa consapevolezza non faceva altro che rendere più doloroso l'inevitabile.
«Tu mi piaci, Lesta. Era quello che volevo dirti prima.» balbettò Angelo staccandosi da lei. «Non puoi andare via. Perchè non puoi restare a vivere con tuo padre?»
«Non fare lo stupido. Mio padre è alcolizzato, probabilmente entrerà in una clinica dopo che ce ne saremo andate, non ha un lavoro. E poi non vuole.» aggiunse a bassa voce, tenendo gli occhi lucidi inchiodati a terra.
«Come sarebbe a dire che non vuole?» le chiese Angelo interdetto.
«L'ho sentito che lo diceva a mia madre, lei ci ha provato a dirgli che, se si fosse rimesso veramente a posto, avrei potuto stare con lui per non perdere i miei amici, perchè sono in un'età difficile e tutto il resto. Non è male, mia madre, ci pensa a me anche se è piena di problemi. Ma lui non vuole, le ha detto che non è capace, che è stato uno sbaglio e non dovevano sposarsi solo perchè lei era incinta...» la voce le morì in gola mentre ripensava a quella conversazione ascoltata per caso, un giorno in cui i suoi genitori pensavano che lei fosse fuori con Angelo. Dopo quell'episodio aveva desiderato così tanto poterne parlare con lui, sentirsi dire qualche banalità rassicurante delle sue, come...
«Ma non lo pensava davvero, sarà stato ubriaco ancora.»
Gli sorrise debolmente, con gratitudine. Non la deludeva mai.
«Tornerò a Natale, comunque. Almeno qualche giorno. Anche se mio padre sarà ancora in clinica, la signora Sandra ha detto che mi invita ufficialmente a casa sua.»
«D'estate verrai a stare da me.» stabilì con forza Angelo, aggrappandosi a quelle tenui speranze. Lo sapeva che erano solo dei ripieghi, e che niente sarebbe più stato come prima. «Giuseppe va via di casa, forse si sposa, dovrai venire al suo matrimonio, e tu puoi stare in camera sua.»
Si sedettero per terra, Angelo passò un braccio intorno alle spalle di Celeste e la strinse. Rimasero così fino al tramonto, a baciarsi con sempre meno timidezza, a parlare con non avevano mai fatto, a dirsi tutto quello che non si erano mai detti, per combattere con torrenti di parole quell'impotenza strisciante dell'adolescenza.
Ma era inutile: niente sarebbe mai più stato come prima. Ci sarebbero volute settimane, mesi, per rendersene conto e accettarlo. Erano ancora storditi dallo shock, il dolore vero sarebbe arrivato più tardi.
«Domani mattina partiamo alle nove.» era diventato buio e le brontolava la pancia, non poteva più rimandare il ritorno a casa.
«Verrò a salutarti.»
Celeste si alzò da terra e ti stiracchiò, indolenzita.
«Andiamo?»
«Rimango un po' qui. Ci vediamo domani mattina, promesso.»
Non c'erano più parole. L'estate era finita, l'Inverno anche.

Niente è più triste e spoglio del Gelo senza la Neve. 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: viktoris