Fanfic su artisti musicali > McFly
Segui la storia  |       
Autore: RubyChubb    01/12/2008    9 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
All the world is all I am, the black of the blackest ocean, and the tear in your hand...
You don't know the power that you have with that tear in your hand...
 
 
 
Dougie teneva gli occhi fissi sul suo bicchiere di latte, le dita intorno al vetro freddo. Si era pentito subito di quello sfogo accidentale, di quel flusso irresistibile di parole uscito senza permesso dalla sua bocca. Non cercava di giustificarsi con il dire che era stata lei a spingerlo, a farlo arrabbiare. Si alzò ed andò da lei, che gli dava le spalle, china sul lavello.
“Jonny, non volevo... Davvero.”, piagnucolò, mentre lei era intenta a sciacquare la sua tazza, “Non lo penso davvero, ero solo arrabbiato per tutto.”
“Lascia stare.”, gli disse lei, insaponando con furia.
“E invece no.”, protestò lui, chiudendo il rubinetto dell’acqua e costringendola a fermarsi, ma non a guardarlo, “So che vorresti che me ne andassi adesso, che lasciassi questa casa senza dire una sola parola...”
“Perché non lo fai?”
Forse non aveva davvero più senso provare ad aiutarla, quando era palesemente chiaro che Jonny non avesse affatto bisogno di lui.
“Non l’ho ancora fatto perché pensavo che avessi voluto qualcuno con cui parlare a ruota libera, senza dover partire per forza dall’inizio.”, le fece, le sue parole perse in un sospiro.
“Che senso ha parlarne ancora con te”, gli disse Jonny, “quando so che te ne andrai di nuovo e mi volteraile spalle?”
“Chi ti assicura che succederà ancora!”, esclamò lui, ormai stufo di essere ancora preso per un coglione immaturo, “Chi te lo ha detto!”
“Lo so e basta.”, disse Jonny, tornando sulle sue stoviglie, “Non ho bisogno di parlare e tutto quello che avevo da dire, l’ho detto.”
“E ti senti meglio per questo?”, le domandò, sfidandola.
Lei non gli rispose. Aprì il rubinetto e tornò a lavare.
“Prenderò questo silenzio per un no, altrimenti ti saresti voltata e mi avr-...”
“No che non sto bene, cretino!”, gli ringhiò contro Jonny, togliendo le mani dall’acqua insaponata e voltandosi verso di lui, “Come vuoi che mi senta, eh? Pensi che in questo momento stia godendo della morte di mio padre, o dell'aver scandalizzato i benpensanti che stavano in chiesa? Lo pensi davvero?”, continuò ancora, “Pensi che sia contenta nel capire di aver speso tutta la mia vita nel correre via da un incubo, spaventata a morte nel trovarmi di nuovo di fronte qualcuno che potesse essere come mio padre?Pensi che non provi un briciolo di odio verso me stessa?”
Dougie si era sciolto in polvere.
“Sono stata troppo impegnata a scappare da lui per crearmi una vita mia, di cui lui non ne facesse parte di cui lui fosse estraneo. Pensavo di averla trovata ma era solo una finzione, una bugia che raccontavo a me stessa. Ogni piccolo istante della mia vita lui era lì, a demonizzarmi...”, gli diceva, le sue mani che sottolineavano ogni sua parola.
Vide la prima lacrima scendere dai suoi occhi e segnarle con un rivolo lucido le guance rosse. Dougie non aveva il coraggio di chiudere gli occhi, pensando che un solo suo cenno potesse interromperla.
“Ed anche ora che non c’è più... Lui continuerà ad esserci. E’ un paradosso, ma so che accadrà proprio questo, so che non lo lascerò mai alle spalle perché sono io ad essere sbagliata, sono io quella che sbaglia.”, diceva, accusandosi con un dito rivolto verso di sé, che puntava sul suo petto, sulla sua cicatrice, “Io non cambierò mai, lui sarà sempre con me e io non lo voglio questo, non lo voglio!”
Si fermò, gli occhi si persero.
“Sei contento adesso?”, gli disse, scoppiando a piangere, “Ho parlato senza dover partire dall’inizio, proprio come volevi tu... E non sto affatto meglio!”
Da quando l’aveva conosciuta, Dougie si era pentito di tante cose dette e fatte, ma non avrebbe mai messo in dubbio quella: averla fatta gridare, sfogare e piangere era l’unica cosa su cui non sarebbe mai tornato a pensare.
“E adesso cosa fai?”, tornò all’attacco Joanna, “Te ne stai impalato come uno spaventapasseri, senza dire niente! Come al tuo solito, non sai altro che fare cazzate e non sei capace di mettere le cose a posto!”
No, non se lo sarebbe fatto dire un’altra volta. Le si avvicinò e la abbracciò, appoggiando il mento sulla sua testolina bionda e arrabbiata. Jonny non si oppose, scoppiò in singhiozzi e pianse contro il suo petto. Dougie afferrava sempre di più tutto il silenzio in cui lei era caduta. Si era chiusa in se stessa perché in un solo attimo aveva capito tutte quelle cose, tutti quegli errori che aveva commesso, e non aveva la più pallida idea di come raccogliere i pezzi della sua vita e rimetterli insieme.
Senza che se lo aspettasse, le braccia di Jonny si chiusero intorno a lui. Non aveva voluto che lo ricambiasse, quello di cui aveva avuto bisogno era che lei si convincesse di lui, che tornasse a fidarsi di lui. Perché lui era lì.
“Vuoi che ti accompagni in camera tua?”, le chiese, con un filo di voce, così da non disturbarla.
“No... Lascia stare.”, disse lei, allontanandosi ed asciugandosi le lacrime, “Vado da sola.”
“Beh... Devo andare nella mia stanza, è vicino alla tua, non pensare che ti stia seguendo.”, le disse, non resistendo alla voglia di sdrammatizzare, quella maledetta voglia.
Lei rimase qualche secondo a fissarlo, incerta. Poi scosse la testa e si voltò, ma Dougie fu sicuro che per una frazione di secondo, un brevissimo attimo, sulla faccia di Jonny fosse apparso un piccolissimo sorriso.
 
 
Si sedette sul davanzale della finestra di camera sua, dove spesso si era trovata a passare ore intere immersa nei suoi pensieri. Si portò le gambe al petto e le abbracciò, trovando conforto nel suo stesso calore. Guardò fuori.
Il cielo era macchiato di grandi nuvole di un grigio intenso, solo qualche sprazzo di celeste spuntava qua e là. Nonostante tutto poteva vedere la città stendersi davanti a lei, nella pianura più in basso, riscaldata da timidi raggi di sole, i pochi che riuscivano a filtrare attraverso quella spessa coperta plumbea. Era in arrivo un temporale estivo, lo si poteva capire anche dalla freschezza dell’aria e dal costante odore di acqua che si portava con sé. Gli alberi stavano già muovendosi sotto le onde del primo vento, prima o poi sarebbe scappato un tuono, o forse solo un lampo lontano, e la pioggia battente sarebbe arrivata.
Una giornata perfetta per piovere, si disse. Sentiva una grande stanchezza, una pesantezza dell’anima che non aveva provato così frequentemente. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, battere tre volte i tacchi delle sue scarpe di rubino e trovarsi in un qualsiasi posto dove la vita, i problemi ed i fantasmi non esistevano, dove c’era solo lei, se stessa e qualche buffa conchiglia rotta, che avrebbe indossato come una collana, ma era impossibile. Lei non era Dorothy e non viveva nel Kansas, e sebbene il tempo là fuori stesse peggiorando con costanza, non c’era nessuna tromba d’aria in arrivo, la sua casa non stava per essere inghiottita dal ciclone per essere depositata nel paese dei Mastichini, una regione del lontano regno di Oz.  Lei era semplicemente Joanna Bellini.
Ed aveva versato di nuovo la sua vita nelle mani di Dougie.
Non contenta di essere stata ingannata già una volta, aveva affidato il suo tormento a lui, come se potesse capirla o farle del  bene, mentre chi si meritava davvero di sapere tutto –tutto- non conosceva nemmeno una minima parte della storia. Si sentiva una caricatura di se stessa, una stupida, una masochista. Con una rabbia crescente, prese il telefono e compose il numero di Danny, sperando che lui le rispondesse.
Little!”, esclamò lui, dopo qualche squillo, “Sei già sveglia?
“Sì...”, gli disse, sentendo la sua stessa voce tremendamente nasale e rotta.
Anche lui se ne accorse.
Little, stai piangendo?”, le chiese, con aria preoccupata.
“No, ho solo un terribile raffreddore.”, cercò di mascherarsi, ma senza alcun effetto.
Lo sento che stai piangendo...”, le disse lui, “E mi dispiace non essere lì con te.
“Ma no, stai tranquillo... Non è colpa tua.”
Sì che lo è... Ma Dougie? Cosa sta facendo?”, le domandò.
“Penso sia nella sua stanza. Non so.”
Ok...”, disse Danny, sospirando, “Cosa ti passa per la testa, Little?
Ecco, l’aveva chiamato apposta perché Danny doveva sapere.
Doveva sapere.
“Niente, volevo solo sentirti.”, gli disse, mordendosi il labbro inferiore.
Non hai niente da dirmi?
“Beh...”
Certo che ne aveva di cose da dirgli. Ne aveva un mucchio, tantissime, una valanga intera di confessioni... Ma sentiva il respiro bloccarsi in bocca, le parole svanire nel nulla, risucchiare da un buco nero che si faceva sempre più grande nel suo cuore.
“No, niente in particolare.”, gli disse.
Sentì un’altra lacrima scendere. Danny, al di là, sospirò.
Little... Io voglio che tu sappia, che tu capisca che puoi dirmi tutto. Qualsiasi cosa, anche la più stupida, la più idiota.”, le disse Danny, “Anche quella che pensi che non abbia la minima importanza...
“Lo so, Dan...”
La sua voce sembrava quasi un lamento.
Little, io non so niente di te.”, le fece, “Io non so cosa hai dentro. Non me ne hai mai parlato.
Come aveva potuto riassumere la sua vita... In una mail, in una telefonata?
Non ti ho fatta venire quassù solo perché volevo vederti... Ma anche perché volevo parlarti, volevo conoscere anche la Little Joanna che nessuno ha mai visto... E che non ho mai letto nelle mail che ci siamo scritti.
Avrebbe voluto urlare, gridare, riversare fuori tutta la rabbia che aveva dentro, tutto il rancore, il risentimento... Voleva che tutti i sentimenti che lui doveva –che lui voleva- tanto conoscere uscissero fuori come l’acqua alla sorgente di un fiume, limpidi e cristallini, pronti per essere raccolti.
Non ci riusciva.
Aveva costruito intorno a sé una fortezza, fatta di mura spesse e solide, dentro la quale aveva vissuto tranquillamente senza sentire il bisogno di uscire fuori, dove il mondo era crudele con lei. Adesso, invece, si sentiva imprigionata, soffocava dalle barriere che lei stessa aveva eretto a sua protezione. Voleva valicare quelle mura ma non ne era più capace. Aveva perso di vista la fune che le permetteva di far abbassare quell’immenso ponte levatoio che bloccava l’accesso alla sua vita.
Ho sempre sperato che un giorno lo avresti fatto, che ti saresti confidata con me. Forse ancora non è successo perché... Forse perché sono un ragazzo, e tu vorresti avere un’amica, non un amico...”, disse lui, “O forse semplicemente perché siamo lontani...
Da qualche parte in lei c’era la forza che le serviva per sfogarsi. C’era, lo sapeva! Lo aveva fatto già con Dougie, perché non con lui? Perché non con Danny, con il suo migliore amico... Con l’unico ragazzo per cui provava qualcosa?
Perché Dougie aveva assistito per ben due volte alla rivelazione di quello che aveva nel cuore, mentre Danny non aveva avuto niente di tutto questo?
Little... Non lo so, però se continuiamo così....
Non se la sentì di rispondergli. Chiuse la chiamata e spense il telefono, pregando che lui la lasciasse in pace.
Rimase sul davanzale a guardare le prime gocce di pioggia macchiare il vetro della finestra. In lontananza, verso le montagne, il cielo veniva illuminato da qualche lampo improvviso.
 
 
Quando sentì il primo rumore erano le sei e mezza passate di un pomeriggio vuoto, privo di tutto, di suoni, di sensazioni, di pensieri. Per la maggior parte della giornata se n’era stato con i nervi a fior di pelle, teso, pronto a scattare nel caso in cui Jonny avesse avuto bisogno di lui.
Più volte si era avvicinato alla porta di camera sua, vi aveva accostato l’orecchio per sentire cosa facesse, ed aveva solo sentito musica a basso volume. Aveva quasi pensato di chiamare Arianna, di farla tornare a casa perché la preoccupazione crescente gli stava facendo pensare le cose più assurde, ma si era imposto di calmarsi, di respirare e di ragionare. Jonny stava bene, o meglio, non stava facendo niente di allarmante. Se ne stava certamente sul suo letto, magari a leggere, a guardare un po’ di tv...
Così, era sempre tornato a chiudersi nella propria stanza. Aveva dormito un po’, ascoltato qualche canzone con l’i-pod, guardato fuori dalla finestra. Insomma, aveva passato una giornata interamente vuota, bianca come una pagina di un blocco note ancora da scrivere. Quando aveva sentito quel rumore, che tanto somigliava allo scricchiolio di una porta, era uscito fuori dalla stanza, sperando di trovare Jonny in piedi.
Invece c’era solo Arianna.
“Ciao, Dougie.”, gli disse lei, sottovoce, “Jo sta dormendo, sono uscita dalla camera un attimo fa.”
“Ah bene...”, le fece, sorridendole.
“Vuoi un caffè?”, gli domandò lei.
E scesero insieme in cucina. Mentre la donna aspettava che quella strana macchinetta producesse caffè ebbero modo di scambiare qualche parola.
“Scusami per oggi”, disse lei, “ma dovevo assolutamente incontrarmi con delle persone per il locale e non potevo rimandare.”
“Figurati.”, le disse, sedendosi dove quella stessa mattina aveva discusso con Jonny.
“Pensavo di risolvere in poco tempo, invece mi hanno costretto fuori tutto il giorno.... Allora, cosa avete fatto oggi?”
Dougie alzò le spalle.
“Non l’ho vista molto, solo stamattina.”, le spiegò, lasciando nascosto ogni riferimento a quello che era veramente successo.
“Prevedibile.”, fece lei, sospirando, “Se n’è stata da sola in camera, vero?”
Le annuì con un cenno della testa.
“Ieri sera ho chiamato Danny.”, continuò Arianna, “Pensavo di trovare qualche risposta in lui.”
La guardò.
“Riguardo a suo padre.”, si specificò lei, che forse aveva travisato la sua curiosità velata con il non comprendere a cosa si riferisse.
Quella donna non doveva avere molta buona considerazione di lui, pensò con ironia.
“Non sapeva niente...”, disse, poi venne attirata dal borbottare della macchinetta per il caffè.
Si alzò e la tolse dalla fiamma, versandone il contenuto in due tazzine.
“Sai, questo fatto mi ha stupito abbastanza.”, riprese Arianna, evidentemente volenterosa di parlarne, “Pensavo che fossero molto amici, lui e Jo.”
“Beh, lo sono davvero.”, le fece.
La donna annuì, sorseggiando il suo caffè caldissimo. Sembrava riflettere.
“Tra due persone così tanto amiche si presuppone che esista un po’ di confidenza.”, disse lei, “Ed avevo spontaneamente pensato che Joanna avesse parlato con lui dei problemi che aveva avuto con suo padre. Di certo non ho mai preteso che lo facesse con me... Sospettavo che le cose non fossero molto facili in famiglia, lei non ne parlava mai ed io, per rispetto, non mi permettevo di ficcanasare.”
Poi si voltò verso di lui.
“Tu ne sapevi qualcosa?”, gli chiese, guardandolo dritto negli occhi.
Dougie sentì un brivido sul collo ed ebbe l’immediata sensazione che Arianna avesse già capito la verità.
“Sì, lo sapevo.”, gli disse, “Jonny mi ha raccontato gran parte della storia... Un anno fa.”
“E perché lo ha detto a te... E non a Danny?”, domandò la donna.
Come poteva saperlo lui? Dougie si strinse nelle spalle, non aveva quel genere di risposta. Arianna sorseggiò altro caffè e posò la tazzina vuota sul tavolo. Lui non lo aveva ancora toccato, solo adesso portò la sua tazza alle labbra, assaggiandone solo un po’. La donna, comunque, continuava nella sua riflessione silenziosa.
“Beh... Diciamo che qualche cerchio inizia a quadrare.”, disse poi.
“Quale?”, domandò lui, prontamente.
La donna lo guardò con malizia.
“Vuoi sapere troppo, Dougie, e conosceresti comunque molte più cose di quante ne sappia io, dopo un anno di convivenza con lei.”, gli disse.
Arianna si alzò sbadigliando, e lo lasciò con la curiosità che saliva esponenzialmente. Un trillo sconosciuto, forse il telefono di casa, interruppe la sua sessione di stiracchiamento e la donna andò a rispondere, lasciandolo lì con mille domande.
Quelle cose che aveva inquadrato riguardavano lui? E in che modo? Perché comunque non gliene voleva parlare?
La curiosità crescente si tramutò in frustrazione.
 
I know I've been mistaken,
but just give me a break and see the changes that I've made.
Why can't you just forgive me?
I don't want to relive all the mistakes I've made along the way.


Tutto sembrava girare intorno a Danny e Joanna, Little e Dan, Jones e Jonny.
Loro due che erano così amici, così uniti. Si divertivano insieme, si volevano bene ed erano così complici che Tamara aveva apertamente dimostrato la sua gelosia, proibendogli di seguirla.
E lui, invece, non poteva fare parte di tutto quello. Lui era Dougie Poynter, lo stupido, il deficiente, il cretino che l’aveva trattata male. Era quello che si era fatto prendere dal panico; quello che, giustificandosi con il fatto di non volerla farla soffrire, aveva agito solo per pararsi il culo da una possibile delusione.
Quello che adesso cercava di dare un’altra immagine di sé, ma che ogni volta veniva respinto come se fosse stato un pacco indesiderato, un regalo riciclato, qualcosa da rinnegare perché ingombrante e di troppo peso.
Aveva capito i suoi errori, se n’era pentito davvero. Aveva provato a fare di tutto, anche se ogni tentativo cadeva in un fallimento, in un buco nell’acqua, oppure veniva completamente frainteso, o non capito e basta. Tutti rimanevano ancora aggrappati al passato, vi avevano affondato le radici e non riuscivano a guardare avanti, non facendo altro che rinfacciargli che Jonny aveva sofferto per causa sua.
Come sempre, era rimasto vittima di uno stereotipo. Era un cretino senza cervello, senza sentimenti, e da lui non poteva venire fuori niente di buono, soprattutto per Jonny. Forse era proprio il caso di lasciar perdere tutto, dato che niente girava per il verso giusto…
Ma aveva fatto una promessa, si era assunto l’impegno di starle accanto, sia davanti a Danny che a se stesso. Gli ostacoli che si stava trovando davanti erano estremamente complicati e difficili da scavalcare e, se avesse rinunciato, non avrebbe fatto altro che dare ragione a tutti quelli che cercavano di scoraggiarlo.
Doveva farlo soprattutto per lei.
Ed anche per se stesso.
 
You always find a way to keep me right here waiting
You  always find the words to say to keep me right here waiting
And if you chose to walk away I'd still be right here waiting
Searching for the things to say to keep you right here waiting
 



 
 
 
 
 
Why am I fighting, what’s it for, must let my mask drop to the floor.
Rolling up my sleeves to fight against all the things I locked up and all the things I fenced.
But nobody quite got it right... Nobody knew just how it feels to be me.


Era ancora a ripetersi le solite cose, le solite frasi fatte e conosciute, e quei versi esprimevano con una tale naturalezza tutto quello che le vorticava in testa che non sentiva il bisogno di spiegarsi meglio.
Stava perdendo Danny, così come avrebbe perso Arianna, anche lei vittima della sua stupidità e del suo stupido egoismo.
Sì, era una egoista perché teneva tutto dentro.
Sì, era una egoista perché non lasciava agli altri nessuno spazio nella sua vita.
Sì, era una egoista perché avrebbe fatto soffrire Danny ed Arianna, le uniche due persone che le erano rimaste.
Era inutile continuare a giustificarsi, a pretendere di rimanere dietro a quella maschera, a quella scusa grazie alla quale aveva finto di proteggere se stessa dalla malignità del mondo esterno. La sua lotta più grande, la sua fuga, era conclusa; suo padre era morto e non le era rimasto più niente. Ma forse ancora non aveva realizzato che la sua battaglia di vita non era mai stata quella combattuta contro di lui.
Ma quella contro se stessa.
Contro una Joanna che aveva bisogno di qualcuno, di un aiuto, di un’ancora a cui aggrapparsi per non annegare, per non essere trasportata via dalla marea.
Contro una Joanna che però rifiutava di essere salvata.
Proprio adesso che cercava un amico, una mano tesa verso di lei… Non c’era più nessuno. E l’unica persona che si sporgeva nel vuoto, per raccoglierla dal precipizio in cui era caduta, era quella sbagliata… Quella che, meno di tutto il resto del mondo, si meritava di sapere.
Eppure era lì.
E quelle giuste le aveva allontanate tutte. Aveva finto di voler loro bene, di esserne innamorata. Ma erano state bugie, tutte falsità che si era raccontata solo per trovare una scusa al non aprirsi, al non rivelarsi, per continuare a vivere nel suo mondo fatto di bugie e di paure.
 
My scars I shouldn’t hide from the people who are on my side.
But sometimes when I'm dreaming, and I dream a lot these days,
I meet someone who understands, who leads me through the haze.
But I wake up screaming… 






Erano passare le otto già da dieci minuti. Il vassoio davanti a lui attendeva di essere preso tra due mani e portato al piano di sopra, ma Dougie non aveva il coraggio per farlo e continuava semplicemente a rimanersene appoggiato alla cucina a guardarlo, braccia conserte sul petto, come se quel pezzo di metallo lucido avesse potuto dargli tutte le risposte giuste a tutte le domande più o meno importanti che assillavano la sua vita.
Arianna aveva lasciato di nuovo a lui l’incombenza di stare con Jonny: se n’era andata già da due ore, chiamata da un familiare che aveva avuto bisogno del suo aiuto per dei problemi particolari, che lei non era stata ovviamente a spiegargli.
Sospirò, si fece coraggio e bussò alla porta di camera sua, con il vassoio tra le mani. Attese una risposta che non arrivò e, sebbene le ginocchia non lo sostenessero con molta tranquillità, bussò di nuovo.
“Che vuoi...”, sentenziò Jonny.
“Ti ho preparato qualcosa per cena. Pensavo avessi fame.”, le disse.
Non si aspettava di entrare in camera sua, gliene aveva proibito l’ingresso, e bastava solo che le consegnasse il vassoio,  poi se ne sarebbe tornato nella sua stanza o al piano di sotto, a guardare un po’ di televisione. Non era importante che su quello stesso vassoio le porzioni di pasta e di verdure al forno fossero per due persone… La porta si aprì e al di là della soglia si presentò Jonny: il suo viso era stanco, segnato.
In quello stesso istante, un rombo all’esterno interruppe il loro reciproco guardarsi, nell’attesa della prima mossa dell’altro o dell’altra.
“Tieni.”, le disse, avvicinandole il vassoio.
Lei scrutò il contenuto e sicuramente notò il doppio bicchiere, le doppie posate, il doppio piatto di plastica, i doppi contenitori sigillati.
“Dov’è Arianna?”, chiese poi, tornando con gli occhi su di lui.
“Mi ha detto che è andata da… Una sua zia, forse, non mi ricordo il nome.”, la informò, “L’ha chiamata verso le sei e mezza e se n’è ndata poco dopo.”
“Ok.”, disse Jonny e, senza troppo sforzo, prese il vassoio tra le sue mani e chiuse l'uscio con un colpo del piede.
Rimase con un palmo di naso.
“Ehm… Jonny?”, le fece. “Potremmo mangiare insieme.”
“No.”, rispose lei, secca.
“Non necessariamente nella tua stanza.”, si affrettò a specificare.
“Per caso nella tua?”, domandò lei, con ironia.
“In quella che preferisci.”
Niente, nessuna risposta.
Lasciò perdere l’ulteriore fallimento, allontanandosi per cenare da solo nella sua camera, quando la porta di Jonny si aprì ancora.
“Dai, vieni.”, disse lei.
L’esplosione di un altro tuono quasi oscurò le sue parole.
 
 
 
Aveva terminato la sua pasta al ragù ed ancora non aveva avuto il coraggio di alzare gli occhi dal suo piatto bianco, né di dire una sola parola. Fuori, invece, il temporale sembrava aver molta confidenza con la Terra, la stava bagnando e ricoprendo di nebbia fitta e fulmini in caduta libera.
“Cosa hai fatto oggi?”, gli domandò Jonny, tagliando la coda della partenza.
“Beh… Niente di che... Dormicchiavo ed ascoltavo un po’ di musica.”, le disse, alzando le spalle e impegnandosi con le verdure, “Tu?”
“Anch'io.”, rispose lei.
Lanciò un’occhiata fuori, un altro flash luminoso era entrato con prepotenza nella stanza. La pioggia batteva forte sui vetri velati da una tenda semi trasparente e riempiva le loro orecchie con i piccoli tonfi sordi che ogni grossa goccia produceva nell’impatto, insieme al fischiare del vento ed al fracasso apparentemente incessante delle piante intorno alla casa.
“Sembra che questo temporale non voglia proprio smettere di torturarci.”, le disse.
“Già.”, fece lei, ancora preoccupata di finire le sue paste, “Erano diverse settimane che non pioveva.”
“Davvero?”
“Sì… Ogni estate che passa, piove sempre meno.”, disse lei, guardando fuori e tornando poi alla sua cena.
Dougie non sapeva più cosa dirle. Ogni argomento sembrava destinato a cadere nel vuoto, inascoltato, senza interesse al riguardo. Si limitò allora a darsi un’occhiata intorno.
Le pareti della stanza, colorate di un lilla molto chiaro, quasi impercettibile, erano decorate di poster. Tra le facce esposte riconobbe per prima quella di Bruce Springsteen: gli fece tornare subito in mente il giorno in cui Danny disse di averle spedito un poster che lo raffigurava, tanto per abituarla all’idea di quanto lui potesse essere monotono in fatto di musica. Accanto a quello invece sostavano appesi i Queen, Alanis Morissette, i Blues Brothers, i Beatles e tanti altri nomi noti, principalmente musicisti rock o blues, niente di troppo punk o esageratamente pesante.
Si soffermò involontariamente sulla sua faccia coperta di nastro adesivo rosso, e si lasciò scappare un lievissimo sorriso.
“Cosa c’è di divertente?”, lo colse subito Jonny.
“Niente.”, le rispose, e cercò subito un nuovo spunto per parlare, “Danny ha chiamato?”
Lei annuì con un cenno.
“Che notizie porta dalla mia terra natale?”, le chiese, con tono scherzoso.
“Beh… Non lo so.”
“E… Cosa avete fatto al telefono?”, sbottò lui, involontariamente.
 
 
Joanna sospirò.
Cosa avevano fatto al telefono? Innanzitutto, la domanda esatta era cosa avesse fatto lei al telefono. La risposta era: un bel niente.
“Niente.”, disse, infatti.
Dougie la guardò strano, poi tornò a dedicarsi alle sue verdure, sicuramente molto più interessanti di lei.
“Cosa vuoi sapere, Dougster?”, lo volle.
“Assolutamente nulla.”, rispose lui, con tranquillità, “Perché dovrei volerti spingere a parlare, se non sei tu a volerlo fare?”
Rimase qualche attimo spiazzata, senza parole.
Nella sua immensa immaturità, Dougie le aveva servito sul piatto d’argento la chiave dell’enigma che lei stava vivendo, ma non volle dargli ragione, non voleva dargli la soddisfazione che stava cercando. Non sopportava quella situazione, così come non sopportava lui  ed i suoi pantaloni troppo larghi, lui e la sua maglietta verde con i graffiti, lui e i suoi capelli spettinati, lui e quel suo maledetto sorriso abbozzato e malizioso, lui e le sue battute stupide e sempre fuori luogo…
Lui che riusciva sempre ed inspiegabilmente a spillarle le parole dalla bocca con la medesima semplicità con cui un barista di professione riempiva i boccali di birra con la giusta quantità di schiuma, senza dover dire né fare qualcosa, senza domande o pressioni, senza compromessi né ultimatum.
Lui che se ne stava lì a mangiare, a testa bassa, come a dirle ‘non mi interessa, io non voglio sapere, non me ne importa un fico secco’.
E lei, invece, che  se ne stava con la voglia di parlare proprio perché lui non glielo aveva chiesto, così come era sempre stato.
Lui non l'aveva mai pregata di raccontargli di suo padre, lui non le aveva chiesto di sfogarsi quella stessa mattina…
Lui non le stava chiedendo che cosa era successo tra lei e Danny.
Tutto quello era irritante, fastidioso come una zanzara nelle notti d’estate, come la puntura che si ritrovava puntualmente nei posti impossibili da raggiungere con la punta delle dita. Stava provando esattamente lo stesso magone, lo stesso groppo alla gola che le era preso un attimo di prima di afferrare il telefono e comporre il numero di Danny piena di ottime intenzioni, ma che era miserabilmente scomparso non appena lui l’aveva chiamata Little, il nomignolo particolare che solo lui usava.
Si maledisse perché, adesso, quell’impulso che le martellava la gola non accennava assolutamente di andarsene. Se ne rimaneva lì, a spingere, a premere contro le sue corde vocali e Joanna non gli resisteva, era tutto più forte di lei, impossibile da controllare, come tutte le cose che accadevano quando Dougie le stava tra i piedi.
“Dougie…”, gli fece.
“No, Jonny, parlo sul serio.”, insistette lui, “So che tu non vuoi parlare, quindi non farlo, ti prego.”
Maledetto Poynter!
“Ma io voglio…”, cercò di convincerlo.
 
 
 
Non credeva alle sue orecchie e le domandò infatti di ripetere.
“Doug, io voglio parlarne”, disse infatti Jonny, “perché se non lo faccio, scoppio.”
Totalmente muto, senza parole, encefalogramma piatto. Si impose di stare calmo, di non agitarsi e di mantenere la presa. Per tre giorni aveva atteso quel momento, aveva preso più schiaffi in faccia di un venditore di enciclopedie porta a porta e, ora che c’era, non sapeva da che parte iniziare.
“Vuoi… Vuoi davvero?”, le fece, tanto per esserne sicuro.
Lei si spazientì.
“Lasciamo fare!”, esclamò, scendendo dal letto e riponendo la sua parte di cena nel vassoio, “E’ stata un’idea cretina.”
“No, no!”, la bloccò, alzandosi di scatto dalla poltrona su cui stava seduto, con la vaschetta delle verdure in mano, “Jonny, siediti e parliamone.”
Lei lo guardò scettico.
“Sei tu che non hai voglia di starmi a sentire!”, lo accusò.
“Non è vero!”, protestò subito lui, “Cavolo, credimi!”
Jonny posò il vassoio sul cassettone, vicino al davanzale della finestra, e tornò a sedersi sul suo letto,  in attesa che le porgesse l’attenzione. Al che Dougie lasciò perdere le sue verdure, ormai c’era rimasto solo qualche rimasuglio di fondo, e si dedicò a lei.
“Avanti… Cosa vuoi dirmi?”, le domandò, sempre insicuro che quello di Jonny fosse solo un falso allarme.
Un altro flash di luce comparve prima che lei iniziasse a parlare.
Le ci volle un po’ prima di farlo, non le era per niente facile. La comprendeva ed ancora non si spiegava cosa avesse fatto lui per trovarsi lì, nella sua stanza, pronto per ascoltarla. Erano giorni che provava ad entrare in contatto con lei e quella volta, così come lo sfogo della mattina e di un anno prima, era arrivata come sempre totalmente inaspettata. In altre parole, anche se aveva tentato in mille modi di arrivare a quel preciso traguardo, alla fine non si giustificava il come potesse esserci riuscito.
Forse doveva avere un grande culo.
“Oggi, dopo che abbiamo… Insomma, in cucina, stamattina.”, balbettò lei, “Dopo di quello.”
“Sì.”, le fece.
“Ecco… Ho chiamato Danny.”
Cosa normale e scontata.
“L’ho chiamato perché volevo raccontargli… Tutto.”, continuò lei, “Perché lui... Deve sapere.”
Quelle parole non erano per niente convincenti.
“Danny avrebbe dovuto sapere tutto già da tempo.”, si permise di correggerla, senza volerla accusare di niente.
“Sì, lo so…”, disse Jonny, scuotendo la testa.
“E perché non lo hai mai fatto?”, le chiese, con innocenza.
Potevano esserci milioni di spiegazioni: tra tutte queste, l’unica che gli saltò in mente fu il fatto che lei avesse voluto farlo faccia a faccia, non tramite telefono o lettere virtuali... Ed infatti, fu la spiegazione che lei gli dette.
“Ma oggi non l’ho fatto.”, continuò Jonny, “Quando ero con lui ho avuto milioni di occasioni… Ma non l’ho mai fatto.”
“E perché?”, le domandò.
Quello non se lo spiegava. Se fossero stati veramente amici  avrebbe dovuto essere uno tra i primi argomenti a saltare fuori.
“Perché…”, esitò lei, “Perché io... Io…”
Gli sembrò di essere tornato indietro di un anno, giù nel salotto di quella casa, davanti al caminetto che scoppiettava.
“A dire il vero non… Insomma, non ne sono molto più sicura.”, si spiegò lei.
“Sicura di cosa?”, le fece.
Joanna prese coraggio con un sospiro lungo.
“Di essere innamorata di lui.”, disse, mentre gli occhi viaggiavano imbarazzati ovunque nella sua stanza.
Dougie mise un piede sul freno.
Jonny era, o pensava, di essere innamorata di Danny…
“L’ho detto e mi sento stupida.”, riprese lei, accasciandosi sul letto, “Non avrei dovuto farlo.”
Lui era ancora stupito, ma non al massimo: adesso che gli aveva rivelato quello che davvero provava per Danny, tantissime tessere del puzzle avevano iniziato a combaciare. Si chiese come avesse potuto non capirlo prima, da solo, e gli venne anche da domandarsi se Jonny fosse stata innamorata di lui da sempre, fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, oppure se quel sentimento fosse nato nel tempo, giorno dopo giorno.
In contemporanea ebbe l'enneisma conferma che il rapporto con Jonny non sarebbe mai potuto cambiare, anche se in passato avrebbe realmente voluto. Si sarebbe fermato al passo dell’amicizia mentre Danny, se avesse voluto, avrebbe anche potuto andare oltre. Se ne dispiacque, ovvio, ma quel pensiero era già stato da tempo ampiamente impresso nella sua mente ed i suoi sentimenti per Jonny erano stati ampiamente ridimensionati.
Comunque, anche se all’improvviso il quadro si era fatto completo davanti ai suoi occhi, Dougie non riusciva a trovare l’ultimo pezzo, quello più importante.
“E allora?”, le fece, “Non è comunque una buona giustificazione al tuo comportamento.”
“Lo so…”, disse lei.
“Per caso non ti fidi di lui?”, le fece, ingenuamente.
“Ma certo che mi fido di Danny!”, protestò Jonny, “E’ che…”
Dougie incrociò le braccia, la sua espressione si fece pensierosa.
“Io gliene voglio parlare, davvero, credimi Dougie.”, disse lei, la sua voce quasi rotta dal pianto, “Oggi ho cercato di farlo, avevo trovato la forza giusta… Ma poi non ci sono riuscita… E Danny mi ha detto che…”
Si bloccò.
“L’ho deluso, Dougie.”, disse, asciugandosi la prima lacrima.
“No, non è vero”, cercò di consolarla, “è solo un po’ scocciato...”
“Mi ha fatto capire che, se non gliene parlo, prima o poi…”, continuò lei, prima di mettersi a piangere.
Non voleva credere a quello che la mezza frase di Jonny gli aveva lasciato capire.
“Prima o poi cosa?”, le fece, per sicurezza.
“Prima o poi... Basta, Dougster!”, esclamò lei, “Cos’altro c’è da aggiungere! Hai capito cosa intendo!”
Certo che aveva capito.
Aveva capito che Danny era un coglione, un cretino di prima categoria, un imbecille, ed anche egoista, sì, un egoista del cazzo. Piuttosto che pensare a Jonny, ai problemi ed a tutti i pensieri che la sconvolgevano, Danny si metteva a disquisire sulla loro amicizia, sul fatto che lei gli avesse tenuto nascoste delle cose importanti eccetera eccetera.
Poteva Jones essere così egocentrico da non comprendere che tutte quelle cazzate sull’amicizia potevano essere rimandare ad un altro momento? Oppure si stava comportando in quel modo solo per gelosia, per ripicca… Gli venne la frenesia di chiamarlo e di mandarlo a fanculo, così, prendere il telefono ed attendere che rispondesse solo per urlargli che era un invertebrato.
Sospirò e scosse la testa.
“Mi dispiace, Jonny.”, le disse.
“E di cosa…”, fece lei, alzando il viso dalle mani ed asciugandosi le guance con un fazzoletto che avea tenuto in tasca.
“Beh… Danny è un egoista… A volte.”, le disse, “E magari è ancora arrabbiato per il fatto di essere rimasto a casa… Insomma, deve ancora capire.”
“Ma la colpa è la mia!”, si additò Jonny, “Sono stata io che ho sbagliato, fin dall’inizio, sono io che l’ho preso per il culo!”
Dougie non ci vide più. Tra tutti, lei era quella che aveva solo peccato di essere se stessa, con i suoi pregi ed i suoi difetti, e non aveva mai chiesto niente a nessuno. Mai.
“No, è di Danny la colpa, è lui che deve capire che sta sbagliando nel metterti di fronte ad una scelta. Proprio lui, che per colpa di un ultimatum adesso se ne sta a casa e non con te! Proprio lui, che ha sempre odiato i compromessi scomodi!”, si lasciò prendere dalla rabbia, “Se non fosse così occupato a mangiarsi le unghie perché il caro vecchio Dougster ha preso il suo posto, capirebbe che non gliene hai mai parlato per un semplice motivo… Non ti andava perché non è ancora arrivato il momento giusto! E’ totalmente inutile costringerti a parlare, imbucheresti solo un vicolo cieco, rimarresti in silenzio e ne soffriresti… Proprio come sta succedendo adesso. In questo momento l’ultima cosa di cui hai bisogno è star male per una qualsiasi causa che non ti riguardi te… E io non lo sopporto, perché mi dispiace vederti ancora trattata così da uno di noi. Non bastavo io?”
Uno schianto terribile, un boato elettrico interruppe ogni parola, pensiero e movimento. La luce sparì, la stanza si fece più buia del buio stesso.
 
 
 
Aprì il terzo cassetto dello sgabuzzino, un piccolo rifugio tra la stanza di Arianna ed il bagno comune delle piano, e si mise a frugare in cerca di qualcosa che al tatto potesse somigliare ad una torcia elettrica. Dougie aspettava con impazienza fuori dalla porta.
“Eppure erano qui…”, borbottò, non riconoscendo nessuna forma cilindrica sotto le sue dita.
“Come scusa?”, le fece Dougie.
“Niente… Non riesco a trovare le torce…”, gli disse, schioccando la lingua con disapprovazione.
Una serie prolungata di tonfi ed un ‘cazzo’ attutito la fecero ridere.
“Dougster?”, gli fece, “Vaso di fiori o vetrinetta delle cose inutili?”
“Vetrinetta delle cose inutili.”, disse lui, storpiando la voce per il dolore.
“Se la smettessi di aggirarti come un leone in gabbia”, disse Joanna, rinunciando a cercare le torce in quel cassetto ed facendo capolino dallo sgabuzzino, “forse non andresti a inciampare ed a farti male.”
“Non mi piace stare al buio.”, si giustificò lui, illuminato solo da una tiepidissima luce che entrava dalla finestra, in fondo al corridoio.
“Non fare il bambino!”, lo rimproverò lei, “Aiutami a cercare un paio di candele!”
L’ultima volta che le aveva viste erano in uno dei cassetti della cucina.
“Dovrebbero essere al piano di sotto.”, gli disse.
“Io rimango qua.”, impose Dougie, scuotendo la testa, “Non voglio rotolare per le scale!”
“Vado avanti io.”, gli disse, andandogli incontro e sospirando rassegnata, ma ridendo.
L’aver liberato quello che aveva dentro, la rabbia, il dolore, la frustrazione, ed averlo riposto nelle mani di Dougie... La stava facendo sentire meglio. Le veniva da ridere, sebbene la voglia di piangere fosse sempre in agguato, pronta a colmarle gli occhi, ei sentiva il cuore più leggero, anche se solo di poco, forse di qualche grammo.  Poteva essere assurdo, ma Dougie aveva quel particolare potere su di lei: era la valvola di sfogo, la valle vuota in cui gridare, il confessionale, il dentista che riusciva a tirarle fuori ogni cosa da quella bocca da troppo tempo chiusa, e doveva accettarlo così com’era, farsene una ragione, mettersi l’anima in pace anche se era frustrante, anche se non doveva essere quello il suo ruolo.
“Vuoi scendere le scale... Al buio?!?”, fece lui, “Vuoi fare come la mela di Newton?”
“Preferirei di no”, gli rispose, “sarebbe superfluo come la tua presenza qua.”
“Oh, grazie per l’ironia!”, rispose lui, ridendo, “Perché tutti non fanno altro che rinfacciare la mia apparente inutilità al mondo?”
“Perché tu sei Poynter, e sei sempre inutile.”, gli disse, passandogli oltre, “Andiamo... E vedi di stare attento a non fare tu la fine della mela...”
Ormai conosceva quella casa così bene da poter camminare ad occhi chiusi, senza mettere le mani in avanti né avere bisogno di altri punti di riferimento. Infatti, riconobbe con precisione il punto in cui il pavimento scompariva sotto di lei, per fare spazio alle scale. Il piede toccò il primo gradino, dietro sentiva i passi incerti di Dougie e il suo borbottare infastidito.
Le venne da sorridere, ma una sensazione di gelo polare le bloccò ogni movimento, ogni pensiero, ogni intenzione.  La percezione del calore del suo corpo venne annullata, azzerata da un freddo innaturale, da una morsa di paura intensa. Sentì il suo respiro bloccarsi in gola, pietrificato come una delle tante statue della Medusa, ma lei non aveva visto nessun mostro, nessuna fantasia, bensì solo un buio spento, privo di vita, ma che esalava un vento duro, gelido.
Era un buio più nero dell’oscurità stessa, una massa densa di nulla, e così concentrato da essere vischioso, pesante come una montagna; lo percepiva sulle sua pelle: quel gigantesco cubo di ghiaccio dentro al quale lei sembrava essersi involontariamente imprigionata assorbiva ogni più piccola forma di calore, mentre ogni rumore rimbalzava contro le sue pareti, isolandola dal resto del mondo.
Voleva muoversi, ma non ci riusciva.
Voleva fuggire, ma le sue gambe non rispondevano.
Voleva gridare, ma era muta.
Voleva voltarsi, chiamare Dougie, chiedergli aiuto...
Si sentiva morire.
Jonny...”
Era solo una voce ovattata, lontana migliaia e migliaia di chilometri. La poteva sentire, quel suono aveva sconfitto quella gabbia, era riuscito a penetrare, ma non era capace di rispondergli. Un calore improvviso sulla sua spalla la svegliò, la sua prigione esplose in mille pezzi esaurendosi in un grido improvviso che si liberò nella sua bocca, e che riempì la casa improvvisamente, svuotandola da quel buio.
“Jonny!”, urlò a sua volta Dougie.
Joanna gridava, riprendeva fiato e gridava ancora. Non era capace di fare altro, solo strillare, e strillare di nuovo.
“Mio Dio, Joanna!”, fece Dougie, prendendola tra le braccia e stringendola forte.
Il contatto improvviso col suo corpo, con il suo calore, col suo respiro, fece sciogliere le urla, che lasciarono posto ad un fiume di lacrime.
 
 
 
Chiuse il telefono. Lo appoggiò sul tavolo. Sospirò, allungò le gambe e stiracchiò le braccia. Le mise poi dietro la testa, fermandosi in quella posizione.
Aveva fatto la cosa giusta, aveva preso la scelta giusta. Troppe cose idiote erano state veicolate da quell’oggetto, all’apparenza così innocuo e innocente. Tante, tranne quella. Si era pentito, gli ci era voluto tutto il pomeriggio per capirlo. Si era stupito di se stesso, di quello che aveva avuto il coraggio di far uscire dalla sua bocca. Aveva pensato che, forzando la mano, le cose sarebbero andate per il verso giusto.
Per il suo verso.
Voleva sapere, voleva conoscere, ed aveva imposto a Little un ultimatum, così come Tamara aveva imposto a lui di non partire. Si era odiato, si era dato del cretino e si era chiesto cosa potesse pensare adesso di lui, della sua stupidità, del suo egoismo. Si era sentito in diritto di sapere tutto di lei solo per il fatto che fossero amici...  Perché voleva sapere, perché doveva sapere.
La strada dell’Inferno è sempre lastricata di buone intenzioni.
Perché il suo egoismo aveva vinto, mascherato di buoni motivi e di affetti fasulli. Little non voleva parlargliene, punto e basta, e anche se avesse voluto adesso non sarebbe accaduto. Si era negato la possibilità con le sue stesse mani, preso dal suo orgoglio e dalla sua vanità, e gli stava bene, se lo meritava.
Se avesse voluto, in quel momento sarebbe stato con lei, in Italia, ma si era lasciato prendere dalla paura. Tamara minacciava costantemente di lasciarlo, lo aveva fatto anche quella stessa mattina, al telefono. Lo accusava di non pensare a loro due, a quello che stavano costruendo insieme, al futuro che avevano progettato... Ma certo che ci pensava! Eccome se lo faceva, ogni giorno, ogni momento... Ma ora non poteva fare a meno di dare la precedenza a Little. Voleva solo un po’ di tempo da dedicarle perché stava male, perché aveva bisogno di lui.
Non stava chiedendo la luna, non era in cerca di qualche formula alchemica: quello che voleva era prendere un aereo e raggiungerla. Stare con lei, sostenerla e farsi perdonare. Amava Tamara, con tutto il cuore, e se lei avesse provato lo stesso sentimento, come gli rinfacciava ad ogni occasione, avrebbe anche capitom, ma non lo stava facendo ed evidentemente c’era qualcosa che non andava.
Adesso, però, non era il tempo di pensarci. Avrebbe risolto al momento opportuno.
Si alzò, salì al piano superiore. Andò in camera, aprì l’armadio e sistemò sul letto la sua valigia. Aveva un volo da prendere, la mattina successiva.
 
 
 
“Jonny, ma che ti succede!”, le chiese Dougie, sollevandola e portandola subito in camera sua.
Tremava, la sentiva scuotere da continui spasmi. Si aggrappava al suo collo, macchiando la sua maglietta delle lacrime che versava, e non riusciva a calmarsi. Non riusciva a calmarla. Era disarmato, inutile come lei gli aveva detto prima, anche se solo scherzando. Non sapeva cosa le fosse preso, né perché si fosse pietrificata ed avesse gridato così tanto, facendolo impaurire come pochissime altre volte nella sua vita. E ora piangeva, tremava tra le sue braccia, e lui non sapeva cosa fare, cosa dirle...
“Jonny, ti prego, calmati.”, provò, accarezzandole la testa.
Avrebbe voluto stenderla sul letto ma lei si era stretta a lui, al suo collo, e non voleva lasciarlo. Come il giorno del funerale, il pianto di Jonny era uno strazio per il suo cuore, era insopportabile, era come una lama che continuava a pugnalarlo alle spalle.
“Calmati.”, le fece ancora.
Ma lei pianse ancora più forte, e il magone di Dougie aumentava, insieme al suo senso di totale inettitudine.
“Jonny... Ti prego...”, la scongiurò.
I suoi singhiozzi, duri e marcati... E le sue lacrime, così salate.
“Ti prego...”
Non resistette, pianse anche lui, affondò il viso nei suoi capelli biondi. Ne sentiva il profumo delicato, ma non fu di assoluto conforto.
Odiava piangere, odiava farlo.
Piangeva per Jonny perché non meritava niente di quello che la vita l’aveva costretta a vivere.
Piangeva con Jonny perché non riusciva più a rimanere indifferente, distaccato.
Piangeva per colpa di Jonny perché si sentiva miserabile, perché non era capace di colmare il vuoto che c’era dentro di lei.
“Joanna, per favore, smettila!”, le gridò, “Non lo sopporto!  Basta!"
Pregò Dio che lei lo ascoltasse, che si fermasse, ma entrambi sembravano sordi alle sue preghiere.
Poco dopo, però, la presa al suo collo si allentò. Jonny lo guardò negli occhi -gonfi, rossi e pieni di tristezza- e Doigie la posò a terra, fino a quel momento sospesa tra le sue braccia.
In quel momento la luce tornò ad illuminare tutto all’improvviso, così come se n’era andata.  Dougie sbuffò tutta l’aria che aveva nei polmoni, sentendosi afflosciare su se stesso. Si vergognava, era scoppiato a piangere come un bambino. Non aveva mantenuto la promessa fatta a Danny ed a sé stesso, non era stato capace di farla stare meglio, nel momento più drammatico aveva ceduto.
Le voltò le spalle e uscì dalla sua stanza.
“Dougie...”, lo fermò la voce rotta di Jonny, bloccandolo nel corridoio con una mano sul suo braccio.
Dougie non le rispose e si divincolò dalla sua presa. Era tutto così dannatamente difficile da gestire, impossibile da controllare. Forse era meglio calmarsi, dormirci sopra, lasciare che il tempo guarisse tutto, che la notte portasse con sé qualche buon consiglio da seguire. Asciugò via le ultime lacrime scese, cancellando il segno della sua debolezza con il palmo della mano, con rabbia.
Jonny se ne stava a testa bassa, gli occhi che seguivano le dita intrecciarsi. Alzò il viso.
“Grazie.”, gli disse poi.
Inspiegabilmente, così come la paura che si era impossessata di lei senza alcuna ragione, Dougie fu debole per la seconda volta.
Si chinò su di lei e la baciò, tenendole il viso arrossato tra le mani.
Non avrebbe mai dovuto farlo e la liberò all’istante, allontanandosi da lei e scomparendo, per chiudersi nella sua camera.
 
 
 
Rimase lì, in piedi, davanti alla porta della stanza, aperta sul corridoio vuoto. Gli occhi spalancati, la bocca socchiusa. Le labbra si asciugarono e divennero appiccicose. Sbatté gli occhi più volte, chiedendosi cosa fosse successo. Si erano baciati.
Lui l’aveva baciata.
Le tornarono in mente le ormai lontane parole di Tom.
A Doug piaci... Piaci molto.
No, non ancora. Mosse un piede dopo l’altro e raggiunse la porta della sua stanza. Non le interessò bussare, né entrare senza il suo permesso. In fondo, lui l’aveva baciata senza che gli avesse concesso alcuna autorizzazione, senza che volesse essere baciata.
Da lui.
Lui che, per qualche attimo, aveva ritenuto fosse la persona giusta su cui fare riferimento. Lui che riusciva a stanarla, che riusciva sempre a scovarla e farla uscire fuori dal buio in cui viveva. Non le importò di trovarlo seduto sul letto, con il viso tra le mani, e non le importò nemmeno che lui alzasse il viso e le mostrasse le sue lacrime.
“Spiegamelo.”, pretese Joanna.
“Non lo so, Jonny... Non lo so.”, disse, pulendosi veloce le guance ed alzandosi, cercando rifugio lontano da lei, “Non lo dovevo fare, lo so, non era il momento per...”
“Tra noi non è il momento per niente!”, gli urlò in faccia, "Perché lo hai fatto!”
“Perché tutto quello che sta succedendo mi toglie il fiato, perché questa situazione è claustrofobica...”, disse lui, portandosi le mani alla testa, "Perché non riesco a farti stare meglio! Perché in quell’attimo ho quasi sperato che un gesto del genere potesse… E perché hai ragione tu, io sono inutile! ”
“Diventi inutile quando non pensi a quello che fai.”, gli disse, “Avevo capito che tra tutti i McFly mi sono ero fatta l’amico sbagliato... Che Danny era sbagliato, perchè dovevi essere tu il mio amico, ", prese altro fiato, "Dougie, con te perdo le mie barriere e riesco a dirti tutto... E non è perché mi piaci. E’ perché sei tu, Dougie, perché sei tu.”
Le venne da piangere, ancora una volta.
“Perché riesco naturalmente a fidarmi di te. Perché nonostante tutto quello che mi hai fatto... Sei sempre tu, Dougie.”, si asciugò una lacrima.
“Mi dispiace...”, disse lui.
“Perché vi divertite a giocare con i miei sentimenti?”, domandò, sapendo che non avrebbe avuto risposta.
“Io non voglio ferirti.”
“Oh sì, Dougie, tiriamo in ballo le solite frasi fatte!”, gli fece, con sarcasmo, “Nessuno ha mai voluto far soffrire Joanna! Non è così? Tutti vogliono essere miei amici!”
“Jonny, te lo ripeto, non so perché l’ho fatto!”
“Lo hai fatto perché sei un bastardo.”
 Avrebbe voluto dargli uno schiaffo, ma lo aveva già fatto con quella parola sibilata, rimasta quasi chiusa tra le labbra. Era la seconda volta che glielo diceva.
“No, Jonny, per favore...”, la implorò lui, “Tengo a te, non lo capisci?”
“Tutti tengono a me! Tutti!”, disse lei, tornando sarcastica, “Mio padre teneva a me, e mi picchiava. Mio fratello teneva a me, e mi ha picchiato. Danny teneva a me, e mi ha messo con le spalle al muro... E tu non sei meglio di tutti gli altri!”
“Ma non riesci a capire che è stato uno sbaglio?”, fece lui, “Ti voglio bene, Jonny, ed ho cercato di fare il possibile per starti accanto, per farti stare meglio... Ho sempre saputo che non ero in grado di farlo, ma almeno ci ho provato!”
“Nessuno ti ha chiesto di prendere l’aereo con me!”
“Non ci sono salito con te... Ci sono salito per te!”, disse Dougie, il suo viso contratto dalla rabbia, “E mi sono stancato di cercare di giustificarmi per ogni cosa, per ogni decisione che prendo! Prima di conoscerti tutto quello che facevo non necessitava mai dell’approvazione degli altri; poi sei spuntata tu ed ogni cosa che dicevo o pensavo ha iniziato ad essere messa sotto i raggi X. Tutti si sono sentiti in dovere di giudicare me e quello che provavo per te.”, le riversò in faccia, “Ebbene sì, Jonny, mi ero innamorato di te, va bene? Ti fa piacere saperlo così? Ti senti meglio?”
Joanna non sapeva cosa fare.
“Ma, appunto, ero innamorato di te, poi tu hai scelto Danny, mi sono messo da parte e ti ho dimenticata.”, continuò lui, “Sì, mettitelo bene nelle orecchie, Jonny, ti ho dimenticata, ma non ho mai smesso di volerti  bene. E nonostante mi accusi ancora di essere un bastardo, di fregarmene di te e di giocare con i tuoi sentimenti... Te ne voglio comunque. Perché la mia vita è piena di persone false e ipocrite, di gente insulsa e stupida. E tu sei una di quelle che con un sorriso riesce a farmi stare bene, perché sei una persona vera. Potrai trattarmi male, offendermi, odiarmi, ma farò finta di non sentire niente, perché non voglio perderti.”
Avrebbe voluto che si zittisse, che non le dicesse la verità che sembrava avere in serbo per lei..
“Non lo so perché ti ho baciata, credimi quando te lo dico, non lo so! Solo uno stupido, uno che non si è mai meritato la tua fiducia ma che l’ha avuta comunque, nonostante tutto.”, riprese fiato, “Non lo so perché l’ho fatto, forse per disperazione, perché non sopporto più il vederti piangere… Non sempre le nostre azioni hanno una giustificazione... Va bene? Vuoi altre spiegazioni? Vuoi che mi lanci dalla finestra?”
“Io...”, farfugliò Joanna, confusa per quell’ammasso di parole rabbiose con le quali Dougie si era sfogato.
“E mi dispiace trattarti in questo modo”, riprese lui, “ma a volte sei troppo vittimista, Jonny.”
Quello che sentì la costrinse ad alzare gli occhi da terra e fissarli nei suoi.
“La tua vita non è più quella di prima.”, le disse, con tutt’altro tono, “Ma se continui a vedere tutto come una minaccia, come un ostacolo... Allora tuo padre non sarà l’unico fantasma con cui vivrai.”
“Ma non è della mia vita che stavamo parlando, Dougie!”, disse lei, “E’ del tuo bacio...”
“Il bacio è solo le mie labbra che incontrano le tue, nient'altro. ”, continuò Dougie, “Jonny, continui a pensare che tutto il mondo sia pronto a farti del male, ma non è così... Ci sono persone che ti vogliono bene, che vogliono proteggerti e che farebbero di tutto per vederti felice... Come Arianna, come Danny, e come anche il sottoscritto. Talvolta commettiamo degli errori stupidi nei tuoi confronti, ma non puoi crocefiggerci per questo. Tu non puoi demonizzarmi per un bacio sbagliato. Non provo assolutamente niente per te, puoi starne certa, e sono pronto a giurarlo su tutto quello che vuoi. Ti ho chiesto scusa, cos’altro devo fare?”
“Non puoi chiedermi di far finta che non sia successo!”, protestò Jonny, e non poté certo darle torto.
“Jonny, continui a non capire…”, sentiva in lui il tono della sconfitta.
Dougie stava per arrendersi.
Dougie stava per lasciar perdere.
Dougie stava per allontanarsi da lei, così come tutto il resto del mondo.
Sì che aveva capito le sue parole ma, no, non riusciva ad ammettere che lui avesse pienamente ragione.
“Non puoi condannare chi ti sta intorno ad ogni minimo passo falso. Se continui in questo modo, se perseveri ad essere così prevenuta, anche nei nostri confronti... Se non imparerai a perdonarci… Ci perderai. Non te lo sto dicendo per spaventarti, o per cercare di redimere me stesso dopo questo fottuto bacio senza senso che ti ho dato…”
Si sentì gli occhi pieni di lacrime.
Di nuovo.
“Non è facile metterti di fronte ai tuoi errori, Jonny.”, aggiunse infine Dougie, e sospirò.
“Ho capito. Se vuoi dirmi che rimarrò sola, grazie tante Dougie, lo avevo già afferrato...”, disse Joanna, sentendo la sua stessa voce scomparire.
“No, non sarai sola.”, le fece, “Sarai piena di amici, di persone affettuose e gentili con te. Ma ti sentirai sola... Perché non appena il mondo si renderà conto di non essere il benvenuto in casa tua, se ne rimarrà fuori per sempre e non riuscirai più a farlo entrare. Mai più.”
Joanna si nascose il viso tra le mani, si sentiva colpevole. Dougie le aveva sbattuto in faccia la verità: voleva cambiare vita, ma si negava da sola ogni possibilità. Voleva fuggire dai suoi fantasmi, ma poi correva loro dietro. Voleva essere coraggiosa, ma era solo la persona più stupida del mondo. Voleva farcela da sola, ed era quello l’errore più grande.
Le braccia di Dougie si chiusero intorno a lei per l’ennesima volta. Non era lei che doveva perdonare lui, ma l’esatto contrario. Era stata presuntuosa, egoista e supponente, nascosta dietro alla sua aria della sempreverde vittima della vita.






Eccomiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii, sono arrivata :)
Ho tribolato un po' ma ce l'ho fatta. Bene, passo subito a parlarvi delle canzoni contenute in questo capitolo. Si parte subito con il titolo, Tear InYour Hand, scritta e cantata da Tori Amos e contenuta nell'album Little Earthquakes, per chi fosse interessato. Tori Amos mi è stata di notevole ispirazione mentre scrivevo tutta questa storia. Difatti, ci sarà qualche altro capitolo in cui farò riferimento a lei, ma se ne parlerà più avanti...
Poi, chi non poteva mancare??? Dico, quale gruppo non poteva mancare???? Chi mi conosce bene sa già la risposta! Uno, due, tre... Gli Staind! Infatti, i versi che introduco al punto di vista di Dougie sono parte della loro canzone Right Here, contenuta nell'album  Chapter V. La canzone  che invece ho inserito poco dopo, quando tocca a Little, è  Perfect Circle di Katie Melua (ve l'avevo detto che ritornava XD), contenuta nell'album Pictures. Tutte queste citazioni, ovviamente, non a scopo di lucro.


Bene, ora passiamo al capitolo vero e proprio.... Ecco, alla fine Little si è  presa due schiaffi da Dougie (e da tutte voi) ed ha capito il suo errore. Sì, l'ha capito... Ma siete proprio sicure che  cambierà? Ve lo dico, no.  Come ho detto l'altra volta: si cambia da un giorno all'altro?
Ogni recensione che mi lasciate, mi fa un piacere immenso leggerla. E sapere perchè? Ci sono due motivi: o siete delle bravi lettrici (e lo siete davvero, credetemi) oppure vuol dire che sono riuscita a trasmettere bene la mia intenzione... Chi lo sa? XD

Ed ecco che arriva anche la risposta ad un quesito che posi alla fine del capitolo 5. A Girl Disappearing, perchè vi chiesi a cosa mi riferivo con quel titolo? Era una cosa piuttosto semplice, ma anche piuttosto complicata. Beh, qualcuna di voi l'ha notato, e la cosa mi fa piuttosto piacere. In sintesi, vi siete accorte che da quando Little ha ricevuto la chiamata di Arianna, non c'è stato alcun momento (almeno fino a questo capitolo) in cui la scena descritta viene presentata dal suo punto di vista? Ecco perchè A Girl Disappearing. E' stata una scelta che mi è venuta spontanea e per un motivo abbastanza semplice: sebbene ci sia passata sopra per altri motivi, non so cosa vuol dire avere a che fare con un lutto come quello di Joanna. Posso solo immaginare, ma non voglio entrare nei particolari, rischierei di equivocarmi e non voglio. :)

E vai con i ringraziamenti **


vero15star:  sei proprio partita in tromba, eh, mamma mia!!!! XDDDDD allora vedremo se ti accontenterò. Ci stai? :)

Kit2007: eh beh, che ne dici delle canzoni di questo capitolo? Aggiungerò sempre una canzone, anche nei prossimi, perchè c'è stata proprio una colonna sonora che mi ha accompagnato nella stesura di questa storia.  Sarai il mio occhio critico! XD Mi dirai se secondo te ci stanno bene o no, anche se sappi che le ho scelte soprattutto per il contenuto del testo, non tanto per la melodia. Danny e Little deludono tutti e la cosa mi fa piuttosto felice, perchè era proprio quello che volevo. Le tue giustificazioni, cioè quelle che apporti nel sostenere la tua delusione, sono perfettamente corrette *.* mi fa piacere sapere che hai capito perfettamente tutto... Sigh... Grazieeeeee

CowgirlSara: credo che ti lascerò spesso senza sapere cosa dire del capitolo.  Il motivo per cui ho fatto raccontare tutto dal punto di vista di Dougie te l'ho scritto sopra... Se è venuto fuori qualcosa di caotico e spaventoso è perchè lui lo vede in quel modo... Caotico perchè succede tutto troppo in fretta e non ha il tempo di capire, spaventoso perchè, per sue stesse parole, non ha mai affrontato una cosa del genere... Povero cucciolo XD mi sono divertita a farlo prendere a schiaffi anche dal prete, c'è mancato poco ! XD E... Per quanto riguarda Danny e TamaRRa (Made in Princess)... Non la meno per il naso a nessuno... Almeno non io :))))))

Ciribiricoccola:  dici bene, è solo ORGOGLIO... E tu sa beeeeeeene di cosa parlo, nevvero Pazza?  Non mi viene nient'altro da aggiungere, credo che tu sia stata molto esplicita nel parlare di questa storia. Hai centrato perfettamente l'intruglio che c'è. Da un lato, trovi una persona orgogliosa e testarda, che quando si è convinta di una cosa è più facile spezzarla in due che farla piegare... Dall'altra c'è chi cerca, appunto, di farla ragionare, prendendosi tutte le bastonare che si merita, sempre secondo quell'altra persona, ma che poi alla fine si ribella. Eccome se si ribella. Poi c'è al terza persona, quella supponente, quella che pensa di sapere come fare a migliorare le cose... E ogni volta che entra in scena fa un danno dopo l'altro... Lo leggerai. Io non so come ringraziarti per quello che mi hai detto... Sai quanto questa storia conti per me...

_Princess_: oh, eccoti finalmente! Arrivi in tempo per il nuovo capitolo! Dougie è essenzialmente adorabile perchè è il cane bastonato della situazione. E' impossibile non volergli bene, perchè lui è mosso dall'affetto che prova per Little, e non da uno stupido orgoglio o dalla voglia di rifarsi su qualcun altro... Ma si farà capire, te lo prometto. E per quanto riguarda TamaRRa... Hai proprio ragione, anche io odio queste persone... Ma Danny?

GodFather:  Hai ragione anche tu... Little deve crescere ed anche molto. Da una parte è adulta, dall'altra è un po' come Peter Pan, si rifiuta di crescere. Chi credi che l'aiuterà di più? Danny o Dougie? XDDD E grazie per la canzone, i The Used mi piaccono tantissimo **



Un saluto speciale anche a Giuly Weasley e a x_blossom_x, che hanno avuto la fortuna sfacciatissima di vedersi quei quattro in concerto... In prima fila... Motherfucker!!!! XDDD e voi sapete perchè! iu:











 
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > McFly / Vai alla pagina dell'autore: RubyChubb