When
Autumn Fades
“Ranma,
guarda!”
Dopo
due ore di duro lavoro trascorso a pulire la
propria aula da cima a fondo, qualsiasi distrazione è ben
accolta. Ma Ranma non
avrebbe mai pensato che fosse proprio Akane, la studentessa diligente e
spesso
severa, ad interrompere le faccende per prima.
Akane
si era fermata, con lo strofinaccio leggermente
premuto fra un banco e la sua mano, gridando il suo nome come un
febbricitante
campanello d’un allarme felice, ed aveva preso ad osservare
al di fuori della
finestra, con gli occhi scintillanti, colmi di meraviglia.
“Ma
che...?”
La
sua fidanzata stava evidentemente osservando la
finestra, e molto probabilmente qualcosa al di là di essa, e
con un gesto
meccanico il ragazzo con il codino seguì la direzione del
suo sguardo.
Fremette
piano, galleggiando in quella frazione di
secondo in cui si rimane immobili, e ci si perde negli anfratti della
dolcezza
della lenta oscillazione di foglie variopinte che sospinte da vento si
depositano
a terra, accompagnate da una melodia silenziosa, fragile, remota,
antica,
eppure immutata.
Vide
Akane correre verso la finestra eccitata come
una bambina, tentando di forzarla per aprirla.
Infine,
ci riuscì. E come poteva essere altrimenti,
se di forza erculea ne aveva più che a sufficienza per
essere una ragazza? Il
giovane ridacchiò del suo stesso pensiero, ma si
guardò bene dal non farsi
notare, se non voleva trascorrere dal dottor Tofu quel che rimaneva di
quel già
noioso pomeriggio.
Ma
Akane non gli aveva dedicato la benché minima
occhiata dopo aver voluto renderlo partecipe dello spettacolo che la
natura
stava manifestando. Era così intenta a godersi le foglie
cadere, appoggiata
dolcemente sul davanzale della finestra che Ranma quasi non si rese
conto che erano
passati due interi minuti senza che lei lo chiamasse nuovamente.
Ma
non si fece attendere. Neanche lui riusciva ad
esserne indifferente. Si affiancò alla fidanzata, certo che
in quel frangente
avrebbe trovato quella serenità fra loro a cui tanto
agognava. Anche se le si
fosse avvicinato sfiorandola, lei non avrebbe esposto la
benché minima
protesta. Ranma conosceva quei momenti in cui Akane gli permetteva di
starle
vicino, senza combattimenti od insulti, come una normalissima coppia di
fidanzati.
Erano
brevissimi, certo, ma avrebbero potuto durare
quel che pareva un’eternità se solo entrambi
avessero tenuto la bocca chiusa.
Amava
farla arrabbiare, ma amava anche vederla così
felice e calma e assorta nel suo frammento di sogno ad occhi aperti, e
disegnare nella sua memoria la linea perfetta del suo profilo come se
non
volesse dimenticarla neanche nei brevi tempi di separazione: il naso
piccolo,
con quella curvatura quasi inesistente verso l’alto, la
frangetta che
nascondeva le sopracciglia fini e che sfioravano le ciglia con le punte
carezzevoli. Gli occhi brillanti d’instancabile euforia,
quella che spesso lui
aveva spento; le labbra rosate e forse più morbide di quelle
che ricordava.
Una
folata di vento investì entrambi da Ovest,
mentre le foglie andavano a posarsi dovunque trovassero un posticino
per
stendersi e finire definitivamente la loro corsa della vita.
Una,
due, tre, cinque, sette, dieci. Sembrava che
Akane avesse trovato interessante contarle, anche se innumerevoli.
Qualcuna
cercò di entrare, e la piccola Tendo si
affrettò per agguantarne qualcuna, osservarne le venature
ormai prive di linfa,
per poi lasciarle andare libere soffiandole via. Lo fece più
volte, sorridendo
mesta e raggiante al tempo stesso.
In
quei gesti, Ranma riconobbe i suoi. Quelli del
bambino sottratto alla madre per un assurdo quanto motivato viaggio,
che
cercava qualcosa di divertente che lo distogliesse
dall’infelice pensiero della
sua infanzia rubata, in parte smozzicata qua e là attraverso
svaghi semplici ed
amicizie effimere.
L’autunno
non era la stagione che più comunemente
faceva parte dei suoi ricordi, perché passava tutto
l’arco dell’anno
all’aperto, ma senza alcun dubbio era quella che
paradossalmente preferiva di
più, quella che più gli si addiceva: la primavera
emanava profumi troppo dolci
per il suo naso, anche se non disdegnava dei campi fioriti che di tanto
in
tanto incontrava nel suo cammino di vagabondo; l’estate e
l’inverno erano i due
estremi che spesso mal si conciliavano con la dura vita di due
viaggiatori.
L’inflessione
triste, però, puntualmente si
presentava. Il piccolo Ranma capiva che la ciclicità
dell’esistenza di quegli
alberi che si spogliavano del loro verde carico era quasi giunta al
punto della
fine per poi ricominciare.
Ci
aveva pensato lui, da solo, proprio un giorno
d’autunno simile a quello, senza che qualcuno glielo
spiegasse; ma più che
chissà quale difficile speculazione mentale, quel che
provava era soltanto una
forte sensazione di tristezza. Niente di più, niente di meno.
“Io
amo
l’autunno!” esclamò Akane ancora
palesemente estasiata da quella visione. “È
bellissimo quando le foglie cadono dagli alberi. Ma al contempo
è malinconico,
non trovi?”
Terminò
con altrettanta sovreccitazione quella
domanda, la piccola Akane, seppure con una cadenza più
accorata.
Non
poteva aver udito lo scorrere dei suoi pensieri,
e tanto meno poteva aver sentito il suo respiro fermarsi
nell’istante in cui il
vento trasportò il suo odore personale direttamente alle sue
narici. Ma era
evidente che pensavano alla medesima cosa, scaturita dalla pioggia
color
ruggine che precipitava al suolo, crepitando impercettibilmente; ed era
altrettanto palese che entrambi volevano godere di quel momento, non
solo il
giovane con il codino.
Voleva
entrare in meandri in cui mai si erano
avventurati nei loro dialoghi. Mai avevano affrontato quel tema, della
malinconia, delle caducità di quel che li circondava. O
meglio, non lo avevano
mai approfondito. Lo accennarono insieme quella volta, quel giorno in
cui Ranma
si recò con la famiglia Tendo a visitare la tomba della
mamma di Akane e delle
sue sorelle. Ma l’argomento era caduto così come
era sorto, e solo molto più
avanti lo avevano affrontato ma separatamente, quel maledetto giorno al
monte
Hooh che poi si rivelò quello più felice della
vita di Ranma Saotome.
Al
pensiero le guance di Ranma si colorarono di
un’intensa tonalità di rosso; qualcosa che
però traspariva il ricordo di quella
felicità, e non il normale e semplice imbarazzo che vi lesse
Akane.
La
ragazza aveva sentito le mani ricoprirsi di un
sudore freddo e le gote di un calore bruciante. Chissà come,
aveva avuto il
vago sentore che Ranma la stesse fissando; o perlomeno osservandola di
sottecchi distogliendo lo sguardo di tanto in tanto per avere
possibilità di
non farsi beccare.
Nel
momento in cui si era voltata verso di lui,
però, interpretò quel rossore come indice di
pensieri inequivocabili.
“Maniaco!”
Dapprima
stranito, Ranma si rese perfettamente conto
che Akane non sapeva cosa la sua mente avesse formulato. Di certo, non
era ciò
che lei aveva pensato superficialmente.
“Sempre
a fraintendere, tu!” obiettò con una nota di
stizza, allontanandosi dalla finestra ed uscendo dall’aula.
Osservò
però che la fidanzata aveva assunto
un’espressione dispiaciuta, ed aveva fatto in modo che il suo
volto non desse a
vedere troppo il suo risentimento. Pensò che avrebbe dovuto
proprio
cancellarselo dalla mente, ma non ce la faceva. Come diavolo avrebbe
potuto
conservare pacatezza se lei non gli dava l’occasione di stare
un po’ in santa
pace insieme?
“Ranma...”
Akane
aveva dato le spalle alla finestra, in un
impacciato tentativo di sistemarsi i capelli, mentre lo vide
allontanarsi da
lei. Non appena vide che il ragazzo non si voltava continuando
imperterrito a
camminare verso l’uscita, Akane sentì che le forze
che avrebbe voluto impiegare
per parlagli la stavano letteralmente abbandonando.
Affranta,
sistemò quel poco che restava e lasciò
l’edificio, certa che Ranma l’avesse lasciata sola.
“Sono
stata una stupida” mormorò fra sé,
abbottonandosi il cappotto “ma lui, chissà a cosa
stava pensando...”
Ma
sebbene avesse cominciato a rimuginare su cosa
aveva detto e cosa avrebbe potuto fare per rimediare senza perdere la
propria
dignità, ancora non sapeva che, al di là del
cancello, qualcuno era là ad
aspettarla.
La
giovane camminava a testa bassa, sempre più
convinta di essere lei la guerrafondaia che minava continuamente il
già
delicato rapporto con quello che secondo suo padre era il suo
fidanzato. Ma che
poteva fare se gli ambigui episodi di Ranma, che fossero fra loro o fra
lui e
le sue innumerevoli spasimanti, erano all’ordine del giorno?
Che colpa aveva
lei se in fondo Ranma non aveva mai fatto la sua scelta una volta per
tutte,
almeno non apertamente, lasciandosi abbindolare da tutte: Shan Pu,
Ukyo,
perfino da Kodachi Kuno?
Non
era femminile, e lo sapeva. E nonostante le
numerose volte in cui ci aveva provato, aveva finalmente raggiunto la
consapevolezza che mai lo sarebbe stata; tanto valeva che Ranma
l’accettasse
così com’era o rompesse il fidanzamento.
Il
pensiero le fece rotolare una lacrima sulla
guancia, ma non le permise di scivolare via fino al mento. Si
sfregò con forza
il viso, arrabbiata anche con se stessa. E con lui, e con la sua
presenza che tanto
le aveva stravolto la vita.
Oltrepassò
il portone d’ingresso del liceo Furinkan,
ormai dimentica delle foglie che continuavano a scivolarle addosso.
Oramai la
magia si era sciolta.
“Credevo
di dover aspettare un altro secolo...”
disse la voce sprezzante del ragazzo con il codino.
Akane
alzò lo sguardo stordita, poi incredula. Le
gote le si arrossarono, per molte emozioni: meraviglia, rabbia,
imbarazzo. Si
era addirittura fermata, non sapendo come interpretare il tono di
Ranma. Ma una
cosa era certa: l’aveva aspettata.
“E
comunque, anche a me piace l’autunno.” disse il
ragazzo, facendo cadere delle foglie sulla testa della ragazza. Akane
si parò
gli occhi, abbozzando un sorriso. Il fruscio le arrivò
dritto alle orecchie
rendendosi l’unico rumore distinguibile, ma poco dopo quello
che sentì fu
ancora la voce del fidanzato, sussurrata in modo tale da non cogliere
ciò che
diceva. Ma lei udì lo stesso.
“Sei
bellissima, Akane.”
Scuotersi
alla voce del ragazzo che amava sarebbe
stato sempre il suo punto debole, e chissà come in quel
momento aveva paura di
farsi vedere vulnerabile. L’impertinenza di Ranma
l’aveva posta in uno stato
d’allerta che si sarebbe sciolto solo se lui avesse
dimostrato di tenere a lei,
in veste di compagna, e non a parole.
Ma
quella frase era così nuova,
per lei. Solo una volta Ranma si degnò di tirarla fuori: il
giorno del loro quasi-matrimonio. Ma ora non aveva un vestito bianco e
fiori
sul capo. Non c’era l’atmosfera
dell’evento più importante nella vita di due
giovani amanti. Ma nonostante ciò, i suoi occhi
manifestavano sincerità, e in
una tenerezza acerba, quasi sconosciuta, ma palpabile.
Un
tremore a prima acchito ingiustificato le
solleticò la colonna vertebrale; un velocissimo istante di
cui non sapeva dire
se fosse caldo o freddo.
“Cosa
hai detto?” chiese lei, in un sussurro,
smarrita.
Ranma
si voltò, forse per scappare dalla sua
affermazione fin troppo compromettente, ma Akane lo trattenne prima che
potesse
sfuggirle. Non aveva motivo di fuggire via, se voleva dirle quel che
pensava.
Fra
fidanzati non pensava ci dovessero essere
segreti, o qualcosa di non detto celato fra le pieghe della
quotidianità. Ma
loro non erano due semplici persone che avevano deciso da
sé, quindi era
normale che ciascuno avesse cose proprie da nascondere e che non
dovessero
tener conto dell’altro.
O
no?
Il
momento di distrazione della ragazza valse a
Ranma l’opportunità di liberarsi dalla stretta,
scappando poi lontano di
qualche metro, abbastanza da essere fuori dalla sua portata.
“Non
te lo ripeto!”
Il
giovane con il codino cacciò fuori la lingua in
tono canzonatorio, sperando di farla andare su tutte le furie e di
conseguenza
archiviare almeno per il momento le spiegazioni per il complimento
appena
fattole.
Ma
non aveva calcolato di come Akane in quegli
ultimi tempi fosse meno irascibile, e più propensa a farsi
scivolare addosso le
cose di poco conto. Si incrociò le braccia, osservandolo con
impassibilità.
“Hai
voglia di fare il buffone, per caso? Ricorda
che il tuo repertorio è scaduto già da un bel
pezzo!”
Quella
replica non lo colse proprio alla sprovvista.
Aveva notato che negli ultimi tempi Akane appariva più
contenuta alle sue
dirette provocazioni; e molto più pacata durante gli assalti
delle sue numerose
spasimanti che, nonostante avessero compreso quanto il loro legame
fosse più
forte di una loro qualsiasi incursione,
continuavano a contendersi i suoi favori.
La
piccola Tendo abbassava lo sguardo, borbottava
qualcosa di incomprensibile, forse delle maledizioni, e se ne andava,
incurante
delle sue suppliche che le imploravano di salvarlo.
Ma
contrariamente a quanto faceva prima, non lo
malmenava non appena se lo ritrovava davanti, lanciandogli rimbrotti a
profusione, tanto meno gli teneva il broncio per settimane;
semplicemente lo
ignorava, aspettando che lui le dicesse qualcosa di carino o perlomeno
le
facesse intendere che in fondo, era solo lei la ragazza che gli
interessava
davvero.
Si
rese conto che gli alberi avevano dismesso
completamente la loro chioma ed ora, nonostante il vento che continuava
a
sferzare qualsiasi cosa incontrasse sul suo cammino, non
c’era più nessuna
foglia che non si fosse già depositata a terra. Ranma
avanzò verso Akane, scrutando
attentamente il suo viso in cerca di un qualsivoglia dettaglio che
potesse
essergli contrario. Ma il suo passo era accorto quanto bastava per
farla
rimanere con il fiato sospeso.
Solo
il respiro appesantito della ragazza, e gli
occhi che le si inumidivano ad ogni passo che Ranma compieva, sempre
più forte,
sempre più vicino, manifestavano la sua coscienza.
Perché quelli erano solo
labili sintomi di quello che le stava avvenendo internamente: il cuore
pareva
un tamburo frenetico, che più suonava e più
desisteva dal diminuire il ritmo; un
calore improvviso che partì dalle guance diramandosi per
tutto il viso; l’invisibile
sudore freddo che solcava le sue mani.
Le
dita d’impulso si toccarono l’un l’altra,
come se
dovessero sostenersi a vicenda non trovando altro appiglio salvo il
manico
della sua cartella.
Le
nuvole si dispersero, ed i primi raggi di sole
bagnarono la terra con inaspettata violenza. Ma nessuno dei due
sembrò
accorgersene; troppo presi, anzi, intrappolati dal quel momento che
nessuno dei
due sapeva come sarebbe andato a finire.
Ranma
non aveva niente di preciso in mente, se non un
ancora remoto principio di invito al loro bar preferito. E mentre ne
valutava distrattamente
la fattibilità, la giovane non gli chiese di ripetere quel
che aveva detto,
perché l’aveva capito benissimo. Piuttosto, ne
chiese la conferma.
“Lo
pensi sul serio?”
Ranma
avrebbe voluto annuire vigorosamente, o
sorridere, o fare qualsiasi altra cosa che la potesse far sentire bene,
e unica. Ma se l’avesse
fatto, si sarebbe
cacciato in un mare di guai, prevalentemente
di natura sentimentale. E non pensava fosse il momento adatto, quello.
In
realtà, per lui nessun momento lo era. Preferiva
rimanere sospeso, in quella bolla fatta di una patina carica di
certezze sue
personali, ferree ed inalienabili, e di orgoglio da mantenere saldo,
anche di
fronte a qualcosa di più grande.
Ma
a cosa serviva mentire ancora? Fu questa la
domanda che gli saettò nella mente. Quando glielo disse, non
stava mentendo
affatto, anzi. Gli sorse così spontaneo farle quel
complimento che quasi non
sentiva più vergogna o timore d’alcuna sorta.
Le
arrivò finalmente di fronte, fissandola dritta
nelle pupille degli occhi Ora si sentiva convinto, più fermo
di quanto non si
fosse sentito nel momento in cui la vide nel suo vaporoso abito da
sposa. Che
la situazione fosse di gran lunga meno compromettente, non gli
passò neanche
per la mente.
Abbozzò
un abbraccio, percependo Akane farsi rigida
come un pezzo di legno.
“Pensi
che te lo dica così, per farti piacere?”
Forse
era afflizione, o semplicemente delusione, ma
Akane non riuscì ad ignorare quella cadenza di voce tirata.
Se fino a qualche
minuto prima si era ripromessa di non assecondare le sue capricciose
indecisioni,
ora quei fastidiosi giri di parole diventarono un diversivo per
lasciarle
intendere che dietro a quegli atteggiamenti infantili di bambino
semplicemente infatuato,
si nascondeva un agglomerato di sentimenti difficili da descrivere se
non con
quelle due fatidiche parole che per loro, erano impronunciabili.
Perché
più ami qualcuno, pensava, e più dirglielo
è
difficile.*
***
Più
il tempo passava, più gli anni non erano mai
troppi.
Come
il Sole, che brucia e non per questo stanco di
ardere, arriva perfino al punto di collassare.
Complice
un mattino festivo, la coppia si era
concessa qualche ora in più di ozio sotto le coperte. E
benché avessero fatto
l’amore fino a notte inoltrata, l’organismo di
Ranma proprio non riusciva a riposare
ancora, non quando accanto a lui c’era Akane, completamente
nuda, raggomitolata
su se stessa, coperta solo dalla vita in giù.
Oltre
la finestra socchiusa, filtrò una piccola
serie di foglie ingiallite.
Benché
non fosse avvezza al ragionamento, il
collegamento che fece la mente di Ranma fra quelle foglie e quel
pomeriggio di
trent’anni prima fu così subitaneo che nel
frattempo non passò neanche una
frazione di secondo.
Non
fosse stato per quell’abbraccio, loro ora non
sarebbero lì.
La
donna si mosse, e Ranma chiuse gli occhi e
trattenne il respiro, per timore di svegliarla e spezzare
così quell’attimo che
profumava di loro.
Pensò
che presto quelle foglie sarebbero stata
rimpiazzate con altre; e che queste, nascendo, avrebbero riempito
l’estate
finché non avrebbero fatto la stessa fine di quelle appena
entrate nella loro
stanza.
Presto,
la vita si sarebbe rinnovata; i nuovi giorni
sarebbero stati freschi eppure antichi, legati ad un cerchio
immaginario che
percorre la sua circonferenza ininterrottamente, senza sosta, senza dar
modo di
accorgersi di questo. Non subito, almeno; non nel periodo della vita di
un uomo
in cui nascono le prime vere consapevolezze dell’esistenza.
Per
Ranma questa consapevolezza arrivò nel momento
in cui nacque il suo primogenito; ed anche quando, accanto ad
un’Akane affaccendata
in cucina, non vide sulle sue mani i primi segni della vecchiaia.
A
primo acchito, ne rimase turbato: a quanto pareva,
anche per loro si era fatta avanti quella che veniva convenzionalmente
denominata mezza età. Ma mentre la guardava si accorgeva che
non importava,
perché non aveva minimamente intaccato ciò che
quella donna era per lui.
Akane
era diventata la rappresentazione dell’amore,
bello, forte, duraturo, suo, e i
suoi
occhi erano diventati specchi su cui riflettersi, su cui migliorarsi,
su cui
vivere.
Non
c’era giorno in cui, a distanza di anni, non si
imbambolasse appena quei tre secondi bastanti a scatenare la sua ira o
il suo
imbarazzo. O il suo desiderio. E non c’era ragione che
tenesse quando si
chiudevano in camera da letto, a chiave, facendo il meno rumore
possibile, sperando
che i loro figli non udissero nulla.
E
ciò che avveniva poco dopo era un agglomerato di
sensazioni mischiate fra loro, un treno fischiante che li portava al
confine
fra il mondo in cui vivevano ed un altro più chiaro,
più forte, più sublime.
C’era divertimento, gioia, ma soprattutto c’era
quello sconosciuto che entrava
benvenuto senza neanche aver il bisogno di bussare: l’amore.
Prima
di arrivare a casa Tendo, Ranma non sapeva
cosa significasse la parola amore;
anzi, a dir la verità l’aveva sentita
così raramente che spesso dimenticava
persino che ci fosse sul dizionario.
Ma
d’altronde, come si può saperlo alla soglia
dell’adolescenza, tanto più quando un padre,
snaturato come pochi, sembra
interessato più ad altro, accantonando un discorso simile
come poco virile, e
di conseguenza indegno per un ragazzo a cui è stata
inculcata la convinzione di
perseguire solo il fine di essere il più forte?
Aveva
cominciato ad innamorarsi, pur non sapendo
cosa fosse quel piacevole dolore all’altezza del cuore, ed
aveva iniziato a
custodire quel suo amore sempre più nel profondo, per tener
fede alla credenza secondo
cui un uomo che ama è debole.
Per
questo Ranma non aveva mai confessato a nessuno
di amare Akane, né aveva mai detto dello strambo periodo in
cui neanche sapeva
di esserlo. Neanche quando, sul limitare dei trent’anni,
decise di unirsi a lei
in matrimonio. Da quel momento però, nonostante le
previsioni di suo padre, si
sentì molto più forte di quanto non sospettasse.
Dentro e fuori, gli sembrava
di non mancare di nulla.
Ma
si rese conto che Akane su quel piano l’aveva
battuto molto tempo prima.
Era
sempre stata lei quella sempre e veramente forte
di spirito fra i due, quella che
riusciva a prendere la vita di petto senza vacillare, senza dare segni
di
cedimento e successiva sconfitta. Quando capitava si rialzava, senza
però il
timore di ricominciare la sua lotta, e lo faceva con coraggio, e con
convinzione, e con quella fiamma negli occhi che mai si spegneva, per
niente e
per nessuno.
La
sua piccola figura spesso dava un’impressione
sbagliata, regalandola alla vista degli altri come una ragazza ancora
nel fiore
degli anni, fragile, inconsapevole degli orrori del mondo, bisognosa di
protezione. Ranma però sapeva che Akane non era nulla di
tutto questo. Per lui,
non c’era nulla in lei che non trasudasse tenacia, forza,
generosità, maturità,
bellezza.
Forse
era sempre stato l’amore a parlare, o forse
c’era qualcos’altro che lui magari ancora non aveva
compreso di lei. Ma
standole sempre accanto, osservandola ogni giorno, litigando, soffrendo
o
gioendo insieme, il ragazzo con il codino aveva notato così
tante differenze
dal resto dei suoi conoscenti che spesso si chiedeva se Akane fosse
davvero una
ragazza.
Le
altre non avevano neanche una briciola di quella
fermezza. Dicevano spesso di amarlo con così tanta
naturalezza, quasi
calpestandosi, che Ranma dubitava dell’autenticità
delle loro parole. Perché
troppo facili, spuntate da bocche troppo leggere, troppo lascive.
Come
si può sapere di amare una persona a sedici
anni?
Mentre
Akane continuamente lo negava, per quanto i
suoi gesti e le sue parole spesso la tradissero.
Di
questi cedimenti Ranma ne era lusingato quanto
felice, e ne fu spronato. Se una ragazza testarda come lei, che aveva
anteposto
il suo essere alla femminilità, non
curandosi dell’opinione altrui, mostrava senza
volerlo quelle lacune sul
suo scudo apparentemente inscalfibile, lui si diede la spinta per
lasciarsi
andare, e tutto cominciò quel lontano giorno autunnale.
L’aveva abbracciata, e
avendo lei ricambiato la stretta l’aveva baciata senza
pensarci troppo. Non
passarono molti giorni da quando se l’era portata a letto, e
da allora non
aveva più smesso. Solo molto tempo più tardi le
disse di amarla, e fu come
liberarsi di un macigno che gravava su tutta la sua persona.
I
giorni passavano, e con essi gli anni, fino ad
arrivare all’autunno della loro vita, rendendosi conto,
giorno dopo giorno, di
aver passato la propria esistenza al meglio, e di non averla
vanificata.
Sentì
che Akane si stava svegliando, così avvicinò
il suo volto a quello di lei per morderle dolcemente le labbra.
“Buongiorno,
scemo!”
Sbadigliò,
sentendosi leggermente a pezzi. Quando
suo marito si sfrenava non c’era verso di fermarlo. E chi
voleva farlo,
d’altronde?
“Sai
di buono, lo sai?”
“Smettila
idiota!” rise lei divertita. “Sicuramente
è il bagnoschiuma di ieri quello che senti.”
“Secondo
te dopo stanotte è rimasto ancora quel
cattivissimo odore di vaniglia o quello che era? Che fai?”
proseguì lui,
vedendo che le guance della moglie s’imporporavano
“Arrossisci ancora dopo tutto
questo tempo?”
Cinquant’anni,
ed Akane in fondo era sempre la stessa
bambina appena ventenne che s’imbarazzava facilmente, che per
nascondersi si
tirava fin sopra gli occhi le lenzuola.
In
quel frangente, Ranma era sicuro che la risposta
fosse affermativa.
NDA
Oddiochehocombinato...
*si
ricompone*
Salve!
Anche
se ramingo altrove, mi piace sempre tornare in
questo fandom di tanto in tanto! xD
Qualcuno
di voi già sapeva che mi sarei fatta viva
con una OS, e ringrazio di cuore del supporto ricevuto! Spero non abbia
deluso
le aspettative. :P
Un
grazie enorme alle mie carissime Ladies, e a
chiunque passi da queste parti per leggermi! ^o^
Passo
e chiudo.