Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses
Segui la storia  |       
Autore: Nicky Rising    08/02/2015    0 recensioni
L'autobiografia della più grande rockstar degli anni '90, Minnie, in arte Aree Monroe, diventata famosa grazie al suo produttore Axl Rose e alle sue molteplici collaborazioni con i Guns N' Roses. Ripercorriamo insieme alle sue stesse parole le emozioni, e la strada che l'ha portata al successo insieme agli uomini che lei stessa, ancora oggi, definisce come i più importanti della sua vita.
Aree sono io e siete voi: prendendo spunto solamente dai sogni, un personaggio e una storia, che spero vi possano appassionare. Mia prima long degna del termine!
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose, Quasi tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1991,  Settembre “Guns N’ Roses – Paradise City”
 
“Vai via sul serio?”
“Manca ancora un sacco di tempo..”
“Sono solo tre mesi.”
“Se usi questo tono sembrano pochi.”
“Quando torni?”
“Non lo so”
Mi abbracciò, forte. Non mi aveva mai abbracciato. Sorrisi.
Dopo un po’ lo lasciai, ma la sua mano continuava a stringere la mia.
Mi stavo guardando i piedi, era diverso dal solito.
Prese un respiro, profondo, forse esagerato.
“Minnie?”
Questa volta lo guardai dritto negli occhi
“Cosa?”
Mi attirò di nuovo a sé, le sue labbra si appoggiarono sulle mie, in un bacio completamente inaspettato. Perché adesso? Perché ora?  Mi piaceva dalla prima superiore, come poteva essersene accorto così tardi. Finimmo in un altro abbraccio, iniziò a parlare, piano, dolcemente, come se avesse paura di rompermi.
“Non andartene,  resta con me, almeno in questi tre mesi, poi, quando dovrai partire, io.. ti aspetterò” Stretta a lui, mi sentii protetta, annuii.
Michele era il mio migliore amico da quando lo conobbi per caso nell’estate tra la terza media e la prima liceo. Lo riconobbi subito come un ragazzo simile a me nella diversità e nel criticare costantemente la società in cui ci trovavamo. Adoravo il suo modo di fare, il suo sguardo pulito, lo volevo così tanto con me da sognarlo anche la notte: immaginavo la nostra storia come il più bel romanzo rosa esistente. Ma non glielo dissi mai. Mai. Forse, se lo avessi fatto, avremmo evitato di vivere quella storia adolescenziale soltanto per tre mesi.  Era tutto sereno: passavamo insieme quasi tutti i pomeriggi, ogni tanto mi stringeva a sé, forte. Tutto quello che volevamo evitare era pensare a quando, a dicembre, sarei dovuta andare via.
Era un amore semplice, di quelli che probabilmente sarebbero cresciuti, tanto. Chissà, forse se Axl non fosse entrato nella mia vita, mi sarei sposata con lui, avremmo comprato casa, avuto dei figli, un cane, un lavoro stabile, uno stipendio. Ma niente musica, niente successo, solo semplicità. Troppa semplicità, banale. Quella vita che tante ragazze avrebbero considerato come il futuro perfetto, per me, non era abbastanza. Per me mai niente era abbastanza: non mi bastava la vita che avevo, l’amicizia, nemmeno l’amore. Volevo il massimo, volevo il cielo, volevo tutto, ma più di ogni altra cosa, volevo che il resto del mondo si ricordasse per sempre di me. La fama. Doveva essere mia. Pensieri egoisti come questi mi impedivano di essere felice per le piccole cose.
Non mi accontentavo di nulla.
Per quanto il periodo che passai con Michele fu dolce, pieno di quell’affetto sincero che solo due ragazzi possono provare l’uno per l’altra, quando mi resi conto che alla fine dell’anno dovevo partire, anziché dispiacermi per quella che sarebbe stata la fine della nostra storia, non riuscivo a contenere l’irrefrenabile desiderio di andarmene da quella cittadina che non mi aveva mai dato nulla a sufficienza.
Ad agosto di quell’anno, trascorsi tre settimane in Inghilterra per imparare la lingua, che dopo soggiorni esclusivamente trascorsi presso famiglie londinesi, parlavo e capivo perfettamente. 
Mia madre, inizialmente, prese malissimo la proposta di Axl, fummo io e mio padre a convincerla. Quando Axl parlò ai miei della sua idea la tensione era alle stelle, anche perché loro sapevano ormai benissimo a cosa stavano andando incontro. Mamma credeva fosse uno scherzo: l’idea che la sua bambina se ne andasse di là dall’oceano con delle rockstar ubriache non la sfiorava nemmeno. Fortunatamente, avevo papà che mi supportava: esperto nel campo della musica, si rendeva conto molto meglio di lei che l’opportunità che mi era stata data era qualcosa di totalmente incredibile, che bisognava accettare al volo. Quello che, però, alla fine,  riuscì a smuovere mia madre fu una lettera che le lasciai a metà luglio sul comodino, come le bambine piccole, che non hanno il coraggio di parlare apertamente alla mamma e quindi le scrivono dei bigliettini.
Cercando tra varie scartoffie e ricordi, sono riuscita a trovare la malacopia di quella lettera, che ora ricopierò qui, per quanto imbarazzante possa essere:

“Ciao Mamma
Voglio essere sincera, non so che cosa prova una madre verso una figlia, e credo che non lo saprò fino a quando io stessa non diventerò come te, ma posso immaginare come debba sembrare ridicola per te l’idea di abbandonarmi a chilometri di distanza, in una metropoli grande, che sta vivendo in questo periodo la più deliberata sregolatezza. Una città drogata di erba, di fumo e di Rock N’ Roll. E’ osceno pensarci, è assurdo anche solo poter credere che per un anno non mi rivedrai perché sarò affidata ad un uomo che conosci solo per via dei poster appesi ovunque nella mia camera. Il problema è che, per me, questa nuova vita che mi è stata proposta, è un sogno. E’ il sogno in cui spero da quando ero bambina. L’idea di passare tra folle adoranti di ragazzi che sono stati fermi ad aspettare ore solo per incontrarmi. Tu lo sapevi, te lo dicevo così tanto spesso, ti dicevo che se non sarei riuscita ad avverare il mio sogno non sarei mai stata felice, e tu mi dovevi riuscire a distogliere da questo chiodo fisso, perché nessuno, nessuno di noi pensava che davvero mi si sarebbe presentata l’occasione di farcela. Ma si è presentata, e noi la vogliamo buttare al vento. Vogliamo perdere il treno del mio futuro perfetto anche se questo si è fermato proprio di fronte a me, con le porte aperte. Paura? Paura di un cambiamento certo, ma non si può, mamma non si può. Non ce la farei a crescere con il ricordo di quando ho dovuto evitare la vita che avrei sognato. Sarebbe un pentimento completo, non solo mio, di tutta la famiglia, perché ne sono sicura, ne sono sicura che se io andrò con Axl, allora riuscirò a diventare qualcuno. Ti prego lo so che è difficile, ma ascoltami. Ascoltami perché si parla di quello che ho sempre desiderato. E ora è qui.
Io sono pronta. E tu?
Per sempre tua,

Minnie”

Mamma era entrata nella mia camera poco dopo, con il biglietto in mano e la fronte corrucciata:
“Minnie non.. Non puoi pretendere da me.. Un sacrificio come questo...”
La guardai, in quel momento pensai che fosse tutto finito. Ok, sarei restata a casa, non potevo permettermi di far soffrire mia madre. Restai in silenzio, annuii.
“Tesoro, mi capisci, vero? E’ troppo pericoloso..”
“Non voglio chiederti niente.. In fondo è una tua decisione, non posso pretendere nulla.. Volevo.. Solo ricordarti quanto questa cosa fosse importante per me..”
“Oh, lo so.. E’ per questo che mi sento in colpa.. Non potrei mai, mai distruggere il tuo desiderio più grande.. Io.. Minnie tu davvero, se potessi, prenderesti un aereo e ti trasferiresti a Los Angeles? Lontano da casa, dai tuoi amici, dalla tua famiglia.. Da me?”
La guardai, era una domanda sincera, mamma non era ancora convinta, nessuno era convinto di niente, in realtà. Ma io..
“Sì”
“Come hai detto?”
“Io.. ho detto.. Sì. Voglio andare. Voglio farlo. Quella è la mia vita..”
La vedevo, soffriva così tanto, ma alla fine pronunciò una sola sillaba.
“Va’..”
“Cosa?”
“Vai, Minnie. Non posso.. Non posso permettere a me e a nessun altro di fermarti.. Sei bella, sei giovane, sei così brava.. Il tuo posto non è qui e io devo accettarlo..”
Aveva gli occhi lucidi, ma sorrideva, timidamente, la sua voce era flebile, ma ferma.
Ricorderò per sempre il suo sguardo, occhi che avevano capito, occhi che soffrivano, ma che sapevano di essere impotenti davanti a quello che sarebbe successo.
“Mamma, sul serio, va bene anche così, non voglio che tu stia male per questo..”
“Ti ho detto di andare.. Promettimi solo..”
“Qualsiasi cosa, mamma”
Ero felice, ce l’avevo fatta, ma non riuscivo a sorridere, non davanti alla sua espressione triste. Mamma era sempre stata una donna forte, che aveva cresciuto nove figli, che si era sposata a diciannove anni e che, da allora, era sempre riuscita a lottare per avere una vita dignitosa davanti ai pregiudizi degli altri. Un amore fermo per suo marito che la spingeva a lavorare sempre per tutti noi senza chiedere nulla in cambio. Era una donna meravigliosa, che non mostrava mai la sua stanchezza, sensazione che sostituiva con un sorriso. Ora, però, la vedevo abbattuta, sconfitta, rassegnata. Un’espressione simile l’avevo vista solo quando Jack, secondogenito, virtuoso del violino, era partito per l’Inghilterra qualche mese prima, per un conservatorio adatto al suo talento. Anche lui, come me, avrebbe passato lontano da casa moltissimo tempo e sarebbe tornato in Italia solamente per le vacanze. Sapevo anche, però, che Jack era grande, aveva ventuno anni, non diciassette.
“Mi devi telefonare tutte le settimane e te ne freghi dei soldi che spendi”
 “Promesso”
“Natale lo passi qui, sia questo che il prossimo, almeno Natale”
La nostra famiglia teneva moltissimo al Natale, era considerato un po’ come il giorno in cui tutti lasciavano i propri impegni da parte e si ritrovavano insieme, c’eravamo promessi che questa tradizione sarebbe rimasta anche con il passare degli anni, quando tutti noi avremmo avuto lavoro, figli e un cane.
“Promesso”
“E, Minnie..”
“Cosa?”
“Promettimi che non farai niente.. Non fare cose che sapresti che non mi piacerebbero. Lo so che sarai in un ambiente diverso.. e che.. magari ti sentirai in dovere di fare delle cose per.. per sentirti accettata.. ma.”
Era piuttosto impacciata a parlare di certi argomenti, le risparmiai la fatica di proseguire il discorso prima che potesse diventare imbarazzante.
“Ho capito, niente sesso e droga, solo Rock N’ Roll”
Mamma sorrise timidamente e, troppo commossa per rimproverarmi delle parole inadeguate che mi erano uscite di bocca, mi abbracciò.
Obbiettivo raggiunto, partenza fissata per l’1 gennaio 1992, ritorno, 25 dicembre 1992.

Axl, durante il dicembre del ‘91, ogni tanto si presentava da noi, mi faceva fare qualche esercizio di canto e poi mi faceva dialogare in inglese per vedere come andava. Diciamo che se riuscivo a capire il suo modo di esprimersi, considerato dai giornalisti il parlato più incomprensibile di tutti gli States, allora ero pronta. Lui odiava le interviste, e il mondo dello spettacolo lo sapeva bene. In tutta la sua carriera ne avrà fatte massimo una decina. Le detestava. E i giornalisti, così detestavano lui: Axl non faceva interviste? Ottimo, e noi tabloid gli tiriamo della merda addosso. Così funzionava. Ma non era colpa sua: da quando il suo accento dell’Indiana era diventato uno spunto per essere preso di mira, aveva deciso che era meglio parlare poco, soprattutto con i giornalisti.

Axl era nato a Lafayette, in Indiana, da una madre piuttosto ininfluente e da un padre di cui, inizialmente, non conosceva neppure il nome. Fu cresciuto da lei e dal suo patrigno, Stephen Bailey, un pastore protestante che istruiva i propri figli a suon di cinghiate e passi del vecchio testamento. Axl crebbe con i suoi due fratellastri minori, Stuart ed Amy, e, solo a diciassette anni, scoprì che Stephen non era che un patrigno. Quando chiese spiegazioni, riuscì a conoscere solo il cognome del vero padre: Rose. I rapporti con la famiglia, intanto, andavano sempre peggio, tant’è che alla stessa età fu sbattuto fuori casa. A scuola, di certo, il clima non era migliore: era un ragazzino solo, con una strettissima cerchia di amici, una reputazione da ragazzo disturbato e pericoloso, i capelli lunghi, le spalle ricurve e le gambe troppo esili. La prima ed unica persona che gli mostrò un po’ di vero affetto fu un certo Jeffrey Dean Isbell, che, con il passare degli anni, cambiò nome in Izzy Stradlin e divenne chitarrista dei futuri Guns N’ Roses. Izzy era tutto il contrario di Axl: spacciava erba, aveva il suo solito seguito di ragazze osannanti ed era considerato come il classico ragazzaccio ribelle amato da chiunque. Eppure, nonostante la popolarità, aveva scelto Axl, che allora si chiamava ancora William Bruce Bailey, come suo nuovo amico: passò il resto del periodo scolastico a proteggerlo, ad aiutarlo, a supportarlo, e, quando alla fine del liceo gli disse che sarebbe partito per Los Angeles, lui aspettò pochi mesi, e poi lo seguì. Aveva diciotto anni e lo fece attraversando metà America a piedi e con qualche autostop, rischiando di incontrare tutte le volte persone mal intenzionate. Anche quando riuscì ad arrivare, le cose non andarono meglio: si ritrovò circondato da spacciatori e stupratori, che volevano approfittarsi di un ragazzino fragile, con le sembianze piuttosto femminili, forse gay. Spaventato dall’accoglienza della nuova città, era tornato indietro molte volte prima di stabilirsi definitivamente a Los Angeles, e, quando lo fece, nel 1985, fu grazie alla sua ragazza dell’epoca, Gina Sailer, che lo accompagnò.
Dopo aver rincontrato Izzy, iniziò a mobilitare in molti gruppi, fino a quando non nacque l’originale formazione di quella band chiamata Guns N’ Roses, nome nato dal cognome di Axl e da quello del primo chitarrista del gruppo, Tracii Guns, che fu poi sostituito da Slash. Steven Adler alla batteria, Duff Mckagan al basso, Izzy Stradlin alla chitarra ritmica, Slash a quella solista e W. Axl Rose alla voce, che, appena trasferitosi a Los Angeles, aveva scelto questo nome per diventare una leggenda. Nonostante nell’87 venne pubblicato il loro primo album e il successo li travolse, di problemi ce n’erano, e anche tanti: i Guns erano considerati cinque ragazzacci con cui era meglio avere il meno possibile a che fare, squilibrati, violenti, alcolizzati e imbottiti di eroina. Lo stesso Axl, dopo un periodo di dipendenza, si era disintossicato, pretendendo che anche gli altri componenti facessero lo stesso, senza, però, mai riuscire ad essere ascoltato. Se non era la droga il punto debole del cantante, allora qual’era? Gravi difficoltà psichiche: aveva dei violenti attacchi d’ira, che capii solo quando potei osservarlo da vicino. Si trasformava in un altro, si comportava come un animale, come un mostro, come un malato mentale, e, poi, dopo anche solo pochi minuti, si calmava e scoppiava a piangere per la sua mancanza di autocontrollo. Questi problemi lo portarono ad isolarsi e a cercare una psicoanalista che gli serviva anche per capire un suo altro problema: un odio represso per le donne, che cambiò solo con la relazione con Gina e, successivamente, con Erin Everly.
Erin era una bellissima ragazza che Axl amò più della sua stessa vita in un periodo che andò dal 1986 al 1990. Lei e Axl si erano anche sposati, dopo che lui si era puntato una pistola alla testa chiedendo la sua mano: “O mi sposi, o mi ammazzo.”, lei accettò e dopo pochi mesi chiesero il divorzio. La canzone Sweet Child O’Mine, forse la più bella e famosa canzone del gruppo, è una poesia scritta da Axl per lei, in cui fa trapelare l’impossibile amore fra i due, che, amandosi alla follia, non riuscivano a stare né insieme, né lontani. Quando si lasciarono, Axl iniziò ad avere una relazione con Stephanie Seymour, una famosa supermodella: bella, carismatica, innamorata. I due si erano messi insieme nel 1990 e sembrava che non si dovessero lasciare mai più.

Ad ogni modo Axl era molto più cortese di come tutta la famiglia pensasse: entrava in casa, salutava i miei, a volte fermandosi anche a parlare con mio padre, che era molto interessato a capire come funzionasse il mercato della musica in America, faceva un cenno a qualche mio fratello che incrociava per i corridoi, entrava in camera mia, appoggiava la sua bottiglia sulla scrivania e iniziavamo a provare, con molta professionalità. Mi resi conto subito che era molto diverso da come veniva descritto in TV o sui giornali. Era una persona semplice, non un ribelle. Forse voleva sembrarlo, e agli occhi dei media c’era riuscito, ma non ai miei.

Quel giorno di metà dicembre, mi pare fosse il 16, stavamo insieme nella mia camera, a fare esercizi.
“Di nuovo.”
“Ti ho già detto che non ci riesco.”
Stava con le mani sul pianoforte, mentre cercava di farmi intonare una nota che non avevo mai raggiunto.
“Ti manca la sicurezza, nient’altro.”
“Sono molto sicura di me, invece..”
Lui scosse la testa, quasi con un’espressione delusa:
“Forse, mi sono sbagliato: sei troppo timida per diventare una Rockstar..”
Questa frase mi irritò ulteriormente, forse suo obiettivo dall’inizio, ma se voleva delle dimostrazioni di carattere, gliele avrei date. Mi parai di fronte a lui con le mani sui fianchi ed un’espressione di sfida sul volto:
“Dimmi cosa devo fare”

Ora si ragiona! Potere! Ora ho del fottuto potere in mano. Perché non divertirsi un po’?
Dio, Allora ha ragione la mia analista! Sono fuori di testa. Non posso sfruttare le persone. Non si fa così. Però.. Insomma, sono il suo insegnante.. Posso.. chiederle tutto quello che mi sembra.. utile.. Mi sento sadico, ma non voglio esagerare, solo.. Solo.. Vedere se questa ragazzina ha effettivamente le palle.. Minnie.
Minnie è un bel nome. Lei è bella. Oh, Cristo, devo smetterla. Ha diciassette anni! Ma..


Axl sorrise con aria assorta, un po’ preoccupante, forse.
“Prova a fare questo esercizio, vediamo se hai il coraggio a sufficienza. Pronta?”
Mi sembrava troppo divertito, non capivo che razza di esercizio potesse entusiasmarlo così tanto, ma ostentai sicurezza, per fargli cambiare opinione su di me.
“Certo.”
“Dammi un bacio e intanto guardami.”
Il mio cuore ebbe un sussulto.
“Come scusa?!”
“Hai capito bene!”
Mi tirai indietro:
“Beh, non posso farlo..”
“Ah no? E perché? E’ solo un esercizio, il tuo ragazzo carino non deve preoccuparsi.”
Rideva, non voleva aiutarmi, voleva solo divertirsi un po’ con me. Mi stavo innervosendo.
“Allora bambolina?”
Non era giusto, non funzionava così, ma più tempo gli avrei fatto aspettare, più lui avrebbe pensato che non avessi avuto abbastanza coraggio. Io avevo coraggio. Certo che ne avevo. Giusto?
Mi avvicinai al suo viso, con le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati. Chiusi gli occhi e gli stampai un bacio sulle labbra. Quello era solo un esercizio, l’aveva detto lui. Era una lezione, una pura lezione. Ma quel contatto, lui, stavo.. baciando Axl Rose?!
Sentii la sua mano sfiorarmi le palpebre, voleva che aprissi gli occhi.
Lo feci, e mi ritrovai vicinissima ai suoi, di quell’indefinibile  color verde acqua, occhi che sorridevano. Mi allontanai, di scatto, guardando per terra.
Mi guardò divertito.
“Mh, puoi migliorare..”
“Non rompere.”
Scoppiò a ridere, di gusto, cosa c’era di così divertente? Non lo sapevo, ma risi anch’io, mentre mi fissavo insistentemente i piedi per nascondergli il viso che ormai mi era diventato di un rosso simile ai suoi capelli. Per distrarlo dalla situazione, che continuava a divertirlo molto, volli cambiare discorso, chiedendogli, esattamente, che cosa mi aspettasse di là dall’oceano.
 “La giungla” disse lui con il sorriso ancora sul viso.
Risi. I Guns N’ Roses avevano definito Los Angeles così nella prima loro canzone che avevo sentito per radio nell’87.
“No, seriamente.. Io vivo a Malibù, è una cittadina nella periferia della contea, sul mare, e, in realtà, è un posto tranquillo.. E’ il centro che è un casino. Il centro è la giungla. E soprattutto le stazioni. Cazzo, lì devi stare attenta. E non girare di notte, bimba, davvero, non farlo..”
“Mi stai preoccupando” dissi sorridendo, ma, in realtà, stavo iniziando veramente a convincermi che la Città degli Angeli non fosse il paradiso che tutti descrivevano.
“Ascoltami, ci sono tre tipi di persone a Los Angeles: gli attori, le rockstar e gli altri cittadini annoiati che rincorrono le prime due categorie ascoltandosi un buon concerto o guardandosi la prima di un film. Gli attori sono degli stronzi, ma sono innocui, invadono Hollywood e si sentono degli dei in terra, ti guardano dall’alto e girano solo con un sorrisetto viziato in faccia. Le rockstar, che saremmo noi, sono i ribelli ubriachi e strafatti che incontrerai soprattutto nei locali del centro. Stanno lì a suonare, a bere oppure a fare a pugni con qualche figlio di puttana. Sai, anche se gli attori fingono di considerarci merda in realtà veniamo stimati da tutti, perché, andiamo, ci scopiamo dalle due alle cinque tipe a serata.. E poi ci sono gli altri, che ti dirò, sono i più pericolosi di tutti..”
“Perché?” Lo ascoltavo come se fosse diventato il mio nuovo profeta.
“Perché in mezzo ci puoi trovare di tutto bambolina, dagli spacciatori ai serial killer, dai ladri agli stupratori. Sono negri, gay, fuori di testa e mai completamente sobri, e spesso ti offrono della roba che ti manda al creatore in meno di tre minuti. Dillo a Steve e a Slash, loro lo sanno meglio di me, ci sono cresciuti in quella merda di città. Io, invece, personalmente, ci sono arrivato con uno zaino sulle spalle, una bomboletta spray per autodifesa in una mano e una spranga nell’altra”
“Steven Adler e Slash?” Lo guardai, era incredibile sentir parlare il mio più grande idolo di altri due miei eroi come se fossero state le persone più comuni del mondo.
“Ehi, dovrai farci l’abitudine, o finirai per svenirgli davanti quando li incontrerai.”
Non riuscivo a smetterla di sorridere, non vedevo l’ora di partire, volevo farlo subito, prendere un aereo e non tornare mai più.
“La mia descrizione di quello schifo di posto non ti è bastata? Non entusiasmarti troppo bimba, potresti finire male sul serio se non stai attenta, ricordalo”
Mi stava innervosendo, voleva invitarmi nella città dei sogni o farmi cambiare idea?
“Axl, davvero, se la odi tanto perché ci vivi?”
D’improvviso cambiò espressione, sorrise, gli occhi sognanti: la giudicava tanto, ne parlava male, ma in realtà si vedeva che ne sentiva terribilmente la mancanza. Bevve una sorsata di Jack Daniel’s.
“Perché per quanto sia una giungla, per una tigre è casa.”.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Guns N'Roses / Vai alla pagina dell'autore: Nicky Rising