Film > The Phantom of the Opera
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Autore: bloodred_rose    01/12/2008    4 recensioni
Cosa sarebbe successo se Raoul avesse aspettato, non dico tanto, ma almeno una decina di minuti prima di svegliarsi la mattina dopo il ballo in maschera? Sarebbe arrivato più tardi al cimitero e avrebbe lasciato il tempo a due personaggi che conosciamo bene di chiarirsi. O almeno di provare a chiarirsi. Perché tutto nella vita è solo una questione di tempo...//Ok, non ho ancora idea di come continuerà questa cosa, ma posso assicurarvi che continuerà (ho parecchie idee a proposito) e temo di essere costretta a dirvi che quasi certamente mancherà un vero e proprio lieto fine... Io vi ho avvisati... Ricordatevi che una recensione (anche negativa) non ha mai fatto male a nessuno^^.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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JUST A MATTER OF TIME

FORGIVE ME MY SINS
 

Era di nuovo nella casa sul lago, di nuovo tra le braccia di Erik, di nuovo persa nei suoi baci, ma questa volta né la folla né tantomeno Raoul si sarebbero intromessi. Sentiva le labbra di lui tracciare una scia confusa lungo la sua gola, mentre lei finiva alla cieca di sbottonargli la camicia per poi fargliela scivolare dalle spalle. In un secondo si ritrovò distesa sul letto, circondata dalle lenzuola di broccato rosso, con la sua bocca premuta contro il seno e le sue mani che correvano lungo tutto il suo corpo, facendola rabbrividire di un piacere proibito. Attraverso le palpebre socchiuse lo vide sollevarle la gonna, lo sentì accarezzarle l’interno delle cosce, vicino, sempre più vicino…

Christine si svegliò di soprassalto e si mise immediatamente a sedere con le lenzuola sudate attorcigliate attorno alle gambe e il respiro affannato, rendendosi conto di essere nella sua stanza alla villa dei de Chagny. Era passata una settimana da quella notte, una settimana scandita dagli sguardi e dai sussurri scandalizzati della servitù, dalle deboli rassicurazioni di Raoul e da quei sogni che le toglievano le forze. L’idea stessa del tramonto le era diventata insopportabile perché il calare del sole l’avrebbe condannata a rivedere ancora una volta ciò che non poteva avere. Si stava lasciando cadere in un abisso dal quale non aveva speranze di uscire e al cui fondo c’erano solo infelicità e apatia. Era vero, amava Raoul, su quello non aveva mai mentito, ma non era l’amore che lui meritava dalla donna che doveva diventare sua moglie, la stessa donna che aveva consegnato la sua anima, il suo cuore e, nei suoi sogni, il suo corpo ad un altro uomo. Erik, il suo Angelo della Musica. Si era resa conto di amarlo davvero solo quando lui li aveva lasciati liberi, quando l’aveva praticamente costretta ad andarsene, lasciandolo alla mercé della folla che lo voleva morto. Una parte di lei era certa che fosse riuscito a fuggire in tempo, ma l’altra era terrorizzata all’idea che si fosse consegnato ai suoi inseguitori per espiare peccati di cui era solo parzialmente colpevole. Forse era per questo che continuava a sognarlo, perché sapeva che, se fosse morto, la colpa, almeno dal suo punto di vista, sarebbe ricaduta su di lei. Perché, in questo caso, sarebbe morto senza sapere che lei lo amava. Con un gesto di stizza scostò le lenzuola e, aprendo appena una fessura tra le pesanti tende che oscuravano la stanza, si accorse con sollievo che era mattina, anche se da poco. Si vestì in fretta, grata di non aver bisogno di nessun aiuto, e scribacchiò un biglietto, che lasciò in ingresso, nel quale spiegava che aveva semplicemente sentito nostalgia di Parigi e che era andata a fare visita a madame Giry e a Meg. Dubitava che Raoul avrebbe creduto ad una simile scusa, ma con lui avrebbe fatto i conti una volta di ritorno… sempre che fosse tornata. Uscì, senza voltarsi indietro nemmeno per un istante, consapevole che si stava lasciando alle spalle non solo una vuota gabbia dorata, ma anche quella parte del suo cuore che sarebbe sempre appartenuta al suo primo amore.

 

 
L’alba si levava sulla città di Parigi addormentata, mentre una singola carrozza correva lungo rue Rivoli. Si fermò davanti a un portone, lasciando scendere un uomo di origine chiaramente straniera, spossato dal lungo viaggio e turbato dalle notizie che gli erano giunte fino in Italia. Aveva saputo un paio di mesi prima da informatori sufficientemente affidabili di un qualche scandalo all’Opera Populaire, ma allora non aveva pensato che quello scandalo potesse avere a che fare con Erik. Poi, appena una settimana prima, era venuto a sapere dell’incendio che aveva devastato il teatro e del contemporaneo rapimento di Christine Daaé da parte del Fantasma dell’Opera e si era dato dell’idiota per non aver capito. Erik aveva ignorato un’altra volta i suoi consigli e si era cacciato nei guai, fino a che punto ancora non lo sapeva. Sperava solo di non essere arrivato troppo tardi. Entrò in casa, trovando il fedele Darius ad aspettarlo con un'espressione preoccupata dipinta sul volto. Scambiarono qualche rapida parola in persiano, poi Nadir Khan, ex daroga di Persia, si diresse verso il suo studio ed entrò a passo di carica. Appoggiata al davanzale della finestra, dandogli le spalle mentre osservava il sorgere del sole, stava la figura scura di un uomo, un uomo che lui conosceva molto bene.
«Ah, daroga, finalmente!» mormorò e non fu il suo tono stanco a stupire Nadir, ma la maschera che indossava, non la solita, elegante stoffa bianca a cui si era abituato, ma quella di cuoio nero che era solito portare a Mazenderan.
«Dimmi che niente di quello che ho saputo è vero…» Erik sospirò pesantemente.
«Vorrei poterlo fare, ma non posso.»
«Maledizione, Erik!» scattò il daroga. «Sei impossibile! Ti lascio da solo due mesi e tu combini un disastro! Hai dato fuoco all’intero teatro, te ne rendi conto?» l’uomo si accasciò su una sedia, lasciando andare un altro sospiro.
«L’incendio è stato un incidente.» sussurrò. «Almeno di quello non accusarmi.»
«E Piangi? E il rapimento di Christine? Incidenti anche quelli?»
«D’accordo, daroga, hai vinto tu. Vuoi sentirmi dire che sono un mostro? Va bene!» Si alzò di scatto e, dopo avergli lanciato un’occhiata di fuoco, iniziò a misurare a grandi passi la stanza. «Ho ucciso quell’idiota di Piangi e non so nemmeno il perché, non ho idea di cosa mi abbia preso quella notte. So solo che si trovava tra me e Christine e mi è parso un motivo sufficiente per toglierlo di mezzo. No, non mi interrompere, dannazione!» scattò non appena lo vide aprir bocca. «Adesso starai a sentire tutta la maledetta storia fino alla fine! Ho rapito Christine e l’ho anche quasi costretta a sposarmi, minacciando di uccidere il suo visconte. Avrei fatto quello ed altro se lei non mi avesse fermato. Li ho lasciati andare… che altro avrei potuto fare?» scosse la testa, ridendo di se stesso. «Pensavo che così mi sarei sentito meno in colpa, che sarei riuscito a perdonarmi per i miei peccati… e l’unica cosa che ho ottenuto è stato perdere anche il poco che avevo!»
«Hai guadagnato la libertà…» la sua risata ironica si fece ancora più forte.
«La libertà? Io non sarò mai libero. Non mi libererò mai del suo ricordo, né del pensiero di lei tra le braccia di quel ragazzo, né tantomeno dei miei sensi di colpa. E in ogni caso sono un ricercato, ho tutti i gendarmi di Parigi sulle mie tracce ad aspettare solo che io faccia un passo falso. Libero? No, daroga, io non sono libero per niente.» E con questo tornò a voltarsi ostinatamente verso la finestra, fissando il sole già più alto nel cielo.
«Vieni con me.» ordinò dopo un attimo il persiano, rompendo il silenzio.
«Cosa? E dove?»
«Tu seguimi.» Si voltò e uscì dalla stanza, solo per girarsi nuovamente quando si accorse che Erik non si era mosso.
«Allora?» domandò spazientito «Guarda che non abbiamo tutto il tempo del mondo…»
«Tu sei pazzo, daroga…» Nadir ridacchiò.
«Andando con lo zoppo si impara a zoppicare… Forza, prima che cominci ad arrivare gente!»
«E uscire alla luce del sole?» domandò con uno sguardo misto tra il derisorio e l’incredulo. «Se proprio vuoi vedermi morto manda un biglietto ai gendarmi e di’ loro dove trovarmi, ma almeno abbi la pietà di risparmiarmi l’ennesima umiliazione pubblica!» L’altro sbuffò esasperato.
«Non fare il melodrammatico, sai benissimo che non ti voglio morto, o non avrei rischiato la vita per salvarti il collo in Persia. E adesso muoviti, non ho intenzione di aspettare i tuoi comodi in eterno!» A quell’ordine perentorio Erik lo seguì con riluttanza, uscendo per la prima volta dopo la terribile sera del Don Juan.

 

 
«Perdonatemi, padre, poiché ho peccato.» Inginocchiata in uno dei confessionali dell’immensa cattedrale di Notre Dame, Christine Daaé cercava un modo per riprendere le redini della propria vita, oltre che l’assoluzione per i propri peccati.
«Va’ avanti, figliola.» Chiuse gli occhi, respirando a fondo prima di rispondere.
«Ho peccato di vanità e, soprattutto, di ingenuità. Sono rimasta a guardare mentre due delle persone che più amo a questo mondo tentavano di uccidersi a vicenda… e poi ho tradito entrambi.» Le lacrime cominciarono a scorrere senza pietà lungo il suo viso.
«Ad una così giovane età un tradimento non può essere tanto grave…» mormorò il sacerdote, cercando di consolarla.
«Invece lo è, padre, dovreste saperlo! Tutta Parigi ne parla!»
«Io ascolto confessioni e preghiere, mia cara, non pettegolezzi.» ribatté bonariamente e Christine poté vedere con chiarezza il suo sorriso mentre le faceva cenno di continuare.
«Ho rinnegato il mio maestro, i suoi sentimenti… Mi amava. Mi amava tanto da arrivare ad uccidere per me. E io l’ho lasciato solo a morire…» scoppiò a piangere ricordando il suo ultimo sguardo.
«Spiegati meglio, figlia mia.»
«Fu il mio maestro per dieci anni e in tutto quel tempo io non lo vidi mai di persona. Poi, appena dopo il successo del mio debutto, appena dopo il ritorno di Raoul, un mio amico di infanzia che fino a poco fa credevo di amare, lui si presentò come un uomo in carne ed ossa e non più solo come una voce.» Si fermò, sopraffatta dai ricordi e dalle lacrime. «Immagino» riprese quando si fu calmata «che abbiate per lo meno sentito nominare il Fantasma dell’Opera.» Il sacerdote annuì. «Era lui il mio maestro. Lui che con la sua musica mi riportò alla vita quand’ero appena una bambina e che non ha esitato a diventare un assassino per me, sempre che non lo fosse già stato. Ha messo ai miei piedi un amore immenso e tragico, la sua anima nelle mie mani, mi ha dato la sua musica, tutta la sua vita… e io, traditrice, l’ho lasciato a morire per fuggire con Raoul.» Scoppiò di nuovo in singhiozzi, portandosi le mani al volto con disperazione, adirata con se stessa al ricordo di quanto aveva fatto.
«Questo perché ami Raoul.» mormorò il prete. Christine, suo malgrado, si ritrovò a ridere senza alcuna traccia di allegria.
«No, padre, o non chiederei perdono anche per un tradimento nei suoi confronti. Ero così ingenuamente felice di vivere una favola da non rendermi conto che in realtà non provavo niente più che un affetto fraterno per lui. Ero talmente terrorizzata dall’idea che il mio maestro, il mio… il mio Angelo fosse un assassino che nemmeno per un momento ho pensato di poterlo amare davvero. Credevo che fosse solo pietà. E invece mi sbagliavo.» Lasciò cadere il silenzio, rotto solo dai singhiozzi che non riusciva a trattenere, poi sentì il sacerdote sospirare.
«Io lo amo, padre.» sussurrò con vece disperata. «E non posso smettere di amarlo, nemmeno se è morto.»
«E sei certa che sia morto?»
«No. È per questo che mi sento in colpa, per questo continuo a sognare di tornare da lui…» Chiuse gli occhi, cercando di scacciare le immagini che rivedeva ogni notte, poco adatte al momento della confessione.
«Padre, vi prego, perdonatemi!» gemette. Il sacerdote lasciò andare un altro sospiro, osservando attraverso la grata del confessionale l’espressione disperata della giovane donna.
«Ego te absolvo, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti…»

 

 
Magnifica, immensa, tanto da togliere il fiato. Lui la conosceva, l’aveva già vista ed era impossibile scordarla, scordare la Facciata occidentale, le sue guglie, le due torri, la Galleria dei Re… Eppure, in tanti anni, non era mai entrato, una mancanza che il suo animo di artista gli perdonava solo per quieto vivere. L’aveva studiata da lontano, o protetto dall’oscurità della notte, senza il coraggio di affrontarla alla luce del sole, di mischiarsi con i fedeli. Ma ora era là, di fronte al portale del Giudizio Universale, sotto lo sguardo severo e ammonitore di santi e di angeli degni di portare quel nome. Per la prima volta poteva vedere i rosoni illuminati risplendere dei loro colori e non riuscì a trattenere un sorriso, malgrado la situazione alquanto precaria in cui si trovava.
«Ah, vedi che ho fatto bene a portarti qui?» Spostò lo sguardo dalla cattedrale e si voltò continuando a sorridere, anche se solo vagamente.
«Non sapevo che fossi cristiano, daroga
«Infatti non lo sono. Credevo che lo fossi tu.» Erik scosse leggermente il capo.
«Hai intenzione di dirmi cosa ci facciamo qui o pensi di continuare a tenermi all’oscuro?»
«Che ne diresti di parlarne dentro?» Tornò a spostare lo sguardo sul portale come a chiedere conferma della possibilità per lui, un assassino, di entrare in una delle più belle cattedrali al mondo. Sentì la mano di Nadir sulla sua spalla e mosse un paio di passi in avanti, confortato, in un certo senso, dalla presenza del suo vecchio amico. Un altro lieve sorriso gli piegò le labbra mentre si chiedeva quando, esattamente, avesse iniziato a considerare il daroga un amico e non più una spina nel fianco. Forse quando lo aveva salvato dalla condanna a morte in Persia, aiutandolo a fuggire e pagando il tradimento con l’esilio. O forse semplicemente quando, nonostante tutti i litigi e tutti i suoi errori, Nadir gli era rimasto accanto, anche negli anni bui in cui si era convinto di essere un Fantasma sepolto nei sotterranei dell’Opera, gli anni prima di conoscere Christine. Il portone di legno massiccio si aprì sotto la sua spinta e ancora una volta si trovò immerso nell’oscurità, anche se diversa da quella a cui era abituato, appena illuminata dalle migliaia di candele che ardevano in ogni nicchia e dai colori che la luce del sole proiettava attraverso le vetrate. Lasciò scorrere lo sguardo sull’immensità della cattedrale, resa ancora più estrema dalla quasi completa assenza di fedeli. Seguì il daroga lungo la navata centrale, registrando con occhio critico ogni singolo dettaglio, oltrepassando i confessionali con i loro mormorii sommessi, fino a giungere in una delle cappelle laterali. Si ritrovò per un attimo senza fiato, perso nell’intensità di quello sguardo di pietra, nella profonda dolcezza di quegli occhi immobili e candidi. Cercò di riscuotersi, chiedendosi come una semplice statua potesse turbarlo a quel punto, prima di rendersi conto che quella non era solo una semplice statua. Lei era Notre Dame.
«È bellissima, vero?» mormorò la voce del daroga. Fu tentato dal rispondere: “no, molto di più”, ma in quel momento ogni parola gli sarebbe sembrata priva di significato, esperienza nuova per lui che aveva sempre una parola per tutto. Tornò a fissare il marmoreo splendore della statua, aspettandosi da un momento all’altro di vederla scendere dal suo piedistallo tanto la luce soffusa delle candele la rendeva viva. Mai in vita sua aveva visto qualcosa di così mistico e, allo stesso tempo, così profondamente reale, forse semplicemente perché in tutti i suoi viaggi non aveva mai messo piede in una chiesa. E questo lo metteva a disagio.
«Perché mi hai portato qui?» domandò senza distogliere lo sguardo da Notre Dame. Quando si accorse che non aveva ricevuto nessuna risposta si voltò, trovandosi completamente solo nella cappella. Sbuffò, ma sapeva che in fondo si sarebbe dovuto aspettare una cosa simile dal daroga: lasciare le discussioni a metà era da sempre una delle sue abitudini peggiori. La sua attenzione fu nuovamente catturata dallo sguardo senza tempo della statua e in qualche modo si trovò a ripensare per l’ennesima volta all’ultima notte dell’Opera. In quegli occhi gli sembrava di riuscire a vedere ancora il lampadario, le fiamme dell’incendio, le acque torbide del lago Averno, le lacrime di Christine, la luna riflessa nella Senna… Era un modo per farlo sentire ancora più in colpa? Se l’intenzione era quella di certo stava funzionando. Cercavano di convincerlo a confessarsi? Forse. Gli sfuggì una risata all’idea di quello che una sua confessione avrebbe potuto suscitare in un sacerdote. I suoi crimini erano troppi e troppo grandi perché potesse ottenere l’assoluzione. Aveva ucciso, sia consapevolmente che inconsciamente, ma non se n’era mai pentito. Non avrebbe avuto senso pentirsi: il passato era passato e non avrebbe potuto cambiarlo nemmeno volendo. E in ogni caso non era a quello che doveva pensare, ma al futuro. Christine lo aveva liberato da parte delle catene che lo tenevano imprigionato nella sua oscurità, ma ora, da solo, doveva trovare la forza di accettare quella libertà finché era possibile. Qualcosa che non poteva fare a Parigi, con tutti i gendarmi sulle sue tracce, né in Francia, dove ormai la voce sul Fantasma dell’Opera si era ampiamente sparsa. Ricordò il motivo che l’aveva spinto a cercare il daroga una settimana prima, la fuga, e sentì l’ennesimo sorriso salirgli alle labbra. Lanciò un ultimo sguardo alla statua e, di nuovo, gli sembrò di vederla prendere vita e annuire con un cenno del capo. Si voltò, lasciandosi alle spalle la cappella illuminata dalle candele per ripercorrere a ritroso la navata centrale, ancora completamente vuota, e raggiunse il portone dove, come sospettava, lo stava aspettando il daroga.
«Notre Dame è il luogo migliore per riflettere in pace, non trovi anche tu?» Lo guardò storto per un attimo e scelse di non rispondere alla leggera provocazione.
«Era proprio necessario trascinarmi fin qui?» Il Persiano sorrise con aria saccente.
«Se ti avessi lasciato chiuso in casa saresti uscito dal tuo pietoso stato di autocommiserazione?» La domanda non aveva bisogno di alcuna risposta, lo sapevano entrambi.
«Allora, cos’hai intenzione di fare?» chiese di nuovo il daroga rompendo il silenzio che si era creato. Erik sospirò, voltandosi appena in modo da mostrare solo la maschera, fissando un punto imprecisato tra le ombre della cattedrale.
«Devo chiederti un favore, Nadir. Aiutami ad uscire dalla Francia.» Il sorriso dell’altro si allargò, mentre estraeva da una tasca quelli che avevano tutta l’aria di essere visti e biglietti.
«Giusto per sapere…» Fece una piccola pausa per essere certo di ottenere la sua completa attenzione, poi riprese. «…ti ricordi ancora qualcosa di inglese?»


xXx

NdA: ... (bloodred_rose al momento è nascosta in un rifugio antitempesta nella speranza che lì possa essere al sicuro dalla collera dei lettori) Vi prego, non uccidetemi, sono troppo giovane per morire! Lo so che ci ho messo una vita e che sono tornata con un capitolo insulso in cui non succede niente, ma ho avuto a che fare con le forze combinate del blocco dello scrittore e della quinta ginnasio, per cui non è che mi sia esattamente divertita... Vi chiedo umilmente perdono... Accordatemi la grazia (anche perché se non lo fate non saprete mai come andrà a finire la storia...XD)! Ok, ora che ho strisciato come si deve passo ai ringraziamenti.

A Elby: Bhè, per lo meno questa volta non avrai bisogno della bombola d'ossigeno, dato che è un capitolo di calma piatta! Lietissima di trovare un'altra fan del daroga, spero che continui a piacerti anche ora che ho provato a caratterizzarlo un po' meglio. Per quanto riguarda i passaggi veloci... ehm... temo che per quello non potrò farci niente, io sinceramente non mi accorgo della velocità di ciò che scrivo, ma ammetto che nel capitolo scorso ho fatto un po' di casino ^^. 

A masked_lady: Sono felice che la storia per ora ti piaccia. Purtroppo non ho la più pallida idea di quando riuscirò ad aggiornare...spero solo più velocemente rispetto a questa volta! Riguardo a Erik e Chrsitine... eh, mi dispiace, ma non posso dirti niente, lo scoprirai solo leggendo!

Ringraziamenti speciali alla mitica Marty, che mi ha momentaneamente liberata dal blocco, e a Lady Lucilla, che mi controlla sempre tutto e si arrabbia da matti quando scopre che non scrivo ^^. 

Per ora, purtroppo, è tutto... non aspettatevi un aggiornamento rapido.

Your humble servant,

bloodred_rose

  
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