JUST
A MATTER
OF TIME
FORGIVE ME MY SINS
Christine si svegliò di soprassalto e si mise immediatamente a sedere con le lenzuola sudate attorcigliate attorno alle gambe e il respiro affannato, rendendosi conto di essere nella sua stanza alla villa dei de Chagny. Era passata una settimana da quella notte, una settimana scandita dagli sguardi e dai sussurri scandalizzati della servitù, dalle deboli rassicurazioni di Raoul e da quei sogni che le toglievano le forze. L’idea stessa del tramonto le era diventata insopportabile perché il calare del sole l’avrebbe condannata a rivedere ancora una volta ciò che non poteva avere. Si stava lasciando cadere in un abisso dal quale non aveva speranze di uscire e al cui fondo c’erano solo infelicità e apatia. Era vero, amava Raoul, su quello non aveva mai mentito, ma non era l’amore che lui meritava dalla donna che doveva diventare sua moglie, la stessa donna che aveva consegnato la sua anima, il suo cuore e, nei suoi sogni, il suo corpo ad un altro uomo. Erik, il suo Angelo della Musica. Si era resa conto di amarlo davvero solo quando lui li aveva lasciati liberi, quando l’aveva praticamente costretta ad andarsene, lasciandolo alla mercé della folla che lo voleva morto. Una parte di lei era certa che fosse riuscito a fuggire in tempo, ma l’altra era terrorizzata all’idea che si fosse consegnato ai suoi inseguitori per espiare peccati di cui era solo parzialmente colpevole. Forse era per questo che continuava a sognarlo, perché sapeva che, se fosse morto, la colpa, almeno dal suo punto di vista, sarebbe ricaduta su di lei. Perché, in questo caso, sarebbe morto senza sapere che lei lo amava. Con un gesto di stizza scostò le lenzuola e, aprendo appena una fessura tra le pesanti tende che oscuravano la stanza, si accorse con sollievo che era mattina, anche se da poco. Si vestì in fretta, grata di non aver bisogno di nessun aiuto, e scribacchiò un biglietto, che lasciò in ingresso, nel quale spiegava che aveva semplicemente sentito nostalgia di Parigi e che era andata a fare visita a madame Giry e a Meg. Dubitava che Raoul avrebbe creduto ad una simile scusa, ma con lui avrebbe fatto i conti una volta di ritorno… sempre che fosse tornata. Uscì, senza voltarsi indietro nemmeno per un istante, consapevole che si stava lasciando alle spalle non solo una vuota gabbia dorata, ma anche quella parte del suo cuore che sarebbe sempre appartenuta al suo primo amore.
L’alba si levava sulla città di
Parigi addormentata, mentre una singola carrozza correva lungo rue
Rivoli. Si
fermò davanti a un portone, lasciando scendere un uomo di
origine chiaramente
straniera, spossato dal lungo viaggio e turbato dalle notizie che gli
erano
giunte fino in Italia. Aveva saputo un paio di mesi prima da
informatori
sufficientemente affidabili di un qualche scandalo all’Opera
Populaire, ma
allora non aveva pensato che quello scandalo potesse avere a che fare
con Erik.
Poi, appena una settimana prima, era venuto a sapere
dell’incendio che aveva
devastato il teatro e del contemporaneo rapimento di Christine
Daaé da parte
del Fantasma dell’Opera e si era dato dell’idiota
per non aver capito. Erik
aveva ignorato un’altra volta i suoi consigli e si era
cacciato nei guai, fino
a che punto ancora non lo sapeva. Sperava solo di non essere arrivato
troppo
tardi. Entrò in casa, trovando il fedele Darius ad
aspettarlo con
un'espressione preoccupata dipinta sul volto. Scambiarono qualche
rapida parola
in persiano, poi Nadir Khan, ex daroga di
Persia, si diresse verso il suo studio ed entrò a passo di
carica. Appoggiata
al davanzale della finestra, dandogli le spalle mentre osservava il
sorgere del
sole, stava la figura scura di un uomo, un uomo che lui conosceva molto
bene.
«Ah, daroga,
finalmente!» mormorò e non fu il suo tono stanco a
stupire
Nadir, ma la maschera che indossava, non la solita, elegante stoffa
bianca a
cui si era abituato, ma quella di cuoio nero che era solito portare a
Mazenderan.
«Dimmi che niente di quello che
ho saputo è vero…» Erik
sospirò pesantemente.
«Vorrei poterlo fare, ma non
posso.»
«Maledizione, Erik!» scattò il daroga. «Sei impossibile! Ti
lascio da
solo due mesi e tu combini un disastro! Hai dato fuoco
all’intero teatro, te ne
rendi conto?» l’uomo si accasciò su una
sedia, lasciando andare un altro
sospiro.
«L’incendio è stato un
incidente.» sussurrò. «Almeno di quello
non accusarmi.»
«E Piangi? E il rapimento di
Christine? Incidenti anche quelli?»
«D’accordo, daroga,
hai vinto tu. Vuoi sentirmi dire che sono un mostro? Va
bene!» Si alzò di scatto e, dopo avergli lanciato
un’occhiata di fuoco, iniziò
a misurare a grandi passi la stanza. «Ho ucciso
quell’idiota di Piangi e non so
nemmeno il perché, non ho idea di cosa mi abbia preso quella
notte. So solo che
si trovava tra me e Christine e mi è parso un motivo
sufficiente per toglierlo
di mezzo. No, non mi interrompere, dannazione!»
scattò non appena lo vide aprir
bocca. «Adesso starai a sentire tutta la maledetta storia
fino alla fine! Ho
rapito Christine e l’ho anche quasi costretta a sposarmi,
minacciando di
uccidere il suo visconte. Avrei fatto quello ed altro se lei non mi
avesse
fermato. Li ho lasciati andare… che altro avrei potuto
fare?» scosse la testa,
ridendo di se stesso. «Pensavo che così mi sarei
sentito meno in colpa, che
sarei riuscito a perdonarmi per i miei peccati… e
l’unica cosa che ho ottenuto
è stato perdere anche il poco che avevo!»
«Hai guadagnato la libertà…»
la
sua risata ironica si fece ancora più forte.
«La libertà? Io non sarò mai
libero. Non mi libererò mai del suo ricordo, né
del pensiero di lei tra le
braccia di quel ragazzo, né tantomeno dei miei sensi di
colpa. E in ogni caso
sono un ricercato, ho tutti i gendarmi di Parigi sulle mie tracce ad
aspettare
solo che io faccia un passo falso. Libero? No, daroga,
io non sono libero per niente.» E con questo tornò
a
voltarsi ostinatamente verso la finestra, fissando il sole
già più alto nel
cielo.
«Vieni con me.» ordinò dopo un
attimo il persiano, rompendo il silenzio.
«Cosa? E dove?»
«Tu seguimi.» Si voltò e uscì
dalla stanza, solo per girarsi nuovamente quando si accorse che Erik
non si era
mosso.
«Allora?» domandò spazientito
«Guarda che non abbiamo tutto il tempo del
mondo…»
«Tu sei pazzo, daroga…»
Nadir ridacchiò.
«Andando con lo zoppo si impara a
zoppicare… Forza, prima che cominci ad arrivare
gente!»
«E uscire alla luce del sole?»
domandò con uno sguardo misto tra il derisorio e
l’incredulo. «Se proprio vuoi
vedermi morto manda un biglietto ai gendarmi e di’ loro dove
trovarmi, ma
almeno abbi la pietà di risparmiarmi l’ennesima
umiliazione pubblica!» L’altro
sbuffò esasperato.
«Non fare il melodrammatico, sai
benissimo che non ti voglio morto, o non avrei rischiato la vita per
salvarti
il collo in Persia. E adesso muoviti, non ho intenzione di aspettare i
tuoi
comodi in eterno!» A quell’ordine perentorio Erik
lo seguì con riluttanza,
uscendo per la prima volta dopo la terribile sera del Don
Juan.
«Perdonatemi, padre, poiché ho
peccato.» Inginocchiata in uno dei confessionali
dell’immensa cattedrale di
Notre Dame, Christine Daaé cercava un modo per riprendere le
redini della
propria vita, oltre che l’assoluzione per i propri peccati.
«Va’ avanti, figliola.» Chiuse
gli occhi, respirando a fondo prima di rispondere.
«Ho peccato di vanità e,
soprattutto, di ingenuità. Sono rimasta a guardare mentre
due delle persone che
più amo a questo mondo tentavano di uccidersi a
vicenda… e poi ho tradito
entrambi.» Le lacrime cominciarono a scorrere senza
pietà lungo il suo viso.
«Ad una così giovane età un
tradimento non può essere tanto grave…»
mormorò il sacerdote, cercando di
consolarla.
«Invece lo è, padre, dovreste
saperlo! Tutta Parigi ne parla!»
«Io ascolto confessioni e
preghiere, mia cara, non pettegolezzi.» ribatté
bonariamente e Christine poté
vedere con chiarezza il suo sorriso mentre le faceva cenno di
continuare.
«Ho rinnegato il mio maestro, i
suoi sentimenti… Mi amava. Mi amava tanto da arrivare ad
uccidere per me. E io
l’ho lasciato solo a morire…»
scoppiò a piangere ricordando il suo ultimo
sguardo.
«Spiegati meglio, figlia mia.»
«Fu il mio maestro per dieci anni
e in tutto quel tempo io non lo vidi mai di persona. Poi, appena dopo
il
successo del mio debutto, appena dopo il ritorno di Raoul, un mio amico
di
infanzia che fino a poco fa credevo di amare, lui si
presentò come un uomo in
carne ed ossa e non più solo come una voce.» Si
fermò, sopraffatta dai ricordi
e dalle lacrime. «Immagino» riprese quando si fu
calmata «che abbiate per lo
meno sentito nominare il Fantasma dell’Opera.» Il
sacerdote annuì. «Era lui il
mio maestro. Lui che con la sua musica mi riportò alla vita
quand’ero appena
una bambina e che non ha esitato a diventare un assassino per me,
sempre che
non lo fosse già stato. Ha messo ai miei piedi un amore
immenso e tragico, la
sua anima nelle mie mani, mi ha dato la sua musica, tutta la sua
vita… e io,
traditrice, l’ho lasciato a morire per fuggire con
Raoul.» Scoppiò di nuovo in
singhiozzi, portandosi le mani al volto con disperazione, adirata con
se stessa
al ricordo di quanto aveva fatto.
«Questo perché ami Raoul.»
mormorò il prete. Christine, suo malgrado, si
ritrovò a ridere senza alcuna
traccia di allegria.
«No, padre, o non chiederei
perdono anche per un tradimento nei suoi confronti. Ero così
ingenuamente
felice di vivere una favola da non rendermi conto che in
realtà non provavo
niente più che un affetto fraterno per lui. Ero talmente
terrorizzata dall’idea
che il mio maestro, il mio… il mio Angelo fosse un assassino
che nemmeno per un
momento ho pensato di poterlo amare davvero. Credevo che fosse solo
pietà. E
invece mi sbagliavo.» Lasciò cadere il silenzio,
rotto solo dai singhiozzi che
non riusciva a trattenere, poi sentì il sacerdote sospirare.
«Io lo amo, padre.» sussurrò con
vece disperata. «E non posso smettere di amarlo, nemmeno se
è morto.»
«E sei certa che sia morto?»
«No. È per questo che mi sento in
colpa, per questo continuo a sognare di tornare da
lui…» Chiuse gli occhi,
cercando di scacciare le immagini che rivedeva ogni notte, poco adatte
al
momento della confessione.
«Padre, vi prego, perdonatemi!» gemette.
Il sacerdote lasciò andare un altro sospiro, osservando
attraverso la grata del
confessionale l’espressione disperata della giovane donna.
«Ego
te absolvo, in nomine Patris et
Filii et Spiritus Sancti…»
Magnifica, immensa, tanto da
togliere il fiato. Lui la conosceva, l’aveva già
vista ed era impossibile
scordarla, scordare la Facciata occidentale, le sue guglie, le due
torri, la
Galleria dei Re… Eppure, in tanti anni, non era mai entrato,
una mancanza che
il suo animo di artista gli perdonava solo per quieto vivere.
L’aveva studiata
da lontano, o protetto dall’oscurità della notte,
senza il coraggio di
affrontarla alla luce del sole, di mischiarsi con i fedeli. Ma ora era
là, di
fronte al portale del Giudizio Universale, sotto lo sguardo severo e
ammonitore
di santi e di angeli degni di portare quel nome. Per la prima volta
poteva vedere
i rosoni illuminati risplendere dei loro colori e non riuscì
a trattenere un
sorriso, malgrado la situazione alquanto precaria in cui si trovava.
«Ah, vedi che ho fatto bene a
portarti qui?» Spostò lo sguardo dalla cattedrale
e si voltò continuando a
sorridere, anche se solo vagamente.
«Non sapevo che fossi cristiano, daroga.»
«Infatti non lo sono. Credevo che
lo fossi tu.» Erik scosse leggermente il capo.
«Hai intenzione di dirmi cosa ci
facciamo qui o pensi di continuare a tenermi
all’oscuro?»
«Che ne diresti di parlarne
dentro?» Tornò a spostare lo sguardo sul portale
come a chiedere conferma della
possibilità per lui, un assassino, di entrare in una delle
più belle cattedrali
al mondo. Sentì la mano di Nadir sulla sua spalla e mosse un
paio di passi in
avanti, confortato, in un certo senso, dalla presenza del suo vecchio
amico. Un
altro lieve sorriso gli piegò le labbra mentre si chiedeva
quando, esattamente,
avesse iniziato a considerare il daroga
un amico e non più una spina nel fianco. Forse quando lo
aveva salvato dalla
condanna a morte in Persia, aiutandolo a fuggire e pagando il
tradimento con
l’esilio. O forse semplicemente quando, nonostante tutti i
litigi e tutti i
suoi errori, Nadir gli era rimasto accanto, anche negli anni bui in cui
si era
convinto di essere un Fantasma sepolto nei sotterranei
dell’Opera, gli anni
prima di conoscere Christine. Il portone di legno massiccio si
aprì sotto la
sua spinta e ancora una volta si trovò immerso
nell’oscurità, anche se diversa
da quella a cui era abituato, appena illuminata dalle migliaia di
candele che
ardevano in ogni nicchia e dai colori che la luce del sole proiettava
attraverso le vetrate. Lasciò scorrere lo sguardo
sull’immensità della
cattedrale, resa ancora più estrema dalla quasi completa
assenza di fedeli. Seguì
il daroga lungo la navata centrale,
registrando con occhio critico ogni singolo dettaglio, oltrepassando i
confessionali con i loro mormorii sommessi, fino a giungere in una
delle
cappelle laterali. Si ritrovò per un attimo senza fiato,
perso nell’intensità
di quello sguardo di pietra, nella profonda dolcezza di quegli occhi
immobili e
candidi. Cercò di riscuotersi, chiedendosi come una semplice
statua potesse
turbarlo a quel punto, prima di rendersi conto che quella non era solo
una
semplice statua. Lei era Notre Dame.
«È bellissima, vero?» mormorò
la
voce del daroga. Fu tentato dal
rispondere: “no, molto di più”, ma in
quel momento ogni parola gli sarebbe
sembrata priva di significato, esperienza nuova per lui che aveva
sempre una
parola per tutto. Tornò a fissare il marmoreo splendore
della statua,
aspettandosi da un momento all’altro di vederla scendere dal
suo piedistallo
tanto la luce soffusa delle candele la rendeva viva. Mai in vita sua
aveva
visto qualcosa di così mistico e, allo stesso tempo,
così profondamente reale,
forse semplicemente perché in tutti i suoi viaggi non aveva
mai messo piede in
una chiesa. E questo lo metteva a disagio.
«Perché mi hai portato qui?»
domandò senza distogliere lo sguardo da Notre Dame. Quando
si accorse che non
aveva ricevuto nessuna risposta si voltò, trovandosi
completamente solo nella
cappella. Sbuffò, ma sapeva che in fondo si sarebbe dovuto
aspettare una cosa
simile dal daroga: lasciare le
discussioni a metà era da sempre una delle sue abitudini
peggiori. La sua
attenzione fu nuovamente catturata dallo sguardo senza tempo della
statua e in
qualche modo si trovò a ripensare per l’ennesima
volta all’ultima notte
dell’Opera. In quegli occhi gli sembrava di riuscire a vedere
ancora il lampadario,
le fiamme dell’incendio, le acque torbide del lago Averno, le
lacrime di
Christine, la luna riflessa nella Senna… Era un modo per
farlo sentire ancora
più in colpa? Se l’intenzione era quella di certo
stava funzionando. Cercavano
di convincerlo a confessarsi? Forse. Gli sfuggì una risata
all’idea di quello
che una sua confessione avrebbe potuto suscitare in un sacerdote. I
suoi
crimini erano troppi e troppo grandi perché potesse ottenere
l’assoluzione. Aveva
ucciso, sia consapevolmente che inconsciamente, ma non se
n’era mai pentito. Non
avrebbe avuto senso pentirsi: il passato era passato e non avrebbe
potuto
cambiarlo nemmeno volendo. E in ogni caso non era a quello che doveva
pensare,
ma al futuro. Christine lo aveva liberato da parte delle catene che lo
tenevano
imprigionato nella sua oscurità, ma ora, da solo, doveva
trovare la forza di
accettare quella libertà finché era possibile.
Qualcosa che non poteva fare a
Parigi, con tutti i gendarmi sulle sue tracce, né in
Francia, dove ormai la
voce sul Fantasma dell’Opera si era ampiamente sparsa.
Ricordò il motivo che
l’aveva spinto a cercare il daroga
una settimana prima, la fuga, e sentì l’ennesimo
sorriso salirgli alle labbra. Lanciò
un ultimo sguardo alla statua e, di nuovo, gli sembrò di
vederla prendere vita
e annuire con un cenno del capo. Si voltò, lasciandosi alle
spalle la cappella
illuminata dalle candele per ripercorrere a ritroso la navata centrale,
ancora
completamente vuota, e raggiunse il portone dove, come sospettava, lo
stava
aspettando il daroga.
«Notre Dame è il luogo migliore
per riflettere in pace, non trovi anche tu?» Lo
guardò storto per un attimo e
scelse di non rispondere alla leggera provocazione.
«Era proprio necessario
trascinarmi fin qui?» Il Persiano sorrise con aria saccente.
«Se ti avessi lasciato chiuso in
casa saresti uscito dal tuo pietoso stato di
autocommiserazione?» La domanda
non aveva bisogno di alcuna risposta, lo sapevano entrambi.
«Allora, cos’hai intenzione di
fare?» chiese di nuovo il daroga
rompendo il silenzio che si era creato. Erik sospirò,
voltandosi appena in modo
da mostrare solo la maschera, fissando un punto imprecisato tra le
ombre della
cattedrale.
«Devo chiederti un favore, Nadir.
Aiutami ad uscire dalla Francia.» Il sorriso
dell’altro si allargò, mentre
estraeva da una tasca quelli che avevano tutta l’aria di
essere visti e
biglietti.
«Giusto per sapere…» Fece una
piccola pausa per essere certo di ottenere la sua completa attenzione,
poi
riprese. «…ti ricordi ancora qualcosa di
inglese?»
xXx
NdA: ... (bloodred_rose al momento è nascosta in un rifugio antitempesta nella speranza che lì possa essere al sicuro dalla collera dei lettori) Vi prego, non uccidetemi, sono troppo giovane per morire! Lo so che ci ho messo una vita e che sono tornata con un capitolo insulso in cui non succede niente, ma ho avuto a che fare con le forze combinate del blocco dello scrittore e della quinta ginnasio, per cui non è che mi sia esattamente divertita... Vi chiedo umilmente perdono... Accordatemi la grazia (anche perché se non lo fate non saprete mai come andrà a finire la storia...XD)! Ok, ora che ho strisciato come si deve passo ai ringraziamenti.
A Elby: Bhè, per lo meno questa volta non avrai bisogno della bombola d'ossigeno, dato che è un capitolo di calma piatta! Lietissima di trovare un'altra fan del daroga, spero che continui a piacerti anche ora che ho provato a caratterizzarlo un po' meglio. Per quanto riguarda i passaggi veloci... ehm... temo che per quello non potrò farci niente, io sinceramente non mi accorgo della velocità di ciò che scrivo, ma ammetto che nel capitolo scorso ho fatto un po' di casino ^^.
A masked_lady: Sono felice che la storia per ora ti piaccia. Purtroppo non ho la più pallida idea di quando riuscirò ad aggiornare...spero solo più velocemente rispetto a questa volta! Riguardo a Erik e Chrsitine... eh, mi dispiace, ma non posso dirti niente, lo scoprirai solo leggendo!
Ringraziamenti speciali alla mitica Marty, che mi ha momentaneamente liberata dal blocco, e a Lady Lucilla, che mi controlla sempre tutto e si arrabbia da matti quando scopre che non scrivo ^^.
Per ora, purtroppo, è tutto... non aspettatevi un aggiornamento rapido.
Your humble servant,
bloodred_rose