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Autore: Blu_Polaris    08/02/2015    2 recensioni
Tito è un topolino con il sogno di volare e l' incubo di essere braccato dal Gufo. Tutto cambia quando, dopo una disavventura, incontra Diana, una meravigliosa gazza ladra che non sa volare ...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~~Capitolo 2- Dove vai?

I giorni iniziarono a diventare gradualmente più lunghi ma le piogge non sembravano placarsi, al contrario, divennero sempre più forti.
I tuoni e i fulmini riempirono l’aria per giorni e giorni; le piogge scroscianti e fredde fece ingrossare il torrente talmente tanto che metà della colonia dei topi era corsa via, nel bosco, nel bel mezzo dei pericoli.
Quando finalmente il sole decise di tornare era ormai arrivato settembre. Tito e Ezio erano all’ interno del piccolo buco dove dormivano sereni. Loro, come pochi altri, erano rimasti nelle tane.
«Andare fuori significa metterci in pericolo» aveva detto loro la mamma e quindi avevano rischiato il tutto per tutto ed erano rimasti lì, a osservare parti della tana cedere sotto il peso dell’acqua. Per loro fortuna però nella loro piccola buca non era successo niente.
Un odore aleggiò nell’ aria e subito Ezio si alzò di scatto.
«Tito! TITO! Alzati, su!» disse scuotendolo con forza ma il fratellino dormiva sereno tra la calda paglietta. «Tito! La pioggia, la pioggia è finalmente finita!».
«Sicuro?» chiese il piccolo ancora con gli occhietti chiusi «come fai a dirlo? Dovresti andare fuori a vedere … io ti aspetto qui» e si rimise a dormire.
«Oh! Basta che annusi l’aria. Senti? Non c’è odore di pioggia. È odore di …».
Non fece finire la frase al fratello che, dopo aver annusato silenziosamente, si lanciò lungo i piccoli cunicoli. Fu più veloce che mai ma, poco prima di poter saltare fuori ad assaporare il calore del sole, si trovò d’avanti sua madre.
«DOVE CREDI DI ANDARE?» ruggì ferocemente. Tito frenò di colpo, quasi inciampò e la osservò con due occhi sorpresi e spaventati. Poco più di una decina di secondi dopo arrivò Ezio saltellando.
«Mamma, hai visto la pioggia è finita! Possiamo uscire!» esclamò superando la madre con un balzo, Tito fece per seguirlo ma sua madre gli bloccò nuovamente la strada. 
«Tito, non credo che sia il caso che tu vada con tuo fratello, adesso che la pioggia è finita molti predatori sono in giro».
«Ma …Ma… Mamma! Ezio esce!».
«Lui è più forte, più veloce e più abituato a correre via dai pericoli. Tu rimarrai qui, con me».
Ezio fece un’espressione dispiaciuta, poggiò la zampa sulla testa del fratellino per salutarlo.
«Ti porterò dei bei semi saporiti, ok?» il piccolo topolino fece di sì con il capo e lo vide andare via, lentamente e con infinita attenzione uscì dalla tana.
Nelle poche ore successive tutti i topi che erano stati costretti a scappare via per paura del torrente, tornarono correndo. Arrivarono i topolini più piccoli ed esili, ancora bagnati; i grandi topi che erano riusciti a trovare riparo salendo sugli alberi o nelle buche; le mamme con i cuccioli più piccoli e persino topi che Tito non aveva mai visto ma di suo fratello e della cena non c’era traccia.
Il topolino rimaneva sulla soglia della tana, metà al sole e metà nell’ombra, in attesa. Sua madre zampettò verso di lui, annusando l’aria.
«Tito, vieni. Manca poco al tramonto» disse la madre, con la voce di chi è preoccupato ma non vuole darlo a vedere. 
«Ma mamma, Ezio? Lo lasciamo lì fuori?» chiese il topolino, la madre lo guardò e, con le zampe, gli sistemò il ciuffetto di peli che aveva sulla testa.
«Tito, credo che…» fece un respiro profondo, cercando di fermare un singhiozzo «Credo che tuo fratello non tornerà più».
Fu una coltellata, come se un ago gli avesse perforato il cuore. Le piccole orecchie si abbassarono di colpo, gli occhi si sgranarono e le zampe si staccarono dalla presa della madre.
«NO!» urlò, piangendo.
«Tito, quando un topo non rientra alla tana…» non riuscì a finire la frase.
«IO, IO! Lo troverò!» e per la prima volta in vita sua, con uno scatto, corse via nella foresta completamente da solo.
«TITO! TITO!» sua madre provò a corrergli dietro ma era troppo lenta, Tito la seminò poco prima di varcare la foresta.
Non smise di piangere neanche mentre correva, cercando di localizzare il fratello con l’olfatto. L’ odore di Ezio era un misto di erba secca e muschio e, nella foresta, fu più difficile del solito da localizzare.
Un tuono potente ruppe l’aria e Tito saltò in aria per il panico, sbattendo la testa contro il fusto di un albero.
«AH!» urlò massaggiandosi la testolina ma quella botta gli fece venire un’idea. Con un po’ di difficoltà e sotto una pioggia fredda e obliqua, Tito si arrampicò e cercò di scrutare intorno a sé.
L’ odore riconoscibile di Ezio gli arrivò al naso in un attimo e una volta che seppe dove guardare vide il fratello, non molto lontano da lui, con la coda incastrata sotto un masso. Fu così felice che, senza neanche pensarci, ne urlò il nome. Ezio si rizzò sulle zampe posteriori e lo fissò.
«TITO! Che ci fai qui fuori?» urlò.
«Sono venuto a salvarti! Aspetta lì!»
«Beh, non credo di avere molte alternative, sai?».
Tito, per la fretta, ruzzolò giù dall’ albero con talmente tanta foga che, con un paio di capriole e cadute, si ritrovò davanti al fratello.
Iniziarono entrambi a tirare la coda per un tempo che sembrava infinito ma né la coda né il masso sembravano volersi muovere. 
«Tito, c’è solo una cosa da fare …» disse il fratello, con uno sguardo preoccupato, il sole stava per toccare la collina e, a breve, sarebbe calata la notte.
«Cosa?»
«Devi tagliarmi la coda …».
Tito avrebbe preferito non farlo ma ormai il crepuscolo era alle porte e le prime stelle iniziavano a sbocciare, così afferrò la coda del fratello e, con un morso preciso e forte tolse un pezzo, quel tanto che bastava per liberarlo.
«Che schifo! Mi dispiace, Ezio…».
«Era l’unico modo; adesso pensiamo a tornare a casa …».

Ezio camminava a fatica, la coda gli doleva e con essa tutto il corpo. Tito non si era pentito di aver salvato il fratello ma, adesso che il sole stava calando, la paura sembrava volergli giocare un brutto scherzo. Vedeva, ad ogni ombra, serpenti e gufi; ad ogni fruscio le sue piccole orecchie si rizzavano e ad ogni minimo rumore le sue zampine scattavano veloci. Quando ormai tutto fu buio i due iniziarono a camminare sempre più lentamente e sempre più silenziosi.
«Tito, non so come ringraziarti; se non fosse stato per te, io adesso sarei morto …».
Tito evitò il suo sguardo, per una volta era il fratello a ringraziare lui e non l’inverso.
«Non volevo perderti, non volevo soffrire come quando è morto papà».
I due fratelli erano infatti cresciuti solo con la loro madre. Tito non ricordava come tutto fosse accaduto ma conosceva la storia bene: suo padre, insieme a Ezio, era uscito a mangiare ma era tornato solo Ezio. Non sapeva se era stato mangiato, se fosse scomparso nel nulla o se era scappato lui. Ezio non l’aveva mai detto.
«Papà, già …».
Un tuono ruppe l’aria ma Ezio comunque si mise su due zampe, con le orecchie ritte pronte a captare tutti i suoni. I baffi vibrarono ad entrambi e un lievissimo, minimo movimento venne dalla loro destra. Tito si sentì afferrare dal fratello e venne lanciato all’interno di un grosso cespuglio di bacche.
«Ma che diavolo…» iniziò ma venne zittito dal fratello con un dito sulle labbra pelose. Ezio indicò un punto davanti a lui.
Lì, proprio sotto un piccolo triangolo di luce lunare, c’era un topo nero e grasso che mangiava delle bacche. Tito non riusciva a capire il perché Ezio l’avesse lanciato nel cespuglio.
«Ma è solo un topo, come noi!» e fece per andare ma Ezio lo bloccò.
«Devi stare zitto, c’è qualcosa lì, tra gli alberi» e fissò i rami contorti e neri sopra la testa del topo sconosciuto.
Un altro frusciò, questa volta più forte. Il topo nero e grasso si mise sull’ attenti ma, appena diede cenno di spostarsi, il Gufo gli piombò addosso con talmente tanta furia da alzare una marea di polvere e terra. Per un attimo si vide solo una quantità immane di piume scure che si dibattevano e gli squittii del topo.
Tito si nascose dietro al fratello, inorridito. «È successo questo a papà?» chiese ma Ezio gli ripeté di stare zitto.
Fu inutile, in pochi secondi la testa del gufo si girò di 360 gradi e, con gli occhi spiritati di arancio e il becco sporco di sangue, osservò il cespuglio. Un verso, le ali si spiegarono con un rumore secco; era pronto ad uccidere di nuovo.
«Scappa …» sussurrò Ezio ma Tito rimase immobile, tremante. «SCAPPA! SCAPPA! Corri alla tana!» ripeté dandogli una spinta forte. Tito si lanciò fuori dal cespuglio, seguito a ruota dal fratello.
Il Gufo aveva preso quota, la sua ombra oscurava il minuscolo corpicino di Tito minacciosamente. Il topolino si girò a fissare il fratello.
«CORRI! Non voltarti!» urlò Ezio «FORZA!».
Il Gufo si lanciò con gli artigli verso Ezio ma lui fu più veloce e lo schivò con un salto. Il grosso topo iniziò a correre a zig zag e, vedendolo, anche Tito fece lo stesso.
Ci furono una, due o tre picchiate da parte del Gufo, tanto potenti da fare solchi nella terra. I due fratelli si guardarono intorno sentendo una strana quiete.
All’ improvviso il Gufo sparì nel nulla, com’era arrivato e Tito rallentò, fino a fermarsi.
«TITO! Continua a correre!» urlò Ezio.
«Non serve, è andato via!».
«NO!». Il piccolo si girò e vide le enormi zampe artigliate dritte davanti a lui. Un verso stridulo e una botta sorda.
Un enorme battito d’ali e un attimo dopo degl’artigli neri lo stringevano, quasi lo strozzavano. In alto, in alto, sempre di più. L’ aveva ghermito, il Gufo; era morto?
Era almeno a venti metri d’ altezza e Ezio era diventato un pallino grigio che urlava il suo nome.
Oltrepassarono il torrente e la recinzione e Tito sentiva ancora quella stretta soffocante.
«EZIO!»
«Tito! Sta tranquillo! Verrò a prenderti! TITO!!». Il Gufo, visto da vicino, era ancora più spaventoso: grigio, enorme, forte, mortale. Le piume color piombo erano accarezzate dal vento, dondolando proprio davanti a Tito.
«Lasciami! Lasciami! Stupido piccione troppo cresciuto!» e di nuovo le piume gli sventolarono davanti al muso. A quel punto Tito capì cosa fare.
Afferrò la piuma più vicina a lui e, con tutta la forza che aveva in corpo, la tirò via.
Il grosso Gufo urlò dal dolore e mollò la presa. Tito precipitò.
Giù. Giù. Giù.
Il Gufo virò in aria, dirigendosi verso la sua preda in una caduta libera mozzafiato. Tito gli vide gl’occhi spiritati; l’animale allungò le zampe, gli artigli erano nuovamente pronti ad afferrare il topino. Chiuse gli occhi.
Pluf. Con un rumore e la sensazione di essere avvolto dall’ acqua fredda si rese conto di trovarsi in una cisterna. Riemerse a mala pena, con fatica dopo tutto quel trambusto; si guardò intorno e si aggrappò a un rametto galleggiante. Il Gufo volteggiava sulla testa di Tito, in attesa, disegnando cerchi in aria.
«Mi dispiace, oggi ti è andata male!» urlò il topino. Rimase vigile tutta la notte.
L’ acqua, anche se fredda, lo rendeva tranquillo almeno fino a quando dei rumori lievi lievi, di acqua che zampillava, non lo destarono.
Una piccola rana, di un bel verde smeraldo, estrasse i grandi occhi gialli dall’ acqua. Gracidando saltò sul rametto.
«Oh, guarda! Un topino; dimmi piccino, non sei un po’ troppo lontano da casa?! Da dove vieni?» chiese mentre trasportava il piccolo ramoscello sul bordo della cisterna.
«Vengo dalla colonia oltre il torrente» la rana sgranò gli occhi per la sorpresa.
«Cavolini! Sei a più di un miglio da casa! Ma come hai fatto?».
Tito la guardò e, scrollandosi l’acqua dal pelo, disse due parole che fecero sobbalzare l’anfibio «Il Gufo».
«Senti, piccolo…»
«Mi chiamo Tito» precisò il topolino.
«Ok! Senti Tito, lì dietro c’è un bel mucchio di foglie. Sistemati lì; io cercherò qualcuno che possa aiutarti. Ok?». E con un paio di salti sparì com’ era arrivato. Il topo trovò riparo dove gli aveva indicato la rana, vi si immerse e, una volta scaldato per bene, dormì sereno.

Il sole stava scaldando il mucchio di foglie e il tepore svegliò il topino. Tito emerse controvoglia da quel gradevole giaciglio e si rese conto di non essere più fuori né vicino alla cisterna! Era circondato da quattro mura di pietra calcarea, di un grigio freddo, sopra di se distinse il rosso mattone delle tegole di un tetto. Qui e là vi erano grossi buchi e sul pavimento crescevano, dalle crepe, erbe e edera.
«OH! Ti sei svegliato! Bravo!>> disse una vocina chiara dall’alto delle travi di legno che percorrevano da una parte all’ altra il tetto muffito. Una topolina bianca, dal musetto rosato, si avvicinò a lui con un’eleganza e un’agilità che non aveva nulla da invidiare ad Ezio.   
«Ciao, io sono Ella».

 

 

 

 






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Allora! Salve gente! Questa è la mia prima ff e sinceramente credo che stia uscendo benino ma è ovvio che voglio leggere i consigli e le recensioni!
 Per quanta riguarda la storia beh… è scritta principalmente per mio diletto e per l’amore che ho per gli animali (sono molto, molto convinta). Qui scriverò anche piccole curiosità quindi preparatevi a sentirle delle belle. Vediamo… ah! Ecco!
CURIOSITA’: Il nostro piccolo protagonista si chiama Tito ma perché? 
Serviva un nome importante come quello di un imperatore ma anche che non suonasse troppo duro per un topolino piccolo e gracile. Ho pensato e pensato e poi … L’ imperatore Tito è comparso in un trafiletto di un libro. Ho deciso così di chiamarlo così; per quanto riguarda Ezio … non ho la più pallida idea di come mi sia uscito! Forse perché suonava bene il collegamento Tito & Ezio o Ezio & Tito! Lo ripeto, ho una mente strana io!Per domande e curiosità … beh sono disponibilissima! (Mi sento importante)!

   
 
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