Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Ninfea Blu    09/02/2015    4 recensioni
Leggendo gli ultimi numeri del manga, ho immaginato uno sviluppo diverso degli eventi che potrebbe essere verosimile. Masumi non si è mai rivelato e si è sposato con una donna che non ama, condannandosi all'infelicità. Maya ha cercato di dimenticarlo, gettandosi anima e corpo nel teatro. Sono due cuori infelici, finché una sera il cinico presidente della Daito decide di non tornare a casa...
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Masumi Hayami, Maya Kitajima
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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casa di bambola

2 - Casa di bambola

 

 

 

 

La sala del teatro era immersa nell’ oscurità.

I fasci dei potenti proiettori scendevano dall’alto ferendo il buio circostante.

Era appena iniziato il secondo atto del dramma Casa di bambola, il testo teatrale di Ibsen, autore norvegese del secolo scorso.

Seduto in platea, in una delle prime file, Masumi Hayami seguiva con massima attenzione tutto quello che avveniva sulla scena. Era già la quarta volta che rivedeva lo spettacolo, non riusciva a farne a meno.

In verità, il presidente della Daito di solito assisteva solo alle prime teatrali, quasi mai alle repliche, e qualcuno si era già sorpreso per quel fatto inusuale. Cercava di concentrarsi sulla storia, di seguire ogni dettaglio, ma malgrado tutto, era sempre lei che catturava il suo specifico interesse.

Bastava la sua sola presenza, anche silenziosa, a calamitare tutti i suoi sguardi.

Adesso, molto più che in passato.

Ora alle immagini di lei, associava altri pensieri più intimi, primo fra tutti il ricordo travolgente di una sola notte che equivaleva ad un incendio che stava divorando tutto e non voleva saperne di placarsi; si sarebbe esacerbato solo di più, in quell’ urgenza dolorosa impossibile da soddisfare, che lo spingeva verso di lei.

Una notte sola aveva fatto crollare il castello di ipocrisie su cui era costruita la sua esistenza.

 

Erano già passati oltre tre mesi. All’uomo parevano un’ eternità.

Ma cos’erano quei tre mesi, di fronte al lungo tempo che li aveva visti distanti e lontani? Perfino ostili?

 

Aveva tentato di vederla di nuovo, ma lei si era sempre negata. Proprio come farebbe una prima donna.

Maya non era così, e lui lo sapeva. Il suo non era il capriccio volubile di un’ attrice. Tutta quella forza orgogliosa e genuina lo faceva impazzire di ammirazione e rinnovato desiderio.

L’ultimo fugace incontro tra loro era avvenuto due settimane prima nel foyer del teatro Orion affollato di spettatori, giornalisti, personaggi dell’ambiente di spettacolo, in occasione del debutto di Casa di Bambola.

Come lui aveva ampiamente previsto, era stato un successo clamoroso, amplificato dal tam tam dei giornali nazionali di metà del Giappone. La straordinaria, magica interprete del capolavoro di Ozaki, La Dea Scarlatta, mieteva consensi entusiastici ogni volta che saliva su un palco. Non c’era ruolo che fosse troppo difficile per lei. E quello di Nora era oltremodo complesso.

Era veramente la ragazza dalle mille maschere.

 

“Complimenti per la sua fresca e vivace interpretazione di Nora, Maya. È stata fantastica, ma non avevo dubbi in merito. Questo spettacolo le porterà fortuna.”

“Grazie, presidente Hayami, ma non capisco bene cosa intende…”

Le aveva posato le mani sulle spalle, per sfiorarle la pelle lasciata scoperta dal vestito, unico contatto che potesse concedersi, a risvegliare il ricordo proibito di altre carezze.

“Intendo che è un altro magnifico tassello alla sua carriera…

Non l’aveva più chiamata ragazzina, né riusciva a guardarla senza rivelare la forte attrazione che lo infiammava. Non c’era sguardo che posasse su di lei, anche il più distratto, che non fosse denso di sfumature allusive, passione, dolore e nostalgia, richiamo di promesse e sentimenti segreti che solo Maya poteva cogliere.

“Comunque, la trovo molto bene Maya. Da qualche tempo colgo in lei un fascino misterioso… oserei dire… conturbante. – Le aveva sussurrato più vicino, affinché nessun altro sentisse. - Mi stavo chiedendo di chi fosse il merito di una luce simile nel suo sguardo…”

Il commento era più audace di quanto si sarebbe aspettata da un tipo solitamente controllato, come lui. Maya imbarazzata, abbassò lo sguardo. Perché faceva così? Perché voleva metterla in difficoltà?

“Signor Hayami, io…” balbettò incerta.

“Ho lasciato mia moglie. – Aveva aggiunto, senza darle il tempo di ribattere. – Io mantengo sempre le mie promesse, dovrebbe saperlo. Ora vivo in albergo, al Tokio Palace. – Improvviso, le aveva afferrato un polso, e si era accostato di più al suo orecchio. - Ma c’è sempre la villa a Izu… potrebbe venire laggiù a farmi compagnia. Le andrebbe?”

Era stato un invito esplicito, accompagnato da uno sguardo impossibile da equivocare.

“Ecco… Viste le circostanze, credo che lei debba stare solo per un po’, signor Hayami.” Aveva commentato con ostentata indifferenza, ma il vistoso rossore sulle guance l’aveva tradita. Era incapace di dissimulare.

Troppo vera, Maya. Troppo autentica.

 

Fuori dalle scene era sempre la ragazzina un po’ timida, spontanea che conosceva.

Ma sul palco Maya era un’altra cosa: lì, era magnifica e inarrivabile.

Come ora, che recitava nel dialogo che la vedeva contrapposta al dottor Rank, amico di famiglia cui non resta molto da vivere che ha un segreto debole per Nora.

 

- Dottore, se io le domandassi una grande prova di amicizia… di affetto… Un enorme favore…

- Vorrebbe dunque, almeno per una volta, darmi questa gioia?

- Ma lei non sa di che si tratta.

- La prego, mi dica.

- Non posso. È troppo importante. E poi è anche d’ un consiglio che ho bisogno.

- Tanto meglio. Mi dica tutto. Non ha fiducia in me?

- Come in nessun altro. Lei è il mio più grande amico, ed è per questo… dottore, è un segreto. C’è una cosa che lei dovrebbe aiutarmi a impedire… lei sa quanto bene mi vuole Torvald. Un amore immenso, indicibile. Non esiterebbe a dare la vita per me. (…)

- Nora, e lei crede che sia l’unico? (…) l’unico che darebbe la vita per amor suo? (…) Nora, io ho giurato che dovevo farglielo sapere, prima di andarmene. Parli, dunque, si confidi: adesso, lei sa. Sa che può confidarsi con me, come con nessun altro. [1]

 

Più assisteva alla commedia, più Masumi faceva confronti e parallelismi tra la vita di Nora e la sua: incredibilmente riusciva a identificarsi nel personaggio di Nora, nel suo modo di porsi verso la realtà, nella sua ribellione ultima. Vita vera e fantasia sembravano confondersi, o forse collimavano.

Chi era stato a dire che tutti gli uomini non sono altro che semplici attori sul palcoscenico della vita?

La crisi di Nora, era la sua.

Quel dramma di Henrik Ibsen, rappresentava benissimo, anche se in vicende diverse, quello che era stata la sua esistenza.

Tutta una farsa. Come la vita di Nora.

 

- Nora, non eri… Non eri felice?

- No: soltanto allegra, ecco. Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio padre, una bambola/figlia; con te, una bambola/moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos’è la nostra unione, Torvald.

- C’ è qualcosa di vero in quello che dici (…) È passato il tempo della ricreazione. Adesso viene quello dell’educazione.

- Quale educazione, la mia o quella dei nostri figli?

- Entrambe, cara Nora.

- Mio povero Torvald, non sei l’uomo che possa educarmi in modo da farmi diventare la moglie che ti necessita. [2]

 

Alla fine la protagonista arrivava ad una consapevolezza tale di sé stessa e dell’altro, da darle il coraggio e la forza di abbandonare il marito.

 

Era quello che doveva fare lui. Abbandonare e lasciare andare. Liberarsi di un vuoto che era diventato un tormento. Era quello che stava cercando di fare, con non poche difficoltà.

Non aveva perso tempo.

Aveva affrontato il discorso con la moglie la sera dopo quella notte.

Onesto e spietato fino in fondo, le aveva presentato la verità nuda e cruda, senza omettere nulla.

Senza giustificarsi.

 

Ti ho tradito, le aveva detto senza tanti preamboli, senza rimorsi. Quasi con gelida indifferenza.

Ma tradirei di più me stesso, se restassi con te, aveva aggiunto con estrema decisione.

 

“Non sei stanca di vivere così? Immersa in tutta questa falsità? Io lo sono, e molto. Te lo avevo detto che non ti avrei resa felice. Per questo, ti avevo chiesto di riconsiderare il nostro accordo. Non è mai stato amore, il nostro. Di certo, non il mio. Neppure il tuo, nonostante quello che credi, e se ti guardi dentro, ti renderai conto che ho ragione. Hai solo voluto credere in un’ illusione.”

 

Lei all’inizio non aveva reagito e lui avrebbe preferito sentirla urlare; sarebbe stato meglio di quel silenzio inquietante, di quell’apatia indecifrabile che lo spaventava.

Naturalmente aveva già sguinzagliato tutti i suoi legali, per avere una stima dei danni causati dalla futura separazione, la valutazione di tutti i rischi e delle perdite, e parare le possibili rimostranze della moglie e dei parenti di lei, che non avrebbero reagito di buon grado alla sua arbitraria decisione.

C’era anche in ballo la fragilità mentale della giovane sposa, che già in passato era stata in cura per un crollo nervoso, in un momento in cui il loro fidanzamento, causa l’indecisione di Masumi, sempre in conflitto coi suoi sentimenti, sembrava dovesse risolversi in un niente di fatto.

Non voleva rivivere un’ esperienza del genere. Sperava che tutto si potesse risolvere senza drammi e tragedie. Ma se anche così non fosse stato, non avrebbe mai fatto marcia indietro. Erano arrivati alla resa dei conti. [3]

 

“Farò venire a prendere le mie cose da qualcuno. – Le disse quella stessa sera, prima di andarsene. - Sarai contattata dai miei avvocati. Se mi lascerai andare senza traumi, il divorzio sarà quasi indolore, per te, per me, per la tua famiglia. Mi impegnerò comunque a mantenere tutti gli accordi commerciali presi con il gruppo Takamiya, e pagherò eventuali penali, se verranno pretese. Ti prego di non dare in inutili escandescenze; non servirebbero a nulla, salvo spingermi a insistere maggiormente nei miei propositi. Non diventiamo nemici, troveresti in me una persona molto ostile.”

 

Solo allora, la moglie aveva ribattuto, ma senza eccessivo slancio. Gli aveva detto che lo amava, che lo aveva amato sinceramente, senza però riuscire a convincerlo.

“Dunque, la nostra unione per te, non era altro che un accordo? Solo questo?”

“Pensavi fosse qualcosa di diverso? Il nostro matrimonio è stato combinato per interesse. Non fingere di non saperlo, o che fosse altro da questo. Vuoi continuare a ingannarti?”

“Vuoi rovinare tutto, la tua vita e il tuo futuro, per cosa? È sempre lei, vero? Quell’ attrice troppo giovane per te… Maya Kitajima. Dopo tutto questo tempo, pensi ancora a lei.”

Tutto si sarebbe aspettato, tranne il cinismo delle parole che seguirono, che mai aveva colto in lei.

“Oh, d’ accordo Masumi: ti sei tolto uno sfizio che ti ossessionava da tempo. Posso accettarlo, perfino comprenderlo. L’hai sostenuta e corteggiata di nascosto per anni, ora potrai togliertela dalla testa. Adesso, possiamo andare avanti con la nostra vita e dimenticare. Fare finta che non sia successo niente. Io sono pronta a farlo, per te, per noi.”

Aveva parlato con calma raggelante, con un lieve sorriso enigmatico a increspare gli angoli delle labbra dipinte di rosso. A quel punto, la brama di fuggire via, il più lontano possibile da quella casa, da quella vita illusoria, da quell’ estranea che non conosceva diventò impellente e necessaria.

Tirò un’ ultima boccata di fumo dalla sigaretta, poi spense il mozzicone nel posacenere di cristallo cesellato, posato sul tavolino basso del salotto elegante.

Che insulto. Quanta insensibilità. Lei non era uno sfizio.

Lei era la splendida ragazza vitale e appassionata che gli aveva restituito un’ anima, ma gli sembrò inutile e superfluo farglielo notare. Prese le chiavi della sua auto sportiva e se ne andò senza dirle una parola.

 

Naturalmente sapeva che non sarebbe finita lì.

 

 

Stava finendo il secondo atto del dramma. Tutto si stava compiendo.

Nora, ricattata da Krogstad, l’uomo che le aveva prestato il denaro per salvare il marito, si sentiva perduta. Il procuratore sarebbe stato licenziato come era nelle intenzioni di Torvald, pronto a cedere il posto alla signora Linde, vedova e vecchia amica della moglie, e la firma falsa su quell’ obbligazione li avrebbe gettati nella disgrazia e nella vergogna. Nora attendeva un miracolo che non sarebbe avvenuto. Il pesante sipario si abbassava su Maya che rispondeva al vezzeggiativo gioioso del marito, volando letteralmente tra le sue braccia, nascondendo la disperazione di chi aspetta la catastrofe.

 

 

§§§§

 

 

 

Masumi durante la pausa, era uscito dalla sala per fumarsi una sigaretta.

Stava immaginando Maya in camerino, davanti al suo mazzo di fiori; un mare di iris bianchi che circondavano, come a volerla proteggere, una rosa purpurea. Il primo a distanza di tre anni. Immaginava il suo sincero stupore mentre leggeva il biglietto, scorreva le righe, riconosceva la calligrafia.

 

È sempre meraviglioso per me vederti su quel palco.

La parte di Nora è perfetta per te:

sei stata capace di tirare fuori tutta la sua gioiosa esuberanza,

che vela appena l’inquietudine del personaggio.

Nel finale la tua Nora è grandiosa; mi lascia inchiodato alla poltrona per l’emozione dolorosa, che sento come se fosse mia.

Ricordati la mia promessa. Non ti permetterò più di respingere le mie rose.

Ti sarò sempre accanto.

 

Ps. L’invito della prima è sempre valido.

 

Il tuo fervente ammiratore…

Masumi Hayami

 

 

Aveva sorriso mentre scriveva il suo nome per esteso sul cartoncino. Negli anni, quanto aveva desiderato poterlo fare. Era stato bello e liberatorio scrivere quel biglietto. Era bello non doversi più nascondere dietro l’ombra dell’ammiratore, mentire e fingere, almeno con lei. Ma per le sue vicende personali, il mondo non poteva ancora sapere.

Esporsi ora con Maya, voleva dire danneggiarne la reputazione, nel momento di massimo fulgore. Non voleva che si sporcasse con le sue miserie personali, con i suoi fallimenti.

La separazione non era ancora del tutto ufficiale, anche se nell’ambiente giravano delle voci. La notizia del trasferimento del presidente Hayami presso un albergo di Tokio, era trapelata con discrezione; si ipotizzavano tensioni nel rapporto tra coniugi, ma nessuno parlava di relazioni extraconiugali e Hayami appariva in pubblico sempre solo.

Le carte del divorzio non erano state ancora firmate.

Ma si trattava solo di saper calcolare il momento giusto, per cogliere la moglie in difetto e obbligarla a cedere. Era solo questione di tempo.

Il vecchio Hayami, malato e sempre più debole, era rimasto sorpreso e preoccupato dalla decisione del figlio. Eisuke era arrivato al capolinea della sua vita; dopo la messa in scena della Dea Scarlatta, suo unico obbiettivo per anni, aveva perso quasi ogni altro interesse agli affari della Daito, delegando ogni decisione al figlio. Si limitava a qualche raro intervento o suggerimento, quasi fosse stato un semplice consulente, fatto che aveva sorpreso non poco perfino Masumi.

“Non capisco questo colpo di testa, Masumi. Sembrava che il vostro fosse un matrimonio felice. Invidiati da tutti, eravate una coppia perfetta.”

“Hai detto bene, padre. Sembrava.”

“C’è qualcosa che non so? C’è un’altra donna? Magari quell’attrice cui regalavi rose tempo fa…”

“Saranno almeno tre anni che non regalo fiori a nessuna attrice della Daito…”

A parte nell’ultima settimana, pensò, tornando al ricordo ancora fresco di quella sera con Maya.

“Allora, un’ imprevista avventura di una notte? Escludo possa essere lei ad aver tradito, anche se una cosa simile da parte di un tipo con pochi slanci come te, è sorprendente.”

Masumi non si preoccupò di negare. Ormai non gli interessavano più le possibili reazioni di suo padre, che mai aveva sospettato quali fossero i sentimenti che lo legavano a Maya: si era liberato dal suo giogo da un pezzo.

“Sì, c’è un’ altra donna di cui sono innamorato. Ti sembra impossibile? Ma non voglio parlarne con te.” Disse aspirando una boccata di fumo.

“Amore e affari non vanno assieme. Te ne verrà un danno. Fatti tutte le amanti che vuoi, ma fallo con discrezione. Non ti ho proprio insegnato niente?”

Sospirò il vecchio un po’ amaramente, con un tono stanco nella voce.

“Al contrario: mi hai insegnato anche troppo. Ma in fatto di sentimenti sei l’ultima persona che può darmi dei consigli. D’ ora in poi farò a modo mio.”

“Per quanto puoi, evita di pagare un prezzo troppo alto.”

“Arrivi tardi: l’ho pagato tre anni fa, quando ho accettato di sposarmi per interesse.”

 

La moglie aveva tentato un riavvicinamento, prima con le buone, poi aveva provato con gli isterismi e le minacce. Aveva sortito l’effetto di irritarlo solamente di più.

Anche la famiglia Takamiya non l’aveva presa bene e aveva tentato di esercitare pressioni su di lui, ma Masumi non aveva ceduto di un solo millimetro. Si era cautelato, recuperando qualche informazione scomoda su alcune speculazioni poco limpide, tramite l’aiuto del suo fidato collaboratore Karato Hijiri. Non voleva usarle, ma solo tenerle come arma di riserva, se fosse stato necessario allo scopo di liberarsi della moglie.

Sorrise un po’ cinico al pensiero: la sua ragazzina avrebbe trovato quel giochetto meschino, ma Masumi Hayami era anche quello, un uomo pronto a tutto per ottenere risultati positivi.

Stava per finire la sigaretta e a breve sarebbe ripreso lo spettacolo con l’ultimo atto.

Proprio in quel momento, un uomo, dirigente di una nota casa di produzione artistica, concorrente della Daito, si avvicinò a lui.

“Buonasera Hayami-san. Debbo congratularmi con lei per il successo di Casa di Bambola. Era una scommessa azzardata, su un testo occidentale con una tematica così delicata, ma l’avete vinta. Alla prima è venuto giù il teatro, e fate il tutto esaurito a ogni replica.”

“Grazie. In effetti sono molto soddisfatto: è stato un affare decisamente proficuo mettere in scena questo dramma.”

“Beh, Maya Kitajima, l’interprete de La Dea Scarlatta,  dava ottime garanzie, ammettiamolo. Chiunque avrebbe fatto carte false per averla… Lei è un uomo che sa quali rischi vale la pena di correre, vero Hayami-san?”

Masumi fissò apertamente il suo interlocutore, e sollevò un sopracciglio cogliendo il tono allusivo dell’uomo. Il sospetto che ci fosse nella frase qualche altro riferimento venne confermato immediatamente dopo.

“Deve piacerle molto questo spettacolo: mi dicono che lo ha visto più di una volta, una cosa che lei fa assai di rado. Deve sentirsi particolarmente coinvolto dalla storia… oppure ha qualche altro interesse…  più personale…”

Masumi sorrise lievemente, camuffando con abilità un moto di nervosismo.

“Se si riferisce alla situazione con mia moglie, è una pura coincidenza.”

“Mi riferisco all’attrice. Si dice che assiste a tutti i suoi spettacoli. Fin dal suo debutto, non ne ha mai perso uno. Sembra più di un interesse legato al solo talento…”

“Sono un produttore teatrale; è normale che io mi interessi ad un’attrice di rilievo come la signorina Kitajima. Mi scusi ora, ma torno al mio posto: sta per iniziare il terzo atto e non voglio perdere neppure una battuta. È stato un piacere parlare con lei.”

“Avrei un progetto da sottoporle…quando potremmo parlarne?”

“Prenda un appuntamento con la mia segretaria… però temo che per le prossime settimane, la mia agenda sia piena…”

Sì voltò e rientrò in platea, lasciando l’altro a se stesso.

 

Era di nuovo seduto al suo posto.

Pochi attimi dopo si abbassarono le luci e il sipario si sollevò.

Gli attori erano già in scena.

 

 

Il terzo atto si apriva con una rivelazione: il procuratore Krogstand e la signora Linde avevano un passato condiviso, una vecchia storia d’amore finita male. Erano due naufraghi che cercavano di aggrapparsi allo stesso relitto, il posto di lavoro alla banca offerto dal signor Torvald Helmer.

Per quello Nora aveva subito il ricatto, ma ora c’era anche una lettera rivelatrice di tutto che pendeva sul suo capo e sul suo futuro accanto al marito.

Una lettera che attendeva solo di essere letta da Helmer e che avrebbe rappresentato uno dei momenti clou dello spettacolo.

Masumi osservò Maya entrare in scena con una costume tipico napoletano per ballare la tarantella e uno scialle sulle spalle. Le sue movenze erano frementi, ansiose, qualche volta restie, e i suoi occhi scuri tradivano aspettativa. Il suo partner la seguiva eccitato e euforico, e attraverso le battute, esprimeva il desiderio di essere solo in compagnia della moglie, di giocare con lei.

 

-         Non guardarmi così, Torvald!

-         Non devo guardare il mio tesoro più prezioso? Tutta questa bellezza che è solo mia? Completamente mia?

-         Non devi parlarmi così questa notte.

-         Nora, tu hai ancora nel sangue la tarantella, lo vedo. E questo ti rende ancora più seducente.

 

Ma Maya non aveva ballato affatto. E allora come faceva ad avere quell’espressione carica di dolce sensualità e malizia, unita a uno strano sottile pudore? Masumi ne era assolutamente rapito, soggiogato. E odiava l’attore che la toccava, poteva abbracciarla, stringerla senza riserve.

 

-         Nora lo sai perché nelle feste come stasera ti parlo poco, me ne sto lontano, ti guardo appena? Perché fantastico. Tu diventi nella mia immaginazione, il mia amante segreta, la mia fidanzata misteriosa, e che nessuno supponga che tra noi due ci sia qualcosa.

-         Già, i tuoi pensieri sono sempre rivolti a me, lo so.

-         (…) Per tutta la serata non ho desiderato altro che te! Vedendoti folleggiare, provocante e adescatrice nella tua tarantella, mi sentivo ribollire il sangue; allora non ho più resistito... è per questo che ti ho trascinata via, prima che la festa finisse.

-         Ma adesso lasciami, ti prego. Non voglio.

 

Masumi si trovò a pensare che per lui fosse lo stesso. Anche lui non ne poteva più. L’aveva avuta una sola volta, ma la voleva ancora, e ancora. Voleva poter gridare al mondo quanto l’amava, quanto si sentisse felice e completo, solo con lei.

E Maya si negava, spietata.

Aveva sperato che una volta almeno lo raggiungesse in albergo, ma invano.

Maya non era mai venuta a cercarlo.

Cocciuta, determinata ragazzina.

Eppure lo sapeva che si stava separando.

 

A ogni replica, dopo lo spettacolo si sforzava di non raggiungerla in camerino, come avrebbe voluto, ma quella sera non era sicuro di riuscirci.

Tre mesi.

Erano davvero troppi da sopportare, un tempo talmente lungo che lo aveva messo a dura prova.

Voleva poterla almeno sfiorare, le guance, il collo, stringerle le mani fra le sue. Rubarle un bacio. Ma sarebbe riuscito a fermarsi, prima di rovesciarla lì, su uno scomodo divanetto e farla sua, di nuovo?

Temeva di non avere tanta forza.

La sognava sul palco.

La vedeva danzare per lui, una tarantella forsennata, seducente.

La sognava nel suo letto, tra le sue braccia arrendevole e calda.

Accesa dalla stessa passione che bruciava lui, che lo torturava dolcemente.

E certe mattine si svegliava con il respiro corto, il cuore che scoppiava nel petto, sconvolto dalla sua assenza e deluso di trovarsi in un letto troppo grande, tra lenzuola troppo fredde.

Era pazzo.

Era decisamente pazzo di lei.

 

Ispirati dai suoi occhi fissi sulla figura esile e magnetica di Maya, i suoi pensieri correvano come furie impazzite nella sua mente; intanto la scena sul palco giungeva al suo culmine più drammatico.

Torvald aveva letto la lettera e adesso gridava e chiamava la moglie, sconvolto e furioso.

L’atmosfera era cambiata repentina, e dove prima c’era una sorta di complicità, eccitazione velata dall’ansia, ora restava tensione e rabbia.

Il marito ferito nell’orgoglio accusava la moglie gettandola in un baratro di bassezze, giudicandola alla stregua di una orribile criminale e Nora, inizialmente restava muta e sgomenta, di fronte alle accuse gelide del marito, che meditava cosa fare, come reagire allo scandalo.

La loro vita doveva restare immutata, apparentemente sempre uguale agli occhi della gente, mentre le negava anche l’educazione dei loro figli, preoccupato solo di salvare i resti, le apparenze.

 

Come gli pareva famigliare quella situazione, come qualcosa di già vissuto. E non era perché aveva già visto la rappresentazione svariate volte. Era un’esperienza dei sensi e del cuore, un sentimento di amarezza che gli era passato sulla pelle, come un tocco gelido e pesante.

 

Ma la scena stava cambiando di nuovo.

 

Una domestica portava una nuova lettera per Nora, subito intercettata dal marito. E l’atmosfera si trasformava ancora. Era la salvezza. Il pentimento ormai tardivo di Krogstand che rinunciava al ricatto e cedeva l’obbligazione. L’avvocato Helmer a quel punto chiamava la moglie, esultando di gioia.

 

Masumi osservava l’espressione interrogativa di Maya, che faceva quasi tenerezza, mentre guardava il suo partner di scena, senza capire cosa stesse accadendo. Sono salvo… Siamo salvi tutti e due, gridava il marito con entusiasmo, e bruciava lettera e obbligazione.

E tutto pareva finito.

 

-         (…) Andiamo, non fare quel viso. Credi che non ti abbia perdonato? Ma sì che ho perdonato, te lo giuro. Lo so che quello che hai fatto, lo hai fatto per amor mio.

-         È vero.

-         (…) Dimentica le brutte parole che ti ho dette nel primo momento di esasperazione, quando credevo che tutto crollasse attorno a me. Ti ho perdonato, Nora, giuro che ti ho perdonato.

-         Ti ringrazio per il tuo perdono.

 

 

Masumi osservò l’espressione di Maya indurirsi, diventare impassibile.

Il cambiamento di Nora, la sua presa di coscienza era in atto.

Il personaggio usciva di scena per togliere la maschera della bambola/buffona che tanto piaceva al marito, e rientrare con un abito diverso, pronta a lasciare quella casa.

Eccola la scena culmine del dramma.

Masumi avvertì il cuore tremare.

Sapeva già cosa doveva accadere, ma tutte le volte era la stessa emozione, lo stesso spasimo violento che lo catturava; la voce argentina di quella ragazzina improvvisamente cambiava tono e registro, diventando profonda, calma e quasi solenne. Ed era assolutamente femminile.

Quella metamorfosi lo sconvolgeva ogni volta, in un modo che non sapeva spiegare.

Era così e basta, e non poteva farci nulla.

 

-         Non è poi così tardi. Siediti Torvald. Dobbiamo parlare.

-         Nora, ma che cosa vuoi dire? Quel viso così duro…

-         Siedi. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte cose da dirci.

-         Mi fai paura Nora, non ti capisco.

-         Dici bene: non mi comprendi. E anch’io non ti ho mai compreso… Fino a stasera. No, non m’interrompere. Ascolta ciò che dico… siamo arrivati alla resa dei conti.

 

Eccola: la sensazione improvvisa di già vissuto, lo assalì di nuovo.

 

 

Continua…

 

 

 

 


 

Eccomi qui, contro ogni mia aspettativa.

Il primo capitolo era nato come one-shot, e in effetti è una storia che per me vive tuttora di vita propria.

Era molto indecisa se pubblicare a parte, ma visto che le storie sono collegate, - e questo è a tutti gli effetti una continuazione - ho proseguito qui.

Pensando a un continuo, ho subito colto un parallelismo forse azzardato, spero non troppo, con “Casa di bambola”, dramma di Ibsen che mi pareva calzante alla situazione descritta in precedenza, soprattutto per Masumi, che non è Nora, certamente, ma vive un’ esperienza analoga.

Inoltre, mi pareva che il personaggio di Nora, fosse perfetto e interessante per la nostra talentuosa attrice. Mi piaceva l’idea che lei potesse portarla sul palco, e dopo la Dea Scarlatta, tutto dovrebbe essere fattibile per lei.

Avrei voluto proseguire con la fine dell’ ultimo atto, ma diventava davvero troppo lungo, e ho temuto di annoiarvi. Così penso che tutto si concluderà con il prossimo capitolo, anche perché non era prevista una storia troppo lunga.

Ringrazio tutte le mie lettrici e quelle che hanno commentato in precedenza.

I vostri pareri saranno sempre bene accetti. Un saluto

Ninfea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1]  Tutta questa parte in neretto, come le altre che troverete andando avanti nel capitolo, sono parti originali del testo di ‘Casa di Bambola.’ Ho inserito quelle che mi sembravano più significative alla situazione vissuta dai nostri eroi.

[2] Questo avviene nel terzo e ultimo atto del dramma, ma  io lo colloco qui per collegarlo a ciò che viene subito dopo tra Masumi e la moglie (Shori che io non nomino mai nella ff, ma è lei).

[3] Stessa frase che dirà la protagonista di ‘Casa di Bambola’, al marito, nel momento in cui decide di lasciarlo.

   
 
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