2 - Casa di bambola
La
sala del teatro era immersa nell’ oscurità.
I
fasci dei potenti proiettori scendevano dall’alto ferendo il buio circostante.
Era
appena iniziato il secondo atto del dramma Casa di bambola, il testo teatrale
di Ibsen, autore norvegese del secolo scorso.
Seduto
in platea, in una delle prime file, Masumi Hayami seguiva con massima
attenzione tutto quello che avveniva sulla scena. Era già la quarta volta che
rivedeva lo spettacolo, non riusciva a farne a meno.
In
verità, il presidente della Daito di solito assisteva solo alle prime teatrali,
quasi mai alle repliche, e qualcuno si era già sorpreso per quel fatto
inusuale. Cercava di concentrarsi sulla storia, di seguire ogni dettaglio, ma
malgrado tutto, era sempre lei che catturava il suo specifico interesse.
Bastava
la sua sola presenza, anche silenziosa, a calamitare tutti i suoi sguardi.
Adesso,
molto più che in passato.
Ora
alle immagini di lei, associava altri pensieri più intimi, primo fra tutti il ricordo
travolgente di una sola notte che equivaleva ad un incendio che stava divorando
tutto e non voleva saperne di placarsi; si sarebbe esacerbato solo di più, in
quell’ urgenza dolorosa impossibile da soddisfare, che lo spingeva verso di
lei.
Una
notte sola aveva fatto crollare il castello di ipocrisie su cui era costruita
la sua esistenza.
Erano
già passati oltre tre mesi. All’uomo parevano un’ eternità.
Ma
cos’erano quei tre mesi, di fronte al lungo tempo che li aveva visti distanti e
lontani? Perfino ostili?
Aveva
tentato di vederla di nuovo, ma lei si era sempre negata. Proprio come farebbe
una prima donna.
Maya
non era così, e lui lo sapeva. Il suo non era il capriccio volubile di un’
attrice. Tutta quella forza orgogliosa e genuina lo faceva impazzire di
ammirazione e rinnovato desiderio.
L’ultimo
fugace incontro tra loro era avvenuto due settimane prima nel foyer del teatro
Orion affollato di spettatori, giornalisti, personaggi dell’ambiente di
spettacolo, in occasione del debutto di Casa di Bambola.
Come
lui aveva ampiamente previsto, era stato un successo clamoroso, amplificato dal
tam tam dei giornali nazionali di metà del Giappone. La straordinaria, magica
interprete del capolavoro di Ozaki, La Dea Scarlatta, mieteva consensi
entusiastici ogni volta che saliva su un palco. Non c’era ruolo che fosse
troppo difficile per lei. E quello di Nora era oltremodo complesso.
Era
veramente la ragazza dalle mille maschere.
“Complimenti
per la sua fresca e vivace interpretazione di Nora, Maya. È stata fantastica,
ma non avevo dubbi in merito. Questo spettacolo le porterà fortuna.”
“Grazie,
presidente Hayami, ma non capisco bene cosa intende…”
Le
aveva posato le mani sulle spalle, per sfiorarle la pelle lasciata scoperta dal
vestito, unico contatto che potesse concedersi, a risvegliare il ricordo
proibito di altre carezze.
“Intendo
che è un altro magnifico tassello alla sua carriera…”
Non
l’aveva più chiamata ragazzina, né riusciva a guardarla senza rivelare
la forte attrazione che lo infiammava. Non c’era sguardo che posasse su di lei,
anche il più distratto, che non fosse denso di sfumature allusive, passione,
dolore e nostalgia, richiamo di promesse e sentimenti segreti che solo Maya
poteva cogliere.
“Comunque,
la trovo molto bene Maya. Da qualche tempo colgo in lei un fascino misterioso…
oserei dire… conturbante. – Le aveva sussurrato più vicino, affinché nessun
altro sentisse. - Mi stavo chiedendo di chi fosse il merito di una luce simile
nel suo sguardo…”
Il commento
era più audace di quanto si sarebbe aspettata da un tipo solitamente
controllato, come lui. Maya imbarazzata, abbassò lo sguardo. Perché faceva
così? Perché voleva metterla in difficoltà?
“Signor
Hayami, io…” balbettò incerta.
“Ho
lasciato mia moglie. – Aveva aggiunto, senza darle il tempo di ribattere. – Io
mantengo sempre le mie promesse, dovrebbe saperlo. Ora vivo in albergo, al
Tokio Palace. – Improvviso, le aveva afferrato un polso, e si era accostato di
più al suo orecchio. - Ma c’è sempre la villa a Izu… potrebbe venire laggiù a
farmi compagnia. Le andrebbe?”
Era
stato un invito esplicito, accompagnato da uno sguardo impossibile da
equivocare.
“Ecco…
Viste le circostanze, credo che lei debba stare solo per un po’, signor
Hayami.” Aveva commentato con ostentata indifferenza, ma il vistoso rossore
sulle guance l’aveva tradita. Era incapace di dissimulare.
Troppo
vera, Maya. Troppo autentica.
Fuori
dalle scene era sempre la ragazzina un po’ timida, spontanea che conosceva.
Ma
sul palco Maya era un’altra cosa: lì, era magnifica e inarrivabile.
Come
ora, che recitava nel dialogo che la vedeva contrapposta al dottor Rank, amico
di famiglia cui non resta molto da vivere che ha un segreto debole per Nora.
- Dottore, se io le domandassi una grande prova di amicizia… di
affetto… Un enorme favore…
- Vorrebbe dunque, almeno per una volta, darmi questa gioia?
- Ma lei non sa di che si tratta.
- La prego, mi dica.
- Non posso. È troppo importante. E poi è anche d’ un consiglio che ho
bisogno.
- Tanto meglio. Mi dica tutto. Non ha fiducia in me?
- Come in nessun altro. Lei è il mio più grande amico, ed è per questo…
dottore, è un segreto. C’è una cosa che lei dovrebbe aiutarmi a impedire… lei
sa quanto bene mi vuole Torvald. Un amore immenso, indicibile. Non esiterebbe a
dare la vita per me. (…)
- Nora, e lei crede che sia l’unico? (…) l’unico che darebbe la vita
per amor suo? (…) Nora, io ho giurato che dovevo farglielo sapere, prima di
andarmene. Parli, dunque, si confidi: adesso, lei sa. Sa che può confidarsi con
me, come con nessun altro. [1]
Più
assisteva alla commedia, più Masumi faceva confronti e parallelismi tra la vita
di Nora e la sua: incredibilmente riusciva a identificarsi nel personaggio di
Nora, nel suo modo di porsi verso la realtà, nella sua ribellione ultima. Vita
vera e fantasia sembravano confondersi, o forse collimavano.
Chi
era stato a dire che tutti gli uomini non sono altro che semplici attori sul
palcoscenico della vita?
La
crisi di Nora, era la sua.
Quel
dramma di Henrik Ibsen, rappresentava benissimo, anche se in vicende diverse,
quello che era stata la sua esistenza.
Tutta
una farsa. Come la vita di Nora.
- Nora, non eri… Non eri felice?
- No: soltanto allegra, ecco. Eri molto carino con me: ma
la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio
padre, una bambola/figlia; con te, una bambola/moglie. E i nostri figli, le mie
bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando
giocano con me. Ecco cos’è la nostra unione, Torvald.
- C’ è qualcosa di vero in quello che dici (…) È passato
il tempo della ricreazione. Adesso viene quello dell’educazione.
- Quale educazione, la mia o quella dei nostri figli?
- Entrambe, cara Nora.
- Mio povero Torvald, non sei l’uomo che possa educarmi in
modo da farmi diventare la moglie che ti necessita. [2]
Alla
fine la protagonista arrivava ad una consapevolezza tale di sé stessa e
dell’altro, da darle il coraggio e la forza di abbandonare il marito.
Era
quello che doveva fare lui. Abbandonare e lasciare andare. Liberarsi di un
vuoto che era diventato un tormento. Era quello che stava cercando di fare, con
non poche difficoltà.
Non
aveva perso tempo.
Aveva
affrontato il discorso con la moglie la sera dopo quella notte.
Onesto
e spietato fino in fondo, le aveva presentato la verità nuda e cruda, senza
omettere nulla.
Senza
giustificarsi.
Ti ho
tradito, le aveva detto senza tanti
preamboli, senza rimorsi. Quasi con gelida indifferenza.
Ma
tradirei di più me stesso, se restassi con te, aveva aggiunto con estrema decisione.
“Non
sei stanca di vivere così? Immersa in tutta questa falsità? Io lo sono, e
molto. Te lo avevo detto che non ti avrei resa felice. Per questo, ti avevo
chiesto di riconsiderare il nostro accordo. Non è mai stato amore, il nostro.
Di certo, non il mio. Neppure il tuo, nonostante quello che credi, e se ti
guardi dentro, ti renderai conto che ho ragione. Hai solo voluto credere in un’
illusione.”
Lei
all’inizio non aveva reagito e lui avrebbe preferito sentirla urlare; sarebbe
stato meglio di quel silenzio inquietante, di quell’apatia indecifrabile che lo
spaventava.
Naturalmente
aveva già sguinzagliato tutti i suoi legali, per avere una stima dei danni
causati dalla futura separazione, la valutazione di tutti i rischi e delle
perdite, e parare le possibili rimostranze della moglie e dei parenti di lei,
che non avrebbero reagito di buon grado alla sua arbitraria decisione.
C’era
anche in ballo la fragilità mentale della giovane sposa, che già in passato era
stata in cura per un crollo nervoso, in un momento in cui il loro fidanzamento,
causa l’indecisione di Masumi, sempre in conflitto coi suoi sentimenti,
sembrava dovesse risolversi in un niente di fatto.
Non
voleva rivivere un’ esperienza del genere. Sperava che tutto si potesse
risolvere senza drammi e tragedie. Ma se anche così non fosse stato, non
avrebbe mai fatto marcia indietro. Erano arrivati alla resa dei conti. [3]
“Farò venire a prendere le mie cose da qualcuno. – Le disse
quella stessa sera, prima di andarsene. - Sarai contattata dai miei avvocati.
Se mi lascerai andare senza traumi, il divorzio sarà quasi indolore, per te,
per me, per la tua famiglia. Mi impegnerò comunque a mantenere tutti gli
accordi commerciali presi con il gruppo Takamiya, e pagherò eventuali penali,
se verranno pretese. Ti prego di non dare in inutili escandescenze; non
servirebbero a nulla, salvo spingermi a insistere maggiormente nei miei
propositi. Non diventiamo nemici, troveresti in me una persona molto ostile.”
Solo allora, la moglie aveva ribattuto, ma senza eccessivo slancio.
Gli aveva detto che lo amava, che lo aveva amato sinceramente, senza però
riuscire a convincerlo.
“Dunque, la nostra unione per te, non era altro che un
accordo? Solo questo?”
“Pensavi fosse qualcosa di diverso? Il nostro matrimonio è
stato combinato per interesse. Non fingere di non saperlo, o che fosse altro da
questo. Vuoi continuare a ingannarti?”
“Vuoi rovinare tutto, la tua vita e il tuo futuro, per cosa?
È sempre lei, vero?
Quell’ attrice troppo giovane per te… Maya Kitajima. Dopo tutto questo tempo,
pensi ancora a lei.”
Tutto si sarebbe aspettato, tranne il cinismo delle parole
che seguirono, che mai aveva colto in lei.
“Oh, d’ accordo Masumi: ti sei tolto uno sfizio che ti
ossessionava da tempo. Posso accettarlo, perfino comprenderlo. L’hai sostenuta
e corteggiata di nascosto per anni, ora potrai togliertela dalla testa. Adesso,
possiamo andare avanti con la nostra vita e dimenticare. Fare finta che non sia
successo niente. Io sono pronta a farlo, per te, per noi.”
Aveva parlato con calma raggelante, con un lieve sorriso
enigmatico a increspare gli angoli delle labbra dipinte di rosso. A quel punto,
la brama di fuggire via, il più lontano possibile da quella casa, da quella
vita illusoria, da quell’ estranea che non conosceva diventò impellente e
necessaria.
Tirò un’ ultima boccata di fumo dalla sigaretta, poi spense
il mozzicone nel posacenere di cristallo cesellato, posato sul tavolino basso
del salotto elegante.
Che insulto. Quanta insensibilità. Lei non era uno sfizio.
Lei era la splendida ragazza vitale e appassionata che gli
aveva restituito un’ anima, ma gli sembrò inutile e superfluo farglielo notare.
Prese le chiavi della sua auto sportiva e se ne andò senza dirle una parola.
Naturalmente sapeva che non sarebbe finita lì.
Stava finendo il secondo atto del dramma. Tutto si stava
compiendo.
Nora, ricattata da Krogstad, l’uomo che le aveva prestato il
denaro per salvare il marito, si sentiva perduta. Il procuratore sarebbe stato
licenziato come era nelle intenzioni di Torvald, pronto a cedere il posto alla
signora Linde, vedova e vecchia amica della moglie, e la firma falsa su quell’
obbligazione li avrebbe gettati nella disgrazia e nella vergogna. Nora
attendeva un miracolo che non sarebbe avvenuto. Il pesante sipario si abbassava
su Maya che rispondeva al vezzeggiativo gioioso del marito, volando
letteralmente tra le sue braccia, nascondendo la disperazione di chi aspetta la
catastrofe.
§§§§
Masumi durante la pausa, era uscito dalla sala per fumarsi
una sigaretta.
Stava immaginando Maya in camerino, davanti al suo mazzo di
fiori; un mare di iris bianchi che circondavano, come a volerla proteggere, una
rosa purpurea. Il primo a distanza di tre anni. Immaginava il suo sincero
stupore mentre leggeva il biglietto, scorreva le righe, riconosceva la
calligrafia.
È sempre meraviglioso per me vederti su quel
palco.
La parte di Nora è perfetta per te:
sei stata capace di tirare fuori tutta la sua
gioiosa esuberanza,
che vela appena l’inquietudine del
personaggio.
Nel finale la tua Nora è grandiosa; mi lascia
inchiodato alla poltrona per l’emozione dolorosa, che sento come se fosse mia.
Ricordati la mia promessa. Non ti permetterò
più di respingere le mie rose.
Ti sarò sempre accanto.
Ps. L’invito della prima è sempre valido.
Il tuo fervente ammiratore…
Masumi Hayami
Aveva sorriso mentre scriveva il suo nome per esteso sul
cartoncino. Negli anni, quanto aveva desiderato poterlo fare. Era stato bello e
liberatorio scrivere quel biglietto. Era bello non doversi più nascondere
dietro l’ombra dell’ammiratore, mentire e fingere, almeno con lei. Ma per le
sue vicende personali, il mondo non poteva ancora sapere.
Esporsi ora con Maya, voleva dire danneggiarne la
reputazione, nel momento di massimo fulgore. Non voleva che si sporcasse con le
sue miserie personali, con i suoi fallimenti.
La separazione non era ancora del tutto ufficiale, anche se
nell’ambiente giravano delle voci. La notizia del trasferimento del presidente
Hayami presso un albergo di Tokio, era trapelata con discrezione; si
ipotizzavano tensioni nel rapporto tra coniugi, ma nessuno parlava di relazioni
extraconiugali e Hayami appariva in pubblico sempre solo.
Le carte del divorzio non erano state ancora firmate.
Ma si trattava solo di saper calcolare il momento giusto, per cogliere la moglie in difetto e obbligarla a cedere. Era solo questione di tempo.
Il vecchio Hayami, malato e sempre più debole, era rimasto
sorpreso e preoccupato dalla decisione del figlio. Eisuke era arrivato al
capolinea della sua vita; dopo la messa in scena della Dea Scarlatta, suo
unico obbiettivo per anni, aveva perso quasi ogni altro interesse agli affari
della Daito, delegando ogni decisione al figlio. Si limitava a qualche raro
intervento o suggerimento, quasi fosse stato un semplice consulente, fatto che
aveva sorpreso non poco perfino Masumi.
“Non capisco questo colpo di testa, Masumi. Sembrava che il
vostro fosse un matrimonio felice. Invidiati da tutti, eravate una coppia
perfetta.”
“Hai detto bene, padre. Sembrava.”
“C’è qualcosa che non so? C’è un’altra donna? Magari
quell’attrice cui regalavi rose tempo fa…”
“Saranno almeno tre anni che non regalo fiori a nessuna
attrice della Daito…”
A
parte nell’ultima settimana, pensò, tornando al ricordo ancora fresco di quella
sera con Maya.
“Allora, un’ imprevista avventura di una notte? Escludo
possa essere lei ad aver tradito, anche se una cosa simile da parte di un tipo
con pochi slanci come te, è sorprendente.”
Masumi non si preoccupò di negare. Ormai non gli
interessavano più le possibili reazioni di suo padre, che mai aveva sospettato
quali fossero i sentimenti che lo legavano a Maya: si era liberato dal suo
giogo da un pezzo.
“Sì, c’è un’ altra donna di cui sono innamorato. Ti sembra
impossibile? Ma non voglio parlarne con te.” Disse aspirando una boccata di
fumo.
“Amore e affari non vanno assieme. Te ne verrà un danno.
Fatti tutte le amanti che vuoi, ma fallo con discrezione. Non ti ho proprio
insegnato niente?”
Sospirò il vecchio un po’ amaramente, con un tono stanco
nella voce.
“Al contrario: mi hai insegnato anche troppo. Ma in fatto di
sentimenti sei l’ultima persona che può darmi dei consigli. D’ ora in poi farò
a modo mio.”
“Per quanto puoi, evita di pagare un prezzo troppo alto.”
“Arrivi tardi: l’ho pagato tre anni fa, quando ho accettato
di sposarmi per interesse.”
La moglie aveva tentato un riavvicinamento, prima con le buone,
poi aveva provato con gli isterismi e le minacce. Aveva sortito l’effetto di
irritarlo solamente di più.
Anche la famiglia Takamiya non l’aveva presa bene e aveva
tentato di esercitare pressioni su di lui, ma Masumi non aveva ceduto di un
solo millimetro. Si era cautelato, recuperando qualche informazione scomoda su
alcune speculazioni poco limpide, tramite l’aiuto del suo fidato collaboratore
Karato Hijiri. Non voleva usarle, ma solo tenerle come arma di riserva, se
fosse stato necessario allo scopo di liberarsi della moglie.
Sorrise un po’ cinico al pensiero: la sua ragazzina avrebbe
trovato quel giochetto meschino, ma Masumi Hayami era anche quello, un uomo
pronto a tutto per ottenere risultati positivi.
Stava per finire la sigaretta e a breve sarebbe ripreso lo
spettacolo con l’ultimo atto.
Proprio in quel momento, un uomo, dirigente di una nota casa
di produzione artistica, concorrente della Daito, si avvicinò a lui.
“Buonasera Hayami-san. Debbo congratularmi con lei per il
successo di Casa
di Bambola. Era una scommessa azzardata, su un testo occidentale con
una tematica così delicata, ma l’avete vinta. Alla prima è venuto giù il
teatro, e fate il tutto esaurito a ogni replica.”
“Grazie. In effetti sono molto soddisfatto: è stato un
affare decisamente proficuo mettere in scena questo dramma.”
“Beh, Maya Kitajima, l’interprete de La Dea Scarlatta, dava ottime garanzie,
ammettiamolo. Chiunque avrebbe fatto carte false per averla… Lei è un uomo che
sa quali rischi vale la pena di correre, vero Hayami-san?”
Masumi fissò apertamente il suo interlocutore, e sollevò un
sopracciglio cogliendo il tono allusivo dell’uomo. Il sospetto che ci fosse
nella frase qualche altro riferimento venne confermato immediatamente dopo.
“Deve piacerle molto questo spettacolo: mi dicono che lo ha
visto più di una volta, una cosa che lei fa assai di rado. Deve sentirsi
particolarmente coinvolto dalla storia… oppure ha qualche altro interesse… più personale…”
Masumi sorrise lievemente, camuffando con abilità un moto di
nervosismo.
“Se si riferisce alla situazione con mia moglie, è una pura
coincidenza.”
“Mi riferisco all’attrice. Si dice che assiste a tutti i
suoi spettacoli. Fin dal suo debutto, non ne ha mai perso uno. Sembra più di un
interesse legato al solo talento…”
“Sono un produttore teatrale; è normale che io mi interessi
ad un’attrice di rilievo come la signorina Kitajima. Mi scusi ora, ma torno al
mio posto: sta per iniziare il terzo atto e non voglio perdere neppure una
battuta. È stato un piacere parlare con lei.”
“Avrei un progetto da sottoporle…quando potremmo parlarne?”
“Prenda un appuntamento con la mia segretaria… però temo che
per le prossime settimane, la mia agenda sia piena…”
Sì voltò e rientrò in platea, lasciando l’altro a se stesso.
Era di nuovo seduto al suo posto.
Pochi attimi dopo si abbassarono le luci e il sipario si
sollevò.
Gli attori erano già in scena.
Il terzo atto si apriva con una rivelazione: il procuratore
Krogstand e la signora Linde avevano un passato condiviso, una vecchia storia
d’amore finita male. Erano due naufraghi che cercavano di aggrapparsi allo
stesso relitto, il posto di lavoro alla banca offerto dal signor Torvald
Helmer.
Per quello Nora aveva subito il ricatto, ma ora c’era anche
una lettera rivelatrice di tutto che pendeva sul suo capo e sul suo futuro
accanto al marito.
Una lettera che attendeva solo di essere letta da Helmer e
che avrebbe rappresentato uno dei momenti clou dello spettacolo.
Masumi osservò Maya entrare in scena con una costume tipico
napoletano per ballare la tarantella e uno scialle sulle spalle. Le sue movenze
erano frementi, ansiose, qualche volta restie, e i suoi occhi scuri tradivano
aspettativa. Il suo partner la seguiva eccitato e euforico, e attraverso le
battute, esprimeva il desiderio di essere solo in compagnia della moglie, di
giocare con lei.
-
Non guardarmi così, Torvald!
-
Non devo guardare il mio tesoro più prezioso? Tutta
questa bellezza che è solo mia? Completamente mia?
-
Non devi parlarmi così questa notte.
-
Nora, tu hai ancora nel sangue la tarantella, lo
vedo. E questo ti rende ancora più seducente.
Ma Maya non aveva ballato affatto. E allora come faceva ad
avere quell’espressione carica di dolce sensualità e malizia, unita a uno
strano sottile pudore? Masumi ne era assolutamente rapito, soggiogato. E odiava
l’attore che la toccava, poteva abbracciarla, stringerla senza riserve.
-
Nora lo sai perché nelle feste come stasera ti parlo
poco, me ne sto lontano, ti guardo appena? Perché fantastico. Tu diventi nella
mia immaginazione, il mia amante segreta, la mia fidanzata misteriosa, e che
nessuno supponga che tra noi due ci sia qualcosa.
- Già, i tuoi pensieri sono sempre rivolti a me, lo so.
-
(…) Per tutta la serata non ho desiderato altro che
te! Vedendoti folleggiare, provocante e adescatrice nella tua tarantella, mi
sentivo ribollire il sangue; allora non ho più resistito... è per questo che ti
ho trascinata via, prima che la festa finisse.
-
Ma adesso lasciami, ti prego. Non voglio.
Masumi si trovò a pensare che per lui fosse lo stesso. Anche
lui non ne poteva più. L’aveva avuta una sola volta, ma la voleva ancora, e
ancora. Voleva poter gridare al mondo quanto l’amava, quanto si sentisse felice
e completo, solo con lei.
E Maya si negava, spietata.
Aveva sperato che una volta almeno lo raggiungesse in
albergo, ma invano.
Maya non era mai venuta a cercarlo.
Cocciuta, determinata ragazzina.
Eppure lo sapeva che si stava separando.
A ogni replica, dopo lo spettacolo si sforzava di non
raggiungerla in camerino, come avrebbe voluto, ma quella sera non era sicuro di
riuscirci.
Tre mesi.
Erano davvero troppi da sopportare, un tempo talmente lungo
che lo aveva messo a dura prova.
Voleva poterla almeno sfiorare, le guance, il collo,
stringerle le mani fra le sue. Rubarle un bacio. Ma sarebbe riuscito a
fermarsi, prima di rovesciarla lì, su uno scomodo divanetto e farla sua, di
nuovo?
Temeva di non avere tanta forza.
La sognava sul palco.
La vedeva danzare per lui, una tarantella forsennata,
seducente.
La sognava nel suo letto, tra le sue braccia arrendevole e
calda.
Accesa dalla stessa passione che bruciava lui, che lo
torturava dolcemente.
E certe mattine si svegliava con il respiro corto, il cuore
che scoppiava nel petto, sconvolto dalla sua assenza e deluso di trovarsi in un
letto troppo grande, tra lenzuola troppo fredde.
Era pazzo.
Era decisamente pazzo di lei.
Ispirati dai suoi occhi fissi sulla figura esile e magnetica
di Maya, i suoi pensieri correvano come furie impazzite nella sua mente; intanto la scena
sul palco giungeva al suo culmine più drammatico.
Torvald aveva letto la lettera e adesso gridava e chiamava
la moglie, sconvolto e furioso.
L’atmosfera era cambiata repentina, e dove prima c’era una
sorta di complicità, eccitazione velata dall’ansia, ora restava tensione e
rabbia.
Il marito ferito nell’orgoglio accusava la moglie gettandola
in un baratro di bassezze, giudicandola alla stregua di una orribile criminale
e Nora, inizialmente restava muta e sgomenta, di fronte alle accuse gelide del
marito, che meditava cosa fare, come reagire allo scandalo.
La loro vita doveva restare immutata, apparentemente sempre
uguale agli occhi della gente, mentre le negava anche l’educazione dei loro
figli, preoccupato solo di salvare i resti, le apparenze.
Come gli pareva famigliare quella situazione, come qualcosa
di già vissuto. E non era perché aveva già visto la rappresentazione svariate volte.
Era un’esperienza dei sensi e del cuore, un sentimento di amarezza che gli era
passato sulla pelle, come un tocco gelido e pesante.
Ma la scena stava cambiando di nuovo.
Una domestica portava una nuova lettera per Nora, subito intercettata dal marito. E l’atmosfera si trasformava ancora. Era la salvezza. Il
pentimento ormai tardivo di Krogstand che rinunciava al ricatto e cedeva
l’obbligazione. L’avvocato Helmer a quel punto chiamava la moglie, esultando di
gioia.
Masumi osservava l’espressione interrogativa di Maya, che
faceva quasi tenerezza, mentre guardava il suo partner di scena, senza capire
cosa stesse accadendo. Sono salvo… Siamo salvi tutti e due, gridava il marito con entusiasmo, e bruciava
lettera e obbligazione.
E tutto pareva finito.
-
(…) Andiamo, non fare quel viso. Credi che non ti
abbia perdonato? Ma sì che ho perdonato, te lo giuro. Lo so che quello che hai
fatto, lo hai fatto per amor mio.
-
È vero.
-
(…) Dimentica le brutte parole che ti ho dette nel
primo momento di esasperazione, quando credevo che tutto crollasse attorno a
me. Ti ho perdonato, Nora, giuro che ti ho perdonato.
-
Ti ringrazio per il tuo perdono.
Masumi osservò l’espressione di Maya indurirsi, diventare
impassibile.
Il cambiamento di Nora, la sua presa di coscienza era in
atto.
Il personaggio usciva di scena per togliere la maschera
della bambola/buffona che tanto piaceva al marito, e rientrare con un abito
diverso, pronta a lasciare quella casa.
Eccola la scena culmine del dramma.
Masumi avvertì il cuore tremare.
Sapeva già cosa doveva accadere, ma tutte le volte era la
stessa emozione, lo stesso spasimo violento che lo catturava; la voce argentina
di quella ragazzina improvvisamente cambiava tono e registro, diventando
profonda, calma e quasi solenne. Ed era assolutamente femminile.
Quella metamorfosi lo sconvolgeva ogni volta, in un modo che
non sapeva spiegare.
Era così e basta, e non poteva farci nulla.
-
Non è poi così tardi. Siediti Torvald. Dobbiamo
parlare.
-
Nora, ma che cosa vuoi dire? Quel viso così duro…
-
Siedi. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte
cose da dirci.
-
Mi fai paura Nora, non ti capisco.
-
Dici bene: non mi comprendi. E anch’io non ti ho mai
compreso… Fino a stasera. No, non m’interrompere. Ascolta ciò che dico… siamo
arrivati alla resa dei conti.
Eccola: la sensazione improvvisa di già vissuto, lo
assalì di nuovo.
Continua…
Eccomi qui,
contro ogni mia aspettativa.
Il primo
capitolo era nato come one-shot, e in effetti è una storia che per me vive tuttora
di vita propria.
Era molto
indecisa se pubblicare a parte, ma visto che le storie sono collegate, - e
questo è a tutti gli effetti una continuazione - ho proseguito qui.
Pensando a
un continuo, ho subito colto un parallelismo forse azzardato, spero non troppo,
con “Casa di bambola”, dramma di Ibsen che mi pareva calzante alla situazione
descritta in precedenza, soprattutto per Masumi, che non è Nora, certamente, ma
vive un’ esperienza analoga.
Inoltre, mi
pareva che il personaggio di Nora, fosse perfetto e interessante per la nostra
talentuosa attrice. Mi piaceva l’idea che lei potesse portarla sul palco, e
dopo la Dea Scarlatta, tutto dovrebbe essere fattibile per lei.
Avrei
voluto proseguire con la fine dell’ ultimo atto, ma diventava davvero troppo
lungo, e ho temuto di annoiarvi. Così penso che tutto si concluderà con il
prossimo capitolo, anche perché non era prevista una storia troppo lunga.
Ringrazio
tutte le mie lettrici e quelle che hanno commentato in precedenza.
I vostri
pareri saranno sempre bene accetti. Un saluto
Ninfea.
[1] Tutta questa parte in neretto, come le altre che troverete
andando avanti nel capitolo, sono parti originali del testo di ‘Casa di
Bambola.’ Ho inserito quelle che mi sembravano più significative alla
situazione vissuta dai nostri eroi.
[2] Questo avviene nel terzo e
ultimo atto del dramma, ma io lo
colloco qui per collegarlo a ciò che viene subito dopo tra Masumi e la moglie
(Shori che io non nomino mai nella ff, ma è lei).
[3] Stessa frase che dirà la protagonista di ‘Casa di Bambola’, al marito, nel momento in cui decide di lasciarlo.