È una follia. È una follia proprio per me che di
religione ne so poco e quel poco che so lo devo a cinque minuti in croce di
catechismo e alle filippiche di Odifreddi che mi fanno sempre venire una gran
voglia di popcorn! Ho cercato di documentarmi, ma non garantisco riferimenti
illuminati, soprattutto su Lucifero, su cui girano così tante versioni… al che
mi son detta: perché non darne una mia? Una in più che male può fare? (Che
probabilmente è la stessa cosa che si disse il Faraone con le piaghe d’Egitto
invece di stare a sentire le ragioni di D LOL).
Ma bando alle ciance, devo dire due cose in
particolare, anzi tre: innanzitutto questa fanfiction, naturalmente, non
sarebbe nemmeno stata concepita senza Mirya
– suo il fandom, suo lo splendore – alla quale vanno sempre tutta la mia
ammirazione e la mia gratitudine per gli insegnamenti che non può fare a meno
di impartire al suo prossimo; e un altro grazie a Soraidh, che ha aperto le danze del fandom nel modo brillante
tipico degli scrittori pieni di iniziativa e talento.
Seconda cosa: stamattina da me c’è la neve.
Terza cosa: se D leggesse questa fanfiction,
penso, si chiederebbe cos’abbia fatto di male nella sua esistenza per meritarsi
tutto questo. Ce lo chiediamo tutti almeno una volta nella vita, d’altra parte,
ma per chi avrà voglia di leggere spero che quella volta non sia oggi!
Buona lettura :D
Tre
ovvero
i primi giorni infernali di Michele nel paradiso di D
(Infernali
per D)
Antefatto
In cui Michele muore e rinasce, e D si sente pugnalato alle spalle.
Morire per Michele era stato un affare
complicato quanto suadente: per lunghissimi giorni aveva trovato doloroso
persino il contatto con le migliori lenzuola di Juliette, ed era stato inumano incontrare la sofferenza negli
occhi di Giò Giò, che per un’intera settimana aveva vegliato su di lui come un
angelo custode, un’autentica emanazione di Dio – di D, cioè, erano ancora in
amicizia; nonostante non si vedessero da anni si erano tenuti sempre in
contatto. Forse proprio grazie a un’illuminazione di D, a un certo punto
Michele aveva compreso che suo nipote, pur nel fiore dei trent’anni, si sarebbe
distrutto con lui se non gli avesse concesso un po’ di riposo. Così aveva
cominciato a chiudere gli occhi più spesso, a fingersi addormentato e ad abbandonarsi,
sfinito, alla culla di un sonno ineludibile: Giò Giò dormiva quando pensava che
Michele dormisse, e Michele riusciva a guardarlo solo mentre Giò Giò dormiva;
appena suo nipote apriva gli occhi, Michele chiudeva i propri. Era stata una
persona forte, in vita, ma poi la forza per guardare lo strazio che provocava
lui stesso a Giò Giò era venuta pian piano a mancargli.
Alla fine era stato Giò Giò a chiudergli gli
occhi per sempre. Michele l’aveva sentito mentre il sogno del paradiso lo strappava
alla terra degli uomini. In quel preciso momento, la sua morte si era fatta suadente,
senza dolore. Ad accompagnarlo nel trapasso c’era stato profumo d’eternità, che
era profumo di calle fresche di rugiada.
Così Michele era morto, o rinato, che forse era
la stessa cosa.
Secondo Juliette, quando fosse asceso in
Paradiso, Michele avrebbe trovato Grace a capo del più grande club del libro
della storia. Michele aveva sempre pensato che l’avrebbe trovata a ragionare
con casi umani – o celestiali, considerando il luogo – per cui non si stupì
quando scoprì che si era proclamata psicoterapeuta di Lucifero con la
benedizione di D, che ancora brontolava sull’inefficienza della pet therapy, e un bel giorno – o per
essere più precisi: un bel pezzo d’eternità – aveva avuto un’altra illuminazione…
divina: Grace avrebbe potuto fare
meglio di un segugio infernale, per il suo ex-pupillo. Dopotutto, era riuscita
a graziare persino Michele, le aveva detto D. Così aveva tirato su un Centro
Riabilitativo a pochi passi dall’Eden, con la speranza solidissima di porre
fine a quella storia dell’inferno, ai baratti sotto banco e ai traffichi
illeciti di anime a cui Lucifero, qualche volta, per sbaglio o per capriccio,
aveva pure dato fuoco.
Michele si lasciò accogliere inebetito dai suoi
progetti e travolto dal suo entusiasmo.
«Mi ha scagliato sulla terra, Grace, come vuoi
che lo perdoni?»
Grace era sempre se stessa, anche da anima
celeste, ma Michele aveva ragione di sospettare che era il Paradiso a non
essere più lo stesso da quando c’era anche lei, coi suoi sorrisi, gli occhi
ammiccanti, e le lezioni di buon vivere da impartire con metodo.
«Scaglia sulla terra tutti i migliori, Luc.
Prendi Gesù: non gli ha nemmeno risparmiato le noie dei ruttini e del farsi i
bisogni addosso… ma l’hai sentito: ora gliene è grato!»
«Lui ha avuto un fanclub, per l’amor di D-… cioè, misero me».
«Tecnicamente, ce l’hai anche tu…»
«E vogliamo parlare di quella volta in cui ha
incolpato me per avervi indotti a
cercare la conoscenza?»
«Oh, ancora il fraintendimento della mela…»
«E poi, se vogliamo dirla tutta, è stato lui a
cominciare con le liti: non mi ha mai perdonato l’elezione a Mr. Universo, era geloso, come se un vecchio come lui
potesse competere con un giovane angelo…»
«Grace…» Michele la chiamò con lo stesso tono
che avrebbe usato per invocare umana e divina misericordia.
Lei si voltò a guardarlo, un po’ stupita: «cosa
ci fai ancora in piedi? Vieni, siediti qui, racconta a Luc come ti sei liberato
del marchio di Caino».
«Caino,
un’altra vittima delle vostre… com’è che le hai chiamate? Fanfiction!» Lucifero
parlava annuendo, molto compiaciuto dei suoi argomenti, talmente compiaciuto
che parve notare Michele solo in quell’istante. «Sei un autore di fanfiction?» Sembrava
molto incline a sfidarlo ad ammettere le sue colpe – in effetti, a Michele
sembrava strano che per entrare in paradiso nessuno dovesse prima assolverlo
dai suoi peccati.
«Veramente no».
«Incantato», sorrise Lucifero, allungandogli la
mano. «E confido nel fatto che tu lo sia altrettanto. Se passi cinque minuti da
me dopo posso proporti un patto, ne ho giusto uno che farebbe al caso tuo…».
«Luc!»
«Cos’altro c’è, Grace? Io sono disposto a fare
patti con tutti, non sono mica razzista come un certo Dio: non ho un popolo
preferito, non ho figli prediletti – misero
me, non ho proprio figli, almeno questa punizione me l’ha risparmiata – e
soprattutto…»
«Non hai figli, Luc?» Grace lo guardò con un
velo di umana tristezza negli occhi. Sembrava così strana, in quel luogo, così particolare. «Avresti voluto averli?»
«NO!», Lucifero scosse la testa, i riccioli
biondi brillarono rubando al Paradiso la luce più calda del sole. «L’inferno
non è un posto per i bambini».
«Ma se avessi potuto scegliere…» continuò Grace,
così partecipe che a Michele venne quasi voglia di prenderle la mano – prima di
pensare che forse le mani, in paradiso, non sono fatte per essere toccate, ma
solo adorate, come tutto lì intorno.
«Dio non lascia scegliere, Grace, quella storia
del libero arbitrio è una buffonata, non puoi mai scegliere davvero se non sei onnipotente…»
«Sciocchezze!», lo liquidò lei, con un sorrisone
– e Grace, la luce al sole non la rubava, gliela donava. «Sono sicura che
approcciandolo nel modo giusto concede scelte a chiunque. Prendi me, per
esempio! Mi ha persino offerto di tornare in vita», raccontò, entusiasta di
tutti gli incastri che aveva visto, e delle lacrime che aveva versato, grata al
mondo di aver dato un senso sia alla sua vita che alla sua morte, e ancora
raccontò di come avesse sentito, in sé, una scintilla di divinità a compiere la
scelta di restare in Paradiso.
«Che cosa?», sibilò Michele, del tutto privo di
grazia.
«Sei una raccomandata anche tu, quindi!»
soggiunse Lucifero, disgustato e con un’espressione indignata che quasi ruggiva
tradimento.
«Be’…» cominciò Grace, senza rispondere in
particolare all’uno o all’altro. Il sorriso che le aveva illuminato il volto
inondando tutto il paradiso si era un po’ incrinato. Grace era comunque
bellissima, in quel batuffolo di nuvole che usava come poltrona nel suo studio
celeste, coi capelli rossi e ribelli e quella capacità, solo sua, di essere al
contempo ancora umana e certamente, come sempre, anche divina. Era così al di
sopra di ogni cosa che nemmeno si accorgeva se qualcuno le faceva un torto o la
adorava a bocca aperta, dopo aver consumato le preghiere, gli insulti e le
parolacce.
«D ti ha fatto scegliere», ribadì Michele, tanto per essere sicuro di aver capito
bene.
«Faccio sconti sul pacchetto vendetta, di questi
tempi. Col pacchetto conoscenza non mi è andata bene, mi avete diffamato a
sufficienza con quelle fanfiction sul dottor Faust. Ma il pacchetto vendetta
l’ho messo a punto seriamente, garantisco. Se sei interessato…» si offrì
Lucifero, lustrandosi le unghie.
«Non voglio un patto», abbaiò Michele, «voglio
Dio».
Figliolo,
arrivo subito. Mi sto spoilerando il finale di God Who in anteprima sulla
Terra. Mettiti pure comodo, Grace avrà fatto benissimo gli onori di casa,
immagino. È così cara quella ragazza…
La voce di D risuonò in tutti e sette i cieli
che si spandevano e perdevano nell’infinito e ovunque. D era sempre ovunque, a
dire il vero, ma quando parlava in particolar modo.
«D, razza di…»
«Attento amico, qui sono un filino irritabili
con le imprecazioni», lo avvertì Lucifero, rassegnato. Sembrava che avesse una
storia anche a quel proposito – un oltraggio da raccontare a modo suo, più
specificamente.
Michele si chiese se per caso quello non fosse
l’inferno: il luogo più bello del mondo in cui tutti congiurano per non fartelo
godere.
«Paga in ore di assistenza alle anime in pena? O
in ore di accoglienza per i nuovi defunti? O, dunque vediamo…»
Lucifero si schiacciò una mano angelica sul
volto provato da millenni di sofferenza. «Gabriele», si lamentò, rispondendo
alla voce metallica che era risuonata nei cieli in risposta all’imprecazione di
Michele – mancata ma certamente intesa. «Ancora a fare il lavoro sporco per
Dio?»
«Tutto in linea col Piano: chi sbaglia paga
donando ore della sua preziosa eternità. Tornando a noi, Michele…»
Michele si massaggiò per un attimo gli occhi nel
disperato tentativo di rilassarsi, anche se la sua celeste persona sembrava
immune dai mal di testa cosmici – c’era a quanto pareva almeno un vantaggio,
nella morte, almeno uno che non fosse Grace, cioè. «D, voglio parlarti ora».
Un sospiro metallico rese partecipi tutti i
cieli del disappunto dell’arcangelo Gabriele.
Non
potrete mai indovinare come finisce… aspettate, vi piacciono gli spoiler, vero?
Buon Me, dovevo essere in preda a un’ispirazione divina quando li ho inventati.
«Veramente li ho inventati io», precisò
Lucifero.
Ma io
ho inventato te!
«D!» si accanì Michele, spazientito.
«Michele…» provò Grace.
«Il pacchetto vendetta», si ripropose Lucifero.
«Ti assicuro una vendetta pulita. Fidati di me. Io ti capisco. Io e te siamo
uguali».
«Non credo», sibilò Michele. Ci mancava solo il
tremebondo paragone con Satana, a coronare il suo ingresso in paradiso.
«Abbiamo svariate cose in comune», insisté
Lucifero, convinto.
«Ad esempio?»
«Grace», sorrise, diabolicamente compiaciuto.
A Michele fumarono le orecchie, tanto da
scatenare un urgano in un punto imprecisato del mondo. «Grace è la mia ragazza, non la mia psicoterapeuta».
Lucifero scoppiò a ridere, avvicinandolo
soddisfatto, con sguardo carezzevole. Lo invitò a fare altrettanto, e gli parlò
con tono molto confidenziale: «È la stessa cosa».
Questa
poi!,
intervenne Dio, con voce pastosa – se non fosse stato Dio, Michele avrebbe
pensato che stesse masticando popcorn. O forse lo pensò proprio perché sapeva
che era D, tutto intento a godersi il finale di una serie tv dopo settant’anni
di lunga attesa e ponderazione. Se la
memoria non Mi inganna, e niente e nessuno può ingannarMi, ero un filino
ubriaco, quando ci ho pensato, ma lasciateMi mettere da parte la modestia: che
intuizione, rendere l’amore terapeutico.
«Concordo
D!», esclamò Grace, tutta entusiasta.
Ti devo
un cinque, bambina, si rallegrò D.
«Hai visto quante cose sugli uomini ha imparato
in tutto questo tempo?» gli chiese Grace, raggiante, e sembrava anche molto
impaziente di dare il cinque a Dio.
«Ti ha fatto scegliere»,
ribadì Michele, così rabbioso che se fosse stato lui, Dio, avrebbe fatto
arrivare seduta stante la fine del mondo, con buona pace del finale di God Who.
«È stato molto gentile», sorrise Grace,
cullandosi in qualche ricordo che Michele non riusciva nemmeno a immaginare.
«Gentile», ripeté Lucifero, sprezzante. «Gentile
farti scegliere tra due sole possibilità. Due possibilità che avrebbero arrecato,
in ogni caso, dolore a qualcuno».
Michele annuì, prima di ricordarsi che concordare
con Lucifero non poteva essere una cosa in linea col suo nuovo stato di grazia.
«Tornando al nostro patto…»
Mi
sento pugnalato alle spalle, insorse D, querulo.
E Michele impiegò solo qualche istante per
capire perché: D aveva saputo prima di lui che il pensiero di accettare un patto
con Lucifero gli avrebbe sfiorato la mente. E poi lo avrebbe sedotto.
Mattino celestiale del primo giorno
In cui D subisce una graziosa vendetta
(e Michele offre un sorbetto a Lucifero)
«Ignora Gabriele», lo avvisò Lucifero,
lisciandosi una fulgente ala nera. «Occuparsi delle anime in pena è un
autentico inferno, fattelo dire da
uno che se ne intende, e qui da voi in paradiso i fiumi non sono utili per chi
vuole affogarci».
«Non voglio vendicarmi di D», riprese Michele,
poco interessato al fatto che per Lucifero fosse molto triste sapere che in paradiso
nessuno poteva ammazzarsi.
«Ma certo che vuoi vendicarti» lo liquidò
l’angelo, o il demone, o per la precisione l’essere con le ali e la lingua
biforcuta, tutto intento a riempire un taccuino coi primi appunti e complotti
ai danni di Dio. «Grace cara, ti spiacerebbe andare a recuperare Cerbero per
me? Sono qui da un po’, si sentirà solo, povero cucciolo…»
«Vado, ma tu non portare Michele sulla cattiva
strada», lo redarguì lei, sollevandosi in un soffio di nuvole bianche.
Lucifero la ripagò con un sorriso brillante: era
talmente bello che poteva essere solo finto. «Non ci sono cattive strade in
Paradiso», le ricordò, conciliante, ma con un’ombra di afflizione negli occhi.
Anche la mancanza di cattive strade doveva tormentarlo al punto da togliergli
il sonno, era evidente. «Tornando a noi», ricominciò, dopo aver atteso che
Michele si riprendesse dalla carezza con cui l’aveva salutato Grace. «La tua
vendetta».
«Non voglio vendicarmi, te l’ho già detto.
Voglio solo un’udienza con Dio», ribatté Michele, pensando che dopotutto non
chiedeva mica molto. Era normale, da morti, parlare con Dio, no? Certa gente
pretendeva di farlo anche da viva…
«Vuoi la sua attenzione. E che cos’è mai la
vendetta se non una richiesta d’attenzioni?»
***
Il paradiso era la più grande distesa di calle
che mente umana e divina avesse potuto immaginare. Forse, ragionò Michele,
ognuno vedeva il paradiso a modo suo, e lui lo vedeva attraverso gli occhi di
Grace, perché lei era sempre stata più brava a creare la bellezza, e prima
ancora a immaginarla. C’era neve
ovunque, naturalmente, e Michele, preso dall’abitudine, pensò bene di
prepararsi un sorbetto. Poi con la mente tornò a Giò Giò, ai sorbetti che sin
da ragazzo aveva cominciato a servire al Fortuna quando non era troppo
impegnato a studiare. Si era laureato col massimo dei voti, ma aveva sempre
preferito il calore del suo locale alla carriera, così Michele aveva intagliato
un dinosauro accanto alla ruota del Fortuna, e gli aveva consegnato le chiavi
per il suo trentesimo compleanno, consapevole di donargli il suo cuore e
felicissimo di poterlo fare con la consapevolezza di lasciarlo in ottime mani.
Un dolore sordo gli pizzicò il petto al ricordo di suo nipote. Sembrava
inconcepibile soffrire in paradiso, ma forse a lui capitava perché ancora non
si era disfatto della sua parte umana. Forse alcuni non l’avrebbero mai fatto,
come Grace. E forse – forse – quello
era il vero significato dell’ascensione in paradiso: le anime piene di grazia
erano quelle che riuscivano a serbare la propria umanità anche lì dove non
c’era più bisogno di esseri umani – riuscivano a serbare la propria umanità, e
a sublimarla. Chissà se era stato sempre così, si chiese Michele oziosamente, o
se era così da quando Grace era approdata in paradiso. Sicuramente di
rivoluzioni ne aveva fatte, considerando che poco lontano da dove consumava un
sorbetto con Lucifero c’era un allevamento di unicorni rosa.
«Squisito!», dichiarò il suo tentatore, «voglio
proprio la ricetta, nel girone dei golosi farà successo. Potrei anche inventare
una nuova pena: avere costantemente un sorbetto davanti agli occhi e non
poterlo assaggiare. Anche se non vorrei che Zeus mi citasse in tribunale divino
per plagio: sai, c’è la storia di Tantalo…»
«Zeus…»
«La vecchia versione di Dio», spiegò Lucifero,
spazientito. «A lui piace aggiornarsi: è quello che fanno le app e le divinità,
per illudere tutti di essere migliori della versione precedente. È il loro modo
di fare conquiste, cosa vuoi farci: alcuni usano il fascino, altri l’inganno.
Altri ancora come il sottoscritto usano sia il fascino che l’inganno».
«Quindi temi che la vecchia versione di Dio ti
denunci a quella attuale», provò Michele, stabilendo che Lucifero non aveva
bisogno di Grace, ma di uno psichiatra – o di Grace e di uno psichiatra, perché
non riusciva a immaginare anima celeste e infernale che non avesse bisogno di
Grace.
«È sempre stato un bipolare!» concordò Lucifero,
evidentemente felice di essere stato compreso. «Anzi cosa dico! Vogliamo
parlare della trinità? E c’è pure gente che lo prende sul serio, quando
blatera. Gente che ci ha persino scritto trattati per dimostrare che lui è uno
e trino. E poi mi chiedono perché ce l’ho col mondo: perché lo asseconda»,
sfiatò, «ma in un modo molto fantasioso e violento, e questo è il motivo per
cui non mi è dispiaciuto che non siate finiti come volevano i Maya. Comunque,
amico mio, ricorda che qui il tempo è un concetto molto più astratto del
vostro: ciò che è esistito e ciò che esisterà esiste anche in questo preciso
momento. Capisci?»
«Dovrei?»
«No. Ma potevi mentirmi per impressionarmi e
farmi ridere della tua vanità».
«Non voglio impressionarti».
«Vuoi solo usarmi
per avere un’udienza con Dio. Tutto chiaro. Dio, certo che ormai siete proprio
più elastici con le selezioni per il Paradiso».
Vorrei
vedere te a sorbirti Grace, Lily e Gesù se non li perdoni tutti, questi uomini,
scherzò
D, nuovamente partecipe. Il finale di God Who non doveva sembrargli molto
interessante se continuava a distrarsi tanto – forse perché già lo sapeva,
pensò Michele con una punta di acidità.
Certo
che lo conosco, rispose D ai suoi pensieri, ma mica per questo è meno entusiasmante. Le
cose più belle sono quelle che conosciamo meglio.
***
«La ricetta per la perfetta vendetta è questa:
un pizzico di malvagità, un pugno di rancore – va bene anche odio in pillole –
e un servizio imprevedibile»,
Lucifero accavallò le angeliche gambe, accarezzando una testa a caso del suo
cucciolo. «No Cerbero, ti ho già detto che queste anime non puoi mangiarle.
Abbi pazienza, o ci scaraventano di nuovo giù. Sono irritabili qui, ti ho già
detto anche questo».
«Il tuo cucciolo è grazioso», si complimentò
Grace, «ma ha l’alito pesante, mi domando se si può fare, non so… qualcosa?»
«È che le vostre interiora puzzano un po’», tentò
di seccarla Lucifero, senza ottenere grandi risultati: Grace era già tutta
intenta a sistemare una calla dietro una delle troppe orecchie di Cerbero.
«Altro punto imprescindibile per una vendetta perfetta» continuò, probabilmente
decidendo che Michele fosse un osso meno duro da corrompere, «devi trovarti
degli alleati. Ora sappi che quando si parla di Dio è facile. Com’è che l’hai
chiamato, Grace? Ah, sì, il fandom! Ha un fandom enorme, ma anche tanti haters. In particolare ricorda questo:
qui in paradiso siete tutti nella sua grazia, ma alcuni di voi sono ancora
abbastanza umani da provare rancore per quello che avete patito in vita,
nonostante l’attuale beatitudine, e nonostante i doni che Dio dice di aver
fatto all’umanità. Ora se vuoi il mio più spassionato e disinteressato parere,
puoi cominciare a chiedere collaborazione ad Abramo, quella storia di Isacco
secondo me ancora non gliel’ha perdonata, e Maria… oh, Maria! Avresti dovuto
vederla quando si è vendicata con Gabriele per averla convinta a concepire il
figlio di Dio facendole sapere solo in
un secondo momento che sarebbe rimasta vergine a vita. L’unica volta a memoria
d’angelo che il paradiso è stato più interessante dell’inferno.
Comunque… ogni volta che Maria vede Gesù ancora
non si capacita di poterlo di nuovo abbracciare. Secondo me un po’ di rancore
per Dio lo prova ancora. E ti avevo già detto che la vendetta è donna? Portala
dalla tua parte, e Dio avrà quel che si merita una volta per tutte».
«Veramente questa sembra più la tua parte», gli fece notare Michele, suo
malgrado molto attento.
«La nostra
parte», Lucifero si sporse di nuovo verso di lui, per fissarlo dritto negli
occhi. E mollargli a tradimento un bacio sulla fronte.
Gran
bel finale, si emozionò D, da qualche parte nel Suo universo. Sono sempre più convinto della perfezione
del Mio piano, o di Me stesso, che è lo stesso.
«Quanto ci mette a tornare?» chiese Michele, a
nessuno in particolare nel creato dato che era tentato di cominciare a odiarlo
tutto. Si strofinò un po’ di neve sulla fronte: gli mancava giusto il marchio
di Lucifero per cominciare in grazia e beltà anche la sua nuova vita.
«Oh a volte sta via mesi», lo informò Grace, con
la placidità tipica di chi pensa di avere tutta l’eternità a disposizione. «Sta
giù a compiacersi del suo Piano e della via per cercare il Senso: cioè di se
stesso e di noi».
Non era così compiaciuto quando aveva una vescica
a cui badare, pensò Michele; anzi, siccome in quel momento non si sentiva per
niente misericordioso, ricordò con trionfo che senza di lui Dio nemmeno avrebbe
imparato ad aver ragione di una umile, umanissima vescica.
Ora non
esageriamo, la novità Mi aveva solo colto alla sprovvista.
Michele ripeté a se stesso che non voleva
vendicarsi di Dio, gli era col tempo diventato simpatico dopotutto. Però, se
solo avesse potuto far qualcosa per il Suo divino ego… ridargli una vescica,
per esempio…
Non
sarebbe una vescica a rovinare la mia vacanza sulla terra.
«Se lo dici tu…»
Non
solo lo dico. Te lo dimostro anche.
***
Le conseguenze sarebbero state prevedibili per
chiunque avesse mai conosciuto Dio, in vita e in morte: il Creatore aveva la
tendenza a esagerare un po’, con le dimostrazioni. Come tutte le volte in cui aveva
usato roveti ardenti, separazione delle acque, piaghe varie, e alla fine era
ricorso pure alla crocifissione, per dire agli uomini che potevano mangiare
tranquillamente le mele.
E ora, per dire a Michele che aveva imparato a
controllare un’umana vescica, se n’era regalato una nuova. E poi si era messo a
discorrere con Grace tutto contento del finale di God Who.
«Geniale», si complimentò Lucifero, brandendo di
nuovo il suo taccuino. «Ripetimi di preciso come hai fatto».
«Fatto cosa?» chiese Michele, al colmo
dell’esasperazione.
«Indotto Dio a rendersi più umano… non capita
spesso, sai? Prima di Grace erano secoli che non faceva una cosa così stupida.
Ma a lei non posso fare domande perché è troppo ingenua per accorgersi di
quello che fa. Un Dio che si rende più umano… è praticamente un Dio che si
maledice da solo. Si può essere più stupidi di così?».
Buon
Me, penso di aver dimenticato come si controlla quest’affare. O questo, o le acque
del Lete si sono riversate sui Miei pantaloni.
«Appunto», osservò Lucifero, per niente stupito.
E Michele sorrise, altrettanto privo di stupore,
ma in preda a una tenera malinconia.
Pomeriggio celestiale del primo giorno
In cui D falcia l’albero della conoscenza del bene e del male
(e Michele fabbrica una ruota)
«Ho pensato», cominciò D, dall’alto di un cielo.
E tutto tremò, come accadeva sempre quando Dio pensava – fortuna, osservò
Lucifero, che non lo faceva spesso. «Come lo sistemo Michele in paradiso? E
allora mi son detto, bontà Mia: posso sempre regalargli un pezzo di giardino e
fargli aprire il Fortuna nell’Eden».
Grace saltò in piedi, già infervorata. «Come ho
fatto a non pensarci prima!»
«Sono morto solo da mezza giornata», notificò
Michele, «e vorrei godermi il mio riposo eterno».
Lei lo liquidò con un gesto che poteva
significare tutto, ma conoscendola significava solo: ora non ho tempo di farti
notare che tra due minuti celesti sarai d’accordo con me e possibilmente verrai
pure a scusarti per aver mosso una lamentela – e lo sai, quanto adoro le tue scuse.
Le adorava anche Michele, quando non lo
costringevano a parlare.
«D», continuò Grace, «sei ancora bagnato».
«Sono di
nuovo bagnato, bambina. Mi chiedo come mai abbia reso le vesciche degli
strumenti tanto difficili da controllare», si lamentò, lasciando cadere un
tronco imponente su una panchina di nuvole, fuori i cancelli dell’Eden.
Luciferò era incontenibile e, sprezzante
dell’orrore che induceva in Michele, tentò ancora una volta di dargli la mano.
Voleva proprio congratularsi per il lavoro che aveva fatto con Dio. «Sono ebbro
di soddisfazione e felicità!», annunciò, alzandosi. «Così ebbro che quasi non
mi reggo in piedi».
«Sei ubriaco per il vino nel sorbetto…» ipotizzò
Michele, un filino stupito. Chi l’avrebbe detto, che Lucifero reggeva male
l’alcol.
«Cerbero, amore, torniamo a casa… penso che
dovremo chiedere un passaggio a Caronte. Ma il momento in cui riavrò la mia
onnipotenza si avvicina sempre di più», rise, sbattendo le ali in un moto di
elegante vanità.
D lo osservò allontanarsi con un’espressione
sofferta. «Lucifero è onnipotente, ma
non può esercitare la sua onnipotenza perché è fuori dalla mia preziosissima
grazia», raccontò, miserabile e in cerca di conforto da parte di Grace.
«Sono certa che ti ama ancora».
Be’, pensò
Michele, se Lucifero tra i vari problemi
psichiatrici che si ritrova, ha pure la sindrome di Stoccolma… Dopotutto
era stato Dio a confinarlo all’Inferno.
«L’inferno non esiste!», ribatté D, quasi
oltraggiato. Quell’abitudine di rispondere ai suoi pensieri doveva proprio
fargliela togliere. «L’inferno è solo un’allucinazione di Lucifero che poi
scende sulla terra e fa propaganda. Con quella è sempre stato molto bravo. Mi
ricordo ancora quand’era piccolo e a scuola era sempre in competizione con
Gesù. Che tempi!», sospirò D, malinconico. «Non mi ha mai perdonato di non aver
scelto lui per rappresentarMi sulla terra. E io che pensavo di risparmiargli
una seccatura! Ha idea di quanto sia difficile
essere umano?»
«Pensavo che l’Inferno fosse opera tua» lo informò
Michele, più interessato a quello che alle paturnie di Dio.
«Anch’io», mormorò Grace, sovrappensiero.
«Anche tu?» indagarono gli altri due,
scandalizzati.
Lei si ridestò, un po’ in imbarazzo: «l’Inferno
di cui parla Luc è molto simile a quello di cui si parla sulla terra, a quello
di Dante. D, ho sempre pensato che fossi stato tu, a ispirare Dante!»
L’ego di D si gonfiò così tanto che quasi non ci
stava più nei sette cieli. «Naturalmente. Ma l’ha ispirato anche Lucifero. Come
credi che nascano i capolavori? Sempre dalle migliori collaborazioni…»
concluse, mestamente. Lucifero e la sua sanità mentale dovevano proprio
mancargli.
«Hai ragione», concordò Grace, strofinandosi le
mani sulle tempie. Sicuramente era alla disperata ricerca di un argomento con
cui distrarre D dai suoi dolori: «quindi noi uomini finiamo tutti in paradiso?»
«Più o meno… cioè, prima o poi. Quelli che
restano fuori dalla mia grazia in vita, quando arrivano nell’al di qua si fanno
un pisolino. L’ho pensata bene questa cosa: mi sono sempre alzato di buonumore
dopo una bella dormita, anche se l’ultima volta mi sono perso la seconda guerra
mondiale e Gesù ancora mi porta il muso. Comunque… dormendo le anime ricercano
il senso attraverso se stesse e le persone che sognano. Si costruiscono un
intero mondo, ne diventano il Piano, come io sono il piano di tutto l’Universo
Creato, e si fabbricano la via per arrivare al senso: come voi siete la Mia
via, le persone che amate sono la vostra. Naturalmente il senso in questo caso è
aprirsi alla felicità, e gli amori terreni in questo hanno più successo di Me.
Prima o poi tutti si stufano di essere infelici, coloro che hanno amato accorrono
nei loro sogni e li aiutano a liberarsi della disperazione, e allora io li
accolgo! Accolgo tutti! E soprattutto Gesù la smette di accusarMi di essere un
Padre troppo severo».
Grace lo guardò estasiata, mentre Michele fu
colpito dalla consapevolezza che lei gli avesse risparmiato secoli di pisolino
celeste.
Quando si voltò verso di lui, i suoi occhi erano
colmi d’amore. «Non hai rinunciato alla felicità, dopo di me. Per questo sei
subito arrivato qui».
«Grace…», Michele stentò a riconoscere la
propria voce: era raspante, incerta. Sì, voleva spiegarle, in vita era stato
felice, ma dopo di lei mai così avvinto.
Solo che c’era D che curiosava tra i suoi pensieri, delle anime pie che ogni
tanto si affacciavano a chiedere un autografo a Lui e a Grace, schiere di
angeli che gli chiedevano il la per intonarsi in perfetta armonia con Lui, e la
risata di Lucifero che ogni tanto, malevola, ancora riecheggiava nei cieli – i
loro discorsi dovevano proprio divertirlo parecchio.
«Se costruisci il Fortuna nell’Eden, ti concedo
un momento di privacy celeste» propose D, senza smettere di intrufolarsi nella
sua testa. «Parola di Dio, garantito».
A Michele sembrò di riconoscere i metodi di
Lucifero, ma decise di non dargli troppo peso. «Ci vorrà un’eternità, a
ricostruire il Fortuna!»
«Ti mando gli allievi di Michelangelo, oggi sono
misericordioso. Cioè lo sono sempre, ma oggi in particolar modo. Dobbiamo
festeggiarti. E poi magari è la volta buona che Adamo smette di odiarMi: va
sempre in giro a dire che se ci fosse stato un pub in paradiso, non si sarebbe
certo sognato di mangiare qualche mela».
Michele guardò Grace di sottecchi, per
catturarne i pensieri dai suoi occhi trasparenti: forse, se non si stava
impressionando, anche lei desiderava tanto quel momento di privacy. «Amen»,
disse, mentre D gli faceva cadere tra le braccia un grosso ramo dell’albero
della conoscenza del bene e del male – tanto per chiosare, disse, non era mai
stato restio a donare agli uomini la conoscenza, purché la usassero per buoni
propositi. E costruire un celeste locale era senz’altro uno di quelli.
Michele cominciò a intagliare, anche se era
difficile fabbricare una ruota di Fortuna decente senza staccarsi dagli occhi
di Grace – come se fosse nel suo sguardo, il Disegno. E forse era sempre stato
così.
Mattino celestiale del secondo giorno
In cui D decora l’Eden con uno stormo di pterodattili
(e Michele critica il loro naso)
«Come sarebbe a dire, che Grace è occupata?»
tuonò Lucifero, scolandosi un God Father
al bancone del nuovo Fortuna. «Io pago una psicanalista e lei mi snobba per i
Maya?»
Michele invocò mentalmente il vecchio Giò: era
sempre stato più bravo di lui a tenere a bada i pazzi che esageravano con lo
scotch. Ma gli aveva anche fatto sapere che dopo un’eternità finalmente Consuelo aveva accettato di partire con lui per
una celeste vacanza, come poteva rifiutare?
«Grace arriverà».
Quindi Michele era solo, se non si considerava D,
che però era troppo preso dai suoi piani per ridecorare l’Eden: i drammi di
Lucifero, improvvisamente, dovevano sembrargli meno importanti delle sue
colombe.
«Secondo me non sono abbastanza vintage. Tu che
dici?»
«Che mi devi un’udienza, D», gli ricordò
Michele. Quella storia della scelta ancora non l’aveva mandata giù. Non era
arrabbiato con Grace, e nemmeno con D, ma sapeva che c’era qualcosa di
sbagliato nell’ignorare la faccenda. Dio gli doveva un’udienza e Michele gli
doveva una lezione, possibilmente più facile di quella volta in cui aveva
dovuto insegnargli a infilarsi i pantaloni.
«Questo non era nei patti», provò D, guardandosi
intorno alla ricerca di ispirazione.
«Farai un’eccezione».
«Buon Me, ti sembro così masochista?»
«Hai fatto tutti quei figli…» buttò lì Lucifero,
tetro.
«Ottima osservazione».
«Io faccio sempre
ottime osservazioni. Solo che poi vengono fraintese», lo rimbrottò, e magari ce
l’aveva ancora con certi scrittori di fanfiction. Ma a Michele parve anche di
scorgere, con la sua nuova vista celeste, una scintilla di compiacimento sul
viso dell’angelo: forse, a distanza di ere, a Lucifero piaceva ancora da matti
ricevere complimenti da Dio – e non per il suo nuovo taglio di capelli,
oltretutto, anche se quelli erano decisamente il punto debole di D, altrimenti
Michele proprio non si spiegava come mai con cadenza molto regolare D cercasse
di fargli una carezza, scompigliandoglieli. Quando tutti sapevano che un
Lucifero spettinato era un Lucifero infuriato. «E toglimi le mani di dosso».
Appunto.
«Fra poco arriva Gesù», annunciò D, come a voler
ottenere da Lucifero tutt’altro genere di reazioni.
«Se non l’hai notato, Tuo figlio lì in fondo è
troppo impegnato a trollare i Maya per curarsi di noi».
«Trollare!» sorrise D, «stai imparando anche tu
le nuove parole che l’umanità si diverte a inventare per camuffare i suoi
vecchi giochetti».
Il fatto era, gli aveva confidato Grace, che tra
Lucifero e Gesù non correva buon sangue: non tanto per la storia della rivalità
di cui parlava D…. cioè per quello, ma non per il motivo che credeva D: Gesù
era sempre stato restio a riconoscere che c’era rivalità tra loro, era troppo
buono per la competizione o troppo scaltro per dare all’avversario la
soddisfazione di un misero riconoscimento.
E questo Lucifero non riusciva proprio a perdonarglielo.
Così, mentre Michele si chiedeva oziosamente
come facesse Lucifero a covare tanto rancore pur di non starsene per fatti suoi
in perfetta letizia, una voce si prese la briga di spaccare un divino cielo:
«Abbiamo rinunciato alla fine del mondo per questo?»
Dall’accento, doveva essere un Maya che ancora
non riusciva a credere che nel libro finale del Quintetto del Battezzato non si
fosse realizzata la sua coppia preferita. Grace lo guardò condiscendente, prima
di riprendere a leggere con voce soave.
«Tecnicamente, la fine del mondo vi è stata
negata», puntualizzò Gesù, sornione.
«E lui sarebbe il figlio che ti è uscito
meglio», recriminò Lucifero, investendo D con uno sguardo di puro odio.
«Si sta solo divertendo», replicò l’altro, per
niente turbato.
Lucifero sembrava sempre più indispettito: «Gli
altri no!»
«Oh, è colpa delle… com’è che le ha chiamate
Grace? Ship wars… la rovina di ogni fandom, terrestre e celeste; ti allontanano
dal senso della lettura».
«Che sarebbe?», indagò Michele, dato che
Lucifero sembrava improvvisamente troppo confuso per parlare.
«Godere di me e del mio immenso amore!»
«E sventare la fine del mondo…»
«Anche! Oh Me, ero proprio in forma, quando ho
inventato i libri».
***
«Volevo ridecorare con un gusto più classico…»
«Antico, vorrai dire», precisò Lucifero, guardando
disgustato gli pterodattili che volavano ai quattro angoli dell’Eden. Un paio
di Maya avevano pure preso a studiarne il volo per predire la prossima fine del
mondo.
«Per l’amor di Me Medesimo» sbottò D, «perché mi
rendi le cose così complicate?»
«Complicate? Questo è complicato? Dovresti
provare a cadere dall’alto dei cieli».
«Veramente l’ho fatto».
«A cadere dall’alto dei cieli, dritto all’inferno».
«Sulla terra, vorrai dire, volevo scagliarti
sulla terra…»
«È lo stesso!», Lucifero chiuse la questione,
lugubre. «Voglio altro alcol».
Michele glielo servì, scrollando le spalle: in
paradiso, supponeva, era un po’ difficile andare in coma etilico.
«Ma dì qualcosa» lo incoraggiò D, con aria
stanca.
«È morto» sentenziò Lucifero, «ringrazia il
cielo che non ti sta maledicendo».
«Veramente la morte l’hai inventata tu».
«Sì, ma per questo genere di cose gli uomini
danno la colpa a te. Un goccio?» offrì Lucifero, afferrando la bottiglia di
whisky.
«Che Io Mi fulmini se invento le cose buone e
poi non ne usufruisco», si rianimò D, sorridendo al suo ex-pupillo insieme a
tutto il resto del paradiso.
Lucifero gli versò una quantità generosa nel suo
bicchierino celeste. «Peccato che non pensi lo stesso del cervello».
«Lo sai», continuò D, in apparenza evitando di
registrare l’offesa. «Sono stato molto arrabbiato con te, quando hai inventato
la morte. Non riuscivo a crederci! Il mio pupillo che si trastullava con cose
tanto macabre… da lì in poi, è andato tutto a rotoli».
«Siete sempre tutti bravi, a fraintendermi».
«Se mi liberassi dalla promessa di non curiosare
nella tua testolina bionda…» sospirò D, sconsolato.
«Che Tu mi
fulmini se lo fai».
D scosse la testa, rassicurante. «Non ti
fulminerei mai».
Lucifero si accasciò sul bancone, voltandosi da
tutt’altra parte: i momenti di tenerezza sembravano metterlo proprio a disagio.
«Comunque, come vedi, non tutti hanno difficoltà ad accettare la morte, quand’è
il momento. Anzi, sanno pure abbracciarla, come una vecchia amica».
Michele si ritrovò ad annuire di nuovo alle
parole di Lucifero, il che non deponeva assolutamente
bene per il suo stato di grazia. Poi fu folgorato da un’idea. Un’idea balzana,
per la verità, buffa e troppo da Grace per essere vera – anzi, ritrattò
Michele: così da Grace che non poteva che essere vera.
(Io ti
capisco.
E che
cos’è la vendetta se non una richiesta d’attenzioni?
Io e te
siamo uguali), gli aveva detto Lucifero.
Lucifero… Lucifero aveva detto un sacco di cose,
evitando accuratamente la più incredibile e prevedibile di tutte: amava D con
tutto se stesso.
«Porc-…»
«Caro Michele, questa volta per fare ammenda e
farti rientrare in armonia con il Piano posso offrirti un posto nella fabbrica
di vesti angeliche o uno nella celeste orchestra col Maestro Bach…»
«La celeste orchestra» si agitò Lucifero, la
voce di Gabriele che tentava di mantenere l’ordine in paradiso doveva irritarlo
particolarmente. «Non pensarci nemmeno, a unirti all’orchestra. Da quando Bach
ha sentito che giù da voi si dice che Dio gli deve tutto, si è montato la
testa. Evitalo, misericordia».
«Accordata», sorrise D, «ma è vero che devo
molto a Bach. Gabriele, figliolo, tranquillo: Michele paga i suoi contributi
facendo il barista per Lucifero. Qualche imprecazione possiamo pure
abbonargliela. Anche se…», si bloccò D, prendendosi un momento per guardarlo
con occhi divini e penetranti. «Michele, hai l’aria di uno che muore dalla voglia di dirmi qualcosa».
Tecnicamente, pensò
Michele, era già morto. E poi come lo dici, a Dio, che Lucifero l’ha amato al
punto da impazzire?
Michele alzò lo sguardo al cielo, esausto quanto
il suo Dio. «I Tuoi pterodattili hanno il naso storto».
Ma ti
ringrazio per il pensiero, D.
E ora
fuori dalla mia testa.
Pomeriggio celestiale del secondo giorno
In cui D fa fioccare cioccolata al peperoncino
(e Michele fa indigestione)
Ho
fatto soffrire Grace, eppure non mi odi. Mi sento pieno della tua grazia,
Michele.
Alla fine D gli aveva concesso un’udienza. Una
cosa formale, pareva, dato che per l’occasione era di nuovo diventato
immateriale e ubiquitario.
«D, non potresti riprendere le tue sembianze di
vecchio rincitrullito? Così mi metti un po’ in soggezione…»
Ho
fatto soffrire Grace, eppure non mi odi. Che cosa pazzesca!
«Ma come posso odiarti dopo che ho passato un
mese a cambiarti il pannolone?»
Ah, sussultò
D, in preda a un’altra illuminazione. Cambiare
pannolini e pannoloni crea proprio un legame indistruttibile, vero? Ora ho
capito l’altro senso della vescica.
«Quale sarebbe il secondo?»
Il mio
senso dell’umorismo!
D sembrava finalmente più rilassato. Pochi
minuti celesti prima, Michele aveva avuto il dubbio che Dio provasse un po’ di
vergogna a esporsi al suo sguardo – come se guardare il paradiso con occhi
pronti ad accoglierne la bellezza non fosse uguale a guardare Dio.
«Dì un po’, D, l’Inferno è come ce lo
immaginiamo, anche se tecnicamente non esiste… ma il paradiso? Il paradiso è
diverso. Un uomo come potrebbe immaginare una cosa così bella?»
Un
uomo? L’umanità, vorrai dire. Te l’ho già detto che le cose migliori sono il
frutto di grandi collaborazioni. Il paradiso è il frutto dei sogni di tutte le
generazioni. Io stesso, a volte, mi sento il frutto di un vostro sogno. Perché
non è vero che mi aggiorno per abbindolarvi, come dice Lucifero – che lingua
biforcuta! –, mi aggiorno per stare al passo con ciò che sognate.
«Ci sono stati dei momenti in cui temevo di
essere una persona così meschina da poterti odiare… Grace mi mancava così
tanto, avevo paura che un mese con lei non fosse bastato, a rendermi degno di
voi».
Eppure
venivi a leggerCi romance sulla sua tomba.
«Avrete apprezzato, voglio sperare. Non sai
quanto mi è costato», si lamentò Michele, burbero e un filino imbarazzato. Poi
respirò a fondo, prima di affrontare il discorso più difficile: «non ti odio
nemmeno ora. Ma ti rendi conto di quanto l’hai fatta soffrire, facendole
scegliere se restare in paradiso o tornare da noi?»
Penso
di averlo capito davvero solo ora, curiosando nella tua testa. E ti prego, già
è molto imbarazzante sapere che Lucifero ci è arrivato prima di me…
«L’hai messa davanti a una scelta che avrebbe
arrecato dolore a tante persone. Sconosciute o amate non importa. L’hai messa
nella posizione di dover scegliere a chi infliggere dolore e quindi di prendersi
la responsabilità di quel dolore…»
Io però
non l’avevo pensata così, si difese D, ragionevole. Volevo farle vedere quanta grazia c’era in
tutti i suoi incastri. Nella sua vita, nella sua morte…
«Ma non le hai mostrato gli incastri che si
sarebbero compiuti se avesse vissuto, non so, altri cinquant’anni. Immagina che
bellezza, D, prova solo a immaginarla, tutta quella bellezza, tu che puoi…»
Quello
era un Piano che ancora non esisteva.
«Lucifero dice che qui esiste anche ciò che
ancora non esiste», provò Michele, sperando di averla detta giusta – non che
gli fosse chiarissima, la questione.
Ma non
esiste ciò che non esisterà mai, lo incastrò D, con un tono
benevolo che però somigliava sinistramente a quello di Lucifero. Volevo essere magnanimo, cioè Me stesso! E
non volevo vedere che scelta avrebbe compiuto, lo sapevo già. Però… però volevo
vedere l’esatto momento in cui l’avrebbe fatta: dovevi vederla anche tu, figliolo,
mi ha fatto sorgere un dubbio…
«Un dubbio?»
Mi sono
chiesto se Grace non fosse un Dio migliore di me. Io sono tutto, Michele, ma
Grace è pura preziosità. Grace. G. Suona bene “G”, devo cominciare a chiamarla
così.
D aveva ragione: G suonava proprio bene. «Ce
l’ho anch’io, un dubbio».
Spara.
Michele scosse la testa: ogni tanto riusciva
ancora a stupirsi della parlantina del suo Dio. «Concederci una scelta è sempre
un frutto della tua misericordia, in linea col tuo piano e col dono del libero
arbitrio. Ma spesso scegliere ci fa soffrire, e ancora più spesso siamo
chiamati a non optare per la nostra prima scelta, ma per il male minore. Com’è
che concedi misericordia e infliggi dolore nello stesso momento? Come fai?»
Giuro
su Me che se lo capisco me ne vado in villeggiatura dai Maya e lascio il Mio
posto a Lucifero.
«Lucifero… ti ama così tanto».
Lo so!, D
sorrise e i cieli con lui., ma per
entrare nella Mia grazia non basta amare, siete chiamati a essere addirittura
più coraggiosi: bisogna essere in grado di ammetterlo.
«Non tutti hanno una rossa o qualcuno che gli
offra cioccolata al peperoncino».
«Ma tutti hanno Me», gli assicurò D, riprendendo
la sua forma umana mentre una spolverata di cioccolata cominciò a fioccare su
di loro. D l’accoglieva come avrebbe sempre fatto coi suoi figli: a braccia
aperte, e con l’entusiasmo di un bambino.
Mattino celestiale del terzo giorno
In cui D si prende una vacanza anticipata
(e Michele gli regala un paio di occhiali da sole)
«Vado a trovare i Maya!» annunciò D di buon
mattino, dopo aver consumato il suo consueto succo di frutta al bancone del
Fortuna.
Il calice che Michele aveva lucidato per
preziosi istanti della sua eternità si schiantò al suolo. Sulla terra, cioè. «Che
cosa?»
«Vado a trovare i Maya», ripeté D, «ho bisogno
di una vacanza. Non mi ero stancato così tanto nemmeno ai tempi della
Creazione», sospirò, guardando Michele, che fece finta di mettersi alla ricerca
del calice perduto. «Inoltre, voglio proprio vedere cosa si prova, a cambiare
il Piano». D ammiccò nella sua direzione, molto suggestivo.
«L’hai già fatto quando hai deciso di annullare
la fine del mondo».
«No be’… Gesù la sapeva lunga: il Piano già
prevedeva che io annullassi il patto coi Maya. È un furbetto Mio figlio: si
lancia solo in sfide che può vincere. Come quella con l’umanità: è riuscito a
vincere nonostante la croce, renditi conto!»
D era come al solito molto fiero dei suoi figli,
notò Michele, era diventato proprio il migliore dei Padri. Anche se aveva
ancora da imparare, dall’umanità, e forse questo Gesù l’aveva capito prima di
tutti: dagli uomini e da Dio, non si finisce mai di imparare.
«Spero solo di non venire accecato da tutto
quell’oro», continuò D, col pensiero già rivolto ai Maya e all’era in cui
sarebbe andato a trovarli: quella dell’Oro, quella del patto. «Fa presto a parlare Gesù, quando non è lui a soffrire di
fotofobia…».
Michele si chiese se D avesse risolto l’arcano
e, chiedendoselo, ebbe già la risposta.
Come
faceva Dio a essere misericordioso e doloroso allo stesso tempo? Come faceva
Lucifero a essere pestifero e innamorato allo stesso tempo? Come faceva Michele
a essere stanco e felice?
Lucifero aveva ragione, come spesso accadeva,
pensò Michele con orrore: nelle parole e nei fatti erano tutti bipolari. O
molto umani – che era lo stesso, avrebbe concluso Luc.
Michele sorrise. «Se fossi onnipotente, D, ti
regalerei un paio di occhiali da sole», scherzò. Non ci aveva messo molto a
recuperare l’abitudine di assecondare la Sua follia.
Ma in quella, a proposito di follia, un paio di
lenti scure comparve sul viso di D, che prese a specchiarsi in un calice tutto
compiaciuto della Sua immagine. «Grazie figliolo».
«Veramente, non sono sicuro di sapere cos’ho
fatto».
«Oh, è solo il Marchio di Lucifero», gli spiegò D,
con l’audace pretesa di voler suonare pure rassicurante. «Quando ti ha baciato
ti ha trasferito una parte della Sua grandezza, più precisamente: la facoltà di
esprimere un desiderio e farlo avverare».
E lui l’aveva appena sprecato per munire D di un
paio di occhiali da sole… tutto lineare – in linea con la sua sfiga, cioè.
«Un regalo non è mai sprecato», lo riprese D.
«In cambio, ti regalo un momento di privacy celeste con Grace».
«Ma questo me l’avevi già promesso», grugnì
Michele, contrariato.
«Oh be’, ultimamente i patti non sono il mio
forte», lo liquidò lui, già rivolto al suo ex-pupillo. «Lucifero, lascio tutto
in mano a te!»
«Poi non te la prendere, se Ti trovi casa in
fiamme», lo salutò l’angelo, senza staccare lo sguardo dalla sua paziente
psicoterapeuta.
Sarebbe
sempre casa, si congedò D, e gli angeli presero a cantare,
per accompagnarlo nel Suo viaggio.
***
«E poi Bach mi ha accusato di aver inventato il
metal», sputò Lucifero, per convincere Grace del fatto che aveva le sue
ragioni, se non era sempre – come si dice – uno zuccherino.
«E allora? A Michele piace il metal. E anche a
me», rispose lei, attirando Michele a sé. Doveva essere impaziente come lui di
godersi il loro celeste momento di privacy.
«Bach l’ha detto come se fosse un crimine! Un
crimine… ti pare, che idiota», continuò Lucifero, e Michele, ancora una volta,
si scoprì ad annuire.
Quella storia doveva proprio finire, pensò.
Lucifero gli piaceva pure, in un certo senso, ma non poteva essere sempre
d’accordo con lui. «Grace, puoi darci un momento?»
Lei lo guardò sorpresa, ma molto fiduciosa: «Ma
certo. Però non portarmi Lucifero sulla cattiva strada. Sta facendo progressi!»
Abbastanza fiduciosa, cioè.
Michele le sorrise, indicandole suggestivo il
retro del Fortuna. «Non ci sono cattive strade in paradiso».
«Dammi il cinque!» esultò Lucifero, dimenandosi
per attirare la sua attenzione. «E non guardarmi così: ho imparato anch’io a
dare il cinque. Mica è una cosa alla sola portata di Dio. Fa parte dei miei
progressi».
«Ascoltami Luc…», cominciò lui, avvicinandosi e
parlandogli in tono molto confidenziale. «Hai ragione: io e te siamo uguali.
Stupidamente uguali», sentenziò Michele, dopo essersi assicurato che Grace e
tutti i celesti avventori del Fortuna non fossero a portata d’orecchi.
«Parola mia: tutto mi è stato detto nei secoli
dei secoli, ma mai che sono uno stupido», si rabbuiò l’angelo, rannicchiandosi
sulla sua poltrona e avvolgendosi una nuvola intorno al collo, come un
abbraccio.
«E nessuno ti ha mai detto grazie, vero?»
Lucifero spalancò gli occhi, in preda allo
stupore. «Questo che c’entra?»
«Te lo dico io: grazie», mormorò Michele,
stupito quanto lui. «Tutti a fraintenderti, a pensare che solo perché conosci
il Male allora tu sei il Male. Te lo dico io: grazie per aver inventato la
morte. Ci ho pensato, in questi giorni, e ho capito… ho capito che è la
consapevolezza di poter tornare a casa, alla fine, alla casa del Padre, che
rende perfetto il migliore dei viaggi. Senza una casa in cui tornare, ogni
viaggio perde di significato, diventa solo errare, un insensato vagabondare. Ci
amavi anche tu, Luc, è così? Ci amavi perché siamo figli di Dio. E ami Dio…
quanto lo ami. Ti sei beccato l’odio di tutti i cieli e di tutti gli uomini, ma
non hai rinunciato alla morte: cioè al tuo Piano per restituire a Dio tutti i
suoi figli. Tu che di figli non ne hai mai avuti, hai comunque capito come
fosse terribile per un Padre soffrire la loro mancanza, vederli solo da
lontano, essere rinnegato da alcuni di loro senza avere la possibilità di
spiegarsi. Riesci a immaginare un gesto più empatico del tuo?»
«Be’, quando Romeo si è ucciso per Giulietta…»
«Quella è idiozia», lo informò Michele.
«Quella è idiozia», concordò Lucifero – a giudicare
dal suo sorriso, a lui faceva proprio piacere trovare qualcuno con cui
concordare, una volta tanto.
Michele decise di lasciar correre, per quel
divino momento. «Ma devi smetterla di essere stupido. Eddai. Ti pare il caso di
comportarti male con chi ti piace? Guarda che Dio ci soffre».
«Dio non mi inganna, fa tutto il santone ma lo
so che sotto sotto vuole farmi le ali».
«D è un
santone. O qualcosa del genere. Insomma: una cosa bella. La cosa più bella
dell’universo, agli occhi di chi lo ama», ammiccò Michele, incoraggiandolo a
entrare in contatto coi suoi sentimenti, ad accettare l’esistenza di una
bellezza sconfinata: per esperienza personale, sapeva che poi ogni cosa sarebbe
andata al suo posto, o quanto meno sarebbe andata meglio. Per lui e il suo
povero prossimo, a dirla tutta.
Lucifero parve soppesare le sue parole per un
lungo momento. Poi parlò, un attimo prima che Bach facesse partire un’aria
sacra per dispetto. «Tu sei il Puro Male! Non voglio più darti il cinque».
Pomeriggio celestiale del terzo giorno
In cui D non rispetta i patti
(e Michele parla di unicorni rosa)
«Oh mio D», lo accolse Grace, dal suo giaciglio
nel retro del Fortuna. «Hai davvero fatto quello che hai fatto?»
«E tu hai davvero origliato?» borbottò Michele,
sdegnato.
«Non puoi capire!» continuò Grace, che
certamente non voleva offenderlo, ma era sempre molto brava a farlo sentire una
minuscola nullità. «Non mi sono limitata a darti il pesce, hai imparato a
pescare! E non solo… devo dirlo alla mamma: sei diventato anche un maestro, ora insegni a pescare».
Un accordo dissonante nel settimo cielo informò
tutti di quanto Bach fosse geloso e possessivo col suo titolo di maestro.
«Questo è il nostro momento di privacy», sbottò
Michele, sbattendo la porta del Fortuna. «E, Grace, penso di essermi perso il
significato di una metafora erotica, il che mi mette di pessimo umore: non sai
quant’è brutto invecchiare e sentirsi fuori esercizio».
«Vieni qui».
«È una vita che non aspetto altro».
Michele si precipitò accanto a lei sul letto che
qualche angelica creatura aveva piazzato nella stanza: era proprio identico a
quello che decenni prima avevano condiviso nel Fortuna terrestre. «Dici che D
si offende se mi scuso a modo mio?»
«In realtà Dio non aspetta altro» intervenne Lucifero, con voce sonante e tono polemico. «È sempre stato un fan di questa roba diabetica. Non avesse fatto il Dio nella vita, sarebbe diventato uno scrittore di harmony, o di horror, che è lo stesso».
«La mia
privacy». Michele era esasperato, esasperato al punto che persino Lucifero
dovette avere pietà di lui, tanto che si degnò di andare a importunare qualcun
altro. Johan Sebastian Bach, probabilmente.
«Ma non hai nulla per cui scusarti!» gli disse
Grace, attirandolo a sé.
«Ho un’eternità di errori da compiere e scuse
da…»
«Comincia pure ora».
Gli era mancata, la bocca di Grace, solo D
sapeva quanto – Michele fu lesto a scacciare quel pensiero: così come l’aveva
formulato, non gli piaceva poi molto.
In
realtà hai ragione: lo so. Come so tutto.
«Allora saprai che quello che voglio farle non
ammette spettatori», Michele digrignò i denti. D stava diventando proprio poco
serio, coi suoi patti. Doveva fargli un’altra strigliata. Poi lo colse un
dubbio infernale: «Grace, secondo te in paradiso si può fare l’amore?»
Lei rise, e rise così forte e di una risata così
argentina che Bach, un paio di cieli più in alto, si prese la briga di
trascriverla su carta e farla intonare all’orchestra celeste. «Solo tu puoi
fare domande così sciocche!»
«E solo tu puoi definire sciocca una domanda
così fondamentale!» le fece notare Michele, avventurandosi con la mano destra
sul fianco della sua celeste ragazza. «Che razza di Paradiso sarebbe uno in cui
non si può fare l’amore?»
«Appunto!»
E concordare con Grace, quello… quello sì, che
era divino.
***
Ti
vedevo in ogni fiocco di neve, Grace.
Perché ero in ogni fiocco di neve, Michele. Ero sempre
lì per te…
***
È stato
doloroso scegliere, Grace? Sei stata mai tentata di scegliere me?
Non è
stato tanto difficile scegliere, quando ho capito che tutte le vie portano a
te.
Non
portavano a D?
Tecnicamente…
ma è per dire che gira e rigira tutti ci troviamo sempre sulla via dell’Amore.
***
Pensavo
che le anime qui non fossero fatte per essere toccate, Grace, ma solo adorate.
È la
stessa cosa! – e cito uno che la sa più lunga di noi.
***
Tu non
sei una scelta, Michele, sei una meta, e il compagno con cui raggiungerla. Oh
D, mi sto di nuovo contraddicendo?
Non sei
mai stata più sensata di così.
***
La
ricerca del Senso è un affare complicato. Ti ricordi quando dicevamo che
l’avremmo cercato insieme e nel frattempo ci saremmo goduti i tentativi?
Mi
ricordo un paio di tentativi per niente fallimentari…
E chi
se li dimentica! Ed erano più di due, se vogliamo essere precisi…
***
Celeste
signorinella…
***
Oh D.
No, non volevo invocarti. Cioè sì! Sì.
***
Hai il
mento sporco di cioccolata.
L’ho
rubata a D quando l’ha fatta fioccare in tutti i cieli. E poi ho fatto
indigestione. E poi ho ripreso a mangiarla.
E un
po’ a me non la offri?
Ti
offro tutto quello che vuoi, Grace. Anche l’eternità. Soprattutto l’eternità.
***
Forse
il Senso è trovare qualcuno che dia un Senso alla nostra eternità.
Non sei
mai stato più sensato di così.
Veramente,
quella volta in cui mi dicevo disposto a credere agli unicorni rosa ci avevo
preso. Sembra che esistano sul serio.
Ci
prendi sempre, quando decidi di credere.
Postfatto
In cui Luc corrompe Bach e dà il cinque a Dio
«E poi Bach ha deciso di fare un’eccezione»,
concluse Lucifero, soddisfatto del suo ultimo atto eroico. Andava raccontando a
tutti che aveva convinto il Maestro a eseguire una composizione che non fosse
la sua, e nemmeno per clavicembalo o per orchestra.
«Se Dio fa eccezioni può farle anche Bach»,
ragionò D, anche lui sensato come al Suo solito.
«Sperando che la sua parola valga più della Tua»
commentò Michele, acido. Ancora non gliel’aveva perdonato che si era intromesso
pure nel suo celeste momento di privacy.
«Mica è colpa mia, se sono ovunque e in ogni
momento! E soprattutto in certi momenti».
«… su questo concordo, D», annuì Grace.
«Quindi fai promesse che non puoi mantenere…»
commentò Lucifero, senza la solita cattiveria.
«Figliolo», lo avvicinò D, al colmo della Sua
grazia. Luciferò tremò a sentirsi chiamare di nuovo così dal suo amato Dio. E
il mondo tremò con lui, come succedeva cioè tutte le volte che Dio pensava e
Lucifero si emozionava – per fortuna, chiosò Michele, nessuna delle due cose
accadeva troppo spesso.
Lucifero sorrise a Dio, mentre le sue ali
diventavano bianche come la neve. «Fai proprio come me, Padre. Dammi il
cinque».
E Bach decise che quello era il momento giusto
per far risuonare Amazing Grace in
tutto l’Universo Creato.
***
Ehi
Luc, come hai fatto a corrompere Bach?
Sai Micky,
solite cose: gli ho offerto nuovi copisti, un pubblico che lo capisca… gli
artisti sono tutti uguali.
E
perché gli hai fatto suonare Amazing Grace?
Perché
Grace è la mia ragazza.
È la
tua psicoterapeuta, Luc.
È la
stessa cosa!
Attento
a come parli…
***
Buon
Me, ci risiamo. Lucifero sta di nuovo tentando di farsi odiare dalle celesti
anime che gli piacciono. Ognuno ha le sue debolezze, suppongo. Non è vero, G?
***
E comunque,
noto che avete tutti imparato a parlare come Me. Vi sentite ovunque.
***
In
quanto ai Maya, ho cancellato il momento in cui gli promettevo l’Apocalisse. E
indovina un po’, G? Secoli e secoli dopo gli uomini hanno costruito un orologio
che segna i minuti mancanti alla fine del mondo! Ma cos’è? Una fissazione?
Diamo il
nostro meglio sotto stress, D. Comunque, quanto manca?
Tre
minuti.
Sarà
meglio avvertire Gesù, forse è il caso che si faccia un altro giro sulla terra.
Oh be’,
non so, si sta divertendo così tanto a giocare a scacchi celesti con Lucifero…
Allora
D devi scendere tu!
E Dio cominciò a cadere.
(Sulla terra. Ovunque).
Note:
Da Mirya ho preso in prestito, oltre che i
meravigliosi personaggi, anche: la pet therapy, il fraintendimento della mela,
i riferimenti al fandom, alle serie tv, alla saga del quintetto del battezzato;
Gabriele che frega Maria e Maria che
piange a distanza di un paio di millenni felice di riabbracciare Gesù; frasi
geniali e Sensate come questa: roveti
ardenti, separazione delle acque, piaghe varie, e alla fine era ricorso pure
alla crocifissione, per dir loro [agli uomini] che potevano mangiare
tranquillamente le mele; e questa: le
noie dei ruttini e del farsi i bisogni addosso che Dio non ha risparmiato a
Gesù; e i Maya che leggono con Grace; la storia del pesce e chissà quante altre
cose che mi sono entrate in testa e si sono scritte da sole, come tutta la
storia d’altra parte… io non c’entro niente.
La morte intesa come vecchia amica l’ho presa in
prestito dalla Rowling, invece!
È di Emil Cioran la propaganda su Bach: è stato
lui a convincere il mondo che Dio deve tutto a Bach. Qui il
discorso più ampio, per chi fosse interessato (a sopportare un hater di Liszt,
mah!).
God Who
naturalmente sta per Doctor who.
Volevo prendere in prestito l’Hypernatural
di Mirya, poi mi son detta di non portare troppa sfiga: già con Supernatural la mandano per le lunghe,
ma un’altra cinquantina di anni mi sembra un po’ troppo. Sul finale di Doctor
who invece nessuno ci ha mai riposto molte speranze, e va bene così – come dico
sempre: se Dio esiste mi parla attraverso il Dottore.
E, per chiudere in bellezza, a quanto pare di
recente il Doomsday Clock, cioè l’orologio dell’apocalisse, segna davvero tre (figurati)
minuti alla fine del mondo.
Fortuna che c’è D. E i libri.
E ancora di più i libri che ci fanno innamorare
di D.