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Autore: MZakhar    09/02/2015    0 recensioni
"Sadie mise giù lo scatolone e si frugò nelle tasche della giacca in cerca del mazzo di chiavi che Mr. Jackson le aveva affidato quella mattina. Lo tirò fuori in tutta fretta e inavvertitamente se lo lasciò sfuggire di mano. Le chiavi caddero per terra tintinnando e Sadie borbottò un imprecazione, chinandosi per raccoglierle. Ma proprio allora, dalla serra lì vicino arrivò un suono secco, come un ramo che si spezza, e Sadie si ritrovò a trattenere di nuovo il respiro..."
Genere: Horror, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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“Gli occhi sono lo specchio dell’anima...”



Il cielo era teso sopra i tetti scuri dell’Accademia di St. Caroline come un lenzuolo steso al vento. Gli ultimi raggi di sole illuminavano il prato pieno di grosse zucche intagliate e di fantasmi appesi alle croci di legno che aprivano le loro braccia in un inquietante invito a stringerli. Il campus era affollato di studenti; alcuni ragazzi si divertivano a nascondere ovunque dei vecchi ragni di gomma per spaventare le loro compagne di scuola, altri li osservavano sogghignando. Erano tutti eccitati all'idea della festa di Halloween e l’atmosfera era carica di aspettative.
Solo una ragazza era indifferente a tutto quel caos; si era trovata un nascondiglio lontano da occhi indiscreti e tra le mani stringeva un grosso libro dalla spessa copertina marrone...

Dall’altra parte del campus, sotto a un rigoglioso castagno ingiallito, c’era Sadie. Stava attaccando alcuni finti pipistrelli sui rami, ridendo della sua compagna di stanza, Emily che stava trafficando con le zanne di Dracula ormai da mezzora. Emily era un vero disastro e il fatto che stava riempiendo di parole irripetibili una bambola di polistirolo, la diceva lunga a riguardo.
«Odio tutto questo!», sentenziò a un certo punto la ragazza, buttando per terra la dentiera. «Fred dovrebbe aiutarci, invece di prendere aria!», aggiunse, scoccando un’occhiataccia al ragazzo dagli occhi da pesce che si era preso una pausa di tre quarti d’ora per una sola sigaretta.
Sadie si voltò nella stessa direzione e si strinse nelle spalle, tornando poi a fissare con del filo da lenza le zampe di un pipistrello.
«Lo sai che è stata Mrs. Liberty ad obbligarlo. Aiutarci con gli addobbi di Halloween è una specie di punizione extrascolastica per aver dato “accidentalmente” fuoco alla pattumiera la settimana scorsa. Tieni...» – Sadie alzò da terra i denti del fantoccio, allungandoli all’amica – «...prova con l’altra colla. Magari funziona».
Emily sbuffò strappandole di mano il pezzo di polistirolo. Poi prese un tubetto di colla semitrasparente e la spalmò alla bell’e meglio sulla bocca priva di gengive della bambola. Ma appena un secondo dopo la dentiera stava di nuovo scivolando fuori.
«Non funziona!», si spazientì Emily, incrociando le braccia al petto. Quindi si voltò verso Fred e con un’alzata di sopracciglio, esclamò: «Di quanta aria ha bisogno un “occhi da pesce”?! Torna qui e aiutaci con questa cosa! O devo chiamare Mrs. Liberty?».
Lì per lì, sembrò che Fred avesse tutta l’intenzione di ignorarla. Il suo sguardo vagava pigramente in giro per il campus, finché non si soffermò, in maniera poco carina, sulla generosa scollatura che sbucava dalla giacca di Emily. Intuendo a cosa fosse tanto interessato, la ragazza perse del tutto le staffe ed emise una specie di ringhio. Sadie la guardò allarmata. Fred era famoso per avere un personalità scontrosa e con i suoi amici si divertiva a tormentare l’intera Accademia, rimanendo spesso impunito. Incredibilmente, però, il ragazzo non sembrò affatto infastidito dal comportamento di Emily. Al contrario, sul suo viso butterato apparve un sorriso beffardo e, prima ancora che lei o l’amica potessero dire qualcosa, si era piazzato davanti al manichino e in quattro e quattr’otto aveva sistemato la dentiera alla perfezione.
Emily, se possibile, si irritò ancora di più – non era il genere di ragazza a cui piaceva ammettere di non saper fare qualcosa.
«Tutto qui?!», sbottò.
«Tutto qui», annuì Fred, schiacciando il mozzicone con la scarpa. «E visto che qui ho finito, vi lascio ai vostri stupidi pipistrelli».
Se ne andò così, voltando le spalle alle due senza tanti saluti.
A Sedie salì una risatina; era certa che Emily avrebbe voluto affondare le sue belle unghie rosa nel collo del ragazzo e stritolarlo a morte. Ma poi le sarebbe toccato fermarla. Non che qualcuno avrebbe sentito la mancanza di Fred, semplicemente l’omicidio non era contemplato tra le attività della St. Caroline.
«Che ne dici se finisco io, qui?», propose Sedie, allontanando quei sciocchi pensieri dalla testa. «Ho quasi fatto con i pipistrelli, potresti appendere gli ultimi due mentre riporto la scatola nell'ufficio di Mr. Jackson. Al resto ci penso quando torno».
Sentendolo, il viso di Emily abbandonò il cipiglio e si illuminò di un gran sorriso. Aveva odiato quel lavoro fin dal primo istante e adesso non vedeva l’ora di togliersi l’uniforme dell’Accademia per farsi una bella doccia e indossare il suo fantastico costume di Halloween. Al contrario, a Sadie non importava se avrebbe fatto tardi. Dopo la rottura con quel fedifrago del suo ragazzo, l’idea di divertirsi non la allettava più così tanto. Quindi lasciò Emily al castagno e si avviò verso l’enorme edificio dell’Accademia.
Mentre attraversava il prato, Sadie guardò il cielo; il sole spariva rapidamente all’orizzonte, lasciandosi dietro una triste scia violacea. Gli studenti avevano cominciato a rientrare nei propri dormitori e presto in giro non sarebbe rimasto più nessuno.
Sadie aveva quasi raggiunto l’entrata del teatro, dal quale si accedeva all’ufficio di Mr. Jackson – il loro insegnate di recitazione – quando qualcuno scoppiò a ridere, facendola trasalire e perdere la presa sullo scatolone. Quest’ultimo cadde sull’erba con un tonfo sordo, aprendosi per rivelare il suo contenuto: delle vecchie ragnatele ingiallite e qualche finta testa mozzata, usurata dal tempo. Sadie lo richiuse con un gesto brusco e si guardò attorno trattenendo il respiro. Non sapeva cosa si aspettasse di trovare, ma quando si voltò, alla sua sinistra vide due ritardatarie del primo anno correre schiamazzando verso l’entrata principale.
«Che stupida», si disse allora, risistemandosi lo scatolone tra le braccia. Non c’era nulla di qui avere paura.
Eppure la ragazza accelerò il passo, fermandosi solo una volta arrivata di fronte al portone. Qui, Sadie mise giù lo scatolone e si frugò nelle tasche della giacca in cerca del mazzo di chiavi che Mr. Jackson le aveva affidato quella mattina. Lo tirò fuori in tutta fretta e inavvertitamente se lo lasciò sfuggire di mano. Le chiavi caddero per terra tintinnando e Sadie borbottò un imprecazione, chinandosi per raccoglierle. Ma proprio allora, dalla serra lì vicino arrivò un suono secco, come un ramo che si spezza, e Sadie si ritrovò a trattenere di nuovo il respiro.
Lentamente, la ragazza si voltò indietro per cercare il colpevole; forse era stato uno scoiattolo o qualcosa del genere... Ma il rumore si ripeté, seguito da un eccitato mormorio di voci maschili che, Sadie avrebbe potuto giurarlo, appartenevano a Fred e ai suoi amici Cody e Martin. A giudicare dai loro toni, avevano in programma qualcosa di davvero “divertente”, per cui Sadie ci mise un attimo a decidere che lo scatolone e gli addobbi potevano aspettare e che spiare i suoi compagni di scuola era molto più importante. A tale scopo, la ragazza prese in mano il cellulare e si assicurò che la videocamera funzionasse anche al buio. Finalmente qualcuno poteva raccogliere prove dei loro reati e di mostrare quel materiale al preside! Magari stavolta sarebbero stati espulsi e la scuola avrebbe trovato un po’ di pace. Così, prima ancora di avere un piano, Sadie si ritrovò di fronte alla serra, allungando l’orecchio per captare ogni minimo rumore. Aprì la porta con delicatezza e pregò di non inciampare in qualche vaso mentre seguiva il suono delle voci dei ragazzi. A giudicare da ciò che sentiva, Martin stava giocherellando con un ramo che Sadie gli aveva sentito spezzare, mentre Cody e Fred stavano prendendo in giro qualcuno. Sadie si nascose dietro un cespuglio di fiori, sbirciando fuori per vedere cosa stava succedendo.
Come aveva intuito, i tre ragazzi erano lì. Ma non erano soli. Insieme a loro, seduta sulla panca che Mrs. Grady usava per le sue lezioni di botanica, c’era una ragazza con il viso nascosto dai capelli. A fianco a lei, c’era quel viscido di Cody.
Cody le aveva passato amichevolmente una mano attorno alle spalle, stringendola – no, stritolandola! – in attesa di una smorfia di dolore.
«Allora, strega?», ghignò, rafforzando la presa. «Che ci facevi qui, tutta sola, eh?».
«Raccoglievi l’erba per i tuoi incantesimi, non è vero?», gli diede man forte Martin.
«Idiota!», lo apostrofò Fred, «L’erba si raccoglie per le pozioni, non per gli incantesimi!».
«Meglio raccoglierla per fumarla!», lo corresse a sua volta Cody, e tutti e tre scoppiarono in una fragorosa risata come se fosse stata la battuta più spassosa che avessero mai sentito.
La ragazza, invece, rimase in silenzio.
Sadie la guardò stringere un grosso libro a testa china e provò una fitta di pietà. Sapeva cosa significava stare lì in mezzo, era capitato anche a lei una volta, al primo anno. Da allora, aveva sempre disprezzato ogni forma di bullismo, anche se spesso era costretta a conviverci.
Ma stavolta non sarebbe successo!
Facendo attenzione a non fare rumore, Sadie incastrò il telefonino nel cespuglio e azionò la videocamera. Qualche foglia era entrata inevitabilmente nell’inquadratura, ma in generale la scena era perfettamente chiara e in quel momento stava riprendendo Cody che, stanco dell’ostinato mutismo della ragazza, aveva deciso di strapparle via il libro. Lei ebbe appena un sussulto.
«Vediamo cosa abbiamo qui!», disse Cody, sfogliando a caso le pagine. «Wow! Lo sai che sei davvero malata?», ghignò, passando il libro a Martin.
Lui lo prese e inarcò le folte sopracciglia nere quasi fino all’attaccatura dei capelli. «Che roba è?», fece una smorfia. «Sacrifici umani? Bleah... A nessuno sano di mente piacerebbe ‘sta roba!».
«Dai qua», allungò un braccio Fred. Martin gli passò il volume e Fred fischiò. «Sì, sei proprio una strega schifosa!», e detto questo strappò via la pagina che stava guardando, la appallottolò e la buttò, senza saperlo, verso Sadie.
Perplessa, Sadie recuperò la cartaccia e la lisciò con le mani; sopra, stampato in bianco e nero c’era il disegno di una creatura rachitica, piena di protuberanze e con due grandi occhi chiari. Osservando meglio, Sadie distinse alcune parole scritte in una lingua che non conosceva, a margine della pagina. Tra queste, l’unica cosa che riuscì a capire fu un nome: Irene Adams. Sadie buttò via la cartaccia e guardò la ragazza – con ogni probabilità, quella era Irene. Ma che razza di persona leggeva certe cose?
«Che c’è?», continuò imperterrito Fred, piegandosi verso la sua vittima. «Il gatto ti ha mangiato la lingua, per caso?».
Martin emise un grugnito che doveva sembrare una risatina. «Forse ha bisogno di imparare un po’ di buone maniere!».
«Hai ragione, Mart...», annuì Fred, «Dammi qua quel dannato pezzo di legno!».
Attraverso il display, Sadie vide Martin passargli il ramo e improvvisamente le si accapponò la pelle: potevano davvero arrivare a tanto? La risposta arrivò quando lo schiocco del ramo risuonò nitido nel buio della serra, disperdendosi con un eco. Nello stesso istante, Sadie spalancò gli occhi e Cody saltò in piedi, fulminando l’amico con lo sguardo.
«Sei impazzito per caso?», ruggì, appropriandosi della verga, «Potevi beccarmi!».
«Ma non l’ho fatto...», sbuffò Fred, minimizzando.
«Ragazzi... Credo che stia sanguinando», s’intromise Martin, grattandosi stupidamente il capo. Gli occhi porcini scrutavano confusi l’esile figura di Irene, stesa su un fianco lungo la panchina con una mano premuta sulla spalla ferita. Il colpo le aveva trapassato l’uniforme come burro.
«Hey, tu!», si arrabbiò Fred. Quella stupida non li divertiva affatto e adesso rischiava pure di metterlo in seri guai! Ma le avrebbe fatto passare la voglia a forza di sberle. Quindi la afferrò per il braccio martoriato e cercò di tirarla su, scuotendola come una bambola di pezza.
Al di là del cespuglio, Sadie tremò, paralizzata dal terrore. Nella sua mente emersero immagini di Emily che litigava con quel mostro. Avrebbe potuto esserci lei al posto della loro compagna. Ma quel pensiero fu presto offuscato da quello che accadde dopo: Irene emise uno sbuffo appena udibile, seguito immediatamente da un altro e un altro ancora... Continuò a farlo finché quel suono non si trasformò in una risata. Sembrava il gemito di un pazzo e quando Irene alzò finalmente lo sguardo, mettendo a nudo il volto scarno, Sadie trasalì.
Fred la lasciò andare come se si fosse scottato, sgranando gli occhi da pesce. Alle sue spalle Cody fece una smorfia e Martin ebbe un brivido. Le iridi di Irene sembravano due lampi viola nell'oscurità della serra e Sadie pensò che nessun essere umano poteva avere delle iridi del genere.
La voce di Irene proruppe come un ruggito: «Che cosa c’è, ragazzi? Non ci divertiamo più?», domandò con un ghigno che non presagiva nulla di buono.
Ebbe giusto finito di parlare che fuori si alzò un vento terribile. I rami degli alberi che circondavano la serra presero a battere contro i vetri, graffiando e frustando. Assomigliavano terribilmente a dei artigli e avevano tutta l’aria di voler entrare per assistere allo spettacolo.
Guardandosi confusamente attorno, i ragazzi cominciarono ad arretrare. Irene si passò un dito intriso di saliva sulla ferita, cicatrizzandola in un battito di ciglia, poi borbottò qualcosa di incomprensibile e strascicato puntando lo sguardo su Fred. Subito, il ragazzo rovesciò gli occhi all’indietro e si fece paonazzo. Stava per cadere addosso a Martin che, sorpreso, tentò goffamente di afferrarlo, ma grosso com’era non ci riuscì e, mentre entrambi crollavano giù, Cody urlò, buttò per terra la verga e si diede alla fuga. Ma non aveva fatto nemmeno cinque metri che già si fermò, puntando lo sguardo terrorizzato e meravigliato su Sadie, nascosta dietro al cespuglio. Sadie ricambiò la sua occhiata, indugiando sul da farsi, quando lui si irrigidì, crollò e venne trascinato indietro da una misteriosa forza.
Osservandolo, Sadie si portò una mano alla bocca. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Che diavolo le era saltato in mente quando aveva deciso di spiare quei tre? Era ovvio che non ne sarebbe uscito nulla di buono! E ora era tardi per tirarsi indietro. Forse, se fosse rimasta lì in silenzio, sarebbe riuscita a salvarsi... Ma poi, che avrebbe fatto? Avrebbe portato il video al preside e avrebbe preteso che lui credesse a quella storia? No, era fuori discussione. Doveva uscire dalla serra e dimenticare tutto, perché nessuno le avrebbe mai creduto.
Prendendo un respiro profondo, Sadie si guardò attorno, cercando tra l’oscurità la via di fuga più breve: poteva passare tra i cespugli di rose e proseguire tra i meli. Dopodiché si sarebbe nascosta dietro gli enormi vasi di terracotta, là in fondo, e avrebbe strisciato lungo la parete fino alla porta.
Sì, era il miglior piano che poteva avere.
Lo mise subito in atto, scivolando silenziosamente tra i cespugli. Mentre gattonava in mezzo alle rose, sentì qualche spina infilarsi nei palmi delle mani e una volta arrivata ai meli, la corteccia di un albero le strusciò dolorosamente contro una coscia. Tuttavia, Sadie non si fermò a controllare le ferite, procedette velocemente fino ai vasi, senza voltarsi mai indietro. Alle sue spalle, Irene era ormai fuori controllo. I ragazzi urlavano di dolore, le loro ossa scricchiolavano e si rompevano per poi guarire e ricominciare da capo.
Sadie cercò di non ascoltare. Era ormai a un passo dalla porta, un rivolo di sudore le scivolò lungo la tempia mentre allungava un braccio tremante verso la maniglia. Ci era quasi riuscita, bastava allungarsi solo un altro po’.
Solo un pochino...
«Vai da qualche parte?».
Tutto tacque.
Sadie trasalì, voltandosi di scatto. Inavvertitamente diede un calcio a uno dei vasi che dondolò pericolosamente prima di cadere con un tonfo terribile, frantumandosi in due parti.
Irene lo scavalcò senza alcuna fatica, fermandosi a mezzo passo da Sadie. La guardò con compassione, come si guarderebbe un cucciolo malato, prima di piegarsi per scrutarla meglio in viso. Sadie immaginò come doveva apparire in quel momento: sporca di terra sulle mani e sulle ginocchia e tremante come una foglia bagnata. Tuttavia, non urlò né cercò di scappare. Se doveva morire, non l’avrebbe fatto da completa codarda.
Irene piegò leggermente la testa e sorrise. Le iridi viola brillarono come cristalli vuoti. Sadie deglutì.
«Pensavi davvero che ti avrei lasciata andare?», la voce della strega si era fatta incredibilmente morbida, del ruggito non era rimasto che un flebile eco. Tant’era che se Sadie non l’avesse vista fare ciò che aveva fatto, avrebbe giurato che l’essere davanti a lei fosse una ragazza qualsiasi. Un po’ denutrita e pallida forse, ma comunque per niente diversa dalle sue compagne di scuola.
A parte gli occhi.
Se mai ne fosse uscita viva, Sadie era certa che non avrebbe mai più dimenticato quei occhi. La stavano fissando con aperta curiosità, in attesa di una risposta.
A Sadie venne in mente un’unica cosa: «Tu sapevi che ero qui?», chiese.
«Dal primo istante», sorrise Irene.
«Dal primo istante?».
«Naturalmente, mia cara».
Mia cara?, Sadie la fissò. Se la sua voce non fosse suonata così maligna, le avrebbe detto che nessuno usava più quell’espressione da decenni. Inglesi a parte, ovviamente.
«E non hai detto niente...», questa non era una domanda, piuttosto una riflessione ad alta voce di cui Sadie ignorava la spiegazione.
«E rovinarti lo spettacolo? Perché mai? E poi, non potevo permetterli di farti del male. Avrebbero rovinato il tuo bel faccino», Irene allungò una mano verso Sadie e le scostò una ciocca di capelli dal viso.
Sadie divenne di pietra, sentendosi, forse per la prima volta, davvero in trappola.
«Chi sei? Perché mi fai questo?», sbottò, premendo la schiena contro la parete. Non le avrebbe più permesso di toccarla.
Irene si alzò lisciandosi la gonna con le mani, il suo buon umore era improvvisamente sparito.
«Quante domande», sbuffò, «Lo sai che la curiosità uccise il gatto?».
«Non farò la stessa fine in ogni caso?».
La strega incrociò le braccia al petto, spazientita.
«Sai, fate sempre le stesse domande: chi sei?, perché mi fai questo?, morirò?. Siete così dannatamente prevedibili! Andiamo... Vi tocca comunque! Le vostre graziose anime sfarfalleranno in giro per il cosmo, mentre i vostri corpi, la cosa più preziosa che vi è stata donata, resteranno qui, a marcire sotto metri di terra. Ma non capisci che enorme favore ti sto facendo?».
Calò il silenzio.
No, Sadie non capiva. Irene stava vaneggiando, e a quanto pareva, aveva torturato e ucciso altre persone. Ma a che pro?
La strega le gettò una lunga, fredda occhiata. Non si aspettava certo che quella ragazzina potesse davvero comprendere. Erano tutte uguali! Tutte ingrate! E non poteva pensare che stava sprecando del tempo prezioso per spiegarglielo.
Quindi si ricompose e assunse l’espressione più annoiata che riuscì a trovare.
«Dobbiamo andare. Parleremo dopo».
Sadie impallidì. «Cosa? Io non andrò da nessuna parte con te!».
Irene sospirò, socchiudendo per un attimo le palpebre. «Allora temo di non avere altra scelta...».
Prima ancora di poter fare qualcosa, Sadie sentì la strega borbottarsi qualcosa sotto il naso. L’aria attorno cominciò a vibrare, riempiendosi di un odore sgradevole come lo zolfo. Il fetore avvolse Sadie come un manto, insinuandosi sotto la sua pelle e penetrando i muscoli. E all’improvviso la sua vista si annebbiò e il corpo si mosse senza che lei glielo avesse ordinato.
CHE COSA MI HAI FATTO?!, avrebbe voluto gridare Sadie. Ma la bocca rimase impassibile mentre i piedi avanzavano da soli in una direzione che non avrebbe potuto vedere. Capì di essere all’aperto quando una raffica di vento la investì in pieno volto accapponandole la pelle e, se solo avesse potuto, Sadie si sarebbe messa a tremare, strusciandosi le braccia in cerca di un po’ di calore.
Invece continuò a camminare alla cieca per una ventina di minuti buoni, scavalcando tronchi sottili e superando pozzanghere con gesta automatiche, finché il suo corpo non si arrestò e le gambe cedettero, abbandonandola dentro la melma. Quando anche la vista era tornata, Sadie si guardò in torno. Aveva la testa in fiamme e non riusciva a concentrarsi su niente di concreto. Di sicuro, si trovavano da qualche parte nella foresta. Sadie l’aveva osservata così tante volte dalla finestra della sua stanza al dormitorio che l’avrebbe riconosciuta ovunque: era un posto grande e spaventosamente ostile.
Irene era ferma vicino a un largo ceppo adornato di tovaglia nera e la stava osservando con paziente curiosità. Si era avvolta dentro un mantello in pizzo scuro, lasciando scoperto solo il viso e qualche ciocca di capelli che sfuggiva al cappuccio largo. Sadie non capì perché la stesse guardando in quel modo. Probabilmente si aspettava che si sarebbe rialzata e avrebbe cercato di fuggire. Ma le gambe di Sadie erano diventate troppo pesanti per riuscire a compiere un’impresa del genere, per cui la ragazza si limitò a mettersi a gattoni e a strisciare fuori dal fango. I palmi le mandarono fitte acute ad ogni pressione contro la terra, reduci delle spine delle rose, e la sbucciatura alla coscia cominciava a bruciare.
Irene storse il naso e alzò un sopracciglio.
«Peggio dei porci, mia cara», disse.
Sadie non obbiettò, la lingua si stava ancora riprendendo dall’incantesimo. Ma seppure fosse stata in grado di farlo, non l’avrebbe fatto lo stesso. Perché in quel momento si sentiva proprio così: un animale braccato e mortificato.
«Quando avremo finito, bisognerà darti una bella pulita», continuò Irene, voltandosi verso il ceppo. Si tolse il cappuccio e i guanti e si mise a trafficare lì davanti.
Sadie non riusciva a vedere che cosa stesse facendo, ma quando la strega si tolse di mezzo, la ragazza vide due lunghe candele nere e ai lati della tovaglia un calice d’oro e un pugnale d’argento dalla doppia lama. Fu soprattutto quest’ultimo a preoccuparla; aveva un’aria terribilmente minacciosa e affilata. Sarebbe stato lui a determinare il suo destino?
Sadie buttò giù la bile e cercò di rimettersi in piedi, senza successo.
«Mia cara, non dovresti sprecare così le tue energie», la rimproverò educatamente Irene, accendendo con un fiammifero le candele. Poi alzò lo sguardo al cielo e sorrise.
«È la serata ideale per un rituale!».
«Un rituale?», gracchiò Sadie, ritrovando gradualmente la voce, «È a questo che ti servo?».
Irene non rispose. Non subito al meno. Si prese del tempo per riflettere su quella domanda, portandosi un dito lungo e affilato al mento.
«Tu sei molto preziosa per me, Sadie Bishop...».
«Perché?».
«Immagino che non ti accontenterai di una banale risposta».
Sadie attese.
«Molto bene. In tal caso... Che cosa vuoi sapere?».
«Perché io?».
Irene sogghignò. «La verità è che non sei stata la mia prima scelta. Non offenderti, ma i miei standard solitamente sono più elevati. Mentre tu... Sei scialba, piuttosto bassa, con una voce irritante e, cosa peggiore di tutte...», Irene fece una smorfia, «...con gusti orribili in fatto di vestiti! Non ti avrei mai presa in considerazione se non fosse stato per la tua amica, Emily».
«Emily?!».
Tutte le offese che si era sentita rivolgere e che le avevano fatto ribollire il sangue, svanirono dalla mente di Sadie con quell’unico nome. Che cosa aveva a che fare con tutto questo, Emily?
Irene sospirò, prendendosi una lunga pausa prima di proseguire.
«Emily era perfetta: alta, popolare, piena di energia e con un guardaroba invidiabile! Ma fu proprio questo a farmi cambiare idea, poiché le ragazze come lei attirano sempre un sacco di attenzione, e questo mi renderebbe un bersaglio facile per i miei nemici. È stato allora che ti ho notata.
«Eravate in mensa. Tu te ne stavi in disparte con gli occhi gonfi, mentre Emily discuteva animatamente di una festa con le sue amiche. Puoi chiamarlo colpo di fulmine se vuoi, fatto stava che catturasti tutta la mia attenzione. Così avevo cominciato a studiarti, a seguire i tuoi stessi corsi, a pedinare i tuoi amici. Dovevo conoscere ogni aspetto della tua vita se volevo compiere il rituale e posso dirti che sono sinceramente lieta di aver scelto proprio te».
«Mi ricordo di quel giorno...», corrugò la fronte, Sadie. Non l’avrebbe dimenticato nemmeno volendo. Quel mattino si era ritrovata a leggere per puro caso i scabrosi messaggi sul cellulare di Adam, mandati da una certa “Regina”. C’erano anche un paio di foto che la tizia gli aveva scattato la sera precedente, in pose che Sadie avrebbe preferito non vedere.
Quel ragazzi aveva calpestato il suo cuore senza pietà.
La strega le si avvicinò e le tolse dalla guancia una lacrima di cui Sadie non si era accorta.
«Non serve la magia per capire a cosa stai pensando», disse, denudando i ricordi della ragazza con i suoi occhi viola.
«Ma non preoccuparti, entrambi avranno ciò che si meritano quando avremo finito», sorrise.
Quelle parole riportarono Sadie alla realtà. Non erano lì per fare quattro chiacchiere né per fare confidenze a cuore aperto. La persona davanti a lei – sempre che di persona si potesse parlare – aveva intenzione di usarla per un rituale e molto probabilmente avrebbe finito per ucciderla. Doveva andarsene da lì e sperare che qualcuno potesse aiutarla.
Doveva prendere tempo per escogitare un piano.
«Tu sai chi è “Regina”, non è vero?», domandò allora.
Irene si alzò e si voltò di spalle. Ora che aveva quasi recuperato le forze, Sadie cominciò a scrutare ogni millimetro del bosco attorno a loro, sperando di indovinare da che parte avrebbe dovuto correre una volta arrivato il momento giusto.
«Naturalmente», rispose Irene.
«Voglio saperlo», insisté Sadie, allungando il collo per vedere meglio oltre un capannello di alberi, più avanti.
Irene si girò e strinse gli occhi in due fessure. Sadie si ricompose immediatamente, fingendo di essere rimasta sempre a terra, debole e intontita.
«Vuoi saperlo davvero?».
«Sì».
«Non ti piacerà sentirlo».
«Non importa».
«A volte il tuo nemico ti è più vicino di quanto pensi, mia cara», disse Irene, ottenendo un barlume di sincera attenzione dalla sua collocutrice, «Eppure è talmente ovvio...».
Sadie ripensò ai messaggi. Il numero da cui erano stati spediti apparteneva a “Regina”. Regina... Quinn.
«No...», farfugliò Sadie, «So che cosa stai cercando di insinuare! Ma io non ti credo...».
Irene sorrise, inclinando leggermente la testa. «Sto davvero insinuando? Pensaci bene, Sadie... Che cosa se ne fa la tua amica di un altro numero? E dov’era la sera in cui Adam si era lasciato scattare le foto?».
«No, io non ti credo!», sbottò Sadie. Sarebbe balzata in piedi se non avesse rischiato di ricadere subito giù.
«Quinn... non è forse il cognome di Emily?», il ghigno di Irene si allargò come gli occhi di Sadie.
Non le avrebbe creduto, lo sapeva. Non l’avrebbe mai fatto. Eppure, Sadie sapeva che era la verità e quella scoperta fu peggio di una pugnalata al cuore. Era stata Emily – la ragazza con cui aveva condiviso tre anni della sua vita. Emily – che l’aveva incoraggiata a dare una possibilità ad Adam. Emily – sulla spalla della quale Sadie aveva pianto tutte le sue lacrime per quel verme. Emily – che con la sua esuberanza l’aveva condannata ad essere lì quella sera. Emily – sempre e solo, Emily...
Improvvisamente, qualcosa nella mente di Sadie s’intaccò. Non avrebbe saputo dire perché lo fece, ma d’un tratto era saltata su e, ruggendo come un animale ferito, si lanciò contro Irene. Non le arrivò neppure vicino che quella alzò il braccio e con la sola forza di un invisibile onda di energia la scagliò all’indietro.
Sadie volò per un metro e mezzo intero prima di sbattere la testa contro il tronco di un albero e perdere i sensi. L’ultima cosa che vide, furono due lampi viola nell’oscurità...

Quando si svegliò, Sadie scoprì di essere stata legata a un massiccio palo di legno che non era stato lì prima che lei fosse svenuta. Era stato ben piantato di recente, quasi certamente grazie alla magia, esattamente dietro il ceppo che Sadie sospettò essere l’altare di Irene. Della stessa Irene, invece, non c’era alcuna traccia.
Sadie avrebbe potuto dimenarsi per cercare di liberarsi, ma fu certa che sarebbe stato inutile. Quello che aveva fatto le era costato ogni opportunità di fuga, perciò non ci provò nemmeno. Rimase a fissare il bagliore delle candele, desiderando di averne una per non dover pensare al buio che la circondava. Ora che Irene non era più lì con lei, Sadie ebbe modo di sentire ogni scricchiolio, ogni fruscio e ogni eco del bosco, rabbrividendo ogni volta. Che sarebbe successo se fosse arrivato un lupo o un orso? Legata com’era, sarebbe stata una preda facile. E se in giro ci fosse stato un maniaco? Questo pensiero la fece ridacchiare. Una strega voleva sacrificarla per fare di lei Dio solo sapeva cosa, e lei si preoccupava di un maniaco...
«È peggio avere a che fare con uno stupratore che con me, credimi».
La voce di Irene arrivò dal nulla, facendo trasalire Sadie. La ragazza cercò di voltarsi per quanto le permetteva la sua condizione di prigioniera, ma si fece solo venire il torcicollo.
Irene spuntò dal buio vestita di tutto punto, tra le mani stringeva di nuovo il suo strano libro. L’elegante abito nero che indossava la faceva sembrare più esile di quel che era e Sadie si domandò come riuscisse a stare ancora in piedi reggendo tra le mani un volume così massiccio. Quanto pesava? Trentacinque, quaranta chili al massimo?
«Non ci crederai», sorrise Irene aprendo il libro, «ma prima ne pesavo quasi sessantacinque».
«Leggi nel pensiero adesso?», bofonchiò Sadie. Al diavolo le buone maniere! Era comunque spacciata...
«Lo faccio fin dalla nascita. Prima, volevo solo lasciarti un po’ di privacy».
«Che gentile...».
Irene la ignorò e iniziò a replicare una formula dalla pagina che stava leggendo.
Per qualche secondo, attorno a loro si alzò un forte vento e il cielo emise un boato. Poi tutto tacque e una fila di fiamme si accese in cerchio, delimitando il perimetro in cui si trovavano le due ragazze e l’altare. Adesso che c’era più luce, Irene appariva molto più vecchia e stanca.
«Sei pronta?», domandò a Sadie.
«Ha qualche importanza?», le chiese di rimando, lei.
Irene abbandonò il libro accanto all’altare e si piegò in ginocchio davanti a quest’ultimo, alzando le mani all’aria. Dalla sua bocca cominciarono ad uscire una serie di parole strascicate, tutte in rima e incomprensibili. Il vento riprese a ululare e le fiamme si alzarono così in alto che Sadie si domandò se non stesse avendo un allucinazione. Dopodiché la strega si alzò e, continuando a borbottare, si avvicinò alla ragazza, tagliando con il pugnale le corde che la tenevano legata. Riluttante, Sadie si lasciò spingere fino al ceppo, dove Irene la obbligò a mettersi in ginocchio insieme a lei e a guardarla mentre apriva tre misteriosi cofanetti neri, uno dietro all’altro. Sulle prime, Sadie non riuscì a distinguere il loro contenuto, fino a che Irene non prese gli organi in mano e non li buttò dentro il calice fumante.
Sadie represse a forza un conato di vomito. Non aveva dubbi a chi fossero appartenuti e il fatto che Irene avesse prelevato un pezzo da ciascuno, voleva dire una cosa sola: e cioè che Fred, Cody e Martin non ne avrebbero più avuto bisogno...
«Vi invoco, Oh Miei Dei! Voi che risiedete nelle viscere di questa Terra e Vi cibate della Morte...!», esclamò Irene nella loro lingua, nel pieno viaggio mistico, «Venite! Oh, venite a me, Vostra umile serva!».
Sadie si guardò attorno nel panico. Vedere quei organi era stato come ricevere un altro schiaffo sulla guancia. Lei non voleva fare quella fine! Era troppo giovane, aveva fatto troppo poco! Non poteva! Non voleva!
«Ed è per Voi che consumo questo Elisir di lunga Vita!», continuava intanto Irene.
Sadie la guardò prendere il calice e trangugiare con avidità il suo contenuto fino all’ultima goccia. Il liquido, misto a quello che aveva tutta l’aria di essere sangue, le colò sul mento e sulla scollatura, lasciandosi dietro scie scarlatte che si seccarono quasi subito. Di fronte a quello spettacolo, Sadie non riuscì più a trattenersi; si voltò e vomitò, finché lo stomaco non cominciò a farle male.
Offesa da quel gesto, Irene afferrò la ragazza per i capelli e la obbligò a guardarla negli occhi. Le sue labbra tornarono a sillabare parole estranee e Sadie si sentì improvvisamente molto stanca. Le sue palpebre si fecero pesanti e la testa ovattata. La voce di Irene le arrivava come un eco lontano e Sadie non la ascoltava quasi più. Tutto ciò che voleva, era dormire...
«Lasciati andare, Sadie», mormorò dolcemente la strega, «Non opporre resistenza».
Non opporre resistenza...
Non opporre resistenza...
Un momento! Non doveva opporre resistenza? Che cosa voleva dire?
Sadie cominciò a scuotere la testa, o al meno ci provò. I suoi arti erano pesanti come macigni e tutto il suo corpo la scongiurava di abbandonarsi alla deriva, di arrendersi e di accogliere il lungo riposo che la stava aspettando. Per quale ragione, allora, sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in tutto questo?
Lentamente, un pensiero si fece strada tra la nebbia nella sua testa: Irene stava giocando con la sua mente ancora una volta! La stava costringendo ad abbracciare la morte con l’inganno! Ma lei non si sarebbe data per vinta, Sadie avrebbe lottato fino all’ultimo.
Questo pensiero le diede la forza per riaprire gli occhi, appena in tempo per fermare la folle corsa del pugnale verso il suo cuore. Sadie afferrò le mani della strega e d’istinto le respinse indietro, capendo troppo tardi quello che aveva fatto. In un attimo, aveva conficcato il pugnale nel corpo di Irene che la trapassò con estrema facilità, aprendo uno squarcio all’altezza dello stomaco.
Lo sguardo spaventato di Sadie catturò quello sorpreso di Irene e il tempo parve fermarsi per istanti interminabili. D’un tratto il respiro della strega si era fatto gorgogliante e, nauseata, la ragazza lasciò la presa sulle sue mani, strisciando all’indietro. Irene le rivolse un sorriso maligno e con quello si accasciò per terra, esanime. Le candele e il fuoco attorno a loro si spensero, il vento cessò di ululare e gli insetti smisero di ronzare, lasciando spazio a un silenzio di tomba...
Che cosa aveva fatto? Che cosa avrebbe fatto ora?
Sadie studiò le proprie mani sporche di sangue e se le strusciò sull’uniforme imboccando l’aria come sul punto di annegare. Poi guardò di nuovo il corpo di Irene; attorno a lei stava crescendo una pozza scura e Sadie ci intravide dentro il suo riflesso, pallido e trasandato, fissarla di rimando. Quello era il volto di un’assassina! Un’assassina!
Sotto choc, la ragazza si alzò e cominciò a correre. Non aveva idea di dove stesse andando, se fosse la direzione giusta oppure se si stesse addentrando ancora di più dentro il bosco. E neanche le importava. Voleva solo andarsene da lì e buttarsi alle spalle quell’assurda storia. Si lasciò guidare dai suoi piedi a lungo, inciampando e cadendo più volte, sbucciandosi i palmi e le ginocchia. Alla fine, chissà come, sbucò dai cespugli a qualche metro di distanza dalla serra dell’Accademia e i suoi occhi si allargarono alla sua vista. Le sembrava di guardare un miraggio; gli studenti si erano riversati di nuovo all’aperto, ridendo e scherzando dentro i loro costumi di Halloween.
Sadie camminò tra loro senza che nessuno le prestasse attenzione. In un’altra occasione l’avrebbero sicuramente additata e avrebbero sparlato del suo aspetto trasandato, ricordandosi di lei per settimane. Ma in quel momento, agli occhi dei suoi compagni di scuola, lei rappresentava solo un’altra studentessa mascherata con un po’ di terra e sangue finto. Non era poi una cosa così eccezionale, e a lei stava più che bene.
Salendo al terzo piano del dormitorio femminile, Sadie fu sollevata di trovarlo vuoto. Le ragazze erano andate tutte alla festa e questo significava che non avrebbe trovato neanche Emily. Il che era un bene, visto come stavano le cose. Così Sadie entrò nella loro stanza e chiuse la porta a chiave. Si avvicinò alla foto che lei ed Emily si erano scattate un anno prima, in gita a Parigi, e con riluttanza mise la cornice a faccia in giù, desiderando di non aver mai parlato con Irene. Poi si svestì, lasciando l’uniforme sporca sul tappeto, e andò dritto sotto il caldo getto della doccia, nel bagno comunicante. Si strusciò a lungo con la spugna, cercando di cancellare dalla pelle tutte le ferite, ma sapeva che con alcune avrebbe convissuto per il resto della sua vita. E all’improvviso si abbandonò a un lungo pianto liberatorio...

Un quarto a mezzanotte, Sadie vestiva abiti puliti e portava delle bende sulle mani e ginocchia. Aveva spento tutte le luci e si era stesa sul divano, ascoltando gli schiamazzi che arrivavano dal giardino con gli occhi fissi sul soffitto. Esausta, cercò di chiudere gli occhi per addormentarsi, anche se stentava a credere che ci sarebbe riuscita. Nella sua testa continuavano a vorticare immagini sconnesse di quella sera: Irene, il suo corpo riverso nella pozza di sangue, Martin, Fred e Cody, le candele... No, quella notte non avrebbe dormito, e forse nemmeno in quelle a venire. Ma rimase comunque con gli occhi chiusi, frenando un’ondata di panico che minacciava di travolgerla ancora una volta. Come avrebbe fatto a convivere con quello che aveva fatto? E Irene? Avrebbe lasciato il suo corpo lì, nel bosco? L’avrebbe cercata qualcuno?
Al pensiero che Irene poteva avere qualcuno ad aspettarla, Sadie si sentì, se possibile, ancora peggio.
Ci aveva pensato a lungo sotto la doccia, aveva agito per autodifesa, certo, ma ciò non toglieva che, strega o no, aveva ucciso una persona e avrebbe dovuto fare i conti con la propria coscienza.
E mentre lei continuava a rimuginarci su, dentro la stanza risuonò uno squillo famigliare.
Sadie aprì gli occhi e corrugò la fronte, tendendo l’orecchio a ogni minimo rumore. Lo squillo risuonò di nuovo e la ragazza saltò in piedi, guardandosi attorno. Il suo sguardo si soffermò sopra il tavolo dove, accanto alla foto di nuovo in piedi, c’era il suo cellulare. Sadie scosse la testa. Non era possibile! L’aveva abbandonato nella serra...
«Emily?», domandò allora con voce spezzata, «Sei tu?».
La finestra alle sue spalle si spalancò. Sadie si voltò di scatto e si affrettò a richiuderla. Un’ombra slittò vicino ai letti, confondendosi con il buio della stanza. Sadie si precipitò ad accendere le luci. Non sembrava esserci niente lì dentro. Eppure...
Sadie prese il telefono e tolse il blocco dallo schermo. Sul display apparve l’icona di una busta. Sadie ci cliccò sopra con un dito e trattenne il respiro: si trattava di un video. Ma non di uno qualsiasi, bensì quello che lei aveva girato nella serra. Sadie provò a tornare indietro, a chiudere l’applicazione e persino a spegnere l’apparecchio, ma a quanto pareva non c’era modo di fermarlo.
Allora si abbandonò sulla sedia e, con un nodo alla gola, ripercorse quei eventi in religioso silenzio. Il video durò circa un quarto d’ora, dopodiché Sadie si aspettò che finisse, ma le sequenze continuarono, attirando tutta la sua attenzione: sullo schermo, Fred, Cody e Martin – pieni di lividi e incoscienti – erano stati legati l’uno all’altro con le meni dietro la schiena. Dovettero passare più di dieci minuti prima che si sentissero dei passi. Appartenevano sicuramente ad una donna e Sadie sospettò che si trattasse di Irene. Quando la figura di quest’ultima entrò nell’inquadratura, la ragazza ebbe un brutto presentimento...
«Adesso sono così innocui, non è vero?», domandò la strega, piegandosi sulle gambe davanti ai ragazzi. Sadie si domandò con chi stesse parlando, perché non riusciva a scorgere nessuno lì con lei.
«Sembra quasi che stiano dormendo», proseguì Irene con un sorriso, prendendo per il mento Cody. Ma non era un gesto affettuoso, tutt’altro.
«Vedi, mia cara...» – a quell’appellativo, Sadie sentì il proprio cuore sprofondare – «...mentre tu te ne stai a riposare nel bosco, io sono qui, a fare il lavoro sporco».
Detto questo, nella mano di Irene apparve – letteralmente dal nulla – un lungo pugnale che Sadie riconobbe all'istante. Era lo stesso con qui la strega aveva cercato di ucciderla e che, invece, era finito per uccidere lei. Sadie non avrebbe voluto vederlo mai più, ma fu impossibile distogliere lo sguardo da quello che accadde dopo: Irene soffiò sul viso di Cody e questo si svegliò, sgranando gli occhi per il terrore.
«Buongiorno, stella del cielo», lo salutò lei e senza lasciargli il tempo di realizzare quello che stava per succedere, gli spalancò a forza la bocca e gli tagliò via la lingua. Il sangue colò a fiotti e Cody emise un grido raccapricciante. Sadie lasciò cadere il telefono sul pavimento e corse in bagno a vomitare.
Ma la voce di Irene le arrivò forte e chiara lo stesso.
«Immagino che a questo punto non ti senti tanto bene, mia cara», urlò lei per sovrastare i gemiti di Cody, come se si trovasse nella stanza accanto e si stesse gentilmente informando sulla salute della ragazza. «Non c’è bisogno che tu assista comunque».
Ci fu un altro soffio, poi il pugnale tagliò di nuovo e il grido di Martin obbligò Sadie ad accasciarsi a terra, nell’angolo tra la vasca e il muro, in preda ad un attacco di pianto.
«Oh, non farne un dramma adesso!», sbuffò Irene. «Ha perso un orecchio, sopravvivrà… Al meno, per il momento».
Sadie non voleva più ascoltare, si tappò le orecchie e supplicò che tutto questo finisse.
Passò un minuto, poi due. Sadie non aveva idea di cosa stesse facendo Irene, ma suppose che stesse terminando il lavoro e riponendo i suoi trofei nei cofanetti. La ragazza attese ancora per qualche minuto, poi, finalmente, si tolse le mani dalle orecchie e si mise in ascolto.
«Non angosciarti, cara. Non lascerò questi tre a marcire qui dentro. Domattina li troveranno nelle cantine dell’Accademia e daranno tutta la colpa a Mr. Peters. Nessuno lo sopporta comunque, inoltre spia le ragazzine negli spogliatoi... Un vero porco». Calò un lungo silenzio.
E d’un tratto Irene disse: «Sai perché faccio tutto questo, Sadie? Perché tu capisca che niente può impedirmi di compiere il rituale e che sono disposta a fare qualsiasi cosa pur di sopravvivere. Nessuno potrà mai fermarmi. Nessuno! Neppure mio padre ci è riuscito. E non ti mento dicendoti che obbligarlo a impiccarsi di fronte alla Regina Vittoria in persona, mi fece male al cuore...».
Sadie cercò di immaginarselo, ma non ci riuscì. Non riuscì nemmeno a credere che Irene venisse direttamente dall’Inghilterra dello scorso secolo, anche se questo avrebbe spiegato la ragione per cui aveva continuato a chiamarla mia cara. Come se avesse qualche importanza, comunque. Irene l’aveva sottovalutata ed era morta. Non c’era altro da aggiungere.
Sadie si alzò e aprì l’acqua del rubinetto, guardando il proprio riflesso nello specchio sovrastante.
«...tuttavia, la mia storia non avrà alcuna attrattiva per te», proseguiva intanto Irene. «Perciò credo che non te ne avrai a male se concluderò qui il nostro video. Ricordati di guardati sempre le spalle, mia cara. Sempre...».
La ripresa terminò e il telefono si spense con una breve melodia. Sadie corrugò la fronte, riflettendo sulle ultime parole della strega. Che cosa voleva dire?
In quel momento, la luce sfarfallò e si spense. Qualcuno corse nella stanza accanto, facendo cadere il vaso di Emily. In preda al panico, Sadie si voltò e si trovò davanti a due enormi iridi viola. La creatura del disegno – quello che Fred aveva strappato dal libro di Irene – era ferma davanti a lei e la fissava inespressiva. Sadie sgranò gli occhi e urlò. La creatura allungò un braccio e le trapassò il torace, afferrando con le mani ruvide come corteccia il suo cuore. Fuori, l’orologio della torretta batté la mezzanotte e nel campus iniziarono a sparare i fuochi d’artificio. Sadie emise un rantolo disperato, poi si accasciò sulla creatura. L’ultima cosa che sentì, fu la sua voce rauca.
«Puoi uccidere il corpo, ma non puoi uccidere lo spirito. Adesso il rituale è completo», le sussurrò.
E poi più nulla...

Svegliandosi sul divano, Sadie sentì un gran mal di testa. La stanza era tutta sottosopra, per terra c’erano una decina di lattine vuote, le finestre erano entrambe aperte ed Emily giaceva supina nel suo costume di Halloween in mezzo al tappeto.
Sadie la scavalcò per andare in bagno, fece la pipì e si lavò le mani, soffermandosi sul proprio riflesso nello specchio. Nonostante la nottataccia, non aveva un aspetto orribile: i capelli si avvitavano in stretti boccoli biondi sopra le spalle, la pelle era candida come la neve e il naso delicato terminava in una morbida curva sopra la bocca piccola e carnosa. Non c’era nulla di diverso in lei.
Tranne gli occhi.
Adesso erano viola e risplendevano di una luce antica...
Sadie sorrise soddisfatta e spostò lo sguardo sul riflesso di Emily – doveva disfarsi del suo corpo prima dell’alba...



---------------------------------- MOMENTO AUTRICE ----------------------------------


Che cosa posso dire?? Ho pianto scrivendo questa storia, e non per la gioia! XD La verità è che non mi piace, neanche lontanamente, perché non rispecchia affatto l’idea originale che avevo in mente. Tuttavia, avevo promesso alle persone che ci tengono alla mia salute mentale che avrei combattuto la mia solita voglia di cancellare tutto o di lasciare le cose a metà e che avrei pubblicato questa storia così come veniva. A prescindere da quanto brutta sarebbe stata (fate conto che questa è la terza versione di un racconto che doveva essere lungo la metà!). Per cui, eccoci qua!
Penso non ci sia molto altro da dire... Lascio a voi i commenti! Nel frattempo, faccio un bel sorriso per la pagina facebook di “Il peggio di EFP”! :’D Stavolta merito un bel posto alto nella loro classifica. XD


M.Z.

   
 
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