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Autore: Eylis    02/12/2008    1 recensioni
Era il primo di settembre, data che segnava l’inizio di un nuovo anno scolastico a Hogwarts. Quello che il sole non sapeva, nella sua allegrezza, era che la donna odiava profondamente gli inizi ed i primi giorni, qualunque cosa riguardassero. Era una questione di numeri, aveva le sue preferenze e la prima cifra della conta le era sempre risultata fastidiosa. Si risollevò pensando che in fondo però mancavano unicamente sei notti al settimo giorno di scuola. Non che questo fosse particolarmente importante, ma era contrassegnato dal numero sette che lei aveva sempre amato, ed in questo caso si trattava non solo di un fatto di numeri, ma anche di nomi. Il suo nome infatti era Septima Vector
Septima Vector, insegnante di Aritmanzia a Hogwarts, conosce grazie alle predizioni della madre un avvenimento del proprio futuro molto importante, e vive la propria vita accettando quel momento che arriverà. Ciò che non conosce sono i dettagli di quel momento...
Questa storia ha partecipato al contest "HP - 15 minutes of fame" indetto da Writers Arena
Genere: Triste, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Mangiamorte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di J. K. Rowling che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Harry Potter, appartengono solo a me.

Nota personale: al concorso questa storia è arrivata ultima perché... l'avevo scritta un po' male... Qui trovate una versione corretta che ha ricevuto una valutazione molto più positiva, a titolo formativo, dallo stesso giudice!



Ninnananna per Septima Vector




L’alba si affacciò attraverso le colline che circondavano lo splendido castello e penetrò dalle finestre raggiungendo gli ospiti che dormivano nei loro comodi letti a baldacchino. Quei raggi irrispettosi corsero a bagnare anche il viso di una giovane donna per svegliarla ad una nuova, piena giornata. Ma questa sembrava avere un’idea contraria, infatti si rifugiò sotto le coperte con una smorfia e mugugnò un indecifrabile insulto verso quella fonte di luce e soprattutto verso il giorno appena giunto. Era il primo di settembre, data che segnava l’inizio di un nuovo anno scolastico a Hogwarts. Quello che il sole non sapeva, nella sua allegrezza, era che la donna odiava profondamente gli inizi ed i primi giorni, qualunque cosa riguardassero. Era una questione di numeri, aveva le sue preferenze e la prima cifra della conta le era sempre risultata fastidiosa. Si risollevò pensando che in fondo però mancavano unicamente sei notti al settimo giorno di scuola. Non che questo fosse particolarmente importante, ma era contrassegnato dal numero sette che lei aveva sempre amato, ed in questo caso si trattava non solo di un fatto di numeri, ma anche di nomi. Il suo nome infatti era Septima Vector, anche se quasi tutti in quel luogo la chiamavano Professoressa Vector, poiché il suo ruolo nella grande scuola di Hogwarts era l’insegnamento dell’affascinante arte dell’Aritmanzia.

Così iniziò quello che sarebbe stato il suo ultimo anno a Hogwarts. Percorse i corridoi con un’ombra di rimpianto nel cuore, ma sorrise gentilmente ad ogni studente che incrociava il suo cammino, che la conoscesse o meno. Non erano in molti ad essere attirati da quella materia tanto intrigante quanto complessa e vasta, così pericolosamente vicina alla Divinazione, eppure millimetrica quanto la Trasfigurazione. Sua madre le aveva trasmesso quella passione, le aveva calcolato ogni attimo della sua vita e soprattutto le aveva rivelato ciò che lei le aveva chiesto. Per questo Septima sapeva che quel preciso fatto si sarebbe svolto il primo mese dell’anno che stava per giungere, e per questo non le restava più molto tempo. Ma era giunto il momento di pensare alla propria lezione, che si teneva nella settima torre del castello, così si riscosse da quei pensieri ed accelerò il passo.

Quella notte per la prima volta sognò il momento che ormai aveva imparato a non temere. Vide quella bacchetta di legno levigato alzarsi verso il suo viso, il ghigno malevolo del Mangiamorte celato dal cappuccio nero. Percepì un forte tremore impadronirsi del proprio corpo, ma non ebbe nessun movimento, sapeva perfettamente che non avrebbe potuto evitare la propria sorte. Quando gliel’aveva chiesto sua madre le aveva detto ogni cosa, con coraggio, pur riducendo la propria voce ad un sussurrio per l’orrore di quanto le stava narrando. In nessun modo avrebbe potuto ferire il suo avversario, poiché non avrebbe potuto evitare quel lampo di luce verde che per qualche strano motivo le ricordava il colore del prato che circondava la sua casa, in quel momento tanto lontana. Non riuscì a distinguere la voce del Mangiamorte mentre volgeva gli occhi verso l’alto per dare un ultimo sguardo al castello che tanto a lungo era stato parte della sua vita.
“Avada Kedavra!”

Fu da quel giorno che ogni prima notte della settimana iniziò a sognare la propria morte. Tutte le volte rivedeva la medesima scena, non una virgola cambiava quelle immagini, così come non un solo screzio contrastava le sue giornate al castello. In effetti la sua vita era sempre stata precisa ed ordinata, e proprio per questo tanto magica. Chiunque fosse dotato di un minimo d’attenzione poteva leggere nei suoi occhi quella materia che tanto Septima amava insegnare, una dottrina che le permetteva sempre di trovare un rifugio sicuro miscelando arti divinatorie e calcoli sicuri con dovizia. Riflettendo su quell’incubo ricorrente la donna si chiese se avrebbe dovuto parlarne con il preside, in fondo presto lo avrebbe abbandonato, forse avrebbe gradito essere informato della perdita che stava per subire. Ma sapeva che se avesse diffuso quella notizia nessuno avrebbe accettato il suo destino senza un minimo tentativo d’interferenza, e questo non poteva permetterlo. Fin da piccola aveva promesso a sua madre che non avrebbe rivelato a nessuno le sue previsioni, per quanto potessero essere difficili da comprendere ed accettare. Aveva sempre amato colei che le aveva donato la vita e la felicità, in ogni istante della sua vita, sapeva perfettamente da tempo che mai avrebbe potuto contrastata.

Quando il diciassettesimo giorno di quel primo mese dell’anno gli studenti entrarono nella classe di Aritmanzia nessuno parve notare il vago sentore d’irrequietezza che aleggiava nell’aria. La professoressa Vector distribuì il materiale necessario alla lezione ed iniziò, con calma, a spiegare la difficile pratica della lettura dei simboli della mano. Parola dopo parola i minuti scorsero con precisione, portati dal muoversi dei secondi, fino a che anche quell’ora terminò. Con un dolce sorriso allora la donna salutò i suoi studenti e li congedò augurando loro una buona fortuna. Una giovane studentessa si meravigliò di questo auspicio, la professoressa aveva sempre detto loro che la sorte era governata unicamente dai numeri, ma tacque nel vedere che nessun altro aveva avvertito quell’attrito. Quando tutti i ragazzi se ne furono andati, ignari di quanto stava per succedere, Septima Vector uscì dall’aula ed allontanandosi dal castello si diresse verso il lago.

Vide il suo carnefice quando ormai aveva già sfiorato quell’acqua fredda ed immobile. Ora che si trovava realmente di fronte a quell’istante che tanto a lungo aveva atteso per un attimo ebbe paura, ma si riprese velocemente. Gli si mosse incontro, per poi fermarsi a pochi passi dalla figura incappucciata. Ormai le esplosioni avevano cominciato a scuotere l’intero perimetro di Hogwarts, segno che l’attacco era iniziato.
“Quanti siete?” Le rispose una voce sussurrata, soffocata dalla stoffa nera.
“Non ha più importanza, non per te.” Septima annuì.
“Ho sempre saputo che sarebbe arrivato questo momento.”
“Lo temevi?”
“Non più. Ho imparato ad accettarlo, perché ero certa che sarebbe giunto.”
“Come lo conoscevi?”
“Mia madre me l’ha rivelato.”
“La amavi?”
“La amo tuttora.” Con un ghigno nascosto dall’oscuro cappuccio il Mangiamorte sollevò lentamente la bacchetta di legno levigato, ma Septima non si mosse. Quando però la punta già lucente dell’arma giunse a pochi centimetri dalle sue labbra la giovane donna ebbe un vacillamento. “Aspetta, ti prego.”
“Vuoi chiedermi pietà?”
“No.” Septima scosse il capo con decisione. “Voglio solo conoscere il viso della Morte…” Il Mangiamorte scoppiò in una maligna risata.
“Non dovresti rompere le tue promesse, Settimina… Ma ti accontenterò. Forse te lo devo, pur avendoti insegnato che i numeri devono rimanere imperturbati.” A quelle parole Septima comprese. Prima che il Mangiamorte si fosse levato il cappuccio seppe chi si sarebbe trovata di fronte, e cadde in ginocchio piena di orrore. Aveva infranto la sua prima legge personale, volendo modificare avvenimenti già stabiliti, e le conseguenze andavano pagate immediatamente con quella crudele atrocità: il volto di sua madre, stravolto dalla malvagità come mai aveva creduto di poterlo scorgere, la fissava dall’alto. Una sola lacrima le rigò le guance. Aveva sempre detestato gli inizi di qualsiasi cosa, ciò che ora davvero capiva era che odiava al di sopra di tutto il primo giorno della sua morte. L’ultima cosa che poté percepire, mentre un raggio di luce verde come l’erba del suo giardino l’avvolgeva, fu la dolce ninnananna che sua madre le cantava sempre, la sera, quando era ancora bambina.

Ninnananna per Settimina,
dormi tesoro, dormi piccina,
sogna la terra, sogna il mare,
dormi felice, non ti svegliare…




Ringrazio di cuore KIba sensei per aver inserito questa storia fra i preferiti!!
  
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