Fanfic su artisti musicali > 30 Seconds to Mars
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Autore: hikarisan    09/02/2015    0 recensioni
“Cosa non hai capito del fatto che anche tu sei una diva di Hollywood?”
“Io sono una che per pura BOTTA DI CULO si è ritrovata in un mondo che non era il suo, ed ora tutti hanno aspettative su di me che io non riuscirò a mantenere!”
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era atterrata da meno di un’ora e subito si era fatta portare all’ospedale, con il cuore in gola e le lacrime che non avevano smesso di scendere per tutto il viaggio in aereo, tanto che l’hostess aveva dovuto rifilarle tre camomille. Corse nel reparto terapia intensiva, e subito scorse sua madre e suo padre seduti nella sala di aspetto, e corse ad abbracciarli più stretti che poté.
 
“Cosa è successo? Come stanno?”
“Non lo sappiamo, tuo zio è dentro. Un ubriaco ha tagliato la strada a tua zia, e sono andate a sbattere contro il muro. Sara è la più grave.”
 
Scoppiò a piangere di nuovo tra le braccia di sua madre, sorretta da suo padre che le carezzava la schiena con le lacrime agli occhi.
 
“Le mie bambine, non me ne sarei dovuta andare, dovevo rimanere qui con loro! Non lo sanno loro quanto bene gli voglio, non gliel’ho mai detto apertamente, le volevo con me a Los Angeles, io non gliel’ho mai detto!”
 
Non seppe mai per quanto pianse, quando esaurì tutte le lacrime si sedette a terra, in un angolino accanto alla porta della terapia intensiva, ed attese notizie. Non si appisolò neanche un minuto, guardava fissò davanti a lei, come in uno stato di trance. Stette lì per tutta la notte, fino a quando il medico non uscì dalla sala con aria stanca; lei si alzò immediatamente e gli si piazzò davanti.
 
“Sono la cugina, mi dica come stanno.”
“… Per fortuna bene. La più piccolina sta bene, pensavamo avesse battuto la testa ma così non è stato, l’abbiamo tenuta per un po’ sotto osservazione vista la sua tenera età, ma ora sta bene, spavento a parte. La più grande ha un braccio rotto, ed ha avuto una commozione cerebrale.”
“E quindi?”
“Staranno bene. Non abbiamo potuto sciogliere la prognosi prima visto l’età, ma il peggio è passato.”
“Sul serio? Le posso portare a casa?”
“Non subito, ma al più presto sicuramente.”
 
Abbracciò stretto il medico e sciolse la tensione delle ultime ore piangendo a dirotto, era in uno stato talmente disastroso che il medico stesso pretese di misurarle la pressione e le segnò qualche tranquillante per quei giorni. Non le fecero vedere le piccole visto che ancora stavano riposando, quindi i genitori la portarono nella sua vecchia casa, e la misero nel suo vecchio letto, dove si assopì come un sasso.
 
 
 
La svegliò la madre, che le passò immediatamente la cornetta del telefono asserendo che era una persona che parlava in inglese e che non aveva capito molto. La afferrò ed appena rispose sentì qualcuno urlare dall’altro capo del  telefono.
 
“NO, DICO, MA SEI SCEMA?!!!”
“Ciao Klara.”
“CIAO UN CAZZO! TI CERCHIAMO DA 24 ORE! VICKI STAVA PER CHIAMARE LA POLIZIA! TI PARE NORMALE SPARIRE SOLO PERCHE’ SEI COSì IMBECILLE DA NON CHIAMARE SHANNON E CHIEDERE SPIEGAZIONI? QUEL POVERINO STAVA MORENDO DI CREPACUORE!”
“Klara, le mie cugine sono all’ospedale.”
“… Cosa?”
“Hanno avuto un incidente con la macchina, quando mi hanno chiamato ieri mattina mi hanno detto solo che erano gravi. Sono partita immediatamente, non ero più in me.”
“Oh mio Dio. E come stanno?”
“Ora bene, per fortuna.”
“Scusa, non avevamo idea.”
“Lo so, ero stravolta.”
“Penso io a tutto qui, avverto anche gli altri, tu pensa a loro. Ed accendi il cellulare.”
“Promesso. Ci sentiamo più tardi.”
“Ciao.”
 
Chiuse la comunicazione ed andò in cucina, vedendo che la madre le aveva preparato la colazione come un tempo: caffè, cappuccino e cornetto caldo. Queste piccole cose le erano mancate. Accese il cellulare mentre mangiava, e si stupì di avere la memoria piena. Aveva ricevuto chiamate e messaggi da tutti, primo fra tutti Shannon. Quella era un questione di cui non voleva occuparsi in quel momento, aveva altro a cui pensare. Si vestì di corsa e prese la macchina di suo padre per recarsi in ospedale. Trovò i giornalisti sia sotto casa che sotto la struttura ospedaliera, si calcò bene il cappuccio della felpa sulla testa ed entrò nel parcheggio evitando di prendere in piano qualche fotografo che stava addirittura per saltarle sulla macchina. Appena entrò nell’ospedale trovò il medico che si era preoccupato delle bambine e di lei, il giorno prima, che ringraziò di nuovo e la scortò gentilmente nella stanza delle piccoline.
 
“Ila!”
 
Si sentì chiamare da una vocina felice e seguì la voce lungo il corridoio; vide la sua mostriciattolina di tre anni e mezzo con i suoi brillanti occhi azzurri, i suoi riccioli biondi ed il suo pigiamino di trilli rosa correre verso di lei a braccia aperte, e lei l’agguantò felice al volo, stringendola forte e soffocando le lacrime tra i suoi capelli.
 
“Lo sai che mi sono fatta la bua?”
“Sì, lo so, piccolina, lo so.”
 
Le baciò la fronte e notò immediatamente un cerotto sulla guancia, ed un altro sul mento, le venne da singhiozzare disperata ma si trattenne, stava bene, era questo l’importante.
 
“Mi sei mancata così tanto.”
“Vieni Ila, c’è la mia sorella in camera con me.”
 
Le venne da sorridere, le era mancata quella parlantina spigliata e forbita per una bambina della sua età. Era furba la piccolina, aveva un non so che di Jay per come era viziata ed indisponente. Un po’ era colpa sua, gliele aveva fatte passare tutte. Entrò nella camera con ancora Alessandra in braccio, e vide la più grande stesa nel letto, con gli occhi semichiusi, che si aprirono al’istante quando la videro.
 
“Ila!”
“Oh, tesoro mio.”
 
Corse ad abbracciare forte anche lei, facendo attenzione al gesso ingombrante che la piccola aveva al braccio. Sara era fisicamente uguale alla più piccola, stessi occhi azzurri, stessi riccioli biondi, anche se lunghi rispetto alla piccola, ma era opposta caratterialmente. Somigliava molto a lei, ed era spesso più dura nei suoi confronti, perché voleva che non fosse debole come lo ero stata lei, ma voleva che fosse forte, consapevole di sé stessa.
 
“Come stai?”
“Mi fa male la testa.”
“Lo so, vedrai che dopo la colazione passa.”
“In tutto questo, ci sarebbe anche la zia preferita.”
 
Non aveva proprio visto sua zia seduta sulla sedia accanto al letto della grande. Abbracciò anche lei forte e si sedette sul letto della piccola, con ancora Alessandra in braccio, che non voleva saperne di stare ferma in un letto.
 
“Tu come stai?”
“Io bene, è stato più lo spavento. Immagino il tuo, che sarà stato a livello esponenziale.”
“Non ci hanno detto nulla fino a ieri sera, è stato traumatico.”
“Mi hanno tagliato la strada, ho fatto quello che ho potuto. Le bambine erano svenute, ma si sono riprese prima dell’arrivo all’ospedale, le hanno visitate subito, dopo un paio d’ore già sapevamo che la situazione non era grave, ma non avevano ancora sciolto la prognosi, ed io non ho pensato proprio ad avvertire voi che eravate fuori.”
“Non importa zia, l’importante è che state bene.”
“Ila, Ila, ma i 30 seconds to mars?”


Sara era una piccola echelon, l’aveva traviata quando era piccola, anzi le aveva traviate entrambe. Solo i mars e la Disney, non si sentiva altro in casa loro. Alessandra dormiva solo con Alibi ormai, Sara invece si era fatta comprare una chitarra qualche anno prima e aveva cominciato a prendere lezioni, e la prima canzone che aveva imparato a suonare era stata L490. Ancora non c’era stata occasione di farli incontrare, ma sarebbe stata questione di poco ormai.
 
“Loro sono a Los Angeles… Sono curiosi di conoscervi.”
 
Era vero, Tomo e Vicki adoravano i bambini, quando gli aveva mostrato le foto erano diventati euforici. Jared aveva guardato le foto di sbieco, visto che aveva sempre pensato di avere gli occhi azzurri più belli del mondo e quando le aveva viste aveva storto un po’ il naso, ma voleva confrontarsi di persona, anche se in fondo era un tenero ed era curioso di conoscere echelon così piccole. Shannon era incuriosito invece, perché voleva proprio vederla mentre si cimentavo a fare la baby-sitter.
 
“Mamma ci stava promettendo di venire per Natale.”
“Davvero?”
“Sì… Abbiamo visto la morte negli occhi, ora voglio vedere gli Stati Uniti ed il tuo mondo il prima possibile, senza rimandare. Anche i tuoi sono d’accordo.”
“Perfetto, allora bisogna prenotare l’aereo!”
“Evviva!”
“Vi farò vedere cose che non potete neanche immaginare!”
 
Si fece raccontare di come andava la scuola, di tutte le cose che si era persa fino a quel momento. Lei raccontò di quello che era diventato il suo mondo e la sua seconda famiglia, della sua nuova casa, di Klara, delle stranezze di Hollywood, fino a quando non finì l’orario di visita. Salutò le bambine e sua zia ed uscì dal reparto, avviandosi verso il bar dell’ospedale. Prese un cappuccino e si sedette ad una tavolino, tirando fuori il cellulare e decidendosi ad aprire i messaggi che le erano arrivati. Vicki e Tomo era quasi da stalking, erano preoccupati non poco. Jared era nero, furioso, preoccupato, non sapeva neanche lei come definirlo. Klara la avvertiva che l’avrebbe raggiunta con il primo volo. Aveva il cuore in gola quando passò a Shannon, aveva paura di ciò che avrebbe letto in quel messaggio.
 
Non cancellare il messaggio, ti prego. Antoine ieri sera mi ha chiamato ubriaco per riportarlo a casa, e quando lui beve è ingestibile, già era stato dentro una volta, così sono andato a riprenderlo, ed era in compagnia di Kirstina ed un’altra ragazza. Lo avevano fatto bere apposta, una per farselo, l’altra per vedere me. L’ho portato fuori insieme all’altra ragazza per fargli prendere un po’ d’aria, Kirstina mi ha seguito ed abbiamo cominciato a discutere, lei ci provava, io cercavo di respingerla tenendo d’occhio contemporaneamente Antoine, ha approfittato di un mio momento di distrazione per baciarmi. L’ho allontanata in malo modo, urlandole che stavo frequentando un’altra persona e che doveva lasciarmi in pace. Ho caricato Antoine in macchina e me ne sono andato, ed i giornalisti hanno ricamato una storia distorta per far notizia. E Kirstina voleva allontanarti scrivendo su ogni social network che avesse frasi ambigue. Te l’avrei detto la sera stessa, ma non ho fatto in tempo. Non erano bugie quelle che ti ho detto ieri sera. C’è stato qualcosa di speciale ieri sera, non permetterò che una deficiente la rovini. Rispondimi, ti prego.
 
Aveva gli occhi lucidi, si sentì dieci chili in meno dopo quella confessione. Trovò anche dei messaggi di Antoine, che le chiedeva mille volte scusa di aver combinato quel disastro, di rispondere a Shannon che era preoccupato, che era un uomo speciale, di fidarsi di lui.
Decise di fare qualche telefonata per tranquillizzarli, anche se ormai Klara aveva già fatto il suo. Cominciò con l’unico elemento che sapeva non le avrebbe urlato dietro.
 
“Pronto?”
“Tomo, sono io.”
“Ila, finalmente! Erav…”
“ILARIA!”
 
Avvertì distintamente la voce di Vicki aumentare di due tre toni ed il telefono lasciare la mano del bassista.
 
“UN COLPO MI HAI FATTO PRENDERE! QUANDO TORNI QUI TI AMMAZZO, TI RIANIMO, TI ABBRACCIO E POI TI RIAMMAZZO! QUANDO SUCCEDE QUALCOSA MI DEVI CHIAMARE!”
“Scusami… Mi mancano i tuoi abbracci.”
“Oh… Senti, come stanno le bambine?”
“Bene, per fortuna.”
“E tu come stai?”
“Fisicamente distrutta.”
“Io e Tomo prendiamo il primo volo.”
“No, no… Qui va tutto bene, non avrebbe senso, il medico mi ha prescritto dei tranquillanti. Devo solo smaltire la paura. Le bambine sono fuori tra qualche giorno.”
“… E hai sentito Shannon?”
“Ho letto i suoi messaggi.”
“Senti, so che la situazione non è delle migliori, ma falla una chiamata. Quando non ti trovavamo e ci ha detto quello che era successo ce lo siamo mangiato, però… Col senno di poi, ci siamo resi conto che ci tiene davvero, perché ha messo in discussione un equilibrio precario, e se lo ha fatto non è per un capriccio o per una cosa che la vive come viene. Ci tiene a far funzionare le cose sul serio. Da quando lo conosco non ha mai iniziato una relazione senza il sesso, mai… Non è per difenderlo, anzi, quando ho saputo che eravate usciti avrei voluto strangolarlo, però…”
“Scusa se non te l’ho detto.”
“So perché non l’avete fatto, lo capisco. Non siamo arrabbiati con te, siamo preoccupati. Mangia, non trascurarti.”
“Sono in Italia, non avrò problemi con il cibo!”
“Ci sentiamo presto, appena hai un computer mi telefoni con skype.”
“Promesso.”
 
Chiuse la comunicazione e sospirò pesantemente; ora doveva chiamare Shannon, glielo doveva. Poi avrebbe potuto pure passare sotto il forcone del fratello. Lo cercò tra i contatti ed avviò la chiamata, anche se non sapeva proprio da che parte iniziare.
 
“Pronto?”
“… Sono io.”
“Oh, mio… Come stai? E le bambine?”
“Tutti… Tutti ok. Le bambine stanno bene, ed ora anche io.”
“Klara ci ha parlato di un incidente.”
“Sì, ma per fortuna il peggio è passato. Le tengono in ospedale qualche giorno ma poi le posso portare a casa.”
“E tu?”
“… Mi hanno dato un calmante, ora deve solo passare lo spavento.”
“… Ora che ti ho sentito è passato anche a me.”
“Mi dispiace avervi fatto preoccupare.”
“Eravamo terrorizzati… Pensavamo che fossi crollata dopo aver letto quelle riviste,e Kirstina poi…”
“Non ne ho avuto il tempo, è arrivata subito la notizia dell’incidente ed ho perso la ragione.”
“Immagino…”
“Ho… Ho letto il messaggio.”
“Immaginavo anche questo.”
“… Ed anche le diecimila scuse di Antoine… Non poteva sapere.”
“Già… Il macello l’ho combinato io, non lui.”
“No, tu sei solo corso in aiuto di un amico. E’ vero, in quel momento ho dubitato di te, ma era talmente tanta la felicità che avevo provato, che era più facile credere che fosse solo il sogno di una sera.”
“Jared me lo dice sempre di stare attento, ma io mi dimentico sempre.”
“Non siamo tutti maniaci del controllo come lui.”
“Anche questo è vero.”
“A proposito, quanto è infuriato?”
“Da paura, non te la caverai con poco zuccherino.”
“Mi aspetto una buona parola da parte tua.”
“Ruffiana… Senti, posso… Posso chiamarti nei prossimi giorni? O mandarti messaggi, o vederti su skype…?”
“Puoi fare tutte e tre le cose insieme, se ti va… Io rimarrò bloccata un po’ qui e…”
“… Quando tornerai riprenderemo dal pub che abbiamo mancato ieri sera.”
“Va bene… Ora devo chiamare tuo fratello.”
“Buona fortuna… Ciao zuccherino.”
“Ciao.”
 
Più lo sentiva e più se ne invaghiva. Ora il suo cuore sembrava un tamburo impazzito, per fortuna che lui era lontano. Doveva darsi una calmata e prepararsi un discorso da fare a Jared per evitare l’omicidio a fuoco lento, ma non le veniva in mente nulla. Cominciò ad avviarsi verso la macchina mentre pensava a parole sensate; una volta seduta al posto del guidatore avviò la terza chiamata della giornata e cominciò a pregare silenziosamente.
 
“Pronto?”
“Ciao Jay.”
 
Cominciò il conto alla rovescia nella sua testa, e quando arrivò a uno senti la voce del cantante cominciare a dirgliene di tutti i colori, senza prendere un attimo di fiato.
 
“SEI DEFICIENTE!? SI SPARISCE COSì!? UN INFARTO HO RISCHIATO, AVRO’ I CAPELLI BIANCHI E DIECI ANNI DI VITA IN MENO! E TU E QUELL’ALTRO SBATTITAMBURI DA STRAPAZZO CHE HO PER FRATELLO MI TENETE NASCOSTO CHE VI STATE VEDENDO?! IO PRETENDO DI AVERE IL CONTROLLO, E’ CHIARO, E’ CHIARO!?”
“NO CHE NON E’ CHIARO RAZZA DI DIVA ISTERICA CON I CAPELLI SHATUSHATI! IO HO INFARTATO QUANDO HO SAPUTO CHE LE MIE BAMBINE STAVANO MALE! IO MI SONO SENTITA MALE QUANDO HO LETTO DEL GOSSIP SU SHANNON! NON TE LO STAVAMO TENENDO NASCOSTO RAZZA DI FRATELLO GELOSO, NON VOLEVAMO COMPLICARE LE COSE SE NON FOSSE ANDATA!”
“… Shannon stava male, ed io…”
“JARED, SMETTILA DI CONTROLLARE TUTTO E TUTTI! CI SONO COSE CHE SFUGGONO AL TUO CONTROLLO… E sono sfuggite anche a me.”
“Scusami, non volevo urlarti.”
“Neanche io.”
“… Come stanno le piccoline?”
“Per fortuna bene, le faranno uscire presto.”
“… Penso io a tutto qui.”
“Grazie… Quando torno sarò la tua bambola da vestire e truccare per qualche giorno, promesso.”
“In realtà, credo che ti condividerò con il mio fratellone, a quel che so non avete consumato, e lui sarebbe felice di averti come bambola gonfiabile.”
“Sei il solito deficiente.”
“Grazie mon amour.”
“Intanto io non ho i capelli bianchi… Ciao pervertito.”
“BRUTTA STRON…”
 
Attaccò il telefono in faccia al cantante e sospirò felice di aver passato anche quella, anche se aveva promesso una cosa che le si sarebbe rivoltata contro, già lo sapeva. Ma ora aveva Shannon, il gioco valeva la candela.
 
 
 
 
 
 
Gira che ti rigira era un mese che era a Roma, ed era un mese che era lontano da Los Angeles, e le mancava terribilmente. Sentiva Shannon e gli altri quasi tutti i giorni, ma non averli con sé era quasi una tortura, e tra un po’ sarebbe stato il compleanno di Vicki. Ma Sara ci aveva impiegato un po’ per riprendersi, i primi tempi sognava l’incidente e allora la faceva dormire con lei. Ora sembrava quasi tutto sistemato, a parte il fatto che le bambine non la volevano lasciare andare.
Era seduta sul divano di casa a leggere un libro mentre Alessandra faceva un riposino pomeridiano accanto a lei, ed in sottofondo Alibi fungeva da ninna nanna per la piccolina.
 
“Dorme?”
“Sì, mamma.”
 
La madre si sedette sulla poltrona accanto a lei e le sorrise. Alessandra sembrava essere figlia sua da quanto si somigliavano, stesse ricci biondi, stesso viso, stessi occhi chiari. Era lei che era uscita male insomma.
 
“Stai male qui piccola. Sei sempre stata male qui, ti mancava qualcosa. Io e tuo padre ci abbiamo provato a colmare quel vuoto, ma non avevamo capito cos’era fino a quando non ti abbiamo visto in America. E’ lì che sei felice. Ora qui è tutto risolto, torna da loro.”
“… Scusa mamma. Mi dispiace che la tua unica figlia vada lontana da te.”
“La mia unica figlia deve essere felice. Verremo spesso a trovarti io e papà, ma ora hai una vita lì, loro ti mancano. E’ ora che tu vada. Ci vediamo a Natale.”
“Grazie mamma!”
 
Si buttò tra le sue braccia felice e corse a chiamare per farsi prenotare un volo. Sapeva che i suoi non l’avrebbe mai ostacolata, le serviva una piccola spinta per poter tornare.
 
“Klara, il 30 voglio essere alla festa di Vicki, vedi che puoi fare! Ma non dire nulla a nessuno!”


La sua assistente lanciò un grido di gioia e si mise subito all’opera al riguardo. Sarebbe tornata a costruire la sua vita finalmente. Si voltò e vide Sara che la guardava sulla porta con aria colpevole e dispiaciuta. Lei si avvicinò e le carezzò la testa con un mano.
 
“Mi dispiace se vai via.”
“Lo so… Ma lo sai perché lo faccio vero?”
“Sì. Perché è il tuo sogno. E’ anche il mio.”
“Quando sarai più grande verrai a stare da me, ok? E potrai fare tutto quello che vuoi.”
“E’ una promessa?”
“Sì… Intanto quando vieni a Natale chiederai ai ragazzi di darti una mano con la chitarra. Può bastare come inizio?”
“Siì, grazie!!”
 
Strinse forte la sua piccolina e le baciò la testa. Avrebbe dovuto creare in casa una stanza tutta per le bambine, appena tornata a Los Angeles.
  
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