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Autore: Emilia Zep    09/02/2015    3 recensioni
Dalle aspre terre di Tessaglia all'Atene splendente del V secolo, le avventure e il destino di una giovane strega di anni e anni fa.
La storia vince il premio "miglior trama" al contest "A spasso nel tempo" indetto da Maylrohin sul forum di EFP
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Vissi in casa di Pantoo giorni molto felici. Era sempre piena di giovani, ragazzi che lo seguivano, come Filò. E avevano tutti quell’entusiasmo febbrile, quella smania di cercare e scoprire che mi ricordava tanto Menandro. Forse seguendo l’esempio del loro maestro, trattavano Filò come fosse una di loro, da pari. E di conseguenza anche me. Questo non era poi troppo lontano da quanto accadeva nei nostri villaggi di maghi. Ma fra i Koinous non si era mai visto nulla del genere e da quando vivevo ad Atene mi pareva più che mai surreale. Filò mi raccontò che c’era voluto molto perché accadesse, non era stato semplice guadagnarsi la stima dei compagni. – Ma per forza! – esclamò – All’inizio anche a me sembrava strano prendere la parola in mezzo a tanti uomini. E, nonostante fossi molto determinata, ti assicuro che molte volte non l’avrei fatto se non fosse stato Pantoo a interpellarmi direttamente. I primi tempi aveva sempre la premura di chiedere davanti a tutti la mia opinione e ci si soffermava con particolare entusiasmo. E certe volte, ti assicuro, non dicevo proprio nulla di interessante! –rise. Tra i ragazzi che frequentavano Pantoo c’era anche quel Milone che, a sentire Urania, aveva detto che Filò era più bella di tutte le citariste e le flautiste di Atene. Lui e Filò si punzecchiavano continuamente eppure sembravano avere una complicità fortissima, quasi che l’uno intuisse i pensieri dell’altra. Quasi sempre lavoravano insieme.
- Non gli interesso – Ripeteva Filò – E’ovvio. Altrimenti farebbe qualcosa. Direbbe almeno una parola.- si stizziva -  La verità – mi disse un giorno – E’ che lui viene da una delle migliori famiglie di Atene e non sposerebbe mai una come me. –
Eurito, invece, che era amico di Milone da quando erano bambini, diceva di avergli sentito dire che Filò era al di sopra di qualsiasi donna avesse mai conosciuto e che certamente lei non avrebbe mai consegnato il suo cuore ad un ragazzo ordinario come lui, quindi non c’era neanche da pensarci.
Mi faceva tenerezza far muovere i primi passi alla figlia di Sofia allo stesso modo in cui avevo li avevo mossi io alla sua stessa età.  Con l’aiuto di Pantoo spiegai ad Urania chi era e insieme le raccontammo di sua madre. Più passava il tempo e più mi sommergeva di domande su di lei. Io cercai di raccontarle tutto, ogni dettaglio che ricordavo, il suo modo di ridere e la maniera in cui scherzava, quello che la divertiva e ciò che la emozionava, le frasi che diceva più spesso. Tentai di farle rivivere tutti i particolari della vita quotidiana che, ero certa, Sofia avrebbe voluto più d’ogni altra cosa condividere con lei, se avesse potuto.
Cominciai a narrarle tutti i canti della nostra gente, come aveva fatto con noi Aglaia quando eravamo bambine. Urania mi ascoltava appassionata, mi faceva mille domande e cercava di ricordare tutto anche lei. Spesso mi suggeriva finali diversi e rocamboleschi e allora provavamo a  comporli  in esametri e li declamavamo, insieme, fra mille risate. Iniziai ad insegnarle anche alcuni incantesimi semplici. Fu così che fui costretta a rispolverare la mia bacchetta magica e a ricominciare a usarla. Solo allora mi accorsi di quanto mi fosse mancata. Nel tempo libero ripresi a studiare il processo di trasfigurazione in animale che con Sofia ero stata costretta a lasciare a metà. Pensai che se Filò, prima di incontrare Pantoo, era stata in grado di imparare  i primi rudimenti di matematica e geometria senza l’aiuto di nessuno, anche io avrei potuto portare a termine da sola quell’incantesimo. Vedevo che i ragazzi di Pantoo studiavano e provavano e se sbagliavano ricominciavano. Avrei solo dovuto fare come loro, in fondo anche Menandro agiva così quando cercava di combinare insieme magie a cui nessun altro aveva mai pensato prima.
Un giorno Filò, mi corse incontro col cuore che le batteva –Ermione, Ermione! Ho avuto un’idea!-  Esclamò agitata -  Come abbiamo fatto a non pensarci prima! –
Si sedette vicino a me e mi spiegò – Tu sostieni di non poter spezzare il maleficio che vi è stato fatto perché credi sia  impossibile ritrovare una stella nel cielo ma io dico che ti sbagli. -
La guardai perplessa - Certamente è molto difficile, lo ammetto, ma io penso che delle possibilità ci siano. – disse – Guarda qui – srotolò un papiro davanti a me – In questi anni abbiamo messo a punto mappe stellari molto dettagliate – continuò – Se noi riuscissimo ad individuare un’area in cui cercare potremmo almeno provare a vedere se le costellazioni che conosciamo sono rimaste immutate.  Se ne trovassimo, ad esempio, una con una stella in più, quella potrebbe essere la sfera della vostra magia! – Concluse animata – Certo –Ammise – Bisognerà procedere per tentativi e potrebbe anche non servire a nulla. Ma le stelle che conosciamo non sono poche. Io credo che ci siano delle probabilità! –
Ci mettemmo a lavorare per giorni al piano di Filò. Mi chiese di mostrarle come ero in grado di far levitare in aria diversi tipi di oggetti con l‘uso della magia. Mi invitò a farlo molte volte eseguendo lanci più o meno potenti. Annotò le traiettorie e, insieme a me, cercò di ricostruire la porzione di cielo visibile da Tempe nel momento in cui venimmo maledetti. Mi chiese di ricordare il mese e il giorno in cui era accaduto e quanto inoltrata fosse la notte. Ci sentimmo così in grado di ipotizzare una porzione di cielo in cui cominciare a cercare. Parlammo anche a Pantoo del nostro progetto e lui restò molto colpito dall’idea e dalle ipotesi che avevamo formulato.  Trascorremmo nottate a contare le stelle e a confrontarle con le mappe di Filò. Ben presto pure Milone volle unirsi ai nostri sforzi. Ma nulla. Orione continuava a corrispondere ai disegni annotati sulle mappe, le Pleiadi risultavano sempre sette e nessuna delle altre innumerevoli costellazioni che esaminammo pareva essere cambiata in alcun modo.
Cominciavamo a scoraggiarci. Filò cercò di correggere l’area di ricerca “Forse non sono stata precisa sulla traiettoria del lancio”. Milone e Pantoo l’aiutarono a riformularla. Contammo e ricontammo, osservammo, confrontammo.  Eppure, anche questa volta, non sembrava esserci traccia di alcun astro di troppo.
- Chissà quanto lontano l’avrà lanciato! – consideravo io, sconfortata – Abbiamo basato i nostri calcoli su levitazioni eseguite da me ma Adrasto aveva poteri ben diversi dai miei! Per quanto ne sappiamo la nostra stella potrebbe essere stata lanciata anche dalla parte opposta del cosmo! –
-Mmmm – mugugnava Filò, poco convinta – Quella tua amica, sul carretto, non ha detto di averla vista arrivare nel cielo? –
- Be sì… -
- E allora, se l’ha vista – concludeva decisa Filò – Doveva per forza trovarsi in un luogo visibile dalla valle quella notte. –
 Una sera eravamo seduti di fuori, sui gradini che davano sul cortile. Milone e Filò erano tutti intenti su una stessa tavoletta di cera a concludere un qualche lavoro mentre io raccontavo  ad Urania una storia, poco prima di mandarla a dormire. Milone alzò distrattamente lo sguardo verso il cielo e rimase a contemplarlo per qualche secondo – Guarda come brilla Merope! – Esclamò poi – In tutte le mappe viene sempre segnata Alcione come la stella più luminosa delle Pleiadi. E invece no, Merope lo è molto di più. –
- Mi prendi in giro? – Rise Filò che ancora stava finendo di annotare qualcosa sulla sua tavoletta. – Ma se Merope è la meno luminosa di tutte tanto che certe notti non si vede proprio! Ho passato tutto l’inverno scorso a seguire il corso delle Pleiadi e non la trovavo mai. La odiavo! –
- Eppure guarda – Obiettò Milone indicando – E’ proprio quella lì. A meno che non sia Alcione che si è spostata, ma mi sembra improbabile! –
Filò alzò lo sguardo – Non ci credo – mormorò stupita e ricontrollò fra sé, come per convincersi di aver visto giusto – Elettra, Celeno, Taigete, Asterope, Maia, Alcione e… sì, lì c’è proprio Merope, non c’è dubbio-
- Sai, - scherzò Milone – si dice che Merope alle volte porti il velo per la vergogna di aver sposato un uomo mortale.  Che questa non sia la prima volta che ci si mostra senza veli? –
Filò sorrise, poi un pensiero parve attraversarla di colpo – Per Ercole! – esclamò -  Quella non è Merope, e nemmeno Alcione che si è spostata. Come ho fatto a non accorgermene! Si tratta della stella che cerchiamo! –
Sia io che Milone la guardammo perplessi. Avevamo controllato le Pleiadi mille volte durante le nostre indagini e in nessun caso le sette sorelle, come le chiamavano, avevano avuto la decenza di presentarcisi in otto. Così, pure adesso, Filò le aveva appena contate, erano sette e sempre le stesse.
- Non capite, Merope si vede soltanto in notti molto molto limpide. Questo lo so bene perché ho faticato moltissimo per segnarne le posizioni quando ne studiavo il corso. – spiegò con veemenza – E’ già difficile scorgerla se la luce della luna è troppo forte, figuriamoci se proprio accanto a lei dovesse trovarsi un’altra stella, più lucente persino di Alcione. Abbiamo sempre visto sette astri perché Merope è oscurata. Ma in realtà sono otto. –
Rimanemmo in silenzio – Non abbiamo prove però – Obiettò Milone.
-Lo so, lo so! –Ammise Filò con stizza – Ma sento che è così. –
Sottoponemmo il caso anche a Pantoo che trovò molto probabile l’ipotesi di Filò. Nemmeno lui aveva mai visto una Merope tanto luminosa e la cosa gli appariva stupefacente.  Rise – Sono notti e notti che le contiamo ma in realtà non le abbiamo mai guardate. - disse – bisognerebbe trovare il modo per dimostrarlo – mormorò pensoso.
- Oppure si potrebbe provare a vedere se l’incantesimo funziona – tagliò corto Filò.
- Sì certo – Concordò Milone – Perché non provi? –mi disse
- Dovrei essere a Tempe – Spiegai – Ma soprattutto non posso farlo da sola, ho bisogno di un mago della valle che lo esegua con me. E, come vi dicevo, Adrasto ha ucciso tutti i nostri uomini. O almeno così credo. –
Milone ci guardò allibito – Ma allora, che senso ha avuto tutta questa indagine? –
- Ehm sì – ammise Filò – In effetti questo era il problema numero due della questione. Ma già sarebbe un passo avanti aver risolto almeno il numero uno, non trovate? –
Ci guardammo tutti e quattro in silenzio. – Non è detto – intervenne Pantoo – Che non ci sia da qualche parte un mago di Tempe ancora in vita. Se pure non si fosse salvato nessuno di quelli che erano presenti quel giorno, non è improbabile che esista qualcuno andato via dalla valle anni prima e che per questo quella notte non fosse stato presente. Come Aretusa, la maga con cui hai parlato. –
- O magari qualcuna delle superstiti ha avuto un figlio maschio in questi anni. – suggerì Milone.
- Certo! – fu d’accordo Filò – Se per esempio Urania fosse nata maschio avremmo già il nostro mago –
-Be’… magari ci vorrebbero un po’ d’anni d’apprendistato – Precisai – Però sì. –
- Non devi perdere le speranze – mi disse Pantoo venendomi vicino – dobbiamo solo continuare a cercare. –
I mesi passarono. Urania faceva ogni giorno qualche progresso. Una mattina mostrò a Pantoo con orgoglio come riusciva a trasformare un ago di pino in uno spillo di rame utilizzando la mia bacchetta magica. Io ne ero rimasta impressionata – Questo incantesimo di solito si impara a undici anni. – Esclamai colpita – E Urania ne ha appena otto. –
- Puoi cambiarli anche in oro quegli spilli? – scherzò Filò e andò ad abbracciarla per farla sentire brava.
Urania pareva pensosa. - Ma come mai gli oggetti si trasformano? – chiese poi a suo padre. – Be’ – le rispose lui – E’ a causa della tua magia. Sei stata tu a fare l’incantesimo. Non ti ricordi come hai fatto? –
- Sì sì questo lo so. –continuò lei – ma perché se io faccio quello che dice Ermione poi l’ago si trasforma? Cosa gli succede? –
Pantoo le sorrise – Questo proprio non so dirtelo –  le rispose dolcemente – Forse dovresti chiederlo ad Ermione, che è più esperta di me in questo campo. –
Ma nemmeno io sapevo rispondere.  Riflettei sul fatto che noi maghi eravamo in grado di far accadere molte cose ma difficilmente ritenevamo importante indagarne il perché.  Chi si poneva domande simili era considerato uno stravagante, come Menandro. Io ero stata fortunata ad aver incontrato Sofia che aveva sempre preso sul serio ogni mio dubbio. Pantoo e i ragazzi che lo seguivano, invece, si interrogavano continuamente su molte questioni e sembravano non dare mai nulla per scontato. Io restavo affascinata dai loro discorsi. Alle volte Pantoo, quando mi vedeva ascoltarli rapita, cercava di integrare anche me nelle conversazioni. Si soffermava sulle cose che non sapevo e parlava in modo che potessi capire anch’io. Pian piano cominciai ad interessarmi sempre di più a quello che facevano e, anche se non comprendevo proprio tutto, cercavo di seguire il più possibile. – Non farti problemi a chiedere qualunque cosa – mi disse Pantoo un giorno – Sarebbe il minimo, dopo tutto ciò che fai per Urania! – Avrei voluto fargli notare che, per quello, aveva già riscattato la mia libertà ma capii che sarebbe stato inutile. Cominciò ad accorgersi che leggevo e scrivevo a fatica -  Potresti imparare meglio –mi disse.
Io arrossii. Gli spiegai che da noi non c’era una buona considerazione dell’arte della scrittura.
-Be’, sai fare già molto allora . – mi sorrise – Ma se vuoi migliorare posso aiutarti – Accettai con entusiasmo. Pantoo si intenerì quando gli raccontai che le lettere dell’alfabeto me le aveva insegnate Sofia.
- Sai, anche io scrivevo pochissimo – mi confidò Filò, solidale, una volta che mi trovò intenta ad esercitarmi – A casa non mi avevano mai insegnato a farlo. Avevo imparato un po’ copiando da mio fratello. – rise fra sé – Quando faceva qualcosa che nostro padre non doveva sapere lo ricattavo costringendolo a insegnarmi qualche parola. Cedeva subito! – vidi un velo di nostalgia nei suoi occhi – Ecco, lui mi manca molto, ad esempio. Ogni tanto penso che vorrei andare a trovarlo ma poi non ne ho mai il coraggio. Chissà cosa pensa di me… -
La mia trasformazione in lontra era quasi completa. Ogni tanto chiedevo dei pareri a Milone e Filò che si dimostrarono  molto esigenti e non mi facevano passare nessuna imprecisione.
- C’è ancora qualcosa di umano nel muso… forse gli occhi… –
-No, ma quali occhi, sono i denti! –
- Gli occhi ti dico… -
- Ma guardale i denti, hai mai visto una lontra così? –
- Non darle retta, Ermione, gli occhi sono la chiave di tutto… -
- Voglio vedere come fa a cacciare con quei denti, se muore di fame è colpa tua! –
 
Una sera eravamo in casa. Io stavo leggendo ad alta voce insieme a Filò per fare un po’ di esercizio e Milone si era attardato da noi per discutere con Pantoo di una teoria.
D’un tratto sentimmo una voce chiamare da lontano  “C’è nessunooo!!”. Ci guardammo tutti e quattro, stupiti. Pantoo si mosse a vedere se c’era qualcuno alla porta ma quando andò ad aprire  non vide  anima viva.  Ci precipitammo anche all’uscita che dava sul cortile ma pure lì sembrava non esserci proprio nessuno. Tornammo in casa. Ed ecco che sentimmo ancora “c’è qualcunooo!”. Ci guardammo attorno increduli. Il suono era ovattato e molto lontano. “ Mi sentiteee! “  Non sembrava  venire da fuori, in effetti, ma da qualche posto proprio dentro la casa. – E’ il tavolo, viene dal tavolo – ipotizzò Milone seguendo la voce. – Guardate! – Esclamò Filò osservando una coppa sul tavolo che pareva tremare e muoversi da sola. “Ehi laggiuuuù!” Non potevamo crederci, il suono aveva proprio l’aria di provenire dalla coppa. – Voi maghe avete qualche teoria a proposito di coppe parlanti che si muovono da sole? – mi chiese in fretta Milone.
- Mai sentito nulla del genere – risposi esterrefatta.
La coppa cominciò a tremare e a muoversi sempre più forte fino a che non esplose  cadendo dal tavolo e rompendosi in mille pezzi. Arretrammo di qualche passo, spaventati. Per un attimo credemmo di non essere in noi, tanto che dovetti stropicciarmi gli occhi più volte per provarmi di non stare sognando. Dai cocci, come per miracolo, era apparso un giovane, con i capelli arruffati e la tunica tutta impolverata – Scusatemi, non immaginavo, davvero. – Continuava a ripetere cercando di togliersi la polvere e i resti di ceramica dalla veste – E’ la prima volta che lo faccio, devo aver sbagliato qualcosa. –
Sollevò il viso. Ci misi un po’ a riconoscerlo, quando lo vidi in faccia. Aveva le spalle più larghe e portava la barba ma il guizzo negli occhi era sempre lo stesso. – Menandro – mormorai incredula. Lui mi fissò stupito per qualche secondo, come se anche lui stentasse a ritrovare in me la ragazza che ricordava – Dei dell’Olimpo… - gli riuscì di dire, con un filo di voce.
 

 
  
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