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Autore: pierre    10/02/2015    1 recensioni
Spencer Reid sarà coinvolto in una delle indagini più pericolose e dolorose della sua vita.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Spencer Reid
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Mentre Diotallevi e i suoi cari amici si stavano preparando per essere trasferiti altrove, Spencer decise di ripercorrere tutte le scale di servizio fino alla zona del ritrovamento, undici piani in salita non gli facevano paura e anche se la scientifica sicuramente stava facendo i rilevamenti del caso, lui sentì il bisogno di farsi una sua personale opinione: desiderava ragionare da solo.
Partendo dalla hall, salì con calma, facendo con le sue lunghe gambe i gradini due a due, le mani in tasca e fischiettando un motivetto, gli occhi volavano da un confine all’altro del percorso, muro… ringhiera… muro… porta di servizio, ovviamente una per ogni piano.
Sbucò guardingo sui corridoi principali e si fece un’idea dell’insieme: c’era certamente più movimento per via dei camerieri e delle governanti che andavano e venivano, gli ospiti che entravano e uscivano dalle loro camere, difficile passeggiare con una testa sotto il braccio!
All’ottavo fece una scoperta: il piano era deserto, nessun cliente… solo un silenzio irreale.
L’illuminazione a giorno e la pulizia dell’ambiente, probabilmente non aveva fatto notare la cosa ai poliziotti che frettolosamente avevano sbirciato la zona senza farsi troppe domande… ma il piano era deserto!
Spence tirò fuori la pistola: con passo felpato e camminando di fianco per non regalare troppo del suo corpo a una possibile pallottola, cominciò a percorrere il corridoio.
Arrivato a metà del percorso notò un certo disordine, alcune stanze erano aperte e si notavano letti senza lenzuola, un carrello con secchi e detersivi era addossato su un lato del muro, un’applique era appoggiata per terra sulla moquette, in attesa di una lampadina.
Si, la zona era in disarmo.
Un rumore lo fece trasalire.
 “Ciao!“ disse Reid “ E tu che ci fai qui?”
“Buon giorno professor Reid! Io qui ci vivo!”
La scossa improvvisa di un teaser gli mozzò il fiato: il pavimento venne precipitosamente incontro a Spencer facendogli urtare violentemente la testa.
 
Alberto si stava preparando.
La cosa non gli andava per niente bene, non voleva allontanarsi dal suo amore! Provò a contattarlo al cellulare ma questo risultò muto.
Aveva accanto Derek che stava aspettando un po’ fremente che lui finisse di sistemare gli ultimi fogli dei suoi appunti e l’interpellò freddamente: “chiedo scusa ma io ho bisogno di parlare con Spencer, lo sto chiamando ma sembrerebbe isolato, oppure lo ha spento”.
Impossibile.
Impossibile che Reid facesse una cosa così stupida, attraverso le onde emesse dal suo cellulare, lo avrebbero potuto rintracciare ovunque.
Riprovò con il suo palmare, probabilmente era un problema del telefonino di Diotallevi, aspettò qualche minuto poi schiacciò veloce un solo tasto.
”Ghideon? Spence non risponde… no, due volte! Ok, arriviamo!”
Alberto capì subito e un gelo freddo avviluppò la sua nuca, non ci fu bisogno che Derek gli dicesse qualcosa, insieme e alla velocità della luce uscirono dalla stanza e si precipitarono negli uffici dell’Albergo dove incontrò Tim e Margherita con i loro bagagli e un’espressione sconcertata stampata sul viso.  
Il professore ebbe modo di conoscere anche Hotchner e Ghideon, pessimo modo di entrare nel mondo di Reid, lui si era immaginato di invitarli tutti nella loro casa, offrendo una cena raffinata con cibo italiano e del buon chianti.
Era in preda al panico e tremava, JJ gli si era avvicinata e con un gesto gentile gli aveva detto: “Sieda la prego e beva un sorso d’acqua, probabilmente Spence è in una zona schermata, vedrà che in capo a qualche minuto ci risponderà!”
La voce della profiler non riusciva però a nascondere le incrinature della preoccupazione.
Passarono altri atroci minuti durante i quali Ghideon aveva organizzato e inviato una decina di poliziotti in giro per l’Albergo, Aaron invece aveva avvertito le vetture che pattugliavano l’esterno.
“Dove sei? Ti prego fatti vivo!” Alberto borbottava tra se sempre più disperato mentre Tim bestemmiava e Margherita lo abbracciava dispiaciuta.
Spencer non poteva rispondere.
 
Nausea.
Tanto freddo e nausea.
Reid cercò di aprire gli occhi una prima volta ma non ci riuscì, o meglio, qualcosa di estraneo e asciutto lo impediva.
Era bendato!
No, no… no! Era legato, steso prono su qualcosa di relativamente morbido: un materasso?
Ed era legato.
Aveva i polsi serrati da qualcosa di metallico, le sue manette probabilmente, e le braccia sollevate sopra la testa: provò a tirare, era agganciato. Si allungò per tastare con le dita delle mani cosa avesse dietro di se e si accorse di essere trattenuto da una sbarra e dietro c’era il muro.
Il panico improvvisamente lo ghermì e cominciò a tirare con tutta la forza che aveva, poi cominciò ad urlare: ”aiuto! Ehiiii qualcuno mi sente? Sono qui!”
Irrazionale, ma che poteva fare?
L’istinto all’improvviso gli fece gelare il sudore che colava sul corpo nonostante il freddo: c’era qualcuno!
“Chi c’è, chi sei?”
Una risata agghiacciante lo sconvolse perché capì di essere nei guai, la voce sembrava quella di un bambino.
La voce gli disse: “giochiamo insieme?”
Ragiona Reid, ragiona.
“Si, a cosa giochiamo?”
“Ti piace Capitan Tsubasa?”
E chi cazzo era? Lui non aveva mai giocato… no, da piccolo giocava sempre solo, perdendosi nei suoi pensieri.
“Va bene, che devo fare? Non ricordo le regole”.
Il primo colpo di scudiscio lo colpì sul ventre, una staffilata talmente veloce, assurda, repentina che lì per lì, la mente razionale di Spencer non accettò il fatto, poi il dolore bruciante gli fece comprendere: lo aveva frustato.
“Non ci sono regole” la voce del bambino era incrinata di pianto “tu non sei leale, non sai di che parlo!”
Un’altra sferzata colpì Reid.
Questa volta Spencer urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e la cosa sembrò soddisfare il suo carceriere.
Adesso la voce era quella di un uomo.
“Non lo fare mai più, altrimenti il tuo professore ti punisce e invece di farti godere ti farà tanto male!”
“Va bene, va bene, perdonami, io non lo so chi è Capitan Tsubasa! Dimmelo tu, raccontami ti prego, sono curioso”.
Lacrime cariche di disperazione scendevano rigando le tempie di Reid, era fottuto maledizione! Era in balia del seriale che stavano cercando e sapeva molto bene che cosa lo attendeva: doveva assecondarlo, giocare con lui.
Doveva resistere.
 
Ghideon stava camminando lungo il corridoio che anche Spencer aveva percorso.
Le analisi della Scientifica avevano stabilito che il ragazzo era passato di lì, perché le macchie di sangue trovate sulla moquette corrispondevano al suo D.N.A.
Sangue venoso, non era una ferita importante… l’uomo cercò di non distrarre la mente, se l’angoscia lo avesse vinto, il suo cervello non avrebbe funzionato a dovere.
Benedetto ragazzino!
Gli voleva veramente bene, lo sentiva figlio e l’averlo sempre accanto gli aveva consentito di riempire tutti i vuoti lasciati dal figlio naturale, quello che tanto tempo prima era andato via, partito insieme ad una madre furiosa che aveva messo migliaia di chilometri tra loro.
Perché era successo?
Perché proprio ora che il ragazzo si era aperto a un impulso importante come l’amore?
Aveva parlato a lungo con Alberto e gli era piaciuto molto quell’uomo: era gentile e sincero e soprattutto disperatamente innamorato di Reid, lo aveva capito dagli occhi furiosi e dalla voce angosciata con cui aveva cercato di ricostruire le ultime ore passate con il suo amore.
“La prego professor Diotallevi, cerchi di ricordare anche i particolari più insignificanti”.
E l’uomo mettendosi le mani tra i capelli, seduto, ripiegato su se stesso gli aveva risposto: “non c’è stato neanche un momento insignificante tra noi due! Siamo entrati nella sua stanza, Spencer si è spiegato con me, abbiamo un po’ discusso perché io c’ero rimasto male: siccome volevo andare via, mi ha ammanettato al suo polso…” Diotallevi era scoppiato a piangere, poi guardando Ghideon negli occhi gli aveva sussurrato: “la prego, me lo riporti sano e salvo!”
Quante volte aveva sentito dire quella frase?
Aveva pregato il professore di continuare con la sua ricostruzione, erano solo loro due, una discrezione dovuta a Reid.
“Prosegua cerchi di essere preciso”
“Si mi scusi: abbiamo fatto pace e poi abbiamo fatto l’amore. Dopo, Spencer aveva fame ed io ho richiesto il servizio in camera”.
“A che ora? E riuscirebbe a identificare il cameriere?”
“Intorno all’una di notte e il ragazzo che ci ha portato lo spuntino è entrato e uscito come un razzo, probabilmente gli facevamo impressione”.
“Ha avuto questa sensazione?”
“Si, era imbarazzato e non ha mai sollevato lo sguardo!”
“Saprebbe riconoscerlo?”
“Si ma ti prego, diamoci del tu, so che Spencer è molto affezionato a te, ti ritiene il suo miglior amico, una sorta di padre!”
Un dolore forte allo stomaco… non ti lasciar andare, non puoi, non devi… Ghideon aveva proseguito facendo altre domande che si rivelarono inutili, Alberto non era certo concentrato a captare i rumori e le informazioni dell’esterno!
Però l’inaspettato, la fortuna se così si poteva dire, aveva dato un forte contributo alla speranza.
I due uomini si erano tenuti compagnia mentre il poliziotto faceva scorrere le immagini riguardanti le giornate del Congresso.
“Abbiamo filmato i relatori ma anche il pubblico, perché siamo più che certi che il killer si mescoli tra di voi”.
Erano lì imbambolati a osservare i filmati che si succedevano senza audio, quando la figura di Spencer era comparsa alta e dinoccolata.
Timidamente si era avvicinato al microfono al centro del palco e aveva cominciato a esporre il suo lavoro.
 Alberto aveva detto: ”E’ così intelligente, un vero genio, ti sei mai domandato perché abbia scelto di fare il detective, specializzato in crimini seriali, sempre in mezzo all’orrore?”
“Predisposizione naturale e il suo vissuto, lui non ha mai raccontato come sia stata la sua infanzia, credo che abbia dovuto difendersi parecchio” Ghideon si era fermato un attimo, sospeso nel limbo del dubbio, poi si era deciso a rivelare: “la madre è schizofrenica e lui fin da piccolo si è dovuto occupare di lei: poi a diciotto anni si è deciso a farla ricoverare, un tradimento per sua madre, che non lo ha mai perdonato”
Piccolo mio… aveva pensato tra se Alberto poi all’improvviso aveva esclamato: “ferma l’immagine! Torna indietro, si qui, ecco è lui!”
Il detective aveva aguzzato la vista e la sensazione di angoscioso fastidio che l’aveva colto in precedenza, l’aggredì nuovamente.
Il dejà vu che aveva percepito il giorno prima ancora gli stava sfuggendo.
“Di chi state parlando? “Anche JJ si era avvicinata al desk.
Diotallevi indicò risoluto l’immagine: “l’uomo in terza fila a sinistra: è il cameriere che ci ha portato la cena!”
Ghideon ricordò.
Era uno studente che faceva il cameriere al Regency? No, lo sentiva dentro la pancia che non era così, troppo grande perché fosse ancora uno studente.
Fece scorrere le immagini del rinfresco: eccolo di nuovo vestito con la giacca bianca e i bottoni d’oro ed era sempre intorno ad Alberto e Spencer!
Cercò il file dell’esterno dell’albergo, quello in cui si notavano le ultime immagini di Fuente, fissò l’ultima immagine, quella prima di sparire dall’obbiettivo.
“JJ, dammi una mano, guarda anche tu, vedi qualcosa che possa aiutarci?”
La ragazza si chinò sulla consolle e dilatò l’immagine, poi la spostò a destra e a sinistra andando ad analizzare tutto ciò che era stato catturato nei contorni.
“Eccolo!”
All’angolo estremo del display si poteva notare una metà di figura, era in movimento, s’intuiva un passo veloce e diretto verso il professore: la metà di un pantalone nero e di una giacca bianca con bottoni d’oro!
Niente di chiaro, una traccia impalpabile come l’aria, una speranza attaccata a un filo… l’unica cosa che avevano.
“JJ, chiama il capo del personale!”. 
   
 
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