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Autore: sasaneki    10/02/2015    5 recensioni
Estratto:
Del solito fastidioso e irritante ghigno di Trafalgar non vi era nemmeno l'ombra e il suo sguardo non era mai sembrato così tanto inespressivo come in quel momento.
«Non dirmi che adesso ti senti in colpa».
Si divertiva a provocarlo Law.
Si divertiva da matti, per poi congiungere le sue labbra a quelle rosse di Kidd, insinuandogli le mani fra i capelli ribelli, mentre il rosso gli stringeva i suoi con veemenza.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ebbene, tengo a precisare che non mi sono mai cimentata nel genere angst/drammatico, per cui può anche essere che ne sia uscito uno schifo, ma io vi giuro che ci ho messo impegno. Avevo questa storia salvata sul pc da diversi giorni e solo ora l'ho pubblicata, proprio perché speravo di migliorarla il più possibile.
Non so nemmeno io il motivo per cui abbia voluto scrivere una storia del genere. Non che non sia amante dell'angst o delle storie drammatiche, però diciamo che prediligo il lieto fine.
Perciò, nulla.
Se avete voglia fatemi sapere che ne pensate, giusto per sapere se ho toppato in pieno e quindi è meglio che continui su tutt'altri generi. XD


Disclaimer: One Piece © Eiichiro Oda
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Colpa.

 
Non sapevano dire quante volte si erano rotolati fra le lenzuola, ormai avevano perso il conto, nemmeno se lo domandavano più. L'importante era godere durante i loro frequenti amplessi.
Anche ora che Law era seduto cavalcioni sulle gambe di Kidd, muovendo lentamente il bacino facendo cozzare la propria erezione contro quella dell'altro, mentre gli lambiva abilmente il collo.
E il rosso impazziva, impazziva ogni volta che il moro lo toccava a quel modo.
«Ti detesto, Trafalgar» sussurrava ansante, mentre brividi intensi correvano per tutto il suo corpo.
«La cosa è reciproca, Eustass-ya» rispondeva, mostrando il suo solito ghigno, mentre le mani scorrevano sui pettorali.


Law era rimasto in piedi, immobile davanti a lui, con le mani tatuate posate sul torace ampio di Kidd.
Lo sguardo vagava su quel corpo disteso, su quel volto e su quella solita espressione severa, contemplandolo attentamente, come se stesse cercando di trovarvi qualche difetto.
Del solito fastidioso e irritante ghigno di Trafalgar non vi era nemmeno l'ombra e il suo sguardo non era mai sembrato così tanto inespressivo come in quel momento.
«Non dirmi che adesso ti senti in colpa».

Si divertiva a provocarlo Law.
Si divertiva da matti, per poi congiungere le sue labbra a quelle rosse di Kidd, insinuandogli le mani fra i capelli ribelli, mentre il rosso gli stringeva i suoi con veemenza.

E quando si staccavano per riprendere fiato, il moro incatenava il suo sguardo, pregno di desiderio, a quegli occhi d'ambra che si ritrovava dinanzi, e l'ennesimo sorriso beffardo si dipingeva sulle sue labbra.
«Prima o poi te la staccherò a morsi quella bocca di merda»
«Oh, e poi come faccio a farti godere?».
E, di nuovo, Kidd si avventava sulle sue labbra, mordendole e succhiandole.


Law aveva le labbra leggermente schiuse, mentre lo guardava incantato, con le mani conficcate nel suo torace e lo sguardo fisso sui suoi occhi e sulla sua bocca dipinta di rosso.
Non una smorfia sembrava distorcere il volto di Kidd, sempre così minaccioso e severo agli occhi dei nemici, ma nonostante la sua dura espressione, il rosso non disse nulla.
Non poteva dire nulla, e Law lo sapeva.
«Non dirmi che adesso ti senti in colpa».

«Direi che 'chirurgo della morte' è azzeccato come soprannome» gli aveva detto Kidd, durante la loro ultima scopata.
«Eustass-ya, non c'è bisogno che mi dici cose che so già» lo aveva zittito, per poi spingere con irruenza il proprio bacino contro quello del rosso, cercando sempre più contatto.
Kidd lo aveva assecondato, per poi affondare i denti nel suo collo, fino ad avvertire nella sua bocca il sapore ferruginoso del sangue, e Law, di conseguenza, gli aveva piantato le unghie nella schiena, tralasciandogli profondi solchi mentre le dita si sporcavano del suo sangue.


L'unico colore che spiccava in quella stanza tristemente illuminata non era altro che quello rosso del sangue. Sangue ancora caldo, che andava a imbrattare le sue mani tatuate, le lenzuola candide, i vestiti; sangue che colava silenziosamente sul pavimento, andando ad alimentare sempre di più quella chiazza vermiglia che era venuta a formarsi.
Non era certo la prima volta che Trafalgar Law vedeva così tanto sangue.
Eppure, la consapevolezza che tutto quel liquido viscoso apparteneva a una sola persona un poco lo turbava.
«Non dirmi che adesso ti senti in colpa».

Si era abbandonato su una sedia, affianco a Kidd.
I gomiti poggiati sulle gambe lunghe e sottili, mentre le mani tatuate, ancora sporche di sangue, reggevano il peso della sua testa.
Il suo sguardo era vuoto, assente, fisso davanti a sé; il suo corpo immobile, impassibile a qualsiasi stimolo proveniente dal mondo esterno.
Non un'emozione sembrava trapelare dal suo sguardo freddo, sempre così cinico e distaccato.
Trafalgar Law giocava spesso con la morte, lo faceva sentire dannatamente vivo e potente.
Eppure, osservare quel corpo esanime, sdraiato sul lettino della sala operatoria col torace aperto in due, lo faceva sentire dannatamente vuoto e privo di vita.
Era convinto che avrebbe potuto salvarlo; la sua ciurma lo aveva portato da lui proprio per questo, perché sapevano che Trafalgar Law era il miglior chirurgo del mondo.
«Non dirmi che adesso ti senti in colpa».

Non seppe dire Law, se quella frase fu semplicemente frutto della sua immaginazione o se invece fosse semplicemente la sua coscienza.
Il fatto era che continuava a martellare ripetutamente la sua testa, rimbombandogli violentemente nella mente, come se volesse sfondargli il cranio.

Kidd, ancora nudo e sdraiato sul materasso, osservava Law mentre si rivestiva lentamente.
Ogni volta, dopo l'amplesso, vedeva il moro uscire dalla sua camera, non prima che questo gli elargisse uno dei suoi soliti ghigni beffardi.

«Ti ucciderò, Trafalgar» sussurrava ogni volta, mentre lo osservava varcare la soglia della porta.
«Non ne sarei così certo, Eustass-ya. Prima di allora ti avrò già ammazzato» rispondeva, senza mai abbandonare quel sorriso a mezze labbra.


Un brivido percorse inesorabilmente la sua spina dorsale mentre si passò le dita fra i capelli mori, lasciando tracce di sangue al loro passaggio.
Gettò un ultimo sguardo al cadavere disteso sul lettino e, lentamente, la consapevolezza di averlo perduto per sempre si fece spazio nelle sue viscere, più prepotente e crudele che mai.
Percepì una fitta lancinante al petto, come se il suo cuore fosse stato stretto in una morsa micidiale, così potente da farlo esplodere da un momento all'altro.
Ma Law non disse nulla, non una smorfia stropicciò il suo viso, sopportando tacitamente quel pesante macigno che opprimeva il suo petto.
E in quel momento, un sottile rivolo d'acqua salata solcò, silenzioso e indiscreto, contro la sua volontà, la pelle ambrata del suo viso.
Aveva sempre creduto che alla fine l'avrebbe ucciso, perché era quello che gli aveva sempre giurato, perché era ciò che si promettevano ogni volta. Ma evidentemente si sbagliava, perché ciò che si ritrovò dinanzi mandò in frantumi ogni sua certezza.

In quell'istante, Trafalgar Law poté giurare a se stesso di aver veduto un'ombra sfocata passargli dinanzi agli occhi grigi, più veloce che mai. E con essa, avvertì un'insolita quanto nuova sensazione, come se la sua pelle fosse stata avvolta da un manto gelido, invisibile e privo di consistenza.
«Non era così che dovevano andare le cose, Eustass-ya»
«Non dirmi che adesso ti senti in colpa».
   
 
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