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Autore: ValeryJackson    10/02/2015    4 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Skyler si morse con forza l’interno della guancia, ignorando il sommesso gorgoglio che proveniva dal fondo del proprio stomaco.
Erano passati ormai tre giorni da quando le Anfisbene avevano rubato lo zaino pieno di cibo di Emma, e le loro provviste, ormai, cominciavano a scarseggiare non poco.
La figlia di Efesto sentiva la sacca sopra le sue spalle farsi ogni notte più leggera, e sebbene cercassero di moderare le rispettive porzioni nel vano tentativo di far durare le loro scorte il più a lungo possibile, non potevano negare di avere sempre più fame ogni ora di più.
John, ostinato, era colui che tra i tre mangiava di meno, non rendendosi conto che cedendo ogni volta la propria razione di cibo alle ragazze non faceva altro che privarsi di tutte le poche energie che gli restavano.
Ed Emma lo odiava per questo, perché nonostante tentasse di non darlo a vedere, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa; e neanche le continue parole confortanti degli amici erano in grado di distoglierla della convinzione che se fosse stata più attenta, ora stringerebbe ancora il proprio zaino tra le mani.
La mora avvertì un dolore sordo alla bocca dello stomaco, e sussultò, stringendo con così tanta forza l’elsa della spada nel pugno da farsi venire le nocche bianche.
Quella situazione era insostenibile, e non soltanto per le vertigini che imperterrite li costringevano a fermarsi ogni dieci metri per evitare di stramazzare al suolo.
Ad aggravare il tutto c’erano anche un’aria afosa e irrespirabile, continui e sfiancanti attacchi dai mostri più insoliti (che famelici sbucavano fuori da tutte le direzioni), e un sole che picchiava così forte sui loro capi da convincerli che fosse anche quello uno stratagemma dell’isola per impedirgli di arrivare al giorno successivo.
E come se non bastasse, il tutto era condito dall’ossessione di Skyler per quello stilizzato dipinto che avevano trovato in quella grotta, e al quale non era ancora riuscita a dare un senso.
Ciò che John aveva dedotto osservandolo si stava rivelando vero, in un certo qual modo. Non appena calava la sera, l’isola era avvolta dal più totale silenzio; ogni creatura che l’abitava sembrava scomparire nel nulla, spaventata, per poi ricomparire la mattina dopo, più irruenta e assetata di sangue di prima.
Camminare alla cieca in un posto che non sembrava avere altro scopo che annientarli non era esattamente il pretesto grazie al quale la figlia di Efesto aveva deciso di accettare quella missione.
Salvare Michael era ancora la sua priorità assoluta, su questo non c’era nessun dubbio; eppure aveva la costante sensazione di star sbagliando qualcosa. Direzione, obbiettivo, metodi, strategia.
Si sentiva come un cane che rincorreva disperato la propria coda.
All’improvviso, la terra sotto i suoi piedi tremò, destabilizzando il suo senso dell’equilibrio.
I tre ragazzi si bloccarono sul posto, i muscoli tesi a tal punto da farli sembrare statue di marmo.
Skyler si guardò intorno, confusa, quando un ulteriore strabalzo non li costrinse a sorreggersi l’un l’altro.
«Una scossa di terremoto?» ipotizzò Emma, ma nel momento stesso in cui pose quella domanda, non lo ritenne possibile neanche lei.
Gli scossoni diventarono lentamente più ritmati ed intensi, accompagnati da un tonfo sordo che sembrava abbattersi cadenzato sul suolo.
«Sono passi» soffiò John, chiedendosi quale possente mole dovesse possedere il proprietario per arrivare a far vibrare ogni fusto che li circondava. «Dietro quell’albero» ordinò quindi, con cautela, spingendo le due ragazze verso l’unico nascondiglio che era stato in grado di trovare. «Presto.»  
Le semidee non se lo fecero ripetere due volte, e prima che potessero rendersene conto tutti e tre erano accovacciati dietro un tronco, un fiume sconosciuto che scrosciava discreto alle loro spalle.
Skyler si sporse leggermente fuori, trattenendo il fiato.
Il rumore di passi, ora, era diventato più deciso e rimbombante. E quando il possessore entrò finalmente nel suo campo visivo, la pelle della ragazza fu attraversata da un brivido.
Era un essere alto circa tre metri, con un gonnellino di pelle di mostro e il grasso che strabordava da ogni poro della pelle. Aveva un fisionomia umana, seppur raccapricciante, e nonostante fosse dotato di sole due braccia e due gambe, sulle spalle aveva incastrate ben tre, ghignanti teste, rivolte con un’espressione tranquilla verso diverse direzioni, quasi l’una non sapesse dell’esistenza dell’altra.
In mano, teneva saldamente il tronco di un albero caduto, con il quale avrebbe benissimo potuto disintegrare i tre semidei in un colpo solo, se ne avesse avuto voglia.
La figlia di Efesto percepì il capo di John sporgersi oltre la sua spalla, per osservare, ma non ebbe il coraggio di distogliere lo sguardo.
«Che cos’è?» domandò, con un sussurro tanto flebile da fargli intendere di non avere alcuna intenzione di farsi scoprire.
«Non lo so» espirò di rimando lui, impietrito.
Il mostro si fermò a circa un metro di distanza dal loro nascondiglio, e Skyler sentì i battiti del proprio cuore accelerare quando vide i tre volti annusare l’aria, guardinghi.
Il gigante emise un ringhio sommesso, a denti stretti, e il figlio di Apollo tirò rapidamente l’amica per un braccio, riportandola all’ombra dell’albero poco prima che quello voltasse di scatto i tre visi nella loro direzione. I semidei strinsero le rispettive armi nel pugno, in attesa, ma dopo un tempo che parve interminabile il puzzolente uomo-orco sbuffò, con rassegnazione, e riprese la propria svogliata camminata, scuotendo con ogni suo passo le viscere dell’isola.
Solo quando si fu finalmente allontanato abbastanza da loro, i tre ragazzi si resero conto di aver smesso di respirare.
Skyler e John si lanciarono uno sguardo, sospirando sollevati. Dopo di che, il ragazzo aggrottò le sopracciglia, con apprensione.
«Non ci conviene seguirlo» affermò, con decisione. «Dovremmo andare dal lato opposto.»
«E se lui torna indietro?» obbiettò Emma, corrucciata.
«Dobbiamo sforzarci di essere silenziosi.»
Le ragazze annuirono, d’accordo. Fecero contemporaneamente tutti un passo indietro, continuando a tenere gli occhi fissi nel punto in cui il gigante era sparito, quasi temessero che potesse ripercorrere i propri passi.
Poi un crack, seguito dal leggero fruscio di qualcosa che si sgretola, e la figlia di Ermes sgranò gli occhi, abbassando rapidamente lo sguardo.
Il suo piede aveva accidentalmente calpestato qualcosa di tanto solido quanto viscido.
«Bleah» si lamentò, disgustata dalla verdognola melma che le arrivava fin su la caviglia.
«Ma che cos’è?» esclamò la mora, con una smorfia.
«Che schifo» commentò la bionda, reprimendo un conato di vomito.
«Sembrano uova» fece notare allora John, pensieroso.
«Sembrano?» ripeté Emma. Il ragazzo le indicò assorto qualcosa sulle sponde del piccolo fiume, e solo quando la ragazza si voltò capì a cosa si riferisse.
Migliaia di uova bluastre erano disposte con ordine sparso accanto alle rive bagnate di quel corso d’acqua. Parevano brillare di luce propria, quasi all’interno vi fosse nascosto qualcosa di molto più magico di un semplice ed innocuo pulcino.
«Ehm, r-ragazzi?» chiamò ad un tratto Skyler, al ché i due amici seguirono la direzione del suo sguardo, confusi dalla sua espressione impaurita. «Credo che sia arrivata la mamma.»
Una creatura simile ad un gnu stava immobile all’interno del fiume, l'acqua che le arrivava a malapena a metà zampa e il capo voltato verso di loro. Aveva un folto manto grigio, ed un collo lungo circa un metro più del necessario. Due enormi corna ricurve svettavano all’insù, e oltre a dei denti aguzzi dalla sua bocca fuoriuscivano due tozze zanne, che le impedivano di chiuderla completamente.
La figlia di Efesto scorse una pupilla verde e luccicante, sotto la folta criniera, e subito fu investita da un’ondata di nausea, quasi avesse fatto indigestione del cibo che non aveva mangiato.
«John» chiamò Emma, con un fil di voce. Fece un passo indietro, serrando le dita attorno all’elsa del proprio coltello.
«È un Catoblepa» rispose il figlio di Apollo, i palmi aperti, come se bastasse quel gesto per far intendere al mostro che non avevano cattive intenzioni. «Sia il suo sguardo che il suo fiato sono avvelenati, quindi non guardatelo negli occhi, e non avvicinatevi troppo.»
«Credi davvero che io abbia voglia di abbracciare quell’ammasso di peli?» ribatté quindi la figlia di Ermes, ma lui fece finta di non averla sentita.
«Non fate movimenti bruschi» le avvisò, con tono cauto. «Muovetevi lentamente.»
I tre semidei presero ad indietreggiare con accortezza, trattenendo il fiato, quasi quello potesse in qualche modo tradirli.
Skyler notò che nonostante il mostro si fosse reso conto della loro presenza, continuava a tenere lo sguardo basso. Fece l’errore di indugiare qualche secondo di più sui suoi occhi, e bastò un rapido guizzo delle pupille da parte della creatura per darle la sensazione che qualcuno le stesse strappando via le budella.
Barcollò, sopraffatta dalle vertigini, inciampando sui propri passi fino a che non sbatté contro il tronco dell’albero.
Fu a quel punto che il mostro si impennò sulle zampe posteriori, emettendo un ruggito che riecheggiò agghiacciante nell’aria.
Sbuffò, puntando le corna contro di loro come un toro, e quando John vide del vapore verde fuoriuscire dalle sue narici, dimenticò tutti i consigli che aveva dato alle ragazze.
«Scappate!» urlò, incoccando una freccia e colpendo il Catoblepa sul naso, con il solo risultato di farlo infuriare ancora di più.
La figlia di Efesto scrollò la testa, per cacciare via lo stordimento, ma quando fece per seguire gli amici si rese conto che ormai era troppo tardi per scappare.
Quello che inizialmente era sembrato un grido di battaglia da parte del mostro, in realtà era stato un richiamo per gli altri membri del suo branco.
Prima che potessero escogitare un modo efficace per aggirarla, l’intera mandria di quindici bestie li circondò. Uno di loro –forse il più coraggioso, o il più stupido- si fece avanti per primo, ringhiando, ma Emma fu abbastanza veloce da colpirlo con un fendente ben piazzato in mezzo agli occhi, costringendolo ad arretrare.
Le creature reagirono con versi profondi e intermittenti, come delle sirene antinebbia.
«Dannazione» borbottò la mora, dandosi mentalmente della stupida per aver indispettito quel mostro.
A quel punto, sentì il suolo sotto le sue suole vibrare. I viticci di una pianta piena di spine sbucarono da delle crepe che si andavano formando nel terreno.
Skyler fece un passo indietro, e i tralci serpeggiarono verso di lei, quasi volessero seguirla. Diventavano sempre più grossi, trasudando lo stesso vapore verde che caratterizzava l’alito dei Catoblepi.
«Ma che stanno facendo?» domandò confusa la figlia di Efesto, accorgendosi solo in quel momento che la nascita improvvisa di quelle piante era opera del branco.
La figlia di Ermes fece schioccare la lingua, nervosa. «Cercano un pretesto per ucciderci.»
Solo quando vide una di quelle creature ingurgitare un viticcio, la ragazza capì. I mostri stavano facendo crescere i tralci dei quali si cibavano per far sì che i semidei fossero costretti a calpestarli. E nonostante Skyler non fosse un’esperta del linguaggio animale, afferrò appieno il concetto: “Se pesti il nostro pranzo, allora sei un nemico.”
La mandria ormai aveva i musi puntati nella loro direzione, mugghiando e sfregando gli zoccoli a terra. Erano talmente tanti che sarebbe bastato un semplice sbuffo da parte di ognuno, per ridurre i tre ragazzi in una poltiglia verdognola, e la mora era convinta che se per sbaglio avesse incrociato i loro occhi per più di qualche secondo, il tutto non si sarebbe limitato al voltastomaco.
«Io li distraggo» propose John, prendendo un’altra freccia dalla sua faretra. «Voi scappate.»
«Sì, come no» lo schernì Emma, con un sorriso sghembo.
«Scapperemo insieme» assentì Skyler, facendo vagare i propri occhi scuri su ogni membro del branco. «Avete qualche idea per sconfiggerli?»
«Abbiamo solo un’opzione, in realtà» le fece notare la figlia di Ermes.
«E cioè?»
La bionda prese un gran respiro, rigirandosi abilmente la propria arma nel palmo. «Uccidiamoli.»
Quasi in contemporanea con le sue parole, i tre semidei partirono all’attacco, lanciando un urlo di sfida.
La figlia di Efesto colpì il primo Catoblepa sul capo con l’elsa della spada. Sferrò un montante, poi una stoccata, finché con un affondò ben piazzato non lo rispedì nelle profondità del Tartaro.
Con la coda dell’occhio vide John afferrare una pietra da terra e scagliarla contro uno dei mostri, per poi sfruttare il suo disorientamento a proprio vantaggio e ucciderlo con una raffica di frecce.
Con l’aiuto di un ridoppio dritto, la ragazza fece fuori due creature in un colpo solo, ma prima che la fitta nebbia giallognola delle loro ceneri sparisse dal suo campo visivo, tre nuovi Catoblepi avanzarono minacciosi verso di lei, facendola indietreggiare.
Skyler puntò la spada contro di loro, riuscendo ad ucciderne uno poco prima che quello le si scagliasse addosso. Batté il piatto della lama sul collo del secondo con tutta la forza che le era concessa, per poi affondare l’arma nella sua schiena.
Quando si voltò per fronteggiare il terzo, la scena parve svolgersi a rallentatore. Il mostro spalancò le fauci, e sul fondo della sua gola si formò una rivoltante bruma verdastra. La ragazza sollevò la spada, consapevole che, ad ogni modo, non sarebbe stata abbastanza veloce per impedire a quella caligine velenosa di investirla.
Poi un lampo d’argento, un guaito strozzato.
E la testa della creatura rotolò priva di vita accanto ai suoi piedi.
La figlia di Efesto la fissò, sconcertata, ma prima che potesse rendersi conto di ciò che era appena successo, i suoi riflessi da combattimento la salvarono, facendole disintegrare un mostro alla propria destra.
Si voltò a guardare i suoi amici, chiedendosi chi dovesse ringraziare per averle salvato la vita, quando si rese conto che quelli erano a circa tre metri di distanza da lei.
Schiena contro schiena, polverizzarono due Catoblepi nello stesso istante, per poi ucciderne altri tre con la sincronia di un corpo solo.
Ne avevano fatti fuori circa la metà, ma non per questo potevano concedersi il lusso di cantar vittoria. Erano stanchi, privi di forze, e decisamente poco immuni al veleno. 
Skyler assestò un calcio ben piazzato sul muso di un’ennesima creatura, per poi colpirne un’altra con un fendente. Un mostro tentò di attaccarla alle spalle, ma lei riuscì a ruzzolare di lato e a conficcargli la lama del fianco, trasformandolo in cenere.
Mentre con il fiato grosso si rimetteva in piedi, barcollante, vide un Catoblepa puntare le possenti corna nella sua direzione e montare la carica.
La ragazza sgranò gli occhi, sparendo con un balzo di fortuna dalla sua traiettoria; ma non appena quell’essere incastrò le proprie corna in uno dei tanti alberi che li circondavano, un’ulteriore scintilla d’argento si infranse nell’aria, e di lui non rimase altro che polvere.
La figlia di Efesto tossì, faticando a respirare in quella gialla e malsana nebbia che l’aveva investita. Ma non appena questa svanì, la mora batté le palpebre, sforzandosi di mettere a fuoco. E ciò che vide la lasciò senza fiato.
Se prima sul suo viso non c’era altro che impaurita concentrazione, ora a dominare erano incredulità e sgomento.
Non se l’era solo immaginato, era stato davvero qualcuno a salvarle la vita.
Ma quando incrociò le iridi scure del ragazzo che le stava davanti, il suo cuore perse dei battiti per la sorpresa.
I due si soppesarono per qualche attimo con lo sguardo, indecisi sul da farsi. Poi Skyler sentì il mugghio di un mostro provenire dalle spalle di lui, e con un urlo di frustrazione si alzò in piedi, sferrando un affondo che lo spedì nell’Ade in mezzo secondo netto.
Anche il ragazzo sembrò riscuotersi da un iniziale stato di shock, e la aiutò a far fuori tutte quelle creature che invano tentavano di attaccarli.
Quando le ultime due superstiti partirono alla carica con degli sbuffi inferociti, i due agirono in contemporanea, conficcando le rispettive spade nel muso del Catoblepa che era in procinto di attaccare l’altro e rabbrividendo all’ascoltare l’eco agghiacciante delle loro grida rimbombare tra le fronde della foresta.
Dopo di che, entrambi fecero repentini un passo indietro, e Skyler sentì la lama del ragazzo premere contro la propria gola nell’istante in cui gli puntò la propria arma al collo.
Ansante, incontrò gli occhi guardinghi di lui, che con il respiro affannoso la guardava quasi fosse più sconvolto di lei nel vederla lì.
La figlia di Efesto lo studiò con circospezione, lottando contro le sensazioni discordanti che le impazzavano nel petto.
Aveva un fisico asciutto, ed era più alto di lei di circa una spanna; i capelli scuri erano tagliati alla rinfusa, disordinati, e un ciuffo ribelle gli ricadeva sulla fronte, dandogli un’aria trasandata. Con quelle labbra sottili e quegli occhi color nocciola -che nonostante fossero freddi e distaccati tradivano una certa gentilezza-, non sembrava minaccioso. Ma la ragazza aveva imparato che su quell’isola sperduta non poteva fidarsi di nessuno, se non dei suoi amici.
E quel ragazzo spuntato fuori da chissà dove poteva essere tanto pericoloso quanto frutto della sua immaginazione.
Dopo un tempo che parve infinito in cui i loro respiri si regolarizzarono, Skyler notò le folte sopracciglia di lui corrucciarsi, in un’espressione interdetta.
Lentamente, la lama della sua spada si allontanò dal collo di lei, e il ragazzo fece un barcollante passo all’indietro, stupito.
«Skyler!» la chiamò John, ma la figlia di Efesto non distolse lo sguardo dal volto sbalordito di quello sconosciuto.
In men che non si dica, gli altri due semidei le furono accanto, e solo quando si accorsero della presenza del ragazzo i loro visi passarono dal preoccupato all’incredulo.
Il moro fece guizzare velocemente le iridi dall’uno all’altro, meravigliato.
«Voi siete umani?» chiese, al ché Skyler esitò, interdetta.
«Ehm… sì.»
Le labbra del ragazzo si stirarono in un sorriso euforico. «Siete umani!» esultò, per poi prendere a saltellare sul posto. «Oh, non ci credo!»
I tre amici si scambiarono un’occhiata, confusi, e solo quando sentì il freddo bronzo celeste sfregare contro la sua gamba, la figlia di Efesto si rese conto di aver abbassato l’arma.
«Chi sei tu?» volle sapere John, trascinando lentamente le parole, con accortezza.
Ma lo sconosciuto sembrò ignorarlo, o forse il suo entusiasmo l’aveva travolto a tal punto che non riusciva neanche a fare qualcosa di diverso dallo squadrarli ammirato.
«Non vi sto solo immaginando, vero?» si assicurò, ridacchiando nervoso. «Insomma, siete veri. S-s… Siete reali. Voi…» Lanciò un rapido sguardo ad Emma, per poi posarle una mano dietro la nuca e premere rapidamente le labbra sulle sue.
La ragazza gli diede un forte pugno sul petto, divincolandosi infuriata dalla sua presa. «Ehi, ma che Tartaro fai?» urlò, disgustata.
Per tutta risposta, lui sorrise di nuovo, entusiasta, e se possibile i suoi occhi si illuminarono ancora di più. «Siete veri!» gioì, su di giri.
«Provaci un’altra volta e ti farò vedere io quanto sono vera!» lo minacciò a quel punto la figlia di Ermes, e John la afferrò per i fianchi poco prima che potesse avventarglisi contro.
«Scusami, Riccioli d’Oro. È solo che…» Il ragazzo sembrò cercare le parole giuste, ma se ne scoprì incapace. Soffocò una risata, scrollando la testa con gli occhi fissi in un punto indefinito, quasi quello che avesse appena scoperto fosse troppo impossibile, per poter avere una spiegazione razionale.
E Skyler non poteva dargli torto. Anche se, fino a prova contraria, erano loro quelli meno in grado di dare un senso logico a ciò che stava succedendo.
«Chi sei tu?» gli chiese di nuovo, cauta, le palpebre strette a due fessure e le iridi attente, curiose, che lo squadravano con interdizione.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, soppesandola per qualche secondo. Poi sospirò, quasi sollevato.
«Mi chiamo Alex» si presentò, spostando il peso da un piede all’altro. «E, cavolo, pensavo di essere l’unico uomo, qui.»
 
Ω Ω Ω
 
Il primo pensiero che aveva attraversato la mente di Emma non appena aveva visto quel forestiero era stato: Pericolo.
Quando lui, poi, l’aveva baciata, la ragazza aveva avuto la conferma che qualunque fossero state le sue intenzioni, sarebbero state dettate da una forte insanità mentale. 
Non si fidava di quel tizio sbucato fuori da chissà dove, ed era ciò che continuava a ripetere ai suoi amici, mentre sotto l’arancia luce del tramonto lo seguivano nei meandri della foresta.
«Chi ci dice che non sia un mostro e che non ci stia portando nella sua tana, eh?» domandava, irrequieta. «Come sapete che possiamo fidarci di lui?»
«Non lo sappiamo» aveva ribattuto ad un certo punto Skyler, con voce atona, assorta. «Ma quale altra scelta abbiamo?»
A quel punto la figlia di Ermes aveva schiuso la bocca per replicare, ma le sue corde vocali non avevano emesso nessun suono.
Era vero, le loro alternative non erano poi molte, e fino a quel momento quell’Alex si era rivelato sì un po’ strano, ma del tutto innocuo.
Solo che ad Emma non piaceva, non piaceva per niente. E dopo tutti i nemici che era stata costretta ad affrontare negli ultimi giorni, non poteva fare a meno di pensare che quel ragazzo era un mostro sotto sembianze umane.
«Se avesse voluto ucciderci, l’avrebbe già fatto, non trovi?» le aveva fatto notare John, al ché lei aveva sbuffato.
«Tengo a portata di mano il coltello, comunque» aveva garantito, poco prima di notare la sua espressione esasperata. «Che c’è?» era scattata, sulla difensiva. Poi si era abilmente rigirata l'elsa nel palmo, con aria scaltra. «Sono previdente.»
Ma forse, e dopo un po’ se ne rese conto anche lei, non ce n’era davvero bisogno. Era calata la sera, e dato che l’isola sembrava essersi ancora una volta addormentata sotto le stelle, il misterioso ragazzo li aveva fatti accampare nei pressi di un albero; e mentre loro si sistemavano a terra -rendendosi improvvisamente conto di quanto in realtà fossero stanchi-, lui aveva raccattato un po’ di legna, accendendo un fuoco. Mossa non molto intelligente, considerato che così facendo avrebbe potuto attirare l’attenzione dei mostri; ma poi Emma si disse che avrebbe preferito ridurre in cenere qualche rozza creatura, piuttosto che morire di freddo come qualche notte prima. Ed osservando la destrezza e la tranquillità con il quale il moro si muoveva, non sembrava molto spaventato dall’idea di appiccare un localizzatore per i nemici.
Seduti in silenzio intorno a quell’improvvisato ma efficace falò, i tre amici si erano tenuti bene dal sistemarsi troppo vicini a quello che per loro era ancora uno sconosciuto.
Passarono circa un’ora nel disagio e nella diffidenza che quell’insolita situazione portava, a squadrarsi a vicenda, senza sapere esattamente né cosa chiedere né cosa pensare.
Poi, Alex sospirò rumorosamente, sgranchendosi la voce. «Okay» esordì, impacciato. «Credo che dovremmo schiarirci tutti un po’ le idee, no? Quindi proporrei un bel gioco.» Abbozzò un sorriso divertito, incrociando le gambe. «Due domande a testa. Ci state?»
I tre semidei si scambiarono un’occhiata indecisa, comunicando silenziosamente con lo sguardo. «Va bene» assentì Skyler, dando voce ai pensieri degli altri.
«Perfetto!» esclamò allora il ragazzo, emozionato. «Tanto per cominciare, voi conoscete già il mio nome, quindi mi sembrerebbe giusto conoscere i vostri.»
«Io sono Skyler» si presentò la figlia di Efesto. «E loro sono John ed Emma.»
«E cosa ci fate qui?»
«Beh, ecco…» La mora esitò, corrugando la fronte in un’espressione cupa. «Un nostro amico è stato rapito.»
Fu solo quando notò le sopracciglia inarcate di lui che capì di dover dire qualcosa di più. «E…» aggiunse. «Abbiamo intenzione di salvarlo.»
«Tocca a noi, ora» si intromise la figlia di Ermes, squadrando l’intruso con sguardo critico. «Che cosa ci fai tu su quest’isola?»
«Io ci vivo» rispose quello. «Credo.»
«Da quanto tempo?» volle sapere John.
«Un po’.»
«Un po’ quanto?» insisté quindi Skyler.
Alex fece un sorriso sghembo, a mascherare un certo imbarazzo. «Un po’ tanto» si limitò a precisare. «Il fatto è che quando sei qui perdi la cognizione del tempo.» Si passò una mano tra i capelli, rassegnato. «È il mio turno, adesso!» affermò poi, riacquistando con la stessa rapidità con la quale l’aveva persa la sua smorfia spensierata. Puntò gli occhi sulla figlia di Efesto, inclinando il capo. «Prima stavi parlando del tuo fidanzato?»
Se gli occhi della ragazza avessero potuto sgranarsi più di quanto fosse possibile, sarebbero letteralmente schizzati fuori dalle orbite. «C-Che cosa?» balbettò, arrossendo.
Il moro mostrò i palmi, con aria innocente. «Da come ne parlavi, sembrava di sì» si giustificò, e quando lei non replicò, capì di aver colto nel segno. «E come pensate di salvarlo?»
«Come sappiamo di poterci fidare di te?» controbatté allora John, con circospezione.
Alex fece spallucce. «Tecnicamente avevo diritto ad un’altra domanda, dato che le vostre erano tre» osservò, con disinvoltura. «E comunque, vi ho salvato la vita, no?»
«Non ha tutti i torti» convenne allora Skyler, con un cenno del capo. Poi abbassò leggermente il tono di voce. «Se non fosse arrivato lui, molto probabilmente quei Catoblepi avrebbero avuto la meglio.»
«Questo non lo rende più affidabile» si impuntò Emma, risoluta.
«Andiamo, Riccioli d’Oro!» si lamentò quindi il ragazzo, non riuscendo a mascherare il proprio divertimento. «Senza di me sareste morti.»
La figlia di Ermes lo fulminò con un’occhiataccia, puntandogli il coltello contro. «Chiamami ancora così, e giuro che ti…»
«Okay, abbiamo ancora un’altra domanda da fare» la interruppe John, zittendola con lo sguardo. «Ragazze?» disse poi, rivolto ad entrambe.
«Io ne ho una» affermò la bionda, ignorando l’occhiata ammonitrice del figlio di Apollo. Si sporse verso il moro, osservandolo curiosa. «Sei un semidio?»
Alex si strinse nelle spalle, annuendo. «Penso di sì.»
«Chi è tuo padre?» chiese a quel punto Skyler.
Il ragazzo ridacchiò, con spasso. «Ma non era solo una?» ribatté, per poi scrollare leggermente la testa. Si accarezzò l’interno dell’avambraccio con nostalgia, sfiorando con i polpastrelli il punto in cui una volta aveva dovuto esserci tatuato un simbolo. «Non me lo ricordo, comunque.»
Emma parve sconcertata. «Come fai a dimenticare il tuo genitore divino?»
«Quando passi tutte le tue giornate su un’isola come questa, il tuo unico pensiero è sopravvivere» rispose allora lui, con calma. Ci fu qualche attimo di imbarazzante silenzio, nel quale i tre amici non seppero esattamente cosa replicare a quell’affermazione. Poi Alex corrucciò le sopracciglia, pensieroso, prima di scrutare i ragazzi con discrezione. «Da quant’è che non mangiate?» volle sapere, al ché la bionda face un verso di scherno.
«Che razza di domanda è?»
«Ehi!» obbiettò lui, indignato. «Io posso chiedervi quello che voglio.»
«Da un po’, in realtà» ammise Skyler, con sincerità. «Non abbiamo molte provviste.»
«E siete arrivati qui con cosa?»
«Con dei pegasi» disse a sua volta John. «Ma diciamo che si è trattata più di fortuna.»
«Tu, invece?» lo sollecitò poi la figlia di Efesto, con un cenno.
«Con una barca, mi pare» annuì il ragazzo, sforzandosi di ricordare. «Quella è affondata, e noi siamo stati trascinati dalla corrente.»
«Noi?» ripeté Emma, ma il moro si limitò ad abbassare lo sguardo, lasciando intendere che non avrebbe aggiunto nulla di più.
Skyler si domandò che cos’avesse di tanto segreto da doverlo nascondere; ma poi, notando il suo improvviso cambiò d’umore, intuì che dopotutto non erano fatti suoi. «Da dove vieni, tu?» gli chiese invece, scandendo lentamente ogni parola.
Alex si carezzò il mento, arricciando il naso. «Da quella parte.» Indicò un punto alla sua destra, per poi guardare a sinistra, indeciso. «O era di là?»
«No» lo interruppe la ragazza, scuotendo il capo. «Intendo la città.» Solo quando notò la sua interdizione, si chiese se avesse compreso la sua domanda. «Londra? Los Angeles?» tentò. «New York?»
«Ah, New York!» Il volto del morò si illuminò, mentre le sue labbra si incurvavano in un sorriso felice. «Sì, me la ricordo! Cavolo, che bella! Credo che quella sia stata una delle mie ultime gite» spiegò, schioccando la lingua nostalgico. «Abbiamo incontrato questo famoso ingegnere giapponese che ci parlava di un progetto che avevano intenzione di realizzare. Due torre enormi, perfettamente identiche.» Ridacchiò tra sé e sé, scrollando il capo divertito. «Era un pazzo…»
La figlia di Efesto sentì il proprio sangue gelarsi nelle vene. Guardò i suoi amici, constatando che con tutta probabilità aveva stampata in viso la loro stessa espressione pietrificata.
«Ha-Hai detto due torri?» ciangottò Emma, augurandosi di non aver capito bene.
«Sì.»
«Gemelle.»
«Mh-mh.»
«In progettazione?»
«Esatto!» confermò Alex, incredulo. «Pazzesco, no?»
Skyler si riassestò sul posto, a disagio. «Ehm, Alex?» chiamò, quasi con timore. «Quanti anni hai?»
«La vostra età» rispose lui, come se fosse scontato. «Anno più, anno meno…» Poi si rese conto di quanto i loro volti fossero sbiancati, mentre tutti e tre lo fissavano quasi si trovassero davanti un essere fuori natura. «Ehi, perché quelle facce?» ridacchiò, nervoso. «Sembra che abbiate visto un fantasma.»
«Sei sicuro di non avere un po’ più di diciassette anni?» constatò John, con cautela.
Il ragazzo fece un sorriso sghembo. «Ti sembro un vecchietto?» ribatté, sarcastico. Buttò la testa all’indietro, ridendo di gusto, e parve non accorgersi delle espressioni sconcertate dei tre semidei, tre paia di occhi puntati su di lui come se fosse un qualche tipo di fenomeno sovrannaturale.
«Basta così, però» esclamò poco dopo il moro, quando le sue risa furono scemate. «Avete deliberatamente infranto le regole del gioco» li accusò. «Quindi adesso ho diritto ad un bonus. Siete anche voi semidei, giusto?»
«Sì» borbottò Skyler, con aria cupa.
«Figli di…?»
«Efesto.»
«Apollo.»
«Ermes.»
Alex annuì, memorizzando quell’informazione. «Riccioli d’Oro è sempre così aggressiva?» esordì poi.
«Riccioli d’Oro ti sgozza nel sonno, se non la smetti di chiamarla così» ringhiò Emma, con il solo risultato di far allargare il suo sorriso.
«Uuh… indisponente!» la prese in giro il ragazzo, facendo finta di essersi appena scottato. «Ho la sensazione che ci divertiremo molto, insieme.»
«Siamo solo stanchi» giustificò la figlia di Efesto, passandosi una mano sulla fronte, sfinita.
«Da quanto siete qui?»
«Qualche giorno, più o meno» calcolò John.
Il moro tornò a guardare Skyler, e sembrò tentennare, prima di porgere la successiva domanda. «Come si chiama il tuo ragazzo?»
La ragazza sussultò, e strinse le labbra in una linea sottile, per poi mormorare con rimpianto: «Michael.»
«E chi l’ha rapito?»
Lei scosse mestamente il capo. «Non lo sappiamo.»
Alex le batté due dita contro il ginocchio, convincendola a sollevare lo sguardo. «Sono sicuro che sta bene» le sussurrò, confortante.
La mora gli rivolse un sorriso timido, riconoscente. «Grazie.»
«Perché siete venuti qui per cercarlo?»
«Non stiamo cercando lui» precisò il figlio di Apollo. «Ma la Pietra.»
«Quale Pietra?»
«La Pietra dei Sogni» disse la bionda.
A quelle parole, sul volto del ragazzo comparve un sentimento di muta ammirazione, mista a preoccupazione e nervosismo.
Skyler dovette interpretare quelle manifestazioni in un solo modo, perché sgranò gli occhi, trattenendo il fiato. «Aspetta, tu la conosci?» domandò, sentendo i battiti del proprio cuore accelerare.
Alex arricciò il naso. «Non l’ho mai vista, in realtà.»
«Ma esiste davvero?»
«Non lo so» fece spallucce lui. «Penso di sì.»
La mora sorrise, euforica. «Sapresti dirci dov’è?»
«Potrei fare di meglio» assentì il ragazzo, con orgoglio. «Potrei portarvici.»
«Quindi conosci la strada?» si intromise la figlia di Ermes, sbalordita.
«Più o meno.»
John lo squadrò, meravigliato. «Come fai ad orientarti in questo posto?»
«Ho disegnato una mappa» rivelò Alex, stringendosi nelle spalle con finta modestia. «E poi, ormai, la conosco come il palmo della mia mano.»
«Abbiamo trovato un disegno, in una grotta, l’altro giorno» gli spiegò a quel punto Skyler, sporgendosi verso di lui con interesse. «Rappresentava le fasi lunari e solari. E accanto vi erano dipinti dei mostri. Tu sai cosa significava?»
Il ragazzo soppesò un attimo i tre semidei con lo sguardo, per poi sospirare, alzandosi in piedi. Raccolse un legnetto spezzato da terra e si mise ad incidere linee circolari nel polveroso terreno.
In una frazione di secondo, i tre amici gli furono accanto, osservando la sua opera da sopra la sua spalla. Si trattava di una singolare ‘u’ rovesciata, che la figlia di Efesto dedusse essere l’isola. Alex indicò l’estremità superiore con il legnetto.
«Quest’isola è divisa in due parti» cominciò. «La Spiaggia Dorata e la Spiaggia Bianca. In ognuna di queste vi sono due foreste, che io chiamo Foresta del Sole e della Luna. Sono perfettamente identiche, o per la maggior parte. L’unico particolare che le distingue è l’effetto che subiscono con lo spostamento degli astri.»
Tracciò un grosso cerchio sulla punta preminente di quella ‘u’.
«Quando sorge il Sole, tutta la sua foresta si sveglia, sguinzagliando i mostri che vi abitano. L’alba li esalta, li irrita, li fa vivere. Ma non appena le ultime luci del tramonto sono sul punto di scomparire, sono tutti costretti a rintanarsi nei meandri del bosco. Il Sole è l’unica cosa che gli permette di uscire allo scoperto. Se provassero ad uscire di notte, morirebbero.»
«E nella Foresta della Luna?» chiese Emma, al ché lui aggrottò la fronte, concentrato.
«Lo stesso principio, solo che all’inverso. Di giorno la quiete, di notte il caos. Solo che le cose, lì, sono cento volte più terrificanti e pericolose.»
«Devo dedurre che ora siamo nella Foresta del Sole, vero?» fece John, retorico.
Alex annuì, cupo. «Vi auguro di non andare mai dall’altra parte» aggiunse poi, con un tono così lieve che parve rivolgersi più a qualcuno nella sua mente, che ai tre ragazzi.
«E la Pietra dov’è?» eruppe allora Skyler, tentando di frenare il proprio impellente bisogno di arrivare al dunque. Era quello il suo unico e principale pensiero. Tutto il resto era solo un di più che poco le importava.
«Non lo so con esattezza» ammise il moro, mordendosi l’interno della guancia. «Però ho un piano.»
«E cioè?»
Il ragazzo incastro le proprie iridi scure nelle sue, inarcando le sopracciglia con fare guardingo. «Ve lo dirò solo se mi porterete con voi» li informò.
«Cosa?» scattò Emma, sdegnata. «Non se ne parla!»
«Voi avete bisogno di qualcuno che conosca questo posto come le proprie tasche» le ricordò lui, sfidandola ad affermare il contrario. «Ed io non ho un po’ di compagnia da un sacco di tempo!»
«Emma» la pregò allora la figlia di Efesto, supplicandola con lo sguardo di accettare l’offerta. La bionda sostenne per un po’ i suoi occhi screziati d’oro, sforzandosi di apparire risoluta. Ma era consapevole che non le ci sarebbe voluto molto, prima di cedere sotto quell’espressione da cucciolo indifeso; per cui fece roteare gli occhi, sbuffando sonoramente. «E va bene!» sbottò, per poi fulminare Alex con lo sguardo. «Ma resta a tre metri di distanza da me. Ho un coltello, in mano, e non ho nessunissima paura di usarlo.»
La cosa che più sorprese Skyler oltre il sorriso piantagrane del ragazzo, era la facilità con la quale restava immune alle numerose minacce di morte da parte della sua amica. Quasi quella situazione lo divertisse; quasi sentisse davvero la mancanza di un po’ di calore umano che non fosse il suo.
Il moro si alzò nuovamente in piedi, stiracchiandosi lentamente. «Bene, ragazzi. Io direi di sdraiarci un po’ e riposare gli occhi» sbadigliò.
«Aspetta» replicò la figlia di Efesto, seguendolo con lo sguardo mentre gettava il legnetto che aveva in mano nel fuoco. «E il piano?»
Alex fece spallucce, con aria innocente. «Sono più lucido di mattina.»
La prima a rendersi conto che quella era una chiara dichiarazione di mutismo -come a voler dire: “Non vi dirò nulla della mia trovata geniale, altrimenti potreste lasciarmi qui e metterla in atto senza di me” – fu Emma, che con uno sguardo torvo si avvicinò a lui, puntandogli un dito contro il petto. «Tre metri, Spillo» puntualizzò, a denti stretti. «E sappi che ti tengo d’occhio.»
Il ragazzo esibì un sorrisetto malandrino, con il solo risultato di indispettirla ancora di più. E mentre la osservava allontanarsi con passo furioso e lasciarsi cadere con un tonfo ai piedi di un albero, Skyler guardò lui, chiedendosi finalmente da dove arrivasse quello che ora sembrava essere la loro prima vera possibilità di riuscita.
«A domani, ragazzi» li salutò lui, portandosi tre dita alla fronte in un goliardico saluto militare.
E fu solo quando lo studiò mentre si sistemava spensierato accanto ad una quercia e chiudeva gli occhi con aria beata, che la ragazza ripercorse mentalmente tutta la loro conversazione.
Ripensò alle due spiagge, e a tutto ciò che Alex gli aveva rivelato riguardo le due foreste; al modo in cui era arrivato lì, al fatto che non ricordasse il proprio genitore divino. E quando ricordò di quella che lui aveva definito ‘una delle sue ultime gite’, ebbe la sensazione che il proprio cuore fosse risucchiato verso la bocca dello stomaco.
Strinse con forza il braccio di John, al suo fianco, ogni tendine del corpo teso come una corda di violino.
«La profezia» sussurrò con voce strozzata, al ché il biondo corrucciò le sopracciglia, non capendo.
«Come hai detto, scusa?»
La figlia di Efesto lo trascinò in disparte, abbassando il tono di voce per evitare che il moro la sentisse. «La profezia, John» insisté. «Si sta avverando.»
Il ragazzo sembrò colpito, prima di agitarsi sul posto, nervoso. «Come lo sai?»
«E aiuto arriverà dall’uomo che dal tempo è stato inglobato» recitò quindi lei, per poi incastrare gli occhi nei suoi. «Alex ci aiuterà a trovare la Pietra, e fin qui non c’è nulla di… strano. Ma hai sentito quello che ha detto prima? Parlava della progettazione delle Torri Gemelle
«E quindi?»
«Le Torri Gemelle sono state costruite nel 1966!»
Il figlio di Apollo aggrottò la fronte, mordendosi il labbro inferiore, pensieroso. «Cosa credi che dovremmo fare?»
Skyler sospirò, con aria afflitta. «So che molto probabilmente seguirlo sarebbe un rischio» ammise, sconsolata. «Ma John, lui è un raggio di speranza arrivato quando meno ce lo aspettavamo. Se sa davvero dov’è la Pietra –e qualcosa mi dice che possiamo fidarci di lui- allora non ci resta che accettare il suo aiuto.» Spostò il peso da un piede all’altro, passandosi una mano tra i capelli. «Dobbiamo salvare Michael» mormorò poi.
Al sentire quelle parole, lo sguardo del biondo si addolcì. Fece un passo verso di lei, posandole una mano dietro la nuca e attirandola a sé per poterle baciare la fronte, lasciando lì le proprie labbra più del necessario. «Ad ogni modo, lo terremo d’occhio» promise, tentando di infonderle un po’ del proprio ottimismo.
Lei cercò invano di abbozzare un sorriso, per poi stringersi timidamente tra le spalle. «Io mi fido di lui» confessò, per poi voltarsi a guardare Alex, che stava già (inspiegabilmente) russando. «Chiamalo sesto senso.»
E non stava mentendo. C’era qualcosa in quegli occhi scuri e quel sorriso sghembo che la spingeva a dargli fiducia. La stessa cosa che l’aveva convinta ad abbassare la spada. La stessa cosa che da lì a poco l’avrebbe portata a farsi guidare da quello sconosciuto.
«Sarà meglio riposare» le intimò John. «Domani ci aspetta una giornata impegnativa.»
E, Skyler poté giurarlo, anche se avesse voluto non sarebbe mai riuscita ad immaginare cosa quell’impegnativa avrebbe potuto interpellare. 


Angolo Scrittrice. 
*In onda tra tre... due... uno...*
Salve a tutti, semidei! 
Vi sono mancata? 
*Rotola balla di fieno*
Sì, lo so, lo so. Starete pensando: E mo questa chi è?
Beh, se vi siete dimenticati di me, allora vi informo che oggi è martedì, and so... ValeryJackson is back!
Yee!
No, okay, scherzi a parte. Vi avevo promesso una bella sopresa in questo capitolo? Ebbene, ecco a voi un nuovo, freschissomo personaggio tutto da scoprire! 
Mi rendo conto che adesso, per voi, è ancora presto per dare un parere. Ma sono curiosa: Che ne pensate di
Alex?
Come avrete ben capito, da questo momento in poi farà ufficialmente parte della missione. 
Beh, che dire di lui? Innanzi tutto, ha qualche rotella fuori posto. Spero che vi farà divertire, ma vi assicuro che non è entrato a far parte della storia per diventare il giullare di corte. 
Lui forse sa dov'è la Pietra, e se prima i ragazzi si limitavano a girare in tondo, ora hanno una meta ben precisa. E poi, grazie a lui ora le particolarità dell'isola sono chiare. Che ne dite? 
Ho qui un disegno per voi, una mappa che io stessa ho disegnato per aiutarvi a comprendere meglio la fisionomia di questo posto. (non si vede molto bene, pardon)

 


I nostri ragazzi, ora, si trovano nella Foresta del Sole. Ma come vedete l'isola è grande, quindi chissà dove il destino li porterà.
Btw, la profezia continua ad avverarsi. E questo non è un bion segno, no no. 
Ma tornando a parlare di Alex: che dite, vi fidate di lui? Come vi sembra? Qual'è stata la sua battuta/azione che vi è piaciuta di più? E quale di meno? 
Che ruolo pensate che avrà, in tutta questa storia? 
Se può interessarvi, vi informo che per il suo aspetto fisico mi sono ispirata ad un attore, che per me... beh, ormai è Alex. Se volete vedere come la mia mente contorta l'ha partorito, nel prossimo capitolo potrei mettere qualche gif. 
E qui sono sicura che mi ucciderete, perchè purtroppo salterà anche il prossimo martedì.
Questo è un periodo impegnativo, per me, e questo sabato partirò per Salamanca. Cercherò comunque di riuscire a pubblicare martedì 24, e spero davvero che sarete ancora disposti a seguire questa storia, soprattutto ora che si entra sempre di più nel vivo.
Bien bien, ora lascio a voi l'ardua sentenza (mentre io vado a vedere Arrow e Flash **)
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, e non esitate a dirmi che fa schifo. 
Prima di andarmene, però, non posso non ringraziare i miei preziosissimi Valery's Angels, che hanno commentato lo scorso capitolo. Mi scuso se non sono riuscita a rispondere, ma in questi giorni provvederò, lo giuro. 
Un grazie immenso a:
Percabeth7897, diabolika14, carrots_98, Chisaki e martinajsd. Siete degli amori, davvero! 
Oookaaay, ora vado davvero. 
Alla prossima, miei cari fanciulloschi. 
Sempre e comunque vostra,

ValeryJackson 

 
  
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