Fandom: Game of Thrones
Pairing: Arya/Gendry
Prompt: corsa per ripararsi dalla pioggia
Titolo: Idiota
Parole: 605
Arya stava tornando a casa, l’autunno le spazzolava via i peli di Nymeria dai
vestiti con un soffio di vento.
Gendry, il suo stalker personale, la raggiunse correndo, come faceva ogni
giorno.
“Sei in ritardo,” gli disse, fingendo di controllare un orologio che non
aveva.
“Solo perché la biblioteca ti ha buttata fuori prima, stasera.”
Ed era vero. Non sapeva se fosse per le sue magliette piene di buchi e spille
da balia o perché il custode, tale signor Tyrion, non sembrava badare
particolarmente agli orari. Faceva un po’ come gli passava per la testa ogni
giorno, cambiando di mezzore o a volte di ore gli orari di apertura o chiusura.
Secondo Arya, dipendeva molto da quanto aveva bevuto la sera prima. In ogni
caso, questa imprevedibilità logistica la attirava e ormai quella biblioteca
era la sua seconda casa.
E quel giorno, Tyrion era arrivato con una buona quarantina di minuti di
anticipo a minacciarla di ritorsioni se non se ne fosse immediatamente andata,
lei e tutti i suoi pendagli.
Gendry attirò la sua attenzione tossendo piano. “Ho letto quel libro che mi hai
prestato, comunque.”
Arya inarcò un sopracciglio. Non gli aveva prestato nessun libro.
“Ok, quello che hai inavvertitamente lasciato in palestra perché lo trovassi.”
Beccata. Arya non amava l’ora di ginnastica. E non amava dover condividere lo
spogliatoio coi maschi perché la scuola era troppo piccola per averne due.
Quello che amava segretamente, però, era trovare Gendry a petto nudo mentre si
cambiava. Ovviamente roteava gli occhi e se ne andava blaterando
dell’ingiustizia della condizione femminile, costretta a cambiarsi nei bagni
mentre i maschi potevano usare il resto dello spazio, ma aveva notato
perfettamente come quei muscoli sudati si flettevano sotto la luce giallastra
dello spogliatoio.
Ma non aveva intenzione di lasciarsi attrarre dal fascino dell’atleta della
squadra di basket. Non ora e non mai. Così aveva cominciato a disseminare libri,
ogni volta su una panca diversa. Casualmente. Voleva vedere se avrebbe colto
l’antifona. Lui, che aveva preso l’abitudine di seguire i suoi spostamenti e di
accompagnarla a casa. Che diventasse un po’ acculturato, almeno.
“Ti è piaciuto?”, decise di ignorare l’accusa di sana pianta.
Gendry sorrise, interrompendo la camminata. Anche Arya si fermò, seppure un po’
confusa. Gli era piaciuto così tanto che doveva fermarsi per parlarne? Non si
erano mai fermati, prima.
“L’avevo già letto. Ma hai indirettamente ammesso di averlo messo lì per me.”
Niente. Aveva aperto più volte la bocca ma non era uscito niente. Quando le
guance presero a tingersi di rosso contro la sua volontà, gli prese a pugni la
spalla.
“Sta’ zitto.”
Gendry si mise a ridere, coprendosi la spalla con la mano, mentre alcune gocce
di pioggia avevano cominciato ad appiattirgli i capelli.
In pochi secondi si ritrovarono sotto uno scroscio incessante.
Gendry la infilò sotto la sua giacca - la giacca da giocatore di basket,
dannazione – mentre correvano.
Sapeva un po’ di sudore, un po’ di lui. Un po’ di pioggia.
La pioggia, giusto. Si gettò di lato e spalancò le braccia, lasciando che le
gocce le scivolassero addosso. Era come il suo cane, Nymeria, che si sdraiava a
pancia in su durante i temporali.
Erano selvagge, un po’ pazze, estasiate dalla sensazione di bagnato sulla
pelle.
“Sei matta, Arry?”
“Non chiamarmi Arry, idiota.”
“Ti chiamano tutti così.”
“Tu non farlo. È un soprannome stupido.”
Rimasero in silenzio, a fissarsi. Gendry si decise a lasciar ricadere la giacca
sulle spalle e si unì a lei, aperto alla natura e alla broncopolmonite,
probabilmente.
Alzarono entrambi gli occhi al cielo.
“Domani mi lascerai un altro libro, Arya?”
“Sì.”
“Perfetto.”
“E tu non fare tardi, idiota.”