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Autore: ___Page    11/02/2015    5 recensioni
-Più tardi- mormorò accomodandosi con grazia e con un sospiro sull’altalena e prendendo a dondolare -Prima devo parlare con Cappello di Paglia-
Zoro corrugò le sopracciglia.
-Di che stai parlando?!-
-Ho un messaggio per lui- si spiegò, fermando il movimento oscillatorio della giostra.
Lo spadaccino si girò completamente verso di lei.
L’occhio ora abituato alla penombra era in grado di distinguere anche le espressioni assunte dalla ragazza.
-Da parte di chi?!-
-Suo fratello- affermò, facendogli strabuzzare gli occhi.
Non aveva senso e glielo disse senza mezzi termini.
-Se Sabo voleva mettersi in contatto con noi…-
-Non parlo di Sabo- lo interruppe, alzandosi in piedi e avvicinandosi sotto il suo sguardo incredulo.
Si fermò a pochi passi da lui, guardandolo negli occhi, ferma e determinata.
-Parlo di Ace-
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jinbe, Mugiwara, Perona, Portuguese D. Ace, Sabo | Coppie: Nami/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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*Questa fanfiction fa parte della serie "I quattro Imperatori". I fatti narrati in questa storia sono precedenti a quelli narrati in "Kenkyushitsu Island".
Buona lettura. 
Piper.*







Scese dalla coffa, impaziente di raggiungere la loro cabina.
Allenarsi era diventato un esercizio sempre più difficile in quelle ultime settimane, un impegno che si era dovuto imporre con fatica, ripetendosi costantemente  che era necessario per realizzare il suo sogno.
Con fatica Zoro stava imparando che l’abnegazione rivolta ad un unico obbiettivo lo aveva forse reso più cinico di quanto non fosse realmente ma che di certo era più facile da gestire.
Già a Thriller Bark aveva compreso quanto essere diventato il vice di Rufy gli avesse inevitabilmente sconvolto la vita e messo a soqquadro i suoi progetti per il futuro, perché per proteggere il suo capitano era stato pronto a sacrificarsi.
Quando aveva chiesto a Mihawk di allenarlo si era raccontato di averlo voluto per poterlo un giorno sconfiggere ma in cuor suo aveva poi ammesso che la vera ragione fosse il desiderio di diventare più forte per poter difendere più adeguatamente i suoi Nakama.
E ciò nonostante non si pentiva di avere rinunciato al proprio viaggio in solitaria, anche se certo, Rufy non gli aveva lasciato alternative quel giorno a Sheltz Town e Zoro quando dava la propria parola poi la rispettava a costo della vita.
Ma lo spadaccino non poteva immaginare che l’abnegazione verso la propria famiglia potesse essere tanto forte da fargli pesare quelle due ore di allenamento e meditazione, che un tempo erano state il suo momento di relax e depressurizzazione.
Il punto, però, era un altro.
Il punto era che ora Zoro aveva scoperto un nuovo modo di rilassarsi e depressurizzare e lo preferiva all’allenamento quotidiano e, fintanto che si era trattato di accettare di essere un uomo, con le normali debolezze carnali di tutti gli uomini, era stato perfettamente in grado di gestire le due cose.
Scoprirsi innamorato di Nami era stata tutt’altra faccenda, aveva fatto nascere in lui la voglia di trascorrere con lei tutto il tempo libero che aveva, rendendo gli allenamenti, e indirettamente il suo sogno, un fastidioso peso, un ostacolo alla sua relazione.
Ma riprendere gli allenamenti dopo due mesi di fermo, trascorsi a dedicarsi completamente alla sua donna e alla sua bambina, quello era stato davvero difficile.
Non avrebbe mai immaginato, Roronoa Zoro, che si potesse amare così tanto e così incondizionatamente una creatura dal suo primissimo vagito, finché non aveva stretto sua figlia tra le braccia.
E ora proprio da sua figlia e dalla donna che, se non fossero stati pirati, sarebbe stata ormai sua moglie Roronoa Zoro stava tornando, fremendo dalla voglia di stringerle a sé, dopo aver concluso la sua sessione quotidiana e avere svegliato Usopp perché concludesse il turno di guardia.
Con un ghigno felice sul volto e le tre katane che cozzavano al ritmo dei suoi passi lenti ma sicuri, si avvicinò alla porta del sottocoperta.
Qualcuno, non ricordava più chi, una volta gli aveva detto che la felicità era maggiore dopo la privazione.
Per quanto lo riguardava, sentiva che avrebbe potuto passare con Nami e Akane anche ogni secondo della propria giornata e la sua gioia non sarebbe diminuita nemmeno di una tacca.
Tutto ciò che provava era una crescente impazienza, man mano che la zona dei dormitori si faceva sempre più vicina.
Non era un tipo riflessivo, Zoro.
Meditava ma lo faceva proprio per tenere a bada le emozioni e ragionare su cose come l’amore e la felicità lo straniva non poco, nonostante avesse ormai compreso che non c’era nulla di strano nel suo essere in grado di provarle.
E per quanto in quel momento si stesse lasciando andare a quei pensieri, rilassandosi, i suoi sensi allenati, i sensi di uno spadaccino, captarono immediatamente il fruscio quasi inudibile alle sue spalle.
Si bloccò dov’era, tendendo ogni fibra del proprio corpo, in allerta.
Con un movimento calmo portò la mano sull’elsa della Kitetsu, estraendola parzialmente e curandosi di farlo silenziosamente.
C’era qualcuno.
C’era un intruso.
Era certo che non si trattasse di un Nakama, l’unico che avrebbe potuto produrre quel suono nel muoversi era Ceasar e al suo fluttuare in giro sotto forma di gas si era ormai abituato.
Voltò il capo di un quarto, respirando appena e percependo un movimento dietro di sé che gli fece rompere ogni indugio.
Finì di sguainare la lama mentre si girava per fronteggiare il nemico, chiunque esso fosse.
Non gli avrebbe permesso di arrivare oltre il ponte della nave.
Non gli avrebbe permesso di raggiungere Usopp in coffa per metterlo fuori gioco per poi addentrarsi nel sottocoperta, alla ricerca di Rufy o di qualcun’altro.
Alla ricerca di Nami e Akane, forse.
Prima, sarebbe dovuto passare sul suo cadavere.
Affidandosi al suo istinto, incapace di distinguere qualcosa di più di una semplice sagoma davanti a sé a causa del cielo coperto e della notte senza luna, Zoro fendette l’aria con un colpo deciso che venne prontamente parato dell’avversario.
Sentì il muscolo del braccio tendersi allo spasimo mentre le due armi spingevano l’una contro l’altra in un singolare braccio di ferro.
Con un movimento rotatorio Zoro liberò la spada da quello stallo e tentò un nuovo affondo più diretto che venne abilmente evitato dal suo avversario.
Un rumore frusciante lo distrasse, dandogli la sensazione che il nemico utilizzasse un’arma rotante e decise di estrarre anche la Shuusui per buona misura.
Prima di arrivare alla tecnica a tre spade doveva capire se chi aveva di fronte meritasse davvero un simile sforzo.
Girò su se stesso, deciso a mettere in atto le tecniche duramente apprese a Kuraigana per portare rapidamente a termine lo scontro.
Chiunque fosse quel ficcanaso, gli aveva già fatto perdere tempo prezioso che avrebbe dovuto trascorrere con Nami e la bambina.
Caricò deciso e si piegò in avanti, pronto a sfoderare un colpo a sorpresa ma, con suo enorme stupore, l’avversario parò la mossa senza ostentare la minima difficoltà.
Zoro sgranò appena gli occhi, colpito da tanta agilità e capacità intuitiva.
Che il nemico sapesse usare l’haki dell’osservazione?!
In quel caso era meglio ricorrere all’artiglieria pesante.
Si spostò all’indietro di un paio di passi per darsi il tempo di incastrare la Wado tra i denti e trattenne il fiato quando si accorse del colpo che stava per calare su di lui, nonostante avesse preso le distanze.
Lo parò per un soffio, constatando che l’avversario si muoveva con una velocità impressionante, quasi come se fluttuasse.
Infastidito dalla situazione, cominciò a menare fendenti senza mai attaccare alla cieca, seguendo un preciso schema che, con suo disappunto, il nemico sembrava conoscere bene tanto quanto lui.
Testardo e caparbio proseguì in quella strana danza armata, in cui il nemico lo seguiva senza sforzo, quasi si trattasse di una coreografia a due provata e riprovata fino alla nausea.
Sentì il nervoso montargli dentro e s’impose la calma, mentre lo sforzo fisico lo obbligava ad abbandonare la totale assenza di suoni che stava caratterizzando quello scontro notturno, portandolo ad accompagnare i fendenti con gemiti repressi, per meglio sopportare la fatica.
Quale che fosse l’arma dell’avversario, non era fatta di metallo e sembrava silenziosa e fluttuante quanto lui.
Tentò un ultimo complicato schema, innervosito all’idea che qualcuno dei compagni si sarebbe potuto svegliare e intervenire, dimostrando la sua inadeguatezza a proteggerli, lui che era lo spadaccino di bordo.
Era vero che erano una squadra ma chi diavolo era quel tizio?!
Quando mai aveva faticato a mettere K.O. un solo avversario, a parte Occhi di Falco?!
Senza contare che il modo in cui si muoveva non sembrava lasciar presumere che utilizzasse l’ambizione ma semplicemente che conoscesse in anticipo e a memoria le sue mosse.
Ancora un affondo e, sotto il suoi occhio sgranato nella notte e nel buio, Zoro sentì la presa venire meno sulle else delle sue spade, mentre Kitetsu e Shuusui cadevano al suolo, il rumore metallico attutito dall’erba del ponte.
Ormai al colmo del fastidio e della preoccupazione per l’apparente imbattibilità di quel soggetto misterioso, si affrettò a sganciare la Wado dai denti, lasciandola cadere direttamente nel palmo della destra e caricando il colpo di haki, pronto a giocarsi il tutto e per tutto.
Ma, ancora una volta, il nemico evitò l’affondo con leggiadria e stavolta a finire a terra non fu solo l’arma ma il suo portatore.
Il samurai portò rapido i palmi ai lati del viso per fare leva sulle braccia e rimettersi in piedi ma dei passi lo fecero bloccare.
L’avversario si era deciso a smettere di fluttuare a mezz’aria e ora si avvicinava a lui lento e pacato.
Con il cuore in gola, Zoro si bloccò a carponi, deciso a valutare bene la situazione e verificare se non c’era un modo per coglierlo di sorpresa  mettendosi in piedi all’ultimo.
Non immaginava che l’unico a essere colto di sorpresa sarebbe stato lui.
-Lo sai, io capisco che sia una tattica vincente quasi al cento per cento ma, se vedi che dopo un po’ non funziona non sarebbe il caso di cambiare schema?!-
L’occhio sano dello spadaccino si spalancò all’inverosimile nel riconoscere quella voce.
Non poteva essere!
Scattò in piedi voltandosi, scrutando nel buio, incredulo e lievemente sconvolto.
-Horo horo horo!-
Oh Santo Roger!
-Ciao Zoro-kun!- lo salutò.
-Perona!- esclamò, troppo sconvolto per grugnire di fronte a quel suffisso vezzeggiativo che tanto odiava e che lei si era sempre ostinata a mettere dopo il suo nome.
Non la vedeva bene ma sapeva che aveva il capo piegato di lato, le mani sui fianchi e un sorriso sul volto.
-Cosa… Cosa ci fai qui?!- domandò senza fiato, avvicinandosi di un passo e maledicendo il buio -Stai bene?!- le domandò, rendendosi conto di suonare apprensivo ma infischiandosene.
Non riusciva a vederla e chiedere era la sola alternativa.
-Lievemente stressata ma non c’è male! E tu?!-
-Si può sapere perché mi hai attaccato?!- l’aggredì, una volta appurato che non aveva nulla da temere per la sua incolumità.
-Volevo metterti alla prova!- si strinse nella spalle prima di riprendere a fluttuare e recuperare in pochi secondi le sue spade, per poi consegnargliele -Oh su, non fare l’offeso! Ho giocato sporco, quello schema lo hai sempre provato con me! Non significa che tu non sia il secondo spadaccino migliore al mondo!- soffiò, prendendolo in giro e facendolo grugnire mentre ringuainava le katane.
-Ti affetto adesso o più tardi?!- le domandò, lanciandole un’occhiata di fuoco ma ottenendo solo di farla ridacchiare.
-Più tardi- mormorò accomodandosi con grazia e con un sospiro sull’altalena e prendendo a dondolare -Prima devo parlare con Cappello di Paglia-
Zoro corrugò le sopracciglia.
-Di che stai parlando?!-
-Ho un messaggio per lui- si spiegò, fermando il movimento oscillatorio della giostra.
Lo spadaccino si girò completamente verso di lei.
L’occhio ora abituato alla penombra era in grado di distinguere anche le espressioni assunte dalla rosa.
-Da parte di chi?!-
Perona lo fissò serio e grave, prendendo poi un profondo respiro.
-Suo fratello- affermò, facendogli strabuzzare gli occhi.
Non aveva senso e glielo disse senza mezzi termini.
-Se Sabo voleva mettersi in contatto con noi…-
-Non parlo di Sabo- lo interruppe Perona, alzandosi in piedi e avvicinandosi sotto il suo sguardo incredulo.
Si fermò a pochi passi da lui, guardandolo negli occhi, ferma e determinata.
-Parlo di Ace- 
  
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