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Autore: OurChildhood    11/02/2015    4 recensioni
Annabeth Chase si è trasferita a New York all'inizio dell'estate. Anzi, l'hanno spedita a New York all'inizio dell'estate.
"Abbiamo trovato una scuola per ragazzi problematici come te. La Goods." La sua matrigna non aveva peli sulla lingua per quanto riguardava la sua "adorata" figliastra. Solo perché soffriva di dislessia e iperattività. Non lo trovava giusto.
"Troverai Luke ad aspettarti all'aeroporto." Per di più doveva contare su un ragazzo quasi sconosciuto che i suoi genitori conoscevano appena.
"Perfetto" pensava "non potrebbe andarmi peggio."
Ma si sbagliava di grosso.
***
Le vite di ognuno di noi si incrociano, si scontrano, si sfiorano con quelle di altre persone e, ognuna di queste, lascia un segno più o meno forte nelle nostre vite.
Ogni persona che incontriamo provoca in noi un cambiamento più o meno forte, voluto o meno.
***
Dal Capitolo 12:
Sapevo già che la vita cresce, muta, si incrocia con quella altrui, si marca di cicatrici che non si rimargineranno più. Sta solo a noi cercare di dimenticarle e rincominciare da capo.
Mi alzai dal letto e preparai le valigie. Stava anche a me
cambiare per la vita.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bianca di Angelo, Connor Stoll, Nico di Angelo, Percy/Annabeth, Talia Grace, Travis & Connor Stoll
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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I feel like if I’m too kind
Then you will only change your mind
Take advantage of my heart
And I’ll go back into the dark
Love will never be forever
Feelings are just like the weather
January to December
Do you want to be a member?
Lonely Hearts Club
Do you want to be with somebody like me?
Lonely Hearts Club
Do you want to be with somebody like me? 

Marina and The Diamonds, Lonely Hearts Club



PoV Annabeth
Passarono diversi giorni dopo quello in cui mi sentii male. La situazione non era per niente migliorata, anzi, sentivo delle forti fitte addominali che non mi lasciavano dormire la notte.
Tuttavia, dopo circa cinque giorni durante i quali avevo tentato di recuperare un po' di salute, fui costretta a tornare a scuola, non tanto perché mi sentivo meglio per poter sostenere una giornata a scuola, ma perché se solo avessi fatto qualche altro giorno di assenza avrebbero molto probabilmente allertato i miei genitori.
Tornai a scuola, quindi, il martedì della settimana dopo. La notte ero riuscita a dormire un paio di orette scarse – era quindi un notevole miglioramento – ma i dolori continuavano a presentarsi persistenti.
Quel bambino mi stava quasi uccidendo.
Quel martedì mattina, però, fu abbastanza tranquillo. Certo, stavo morendo dentro, ma non svenni, né cedetti all'impulso di tornarmene a casa a cullarmi beatamente nel mio dolore. Effettivamente, avere delle persone pronte a distrarti era un enorme vantaggio.
Al cambio dell'ora trovavo Percy pronto ad aiutarmi a passare da una classe all'altra, anche se io tentavo di rifiutare il suo aiuto. Ovviamente, era una cosa vana.
 
«Credo sul serio che tu in realtà stia facendo tutto questo per avere le mie attenzioni» affermò durante un tragitto, mentre mi sorreggevo al suo braccio.
«Sarebbe bastato poco, dovresti saperlo mia cara».
«E io sospetto fermamente che tu mi stia aiutando così tanto solo per dei secondi fini. Ma ti devi rassegnare, mio caro, il mio cuore é già sposato con l'architettura».
Lui rise, prendendomi in braccio. Trattenni un urlo per non avere l'attenzione di tutto il corridoio su di noi, ma fu abbastanza inutile, dato il fatto che l'improvvisa azione di Percy aveva spaventato metà dei ragazzi e incuriosito i restanti.
«Ti pentirai di averlo detto, Annabeth Chase!»
«Mettimi giù! — sussurrai — Non vedi che ci stanno fissando tutti?»
Lui fece un sorriso sghembo. Il solito vuoto riempì il posto del dolore perpetuo che, tutto d'un tratto, s'era fatto timido pure lui sotto lo sguardo furbo del ragazzo.
Di quel ragazzo che mi stava facendo davvero impazzire. In un modo indefinibilmente bello.
Ma non ero pronta. Per lui ero un'amica. Per lui non potevo essere più di quello.
Per lui ero la ragazza troppo ingenua che si era fatta fregare da Luke Castellan.
Mi sentivo male. Usata. Non volevo che il mio cuore si spezzasse di nuovo, proprio ora, che era appena stato ricostruito pezzo per pezzo.
Fu quando mi posò di nuovo a terra che trovai fine a questi pensieri.
«Tutto bene? Sembri preoccupata».
«Certo — dissi, sforzandomi di sorridere — Certo, sto bene».
 
Uscita da scuola pensavo che forse se mi fossi accoltellata lì, aspettando una morte lenta e dolorosa, beh, forse sarebbe stata meno dolorosa che tutto quello che stavo passando.
Non riuscivo assolutamente a camminare e, nonostante non avessi voluto, fui costretta ad accettare un passaggio da parte di Rachel.
Era incredibilmente strano il modo in cui era cambiata, in quei pochi giorni, quasi incredibile. E, devo dirlo, non mi dispiacque affatto.
Era, in un certo modo, quel tipo di ragazza smaliziata e fintamente ingenua che, appena ne ha l'occasione, ti stupisce con quell'ingegno che é più accecante di uno spettacolo pirotecnico.
Ero stata molto stupida a giudicarla male, ma quella piccola dimostrazione di comprensione da parte sua mi fece capire che lei era davvero cambiata e voleva dimostrarlo.
Quando alla radio partì Lonely Hearts Club sospirai al pensare quanto mi descrivesse in quel momento. Spezzata, usata, buttata in un angolo e caduta nel buio.
«La vita fa schifo» sbottò lei.
Non ebbi niente da ridire.
 
PoV Clarisse
Era da una settimana che scappavo, mi nascondevo, tremavo. Quella non ero più io. Era un involucro dalle mie sembianze, ma vuoto. Completamente.
Sfuggivo da una settimana o più da Chris, tremavo al solo pensiero di vederlo.
Ma non riuscii a sfuggirgli per sempre e, quel martedì, lo incontrai nel mezzo di un corridoio, intento a parlare con un ragazzo che non avevo mai visto prima.
Mi pentii di aver imboccato quella strada non appena incrociai il suo sguardo: tentai di filarmela, invano. Mi raggiunse dopo pochi secondi, prendendomi per il braccio.
«Perché scappi? É da una settimana che tento di parlarti, sembra quasi tu ti sia dimenticata di quello che é successo!»
«Non me ne sono dimenticata — dissi, strappando il mio braccio dalla sua morsa — ma non vedo perché questo possa cambiare quello che é stato, né ora né mai».
Lui si ritrasse leggermente, colpito.
«Che intendi?»
«Credi sul serio che dopo anni di maltrattamenti e prese per il culo un bacio possa farmi cambiare davvero idea?»
«Ma tu... Ma io... Io ti piaccio, o sbaglio?»
Rimasi interdetta un momento. Certo, mi piaceva parecchio: potevo negarlo? Decisamente no, non ci sarei mai riuscita. Lui sapeva fin troppo bene ciò che provavo – almeno, così credevo – ed ero sicura che se solo avessi mentito mi avrebbe scoperta.
«Sì — ammisi — ma ciò non cambia il fatto che tu mi abbia distrutta».
Me ne andai, lasciandolo imbambolato a guardare il punto in cui prima mi aveva fermata.
 
PoV Talia
Sulla porta di casa, non me la sentii di salutare Nico.
«Puoi entrare?» chiesi.
Lui annuì, entrando in casa. Avevo le occhiaie, ma forse lui le aveva addirittura più marcate delle mie, in parte perché per lui era la normalità averle, in parte perché se ne stava notti intere al telefono con me per consolarmi. Gli occhi stanchi bruciavano, ma avevo bisogno di piangere. Non sapevo nemmeno bene il perché.
Sentivo il cuore pesante, le palpebre cadere e ogni parte del mio corpo crollare. Il corso degli eventi mi opprimeva, come se il destino si divertisse a ridere di me, mentre esalavo gli ultimi respiri, schiacciata dal suo peso.
Mi mancavano quei dolci periodi di quiete che si vivono durante l'infanzia, la spensieratezza, la schiettezza quasi innocente che hai, capace di essere sempre perdonata perché, alla fine dei conti, eri semplicemente un bambino.
Mi mancava la semplice purezza dell'essere bambina, quell'inesperienza nei confronti del mondo e quell'ingenuità che ti fa credere che la cosa più brutta che possa capitare é perdersi una puntata del proprio cartone preferito.
Mi mancava l'essenza della purezza dei bambini, come se, d'improvviso, mi fosse stata aspirata via da un mondo troppo grande. Ma, in effetti, é quello che succede realmente: un bel giorno ti svegli consapevole e consenziente, lasciato allo sbaraglio di una verità che non é più tua, che non esiste, che semplicemente verrà spazzata anche dai tuoi più remoti ricordi. E questa verità uccide, ti comprime e ti soffoca, ma non puoi nulla, puoi solo rinforzare le ossa delle tue spalle e continuare ad andare avanti.
Ma, in quel momento, sembrava sul serio che tutto andasse a quel paese, tutti gli sforzi fatti e tutte quelle piccole ferite finalmente rimarginate sembravano riaprirsi aprirsi in voragini.
Avevo bisogno di Nico, delle sue parole dolci, della sua presenza.
«Come stai?» mi chiese.
Scossi la testa, trattenendo a stento un singhiozzo e lacrime di sale, che mi arrossarono gli occhi.
«E tu? Come stai?»
Scosse la testa.
«Sembra che tutto quello che le sta succedendo — disse, senza nominare Annabeth — stia letteralmente distruggendo anche tutti noi. Non so te, ma io non credo che potrà andarle tanto meglio».
«Come puoi dirlo?! — urlai — Come puoi sul serio pensare qualcosa del genere?! É nostra amica, Nico, le staremo vicino! Certo che andrà meglio».
E sapevo sul serio, dentro di me, che sarebbe andata meglio, che tutto si sarebbe sistemato, pezzo per pezzo.
Bastava solo trovare il pezzo di puzzle mancante, poi si sarebbe composto da solo.
«Sono pessimista, lo so» disse lui, guardandosi le mani.
Gli sollevai il volto. Era teso, imbronciato, ma negli occhi conservava quel briciolo di speranza che mi confortava sempre, quel guizzo di energia che sembrava urlare che esisteva anche lui.
Lo baciai, perché forse era l'unica ancora di salvezza che mi rimaneva.
Lo baciai, perché mi mancavano le sue labbra.
Lo baciai e non ebbi bisogno di nient'altro.
Dopo pochi secondi sentii il bisogno fisico di approfondire quel bacio, di approfondirne il contatto, il sapore, la passione.
Si sedette sul divano, invitandomi a sedermi sulle sue gambe, mentre le mie mani fredde scorrevano su e giù sulla sua spina dorsale. Le sue, nel frattempo, mi accarezzavano la pelle accaldata della schiena.
Senza che nemmeno me ne accorgessi, mi sfilò la maglietta, cominciando a lasciare una scia di baci bollenti sul collo.
Fece scendere la spallina del reggiseno, lasciando un seno scoperto. Sentii le sue labbra calde posarsi su esso e un grande piacere crescere dal basso ventre per poi estendersi in ogni angolo del mio corpo, in ogni capillare e ogni terminazione nervosa.
Inclinai il capo sospirando e lasciando che Nico indugiasse tutto il tempo che riteneva necessario. Non avevamo fretta, volevamo goderci ogni istante come se fosse stato l'ultimo.
E poi arrivò, l'ultimo momento, perché dalla porta entrò all'improvviso l'ultima persona che sarebbe dovuta entrare da quella porta.
Mio padre.
Feci appena in tempo a mettere a posto la coppa del reggiseno, ma non ebbi il tempo di rendere la situazione meno esplicita: dalla sua faccia sconvolta capii che aveva intuito tutto.
«Ehm... Ciao papi» salutai, rossa in viso.
«Buo- buongiorno signor Grace» sussurrò Nico, bianco in volto.
Mio padre guardò prima la mia maglia sul pavimento, poi me, poi Nico, per poi riportare lo sguardo alternamente da me alla mia maglia.
«Buongiorno un cazzo. Se non te ne vai subito giuro che saranno le tue ultime parole».
Nico mi guardò sconvolto, ma non potevo far altro che guardarlo terrorizzata.
«ORA» urlò mio padre.
Fui spinta via e, sedutami a terra, raccattai la maglietta per poi infilarmela alla velocità della luce.
«Che ci faceva Di Angelo qui? Soprattutto a fare certe cose?!» sbraitò.
Non riuscii a rispondere, tanta era la paura che mi cresceva dentro.
«Io...» tentai.
«Tu un corno, Talia! Ti rendi conto di quanti anni hai? Lo sai cosa comporta fare certe cose?!»
Non risposi. Mi arrivò un ceffone.
«Sei in punizione — sibilò — e ringrazia che ritenga degradante comprare una cintura di castità».
 
PoV Annabeth
Erano passate meno di due ore dall'ultimo conato di vomito. Erano passate meno di due ore – ed erano comunque abbastanza per gli standard – quando dovetti rialzarmi per la quinta volta quella maledetta notte tra il martedì e il mercoledì. Era la quinta volta ed erano solamente le due.
Quel pomeriggio era stato il peggiore, il peggiore su ogni fronte.
La cosa peggiore era che non avevo avuto nemmeno Percy accanto a me. E la cosa peggiore, durante quella notte, era rendermi conto, minuto dopo minuto, che ero irrimediabilmente e completamente innamorata di lui. Ma non del ragazzo dagli affascinanti occhi verdi e dal fantastico fisico da nuotatore. Ero irrimediabilmente innamorata del ragazzo dolce e sensibile che si era preso cura di me in quei giorni facendomi pesare meno il dolore e condividendo con me il mio fardello.
Purtroppo, non ne ero felice. Non potevo assolutamente dirlo o farlo trasparire. Non volevo essere un peso e, tantomeno, non volevo che lui si sentisse obbligato a ricambiare perché ero una ragazza incinta e dovevo essere aiutata con il bambino.
Era sbagliato. Tutto sbagliato. Io, lui, noi, il bambino, tutto quello che stava accadendo, il mondo.
Non ero pronta, poi, per sopportare e crescere un figlio mio. Ero troppo giovane – alla mia età le ragazze pensano a che vestiti indossare il giorno dopo o a chi le inviterà al ballo di fine anno, non di certo a crescere un bambino, a mettere su famiglia.
E, man mano che la notte avanzava, mi resi conto di quanto realmente volesse dire essere incinta. Non solo dopo la gravidanza, ma anche durante. Che avrei fatto a marzo, quando la pancia non sarebbe più scomparsa sotto un maglione largo? E a maggio, quando sarebbero arrivate le doglie? Come avrei fatto a camminare per la scuola con il pancione, sotto gli occhi di tutti? Come avrei fatto a sopportare i commenti e i pettegolezzi? Sarei riuscita a dare gli esami? E poi, a cosa sarebbe servito?
Sarei riuscita a frequentare l'università? Come mi sarei procurata i soldi necessari?
O ancora: avrebbe fatto male partorire?
Non sapevo rispondermi e, con tali domande e poche ore di sonno, arrivai al mattino seguente a scuola.
Più dolorante del solito e con le caviglie gonfie, mi trascinai in classe senza salutare nessuno. Nemmeno Talia o Percy o Nico. Non volevo vedere nessuno.
Le fitte forti al basso ventre mi diedero filo da torcere per tutta la prima ora finché il professore, accortosi della mia sofferenza, mi mandò in bagno.
Non ho idea di come ci arrivai, con la vista offuscata e le gambe tremanti. Entrai nella prima cabina e vomitai tutto quello che potevo e forse qualcosa di più, data la scarsa colazione fatta.
Feci per sedermi a fare la pipì quando la vidi, una striscia rossa in mezzo agli slip.
Mi alzai e, con le poche forze che avevo e la testa che girava, urlai. Il fiato era poco, se non completamente assente.
Ma riuscii a farmi sentire: alcuni professori e molti alunni uscirono dalle classi.
Con l'ultima forza rimastami dissi: «Chiamate un'ambulanza».
Poi caddi nel buio.
 
Quando mi ridestai, la luce gialla di una lampadina e le fredde pareti di una camera ospedaliera riempirono il mio campo visivo.
Quando, pian piano, riacquistai la vista, toltami dal bagliore della luce, riuscii a distinguere altri particolari attorno a me: una flebo, un letto accanto al mio, una finestra che dava sul blu e una tristissima copia di un dipinto di Van Gogh. Dico tristissima perché, con tutti i dipinti che potevano starci in un ospedale, "Campo di grano con corvi" era forse il più sconsigliabile.
Voltandomi leggermente potei notare altri lettini come il mio, dove altre donne con il pancione se ne stavano distese a fissare rilassate e forse un po' febbricitanti il vuoto, con una mano sul grembo.
Girando ancora la testa, notai due grandi occhi verdi che mi scrutavano scuri. Sorrisi.
«Annabeth» disse una voce che non era quella di Percy, ma una molto più matura e conosciuta, forse anche odiata, in parte.
«Perché non hai detto nulla?»
Voltai la testa di scatto e, tenuto fermo da Nico Di Angelo, c'era mio padre, affiancato dalla mia matrigna, che aveva una ruga di apprensione giusto nel mezzo della fronte.
Lei, una delle donne più intelligenti – e stronze – che avessi mai conosciuto, se ne stava lì a guardarmi, quasi preoccupata.
«Non volevo farvi arrabbiare — sussurrai — e poi Luke... Non pensavo che fosse capace di tanto».
«Luke? — chiese mio padre stupito — Allora non stava mentendo il ragazzo, non l'hai messa incinta tu».
«Grazie mille per la fiducia» rispose Percy sarcastico. Solo allora notai il suo occhi nero.
«Ma che é successo?» sbottai, tentando di non disturbare nessun'altra donna presente.
«Tuo padre — disse una di loro, particolarmente impicciona, a quanto pare — ha tentato di ammazzare il tuo fidanzatino a mani nude perché credeva fosse stato lui a metterti incinta, dato che era stato lui ad accompagnarti in ospedale».
Percy arrossì alla parola fidanzatino – come me, d'altra parte. Poi guardai sconvolta mio padre, perché l'idea che mi era venuta immediatamente di dare un enorme bacio a Percy per essersi preoccupato tanto non era effettivamente la scelta più saggia, data la situazione.
Mio padre tentò di parlare, ma venne interrotto dall'arrivo di un dottore.
«Signor Chase? Signorina Chase? Abbiamo una notizia per voi».


Mi sento come se fossi troppo gentile
Allora dovrai solo cambiare idea
Approfitta del mio cuore
E io andrò di nuovo nel buio
L'amore non sarà mai per sempre
I sentimenti sono proprio come il tempo
Gennaio-dicembre
Vuoi essere socio?
Lonely Hearts Club
Vuoi stare con uno come me?
Lonely Hearts Club
Vuoi stare con uno come me?

Traduzione di Lonely Heart Club

~SPAZIO AUTRICE~
Buongiorno!
Come state? Ah, io me la cavo, dai!
Ma non merito un applauso? Ho aggiornato in tempi relativamente decenti!
Comunque, sono sempre più contenta per le vostre recensioni, spero davvero che continuiate così <3
Per eventuali aggiornamenti, piccoli spoiler o solamente per stolkerarmi (?) un po', ho creato un blog su Tumblr. Lì scrivo ciò che mi passa per la mente e (ogni tanto) qualche pezzo da un nuovo capitolo. Mi chiamo Dramasound <3 lì potete, se vorrete, anche farmi qualche domanda sulla fanfiction o chiedermi qualsiasi cosa (a meno che non siano cose troppo personali, OBV)
A presto per il 25º capitolo!
-A
   
 
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